Capitolo Trentuno

Arasio

Tutti gli angeli presenti nell'esercito erano in fila davanti alla caserma. Era un enorme e squadrata struttura con una moltitudine di finestrelle, priva di estetica rispetto al grazioso dormitorio che era presente nel nostro vecchio villaggio.

Gioele ci aveva ordinato di essere in perfetto orario altrimenti ci sarebbero state delle punizioni esemplari, ma quello in un ritardo mostruoso era proprio lui.
L'immortale uscì con la tunica tutta stropicciata e i capelli ancora più arruffati del solito, tentando invano di sistemarseli con le dita. Scese saltando qualche gradino della struttura.

«Bene, bene, bene, vedo che siete tutti in perfetto orario. Vi starete chiedendo perché vi ho convocato qui vicino al dormitorio? Oggi scenderemo sulla terra, non vi ho addestrato per rimanere nella più completa bambagia qua in paradiso. Sulla terra si stanno verificando dei terremoti e delle inondazioni innaturali, dobbiamo fermarle in ogni modo e visto che i demoni se ne sbattono di questo problema, siamo costretti noi compiere l'impossibile pur di risolverlo. Ma non è finita qui, Lux mi ha ordinato di costruire una sorta di carcere come quelli degli umani per rinchiudere gli angeli cacciati dal paradiso e immortali indisciplinati» spiegò Gioele.

«Chi gli dà il diritto di esiliare un angelo dal paradiso e soprattutto rinchiuderlo da qualche parte?» chiesi irritato alzando la voce.
Gioele si voltò con un lieve sorriso toccandosi con l'indice la punta del naso.
«Hai ragione Arasio, lui non è la nostra Dea. Vedi ragazzo sia alcuni demoni e anche molti angeli, si stanno dando alla pazza gioia nel corrompere gli uomini e le donne per avere dei figli. I meticci devono essere fatti fuori, nati dal male e sotto una cattiva stella. Su questo non posso essere più d'accordo con Lux. Per quanto riguarda gli angeli che attuano tutto questo, devono essere confinati da qualche parte prima che la situazione possa peggiorare. Guai a voi se mi fate una cosa del genere sotto il naso, capito?»
Il nostro capo ci guardò uno a uno con aria minacciosa.

«Andate a prendere le vostre cose, partiamo tra trenta minuti» affermò ulteriormente Gioele.
Durante l'ora di pranzo atterrammo a Monacre.
La città era messa decisamente peggio rispetto all'ultima volta che l'avevo vista. La ridente comunità era ormai sovrastata da fanghiglia e presa in ostaggio da piccole scosse continue.
Monacre trasmetteva abbandono e quelle poche bancarelle che erano rimaste era completamente distrutte dalle inondazioni.

Mi inoltrai in uno dei locali di ristoro dove ero solito pranzare con Tab, questa osteria dava proprio davanti al grazioso negozio di fiori anch'esso ridotto a uno scatafascio.
Mi guardai intorno passeggiando lungo tutta la sala, le sedie come i tavoli erano ribaltati in tutti gli angoli della stanza.
Iniziai a muovermi lungo tutta l'area, un fastidioso strato di fango si insidiò nelle calzature rendendole scivolose.

L'acqua gelida si inoltrava tra le mie dita e a stento percepivo ancora la sensibilità della cute. Rischiai di scivolare parecchie volte, ma questo non mi dissuase nell'inoltrarmi al piano superiore, a ogni passo il gradino delle scale di legno mi teneva compagnia con il suo scricchiolante suono.
Guardai fuori notando che alcuni miei alleati erano ancora in perlustrazione.

Fissai per un attimo il soffitto, le travi erano marcite non trasmettendomi di certo un senso di sicurezza, dovevo uscire il prima possibile da questo posto anche le crepe lungo i muri me ne stavano dando un segno. Persino un edificio inanimato come questo poteva gridare sofferenza, testimone indiretto della nostra stolta società, poteva solo essere abbattuto per poi essere ricordato solo dalle nostre menti immortali come un luogo luminoso e accogliente.
Scesi lentamente nuovamente al piano inferiore rischiando qualche volta l'osso del collo.
Andai dietro al bancone per inoltrami nelle cucine, una forte puzza di marcio e un pungente odore di muffa mi convinse nel fare dietrofront.
Mi misi l'avambraccio davanti al naso trattenendo il più possibile il respiro.

