Capitolo Tredici

Yag

La cerimonia continuò. I giovani furono incoronati e si diede il via a un sontuoso banchetto, in una stanza adibita per tutti gli immortali presenti. Anche se noi esseri di lunga longevità, non abbiamo necessariamente bisogno di cibarci così tanto, era obbligatorio abbuffarsi durante le grandi feste. In particolare modo in questo genere di ricorrenze.

Gli immortali prendevano da mangiare sulla lunga tavolata, la quale si potevano trovare molte leccornie: dal selvatico, alla verdura, al dolce e per finire enormi ciotole di vetro stracolme di frutta. Gli adulti di tutta la società si stavano servendo, alcuni si sedevano sulle sedie poste vicino a delle piccole tavolate, altri su dei lettini, altri ancora stavano in piedi a conversare.

Io rimasi in piedi appoggiato a una colonna, intanto che sorseggiavo del buon vino rosso. Il mio stomaco era completamente chiuso, se avessi mangiato qualcosa avrei sicuramente vomitato. Fissai in un unico punto dove Arasio, insieme a Tab e Robinia scherzavano allegramente con Aletta e altri angeli.
L'immortale mi aveva completamente dimenticato. Adesso capii veramente cosa aveva provato lui anni orsono quando lo allontanai.

Qualcuno mi toccò ripetutamente la spalla, mi girai lentamente e vidi Veria sorridermi. Non aveva proprio capito che ero di pessimo umore, pensavo fosse più intelligente.
«Che vuoi?» dissi sgarbatamente.
Lei corruggò la fronte «Ma che modi sono? Volevo solo chiederti un favore» gonfiò le guance che divennero rosse e tonde dalla rabbia.

«Quale sarebbe questa tua richiesta?» domandai annoiato, sperando che sparisse dalla mia vista il più velocemente possibile.
«Mi devi accompagnare in bagno.»
«Non ci puoi andare da sola?» risposi seccato fissandola dritta negli occhi.
«No, non vado d'accordo con i demoni con fattezze femminili e a me scappa, non ci posso andare da sola, ho paura» campò per aria scuse assurde.
Sospirai rumorosamente e mi staccai dalla colonna «Andiamo.»

Girammo intorno alla stanza e uscimmo dall'enorme portone. Percorremmo i corridoi adibiti al pubblico, fino ad arrivare nella zona in cui c'erano i servizi igienici più vicini, ma Veria non si fermò anzi avanzò nella parte opposta.
«Guarda che il bagno è di là. Senso dell'orientamento proprio zero» affermai.

Lei si girò senza smettere di camminare.
«Lo so benissimo ma c'è troppa gente, rechiamoci in quello che sta a due corridoi più avanti» disse sicura di sé, con un ghigno da pervertita che faceva paura.
Non è che voleva saltarmi addosso da un momento all'altro? questo dubbio mi recava una certa irrequietezza.

Pochi minuti dopo arrivammo alla toilette più lontana.
«Su adesso che ti ho portato, entra e fai la tua cosa solida o liquida, non m'interessa» dissi sarcasticamente.

Lei si guardò intorno prima a destra, poi a sinistra e mi trascinò nel bagno chiudendo la porta.
«Ma che modi sono sei impazzita?» dissi innervosito.
Lei in tutta risposta si mise l'indice davanti alla bocca «Shhh non urlare, tra poco saranno qui, non vorrai far saltare il piano?»
La guardai confuso «Che piano?»

Lei roteò gli occhi «Yag pensavo fossi molto più intelligente. Ti ho portato qui, perché tu potessi parlare con Arasio. Io e Robinia abbiamo architettato tutto. Tu nasconditi e quando Arasio arriva vi chiuderemo dentro. Robinia mi ha detto che è diventato cupo e silenzioso, era quasi in lacrime quando me l'ha raccontato.»

Sorrisi e chinai la testa «Grazie Veria, ti devo molto.»
«Ah non è niente di che, mi comprerai una tunica nuova per sdebitarti.»
Veria tirò fuori due serpenti molto lunghi, fece schioccare le dita e i due animali striscianti si tesero davanti alla finestra, rigidi come se fossero delle inferiate.

