Capitolo Quattordici

Yag

La ferita non smetteva di sanguinare, mi inumidii le labbra e ci passai sopra con la lingua. Ci mise qualche minuto ma finalmente la lesione si chiuse rapidamente.

La saliva era una delle cure più potenti della nostra società. Veniva utilizzata solo tra le coppie con profondi sentimenti, anche se non avevo ben capito che cosa eravamo io e Arasio in questo momento, decisi di fare uno strappo alla regola. La situazione non era delle più floree per poter far prevalere la giustizia morale.

L'angelo si ritirò con un violento rossore sulle sue gote «Ma che fai? È una cosa molto personale.»
Ripresi il suo braccio, lo fissai negli occhi e inarcai le sopracciglia «Perché noi non siamo intimi? Inoltre le ferite sono troppo serie per attuare solo una medicazione umana.»
«Intimi?» balbettò Arasio, diventando paonazzo dalla vergogna.
Quando faceva così era proprio adorabile.

«Allora posso andare avanti, oppure dovrò chiedere alla Dea Angelica per poter avere il permesso di curarti?»
Lui in tutta risposta mi tese anche l'altro braccio e guardò tutto fuorché il mio viso «Fa come ti pare.»

Ritornai per ogni evenienza a dare ancora due passate con la lingua al precedente arto ferito, per poi indirizzarmi all'altro polso. All'angelo venne la pelle d'oca e i suoi muscoli divennero più rigidi. Era così buffo. L'avrei stuzzicato più spesso se si fosse comportato sempre così.

Toccai con i pollici la zona dell'avambraccio, come per incanto non c'era quasi più niente, pensavo fossero solo voci quelle che raccontavano in giro su questa pratica. Baciai prima il polso destro e poi quello sinistro.
Arasio mi abbracciò e mise una mano intorno al mio collo e la testa contro al mio petto.

«Grazie Yag» disse con voce flebile.
«Non fare mai più una cosa del genere» l'ammonii.

Solo adesso mi resi conto della grande preoccupazione che mi angosciava nel vedere quelle dannate lesioni.
Sperando che non abbia fatto altre cavolate come quella di tagliarsi.
«Qualsiasi cosa succeda, non farlo mai più. Quella è una causa del tuo rifiuto dei tuoi sentimenti. Non voglio vederti impazzire» il mio tono suonava più un grido di disperazione.

Lui si spostò dal mio petto e mi fissò, ancora con occhi gonfi e rossi «Ti Amo Yag, ma non sono pronto a oppormi contro gli ideali della società.»
Quelle parole bastarono per farmi quasi fermare il mio cuore da demone.
Ero felice per la prima volta nella mia vita.
«Possiamo aspettare nell'affrontare la società. Ora voglio soltanto te Arasio, anch'io ti amo» sembravo disperato ma ero sfinito di tutti questi rifiuti, avrei fatto di tutto pur di tenerlo al mio fianco come compagno.

Lui scosse la testa, sorrise e mi diede un casto bacio.

«Il mio zuccherino» dissi allegerendo la situazione, toccandogli i biondi capelli e intrappolando uno dei suoi ricci tra mio indice e il medio.
«Piantala di prendermi in giro» mi scoccò un'occhiataccia.
Lo presi per mano e ci dirigemmo verso la porta, lo guardai serioso «Resta sempre al mio fianco, non allontanarti mai più da me» affermai.
Lui mi fissò dritto negli occhi «Mai più.»

Aprii la porta e sciolsi il nostro intreccio di mani, Robina e Veria caddero sul pavimento.
«Questo e quello che succede quando si origlia una conversazione» dissi malignamente.

Le scavalcai e Arasio fece lo stesso scoppiando a ridere.
Mi fermai a metà corridoio e lui fece altrettanto, gli diedi un bacio veloce e tornammo nella sala in cui si teneva il banchetto.
Fu una nostra svista, ingenuamente pensavamo di essere soli, se fossi stato più prudente certi eventi non sarebbero mai accaduti.

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Qualche settimana dopo, in seguito dal ritorno del mio lavoro. Mi diedi una lavata e mi diressi nel villaggio principale.
Mi orientai verso le ultime case a schiera che erano state appena costruite.
Erano le sei del pomeriggio e il sole era ancora cocente.
La strada a causa della siccità era completamente polverosa e la mia tunica nera appena cambiata si stava tutta sporcando.

Arrivai davanti a una delle piccole casette, la terza a sinistra per essere più precisi.
Saltai la staccionata di legno, percorsi la stradina di terra battuta che tagliava in due il giardino. Superai i tre gradini posti davanti all'entrata, mi diedi ancora una sistemata ai capelli per sembrare perfetto e bussai.

Ormai Arasio doveva già essere tornato.
Venne ad aprirmi un angelo dai lunghi capelli biondi e occhi azzurri.
Rimasi un attimo confuso, ero sicuro di non aver bussato alla porta sbagliata, poco dopo sopraggiunse Arasio.