Appena tornai davanti alla sala principale inizia a inspirare ed espirare a pieni polmoni tossendo in maniera convulsiva.
Mi strofinai anche il naso per togliermi di dosso la sgradevole puzza di muffa.
Voltai il capo verso l'entrata notando solo ora che una figura mi stava osservando.
Gioele era appoggiato allo stipite della porta, aveva il braccio alzato e la fronte appoggiata su di esso. Roteò gli azzurri occhi guardandosi intorno.

«Fa impressione vederla così non è vero?» affermò in modo retorico.
«Prima di farvi partire sono andato a fare un giro di ricognizione qui in basso, ci ho messo del tempo per rendermi conto come stavano realmente le cose. Quello che ci è effettivamente accaduto questa amata terra ne porta ancora i segni. Dal nulla sono cominciati i terremoti, il livello del fiume ha iniziato a straripare in continuazione a causa delle continue piogge. Chissà cosa sta succedendo nella testa di quello svitato. Monacre per il momento è  troppo pericolosa, ci accamperemo nel villaggio degli angeli e nel pomeriggio sistemeremo il nostro paesino. Su vieni con me gli altri sono già in viaggio.» affermò Gioele toccandomi la spalla.

L'angelo uscì dalla locanda, alzò in volo in direzione del piccolo centro in cui avevo vissuto prima di entrare nella società immortale.
Guardai un'ultima volta questo luogo con rammarico per poi seguirlo.

Io e il capitano raggiungemmo il luogo prefissato, ricongiungendoci con il gruppo.
Le case in pietra erano diroccate ben poche erano rimaste completamente intatte, la via dei negozi era tabula rasa. Passammo nelle vicinanze del dormitorio, la struttura presentava diverse crepe e le edere collocate sui muri erano rinsecchite, i pesci che sguazzavano nella fontana erano tutti morti, emanando una forte puzza di carogna.

Gioele si fermò davanti al portone del dormitorio, guardando il palazzetto dall'alto in basso.
«È in buone condizioni, il posto è grande ma non ci staremo tutti, chi vuole fermarsi con il sottoscritto mi dovrà aiutare a sistemarla, gli altri cerchino delle case abbandonate qui vicino. Il dormitorio diventerà il nostro punto di riferimento» detto ciò quello scansa fatiche del mio capitano entrò seguito dalla maggior parte dei angeli.

Mi stavo dirigendo anch'io nella vecchia fatiscente struttura, quando Tab mi trattenne per un polso.
Mi girai a guardarlo «Che succede?» chiesi sottovoce.
Tab si grattò la nuca in modo nervoso «La mia casa non è tanto lontano dal dormitorio e visto che è molto spaziosa si potrebbe anche vivere in due, sempre se ti va.»
«Va bene, non è una brutta idea» affermai.
Il sorriso di Tab si allargò ulteriormente facendo scomparire tutta la sua preoccupazione sul suo viso.

In questo momento illusi ulteriormente il mio amico di una relazione del tutto inesistente, ma poco importava se potevo sfruttarlo per andarci a letto per dimenticare la mia relazione passata con quel demone. Dovevo ammettere che Tab ci sapeva fare a letto, una perfetta distrazione per il mio corpo.

Appena entrati nell'abitazione del mio amico, ci mettemmo a sistemarla e a ricostruire le parti della casa diroccata proteggendola con i nostri poteri.
La dimora di Tab era era una cascina rustica dall'arredamento essenziale, completamente circondata da ettari di una silenziosa compagna. Interrotta solo dallo scorrere dell'acqua presente nei fossi, dove le gallinelle si tuffavano per rinfrescarsi e le nutrie scavavano le loro tane sulle sponde fangose.