«Così saremo sicuri che non cercherà di scappare» il demone annuì per il buon lavoro.
Riaprii la porta e mi guardò un ultima volta «Adesso nasconditi e mi raccomando tifo per te Yag.»

Le feci l'occhiolino e mi imboscai in uno dei scompartimenti dove si trovavano i water (tra l'altro a quei tempi era solo un buco e basta). I servizi igienici del tempio erano lunghi e stretti fatti per lo più di legno e pietra, per lavarsi le mani c'era una pompa, dove facendo pressione usciva l'acqua del fiume.

Aspettai fin tanto che non sentii due voci chiaccherare animatamente, una femminile e una maschile.
«Vai a controllare Arasio, ho paura» il tono di Robinia era tremante e indeciso.
«Di cosa devi avere tutto questo timore Robina? chi vuoi che ci sia? Controllo e vedi che non c'è niente da temere» sospirò Arasio.

Sentii i suoi passi per entrare nel bagno e poco dopo la porta si chiuse in maniera violenta.
Arasio bussò e urlò inveendo contro la sua amica «Che fai Robinia? Non è uno scherzo divertente!»

A quel punto uscii da dove mi ero nascosto e mi avvicinai ad Arasio. Quando l'angelo sentì la mia presenza, si girò lentamente guardandomi negli occhi.

«È stata tua l'idea, ci scommetto» affermò con tono accusatorio.
Scrollai il capo con dissenso «No, è partito tutto da Robinia e Veria.»
«Però tu non hai fatto niente per fermarle» dibatté arcuando le bionde sopracciglia.

Lo fissai intensamente negli occhi e scossi lievemente la testa «Perché tu scappavi da me»
Arasio si appiattì come se fosse un animale in gabbia, le piume delle sue ali bianche erano elettriche.
«Ti sbagli, io non ho mai cercato di evitarti» l'angelo rispose con fermezza ma i suoi occhi blu lo tradirono.

Osservandolo più da vicino, notai delle borse sotto gli occhi dell'amico, fisicamente era dimagrito rendendo anche la faccia più scavata.
«Sei un angelo bugiardo. Io lo so perché mi stai evitando.»
Lui sogghignò «Esilarante e perché mai secondo la tua accusa infondata, io ti starei ignorando?»
Il mio sguardo si assottigliò e le mie pupille divennero ancora più a fessura, era ora di dirglielo.
«Perché io ti piaccio... ma non come amico, come amante, come compagno» affermai in un soffio, finalmente l'avevo detto.

Lui scoppiò in una risata nervosa e si toccò i capelli «Io, innamorato di te? ma per favore. Siamo due maschi e per giunta, tu un demone e io un angelo» commentò con voce tremante.

Mi avvicinai lentamente e lui in tutta risposta si schiacciò ancora di più alla parete, misi la mia mano di fianco al suo viso. Il mio braccio era teso e rigido in modo tale da metterlo al muro. Mi avvicinai ad Arasio, il suo viso era a un palmo dal mio naso.

«Ci stiamo comportando come quando eravamo dei bambini, le stesse identiche scelte che abbiamo attuato quando ci siamo baciati. E sai perché? Già a quel tempo c'era qualcosa tra di noi. Possiamo mentire alla nostra mente, ma il nostro cuore ha già scelto da tempo.»
Lui scosse la testa e la sua voce ancora più insicura «Fandonie.»
Misi la mia fronte contro la sua «Nessuna fandonia, solo la più pura e rara delle verità.»
Gli occhi di Arasio diventarono più lucidi e distolse il suo sguardo dal mio «La società non l'accetterà mai, siamo due maschi» ripeté come una cantilena.

«Se ci accettano i nostri creatori, perché dovrebbe interessarci cosa ne pensa la società immortale. Lo so che hai chiesto udienza con la Dea Angelica riguardante i miei sentimenti, anch'io ho fatto altrettanto con Lucifero» dissi.

