Capitolo Trenta
Yag
«Per tutti gli inferi!» sbottò Sirmori mettendosi la mano alla bocca.
Veria strabuzzava gli occhi e richiamò Squama all'ordine.
Sirmori si avvicinò cautamente analizzando la situazione da buon professionista che fosse.
«Le vostre lesioni sono in pessime condizioni, com'è possibile?»
«Teli ha tentato in ogni modo di rimediare alle nostre ferite causate da nostro padre» spiegò Ardea con voce squillante e infantile.
Il dottore tentò di sfiorare la gamba di Odalindo, l'ibrido la ritrasse impaurito «Non toccarla!» affermò il ragazzino.
«Voglio solo guardarla niente di più» disse Sirmori in maniera educata.
Odalindo allungò la gamba con diffidenza.
Il dottore tolse le bende cautamente e lo vidi trattenere i conati di vomito, persino io e Veria anche se in lontananza ne sentivamo la puzza.
«Che lavoro da schifo che ha fatto Teli, non te l'ha tenuta disinfettata e la tua gamba sta andando in necrosi, dovrò amputartela» affermò Sirmori.
Odalindo sbiancò dalla paura indietreggiando «Non voglio!»
«È l'unico modo se non vuoi morire» ribatté freddo il dottore guardando il ragazzino.
Dal nulla un fascio di luce attraversò tutto il terreno per poi dirigersi in direzione del mio amico, il quale lo parò prontamente con un ramo dell'albero spuntato da una crepa di una roccia.
Nella grotta si alzò un gran polverone e una piccola parte della parete crollò. Mi girai in direzione da dove provenisse il colpo, dietro di noi vidi un ragazzo poco più grande di Odalido. Anche lui era sporco come gli altri due fratelli.
Il viso del preadolescente era contratto e furente.
Un fazzoletto di stoffa gli copriva la parte sinistra dello sporco volto.
«Lascia stare mio fratello» urlò un giovane Mìtrio.
Il biondino lanciò nella mia direzione e quella di Veria due enormi mele, riuscimmo a schivare i frutti senza problemi.
Squama ingurgitò la mela caduta vicino ai piedi di Veria.
Mitrìo grazie a quella distrazione, puntò Sirmori estraendo un piccolo pugnale e tentando di aggredirlo.
«Non ci porterete da lui! Sporchi demoni non vi bastava portare via i miei fratelli e mia madre. Voi siete solo un'infima specie, peggio degli umani e aberranti come il vostro creatore. Siete dei venduti» urlò frasi disconnesse, il giovane era completamente accecato dall'ira.
Sirmori si alzò velocemente, bloccò prontamente la sua mano sinistra e lo inchiodò al muro. Il pugnale cadde sul terreno tintinnando sul suolo polveroso.
«Fermi!» alzò la voce la piccola Ardea con il viso pieno di lacrime, invece Odalindo era pietrificato dalla paura.
«Vuoi forse farti scoprire da quel pazzo che hai come padre? Se avessi avuto un attimo di lucidità, avresti capito che stavo aiutando tuo fratello e tua sorella invece di attaccarci. Lucifero vi sta cercando come un disperato, non vuoi rischiare di essere ucciso o peggio rinchiuso in uno dei gironi infernali?» spiegò il dottore.
«Tu menti» Mìtrio continuò a guardarlo con circospezione.
«Non ti fidi di noi? Vuoi che vi lasciamo qui da soli? così da far soffrire in modo atroce Odalindo a causa della sua infezione? Lo sai anche tu che non sbaglio, guarda il suo colore è pallido come un lenzuolo e ha due occhi scavati» spiegò il demone.
«Ho capito, non avete cattive intenzioni. Adesso lasciami andare» affermò il giovane scocciato.
Il dottore guardò serio il ragazzo dai capelli biondi «Dovrò dare un'occhiata anche al tuo occhio.»
«Sì okay, ma adesso sbrigati a curare mio fratello» rispose Mitrio frettolosamente.
Sirmori fece comparire dalle sue mani un piccola borsa piena di arnesi strani da lui utilizzati nel suo lavoro.
«Portatemi del vino e fatemi bollire dell'acqua, dopo di che innalzate una piccola barriera. Non voglio che ci scopra nessuno» diede gli ordini il dottore.
«Dove lo troviamo del vino?» chiese Veria.
«Andiamo nel villaggio vicino e intanto che Squama si fa prendere a bastonate dai contadini nel villaggio, entriamo educatamente da un venditore di alimentari e compriamo una damigiana di vino» la presi in giro.
Veria mi fulminò con lo sguardo e Squama si alzò diventando ancora più voluminoso, aprì la bocca ed emise versi disgustosi e pieni di dissenso.
«È ovvio che dobbiamo rubarlo nel villaggio vicino. Adesso tieni a bada il tuo cucciolo, non mi piace come mi sta guardando» risposi intimorito da quel serpente gigante.
«Volete muovervi? non ho tutto questo tempo da aspettare le vostre cavolate» ci richiamò Sirmori inviperito.