Internamente la cascina era divisa in due piani, le scale erano cedute e le mattonelle di terracotta dell'abitazione erano crepate in vari punti lungo tutta la piantina dell'abitazione.
Esternamente le grigie pareti di pietra venivano abbellite dalle rosse tegole del tetto. Accanto alla casa era presente un'abitazione divisa in più appartamenti adibita alle famiglie dei lavoratori umani che erano alle dipendenze di Tab. In parallelo alla dimora  si ergevano i granai e le stalle per il bestiame.

Nel cortile in mezzo alla cascina era situato un pergolato in legno. Il busto storto della vite si sosteneva su di esso permettendo ai nodosi rami di adagiarsi sulla parte superiore della solida struttura. Io e Robinia quando andavamo a trovare Tab nella sua dimora durante le caldi estate, ci sdraiavamo sulle panche osservando i bruni grappoli d'uva penzolarci sopra le nostre teste, ipnotizzato dai graziosi viticci che ne decoravano la pianta.

A farci da compagnia c'erano i diversi animali che razzolavano tra cui: anatre, oche, pavoni e le galline con i loro piccoli. La flora e la fauna abbelivano notevolmente posto in aperta campagna. Il nostro piccolo angolo di paradiso.

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Il giorno seguente fummo svegliati dalle violente scosse che ci fecero saltare fuori dal letto in maniera allarmante.
Questi spostamenti terresti ci fecero compagnia in modo negativo per tutta la giornata. Ci mettemmo a squadre per risanare la zona, di umani non se ne vedeva alcuna traccia immagino terrorizzati da questi eventi naturali.

Io ero nel gruppo con Tab e altri dieci demoni, il nostro compito era ridurre tutta la fanghiglia possibile che aveva invaso ogni dove e utilizzare il nostro potere in preghiera per poter creare basi solide, in modo da contenere il fiumiciattolo che continuava a straripare.

Ci mettemmo mesi in modo tale che le nostre preghiere tenessero la striscia d'acqua al suo posto, evitando la formazione di paludi in maniera tale che le zanzare potessero riprodursi rischiando di far scoppiare un epidemia che potesse toccare gli umani.
Il paesaggio con molta calma ritornò al suo vecchio splendore.

Ci volle del tempo nel togliere tutti i ciottoli dalle strade e ad abbattere le case oramai inagibili. Dal nostro villaggio passammo a Monacre non toccando minimamente quello dei demoni, i quali non avevano mosso un dito dalla loro parte per la costruzione, la barriera della nostra Dea era quasi nulla in questo momento, segno che quei miserabili non erano in zona.

Il tempio di Monacre non venne toccato, era ancora integro le pareti bianche di marmo erano annerite a causa delle fiamme fameliche di Lucifero. Mi misi a buttare giù la mia casa nella quale avevo convissuto con Yag per qualche tempo, la quale si collocava al confine di Monacre.

Anche se era ancora ben solida, non aveva più senso che esistesse.
Appena finii quel seccante lavoro, mi alzai in cielo con le ali bianche piumate in direzione del nostro accampamento.
Nel mentre che ero in alta quota, vidi una bambina uscire di casa con in mano un secchiello per l'acqua.
Era più magra di quello che mi ricordassi, sembrava uno scheletro che camminava, i suoi capelli erano più sporchi del solito e il suo vestito era cresciuto in modo numerico di toppe.

La giovane era la piccola Telene, la quale faceva parte della famiglia che mi aveva salvato quando mi tagliai le vene all'interno di una buca.
Atterrai con grazia sul polveroso suolo proprio davanti alla piccola, la bimba venne presa di sorpresa e mi guardò con i suoi occhi sporgenti.

«Telene sono Arasio, ti ricordi di me?» chiesi gentilmente.
«Sì» disse la piccola con voce flebile coprendosi la bocca.
«Dove stai andando?» domandai ulteriormente.
«Al fiume devo prende dell'acqua» affermò ancora incerta.
«Che fine hanno fatto gli altri umani che vivevano in queste cascine?» mi chinai mettendomi alla sua stessa altezza.

Era impossibile che sua madre l'avesse abbandonata in questo posto desolato.
La bambina tremò all'istante rimanendo comunque zitta.
«Con me ne puoi parlare Telene, siamo amici ricordi? Non ti farò del male» toccai la sua ossuta spalla sinistra.