Arasio spalancò gli occhi nell'apprendere la notizia e poi rivolse lo sguardo altrove «Non posso Yag.»
Dovevo far di tutto pur di convincerlo del contrario, misi due dita sotto il suo mento, lo spostai delicatamente per farmi di nuovo guardare.
«Arasio non ci hai neanche provato e mi dici che non puoi, piantala di rinnegare i tuoi sentimenti.»
Ormai era diventato un monologo, ci furono attimi imbarazzanti di silenzio, dovevo provare un gesto disperato.
«Arasio, sentendo quello che ha detto Dea Angelica prima... tu cosa pensi dell'amore?» la sua attenzione si dirizionò al mio viso, più serio che mai.

«Amore... l'amore non si può toccare né ricercare, è qualcosa che nasce da dentro. Ti scombussola, ti fa rimanere sveglio la notte, qualcosa che ti fa battere il cuore più che mai. Ti addormenti pensando al suo viso e ti svegli pensando a lui. Ma l'amore...» lo interruppi, estasiato per ciò che inconsapevolmente provava per me.

«Ti fa soffrire è qualcosa di illecito, ciò che siamo noi Arasio. Io ti amo» dissi e lo baciai con passione, con tutto me stesso.

Lui ricambiò il mio bacio, stringendomi a sé, le nostre lingue si cercavano come le nostre anime. Ma quel contatto durò poco, Arasio mi spinse via e si allontanò dalla porta.
Ero ancora scosso dal nostro contatto, ero famelico e bisognoso ne volevo ancora, lo desideravo disperatamente.
«Non possiamo Yag, non capisci loro non ci accetteranno mai» urlò, sembrava che soffrisse.

Mi avvicinai a lui per confortarlo, in tutta risposta lui si appiattì alla parete opposta.
Presi il suo polso per attirarlo verso di me, ma lui si strattonò nella direzione contraria.
«Lasciami! Lasciami stare ti ho detto» disse pieno di frustrazione.
«Non posso farlo, Io ti...» non finii la frase.
Percepii nella mia presa qualcosa di liquido e caldo.

Abbasai lo sguardo, vidi che vicino al bracciale dorato di Arasio stava sanguinando. Lo stavo trattenendo, ma mi sembrava strano che potessi fargli una ferita del genere.
Tolsi il braccialetto, Arasio si dimenò scandendo lentamente ogni singola lettera «Mollami subito.»

Vidi delle bende, le sfilai immediatamente contro la sua volontà. Appena levai l'ultimo lembo di tessuto il mio respiro si mozzò.
Tutto il polso era pieno di tagli e dalla ferita più fresca stava sgorgando molto sangue.

Le lesioni erano recenti e tutte molto profonde, avrebbero ucciso sicuramente un qualsiasi essere umano. Sfilai il braccialetto e la fasciatura dall'altra parte, anche l'altro polso non era in buone condizioni.

Guardai Arasio, l'angelo stava piangendo copiosamente in preda alla vergogna.
«Arasio, questi sono i primi sintomi di pazzia in un immortale» lo fissai sconvolto.
«Aiutami Yag» parlò Arasio pieno di preoccupazione.

Avvicinai la sua mano sinistra sul mio volto, roteai leggermente il capo in direzione delle sue ferite presenti sul polso, sfiorandole appena con le labbra, per paura che gli facessero male. Allungai le mie braccia, appoggiando le mani sull'estremità del suo candido volto, in questo momento avevano assunto una colore rossastro a causa del suo crollo.

Flettei il mio corpo nella sua direzione, appoggiando la mia fronte alla sua. Fissandolo senza alcun pregiudizio nel mio sguardo, in maniera tale che potesse sentirsi al sicuro tra le mie braccia.
«Sarò io la tua medicina» affermai sottovoce con convinzione, tentando di non far scappare nessuna lacrima a causa del suo corpo ferito.

Cadde la maschera che avevo visto poche ore prima dell'angelo solare e allegro.

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