Uscimmo dalla caverna e ci dividemmo. Veria andò con Ardea a prendere dell'acqua per poi sterilizzarla, mentre io e il piccolo Mìtrio ci recammo in una locanda situata ai margini di un villaggio qui vicino.
Io e il ragazzo sgraffignammo una fiasca di vino da uno dei clienti del posto.
Dopo qualche ora tornammo con il necessario e Sirmori fece ubriacare Odalindo per poi operarlo.
Intanto io, Veria e i due figli dei creatori ci mettemmo fuori vicino a un albero ad aspettare.
Per me e Veria non era facilissimo tenere in piedi una barriera, ero in grado di manipolare gli insetti infernali grandi quanto dei piccioni ma in questo campo era ancora un novellino.
Fu proprio Mìtrio a spezzare il silenzio dell'attesa «Che cos'è successo a Teli?»
Guardai Veria per un secondo per poi rivolgermi al piccolo ragazzino «Teli ha voluto sfidare Lucifero e ha iniziato a sbraitare frasi a casaccio contro il creatore, ipotizzo che sia venuto a conoscenza dell'assassinio della povera Aletta. Appena ce l'ha avuto davanti l'ha attaccato per poi soccombere in pochi secondi. Lucifero l'ha portato con sé nel suo castello all'inferno rinchiudendolo in chissà quale girone infernale.»
«Ecco perché è partito così di fretta» borbottò Ardea con voce soffocata.
Invece Mìtrio spaccò una piccola zolla di terra con un pugno ed emise un verso di frustrazione «Non gli bastava a quel tiranno averci portato via nostra madre e Aletta, per non parlare dei miei fratelli, pure Teli. Che sia dannato per sempre.»
«Non dire così Mìtrio è pur sempre tuo padre» lo riprese Veria.
Mìtrio la guardò stupito «Come riesci a chiedermi rispetto? un essere così malvagio da ammazzare le proprie creature, la propria compagna e soprattutto i suoi figli. Voi che siete in una situazione di disperazione, rischiando la pazzia proprio perché non potete più incontrarvi. Davvero demone mi stai chiedendo di perdonare?»
Veria aprì la bocca ma la richiuse immediatamente, sul suo volto si dipinse un'espressione di tristezza e rimorso, la stessa che era presente su qualsiasi immortale appartenente a una coppia mista.
Se tutti noi fossimo stati in grado di captare ciò che sarebbe avvenuto, saremmo riusciti a contrastare Lucifero? Era una domanda che mi bazzicava da qualche giorno.
«Sono d'accordo con Mìtrio che anneghi nella sua pazzia» sbottai dal nervoso per tutta la situazione in cui ci aveva cacciato.
Veria si mise le mani alla bocca come se avessi detto una cosa blasfema.
«Non dire così Mìtrio, rispetta nostro padre» affermò Ardea assorta nei suoi pensieri, arricciandosi una ciocca di capelli unticci.
I capelli della piccola che in precedenza erano chiari come quelli del fratello maggiore, avevano assunto una pigmentazione rossastra. La chioma era stata sporcata dal sangue dei suoi fratelli e da quel giorno non era più stata in grado di togliere il fluido vitale, lei era l'emblema vivente della grande catastrofe.
«Tu sei troppo buona Ardea per essere prettamente un demone. Spero vivamente di non trovare un elemento come nostro padre quando diventerai grande» disse il piccolo ragazzino dai capelli biondi.
Ardea si mise a piangere per poi asciugarsi le lacrime velocemente «Lo sai che non succederà mai.»
Mìtrio abbracciò la piccola confortandola.
Finita l'operazione Sirmori medicò il giovane Mìtrio riuscendo a salvare il suo occhio sinistro e in modo tale che non gli facesse infezione ma rimase cieco.
Nella stessa giornata scavammo una fossa vicino al fiume dove sotterrammo la gamba di Odalindo, Squama aveva la bava alla bocca per tutto il tempo.
Io e Veria eravamo costretti nel velocizzare a scavare prima che potesse mangiarsi l'arto in decomposizione.
I giorni successivi con molta lentezza il terzogenito dei nostri creatori si riprese dall'operazione, intanto mi misi a creare una protesi in legno per quel ragazzino.
Ardea dava una mano a Sirmori nel cambiare le bende ai due fratelli.
«Mi sei veramente utile piccola Ardea, sei proprio lodevole. Non come questi due caproni che mi fanno solo arrabbiare» affermò il Dottore.
Le gote di Ardea divennero rosse come i suoi capelli «La ringrazio, ma non faccio niente di che.»
Mitrio le tirò la guancia destra «Ma smettila di arrossire per ogni complimento che ti fanno, la tua natura è prettamente di un demone. Ardea dava una mano anche a Teli nel fasciare le ferite.»
«Inoltre qualche giorno prima della grande catastrofe, mentre era nel piccolo boschetto in mezzo al tempio. Ci ha raccontato di aver salvato un neonato che stava annegando in una cesta. È incredibile quanto siano spregevoli gli umani» spiegò Odalindo tutto orgoglioso della sorella.
Ardea divenne ancora più rossa dopo la confessione del fratello.