Gli occhi castani della piccola furono combattuti per un istante se raccontarmi la verità oppure tacere.
Alla fine l'umana prese una decisione, la piccola si tolse la minuscola mano dalla bocca. Vidi con i miei stessi occhi ciò che le era accaduto, delle profonde scottature le partivano dal sotto il naso terminando fin sotto al collo. Redendo quella parte del corpo irriconoscibile, mi si gelò il sangue per un secondo.
Chi poteva aver fatto una cosa del genere?
Quelle ustioni le deturpavano il viso rendendola in quella zona il volto di un vecchio. Mi fissò con sguardo serioso e truce, carico di odio, pronunciando delle semplici parole che mi scombussolarono tutto il corpo.

«È stato quel demone di nome Yag» affermò la piccola con espressione amara.
Dopo quella confessione rimasi senza fiato per qualche minuto, analizzando parola per parola.
Deglutii sonoramente prima di aprir bocca.
«Mamma è qui con te?»
La piccola annuì lievemente.
«Portami da lei» dissi con educazione.

La piccola iniziò a muoversi in mezzo ai campi dandomi le spalle, non curante se la stessi veramente seguendo.
Arrivati in mezzo alle casette notai che le mura e il terreno erano incrostati di sangue.
Entrammo nell'abitazione in cui un tempo mi avevano ospitato. Appena aperta la porta un odore pungente si insinuò nelle mie narici, costringendomi a mettere una mano davanti al naso per non vomitare.

Sulla sinistra adagiato sulla una panca era riverso con un fazzoletto in faccia il cadavere del capo famiglia, il corpo era ornato con dei fiori selvatici.
Attraversammo un minuscolo corridoio, la piccola aprì la porta dove trovai la madre di Telene riversa sul letto.
Anche lei era in condizioni disperate.
La mortale aprì gli occhi lentamente «Telene sei tornata molto presto, hai preso l'acqua?» pronunciò con voce gracchiante tossendo convulsamente.

Aurora quando mi vide sbarrò occhi e si mise a tremare, ero in dubbio per la paura o per la malattia.
«Sono venuto in pace» affermai immediatamente prima che potesse pronunciare qualsiasi cosa.
«Che è venuto a fare? Nessun immortale è ben accetto nella mia dimora» affermò la donna vedendomi e lanciando occhiatacce alla bambina.
La piccola Telene si sedette e guardò il pavimento sporco senza far trasparire un minimo di emozione.
«Non se la prenda con la bambina, sono io che ho insistito che mi facesse entrare. Vorrei sapere che cos'è successo qui in zona da far scappare tutti gli umani?» domandai confuso.

La donna mi guardò per un istante prima che il suo viso divenne triste «Vallo a chiedere a quel demone di nome Yag.»
«Lo sa benissimo che non posso incontrarlo a causa della barriera innalzata, è per questo che vi ho chiesto di consegnarle quella scatola di legno» affermai con pacatezza.
La donna annuì «Sì, adesso ricordo dove ci ha portato quella scatola di legno» disse con amaro sarcasmo.

Vedendomi ancora dubbioso si mise a raccontarmi che cos'era successo dopo il mio ritorno in paradiso.
«Qualche giorno dopo la sua partenza, venne un demone dall'aria nervosa a urlare in mezzo alle nostre case e a importunare chiunque fosse a suo tiro. Sentendo pronunciare il suo nome mi avvicinai, chiesi chi era e appena confermato la sua identità gli diedi il contenitore come lei mi aveva chiesto. Non sapevo minimamente cosa ci fosse al suo interno, ero sopraffatta dalla curiosità ma non mi misi minimamente ad aprirlo. Da quel momento il suo viso mutò divenendo sempre di più simile a Lucifero in persona, un vero e proprio mostro. Emise dei versi di dolore arrivando a un punto di infilzarsi i canini nella carne per poi strapparsela e mangiarsela...»
«Può ripetere» la interruppi completamente sconvolto.
Non poteva Yag avere una reazione del genere, non era da lui.