«Entra pure Yag, ero impegnato a preparare la tisana» disse sorridendo come un buon padrone di casa.

Scavalcai l'uscio della dimora e mi diressi in salotto. L'abilitazione era ancora molto spoglia, l'angelo si era appena trasferito da qualche giorno.
Io, Veria, Robina e persino Tab l'aiutammo a portare i suoi oggetti personali dal dormitorio fino alla sua nuova dimora.

Quel dì riuscii a stento a mantenere la calma, sfiorando nella mia mente l'idea di saltare addosso a Tab e prenderlo a pugni fino a fargli sanguinare la faccia. Il mini dotato cercava in tutti i modi di farmi sclerare.

L'abitazione di Arasio era di discrete dimensioni, lo spazio era abbastanza per due persone. Suddivisa in due piani. In quello inferiore era presente: la cucina, il salotto e il bagno. Prendendo le scale dirette al piano superiore, si trovava solamente un corridoio che portava alla camera da letto.

Arrivati nel salotto, Arasio e l'altro angelo si sedettero vicino su un piccolo divano proprio davanti a me. Notai dopo la mia breve assenza che la stanza venne addobbata da qualche pianta posta vicino alla finestra.

Il mio compagno da buon padrone di casa, versò a ognuno di noi una tisana dal sapore fin troppo dolciastro per i miei gusti.
«Ti presento Luna, la mia vicina» disse Arasio con tono amichevole.
«Piacere di conoscerti Yag. Arasio mi ha parlato molto di te.»
Strinsi la mano all'angelo «Il piacere è mio. Beh mi sembra ovvio che Arasio parli solo di me, sono unico.»

«Yag...» sentì Arasio ammonirmi a bassa voce con le gote rosse.
«Megalomane e sfrontato, proprio questo mi aveva detto» affermò Luna ridendo.
«Anche il mio compagno si comporta allo stesso modo» continuò la femmina immortale.
«Ho anche dei difetti angelo» mi esaltai ancora di più.
Arasio si mise le mani davanti dalla vergogna, invece Luna continuò a ridere.
«Il tuo compagno è un demone?» chiesi incuriosito mettendo le mani sotto al mento, la biondina aveva tutta la mia attenzione.

Luna bevve prima un sorso di tisana e poi parlò «Sì, si chiama Digris.»
«E come fate ad andare d'accordo?» domandai.
Arasio mi scoccò un'occhiata dubbiosa.
«Se la nostra Dea riesce a convivere con quello scorbutico di Lucifero. Perché io non dovrei andare d'accordo con Digris che in confronto è un agnellino.»

Scoppiammo tutti a ridere.
«Sono veramente innamorata di Digris. A differenza di adesso, anche se non abbiamo tanti anni di differenza dalla vostra creazione, prima c'era un razzismo puro tra noi immortali. Quando ci siamo messi insieme, anche solo andare in giro per strada sia gli angeli che i demoni ci guardavano in malo modo. Con fatica io e Digris eravamo andati avanti nella nostra relazione, certe volte pensavamo di mollare ma ce l'abbiamo fatta» disse Luna con gli occhi lucidi.

Rimasi colpito dalla sua storia e dal suo coraggio per come ha affrontato il tutto. Continuammo a parlare per un'ora abbondante, scoprii che lei come Digris lavoravano al tempio. La sua mansione e quella del compagno era: la pulizia degli spazi esterni e interni della dimora dei nostri due creatori.

L'angelo era sotto le dipendenze di Aletta. Al primo immortale (e compagna di Teli), era stata assegnata l'accoglienza degli ospiti e la gestione degli impegni della Dea angelica.

Quando Luna decise di ritornare a casa per ricevere il suo compagno, io e Arasio eravamo rimasti soli.
Chi l'avrebbe mai detto che un grande amore così, si sarebbe trasformato nel suo peggior incubo per Luna e proprio io secoli lontani, l'avrei presa di mia spontanea volontà sotto la mia ala. Rimediando per tutto il casino che avevo fatto.

Arasio si alzò e andò in cucina per lavare con l'acqua del fiume le stoviglie sporche.
Lo seguii e l'abbracciai da dietro, l'angelo si girò e mi diede un bacio leggero sulla guancia.

«Com'è andato il lavoro?» chiese il mio compagno con tono gentile.
Sbuffai «Gerarldo oggi mi ha fatto diventar pazzo. Non piaceva come avevo disposto le pietruzze del mosaico. Trovava ogni difetto per farmi rifare qualche parte.»

Arasio mi aveva trovato un lavoro da Gerarldo, un angelo che si occupava di abbellire le case sia di immortali che di esseri umani. Era così rinomato tra tutta la società, da farsi pagare una decorazione fior fior di quattrini. Infatti il mio stipendio non era affatto male, ma sopportare quell'angelo bisognava essere forti d'animo.

Così puntiglioso e perfettino, da farmi saltare i nervi più di una volta. A differenza dei altri angeli