«Ammirevole» si complimentò Veria accarezzando Squama.
«Degna della figlia della Dea Angelica» aggiunse Sirmori.
Passarono secoli completamente preso nel crescere ed educare i giovani figli di Angelica e Lucifero, mi tenevano la mente occupata ma questo benessere non durò per sempre.
Sirmori gli insegnava ciò che dovevano sapere per avere una buona cultura, anche se il suo compito era il più difficile di tutti. Mìtrio e Odalindo erano i più restii nell'apprendere a differenza di Ardea che per la sua giovane età era sveglia e un'amante della letteratura, infatti Simori era più propenso a insegnarle le basi della medicina.
Veria e il sottoscritto li aiutavamo a controllare le loro abilità e a impratichirsi nel volo. Mìtrio e Odalindo erano molto abili con i loro poteri da immortali, al contrario di Ardea che aveva delle difficoltà.
Insegnare a degli ibridi non era facile, io e Veria potevamo trasmettere la nostra esperienza da demoni, ma per quanto riguarda le loro abilità angeliche eravamo nella più totale ignoranza.
I tre giovani esercitandosi a tentativi riuscirono lo stesso a rafforzare le loro capacità a noi poco conosciute.
Passarono i secoli e per nostro rammarico quel dì arrivò. Voci di corridoio dicevano che Lucifero non aveva più in mente di ammazzare i suoi figli, la sua frustrazione era decisamente indirizzata ai demoni indisciplinati e alle anime umane finite negli inferi.
I tre bambini ora erano giovani e forti l'unica che fisicamente non era cambiata negli anni era Ardea, a causa della maledizione scagliata da parte di suo padre, condannandola a rimanere bambina per sempre. Ognuno di loro con molta sofferenza decise di prendere strade diverse, allontanandosi dalla caverna e lasciando in quella cava rocciosa il tepore dei ricordi della loro infanzia e adolescenza.
Noi tre demoni e Ardea tornammo a Monacre.
Sirmori e Ardea si dedicavano nell'ambito medico, se la "piccola" non era impegnata con il dottore, si svagava nell'affondare il suo viso color porcellana pieno di lentiggini in una marea di libri.
Veria anche lei mi abbandonò, era tutta concentrata nell'apprendere le nuove tecnologie e a buttarsi nella moda dell'alta società. Dopo aver fatto dei secoli a nasconderci e ad affinare le nostre tecniche in quell'umida caverna, passare dal periodo romano ai primi del novecento era spiazzante e interessante anche per me.
Monacre si era ingrandita e modernizzata, aveva inglobato anche il vecchio villaggio dei demoni e quello degli angeli, per non parlare quanti ettari aveva rubato ai campi.
Gli umani si vestivano in modo differente rispetto a prima, dovetti abbandonare la mia tunica nera per indossare camicie e scomodi pantaloni. Le mie ali dalle tinte nere vennero nascoste all'interno della mia schiena, le quali le facevo uscire solo quando ero in posti isolati, dovetti pure modificare il colore delle mie iridi rosse in un marrone scuro, eliminai dal mio viso i segni neri intorno agli occhi e sulle labbra che ci contraddistinguevano rispetto agli angeli.
Appena arrivati a Monacre vedendoci con le ali spiegate e gli occhi rossi, la gente ci prese per mostri urlando completamente spaventata, scoprimmo dai pochi demoni accampati nella nostra vecchia città che gli immortali per gli umani erano solo delle figure mistiche esistite solo in passato.
Ebbero anche la sfacciataggine di cambiare la nostra storia, inventandosela di sana pianta.
Che misera specie idiota e cieca.
Mi misi a imparare le nuove tecniche d'arte di quei tempi.
Con le tele, disegnare era più semplice rispetto a incidere sulle tavole di legno. Utilizzavo sul mio album diverse tecniche come le matite e le loro varie durezze, pastelli, gessetti colorati e gli acquerelli.
Stavo sperimentando anche il marmo, mi ero messo a vendere le mie opere in piazza oppure mi ordinavano delle piccole commissioni come autoritratti, garantendomi di vivere in una topaia nel perimetro della città. La mia gioia scemò nei mesi a seguirsi, i ritratti da cui mi ispiravo erano sempre più simili a un certo angelo dagli occhi blu.
Appena premevo la punta del pennello o della matita, automaticamente la mia mano disegnava il suo volto.
Arasio... ormai la sua voce era confusa nella mia testa, eppure diversi sentimenti contrastanti mi suscitavano il suo nome, il colore rosso dell'amore unito alle varie sfumature blu dell'odio si mescolavano insieme dando vita a un mix di un viola brillante. Più cercavo di dimenticarlo e andare avanti, più lui rimetteva piede con maggiore insistenza non solo tramite i miei dipinti ma anche nei miei sogni.
Stavo ritornando nel mio tornado di pazzia, quando un giorno mi arrivò una commissione veramente interessante, una famiglia facoltosa voleva che stessi un periodo da loro per poter fare un ritratto.
La mia natura da demone uscì fuori e non riuscii più a contrastarla, non avevo nessuna regola a maggior ragione nessuna proibizione.
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