La donna annuì lentamente «Non si limitò a farsi del male, dal terreno uscirono degli insetti neri e grossi quanto dei neonati e si misero ad attaccarci e a ucciderci uno ad uno.
Uno di quei animali disgustosi come può vedere, ferì gravemente la mia bambina. Io mi buttai per terra chiedendo di risparmiarci, il demone rinsavì e mi diede ascolto, risparmiando solo la mia famiglia. Si mise a bloccare l'emorragia sul viso di Telene per poi scusarsi del disturbo prima di andarsene. Quando ritornò mio marito dai campi insieme ad alcuni contadini che si salvarono dalla furia del demone, gli raccontai l'intera storia. Successivamente arrivarono i terremoti e le inondazioni rovinandoci completamente il nostro raccolto. I pochi rimasti morirono di fame e si ammalarono appestandoci rapidamente, anche mio marito morì per questo e adesso è tutto sulle spalle della mia povera primogenita.»

«Mi dispiace» dissi ancora sconvolto.
Aurora mi guardò con il suo viso scarno il quale fu rigato dalle lacrime «Maledico il giorno in cui l'ho incontrata. Adesso chi si prenderà cura dei miei figli? ormai sono alla fine e tutto per colpa vostra e della vostra specie.»

Non feci caso alle sue parole maligne e mi avvicinai al letto dell'umana morente.
«Non è ancora giunta la sua ora, se me lo permette posso tentare di guarirla» affermai con convinzione.
La donna rimase incerta sul da farsi e non rispose.
«Se continua a essere diffidente nei miei confronti non la costringerò ad avere il mio aiuto, ma comportandosi così condanna i suoi figli a essere orfani, facendoli diventare deliziose prede per qualsiasi immortale o umano» affermai.
Aurora fece un lieve cenno di assenso «Cerchi di salvare ciò che resta del mio corpo e della mia anima.»

Successivamente avendo avuto il suo consenso, trafficai nella mia tunica tirando fuori una fiala trasparente, non ero molto portato per le cure, ma essendo una malattia umana non dovevo aver problemi.
Strinsi la mano a pugno per poi premere con potenza le mie dita, dalla mia mano uscì una sostanza densa e viscida del colore del miele, la quale andò a finire sul fondo della fiala depositandosi. Chiusi l'oggetto in vetro e lo shakerai con violenza.

Lo feci bere alla donna. Ulteriormente tirai fuori una fischietta piena d'acqua e bagnai il fazzoletto ormai asciutto appoggiato sulla donna. Lo sistemai di nuovo sulla fronte della giovane.
«Si riposi e pensi a guarire, ci penso io ai suoi figli» affermai cordialmente.

La donna si addormentò poco dopo. Successivamente andai dalla piccola Telene, mi chinai e osservai le brutte cicatrici, sputai la mia saliva sulle scottature.
Mi misi anche a strofinarle con decisione ma senza risultati, rimanendo immutata come se non avessi fatto niente.
Non era solo una normale ustione, quelle tre grandi striature erano delle vere e proprie maledizioni molto potenti.
«Mi dispiace piccola non riesco a guarirti, non è una normale danno fisico è proprio una maledizione che neanche io riesco a risolvere, chiederò tra i miei simili se qualcuno riesce a curarti. Non rimarrà impunito quell'immortale per ciò che ti ha fatto, parola di angelo» affermai infastidito per il comportamento del mio ex compagno.

Non avrei mai attentato alla sua vita, ma gliela avrei fatta pagare per ciò che aveva fatto.
La piccola levò lentamente il capo guardandomi con aria truce «Ucciderò tutto ciò che gli è più a cuore a quel maledetto demone, come lui si è permesso di fare la stessa medesima cosa alla sottoscritta.»

Spazio Autrice

Grazie per aver letto questo capitolo, spero che vi abbia intrattenuto. Per ora i due protagonisti si stanno addentrando nel punto centrale in cui entrambi avranno un cambiamento caratteriale. Questi capitoli saranno incentrati specialmente su una missione che dovrà compiere Arasio per poi lasciar spazio a Yag.

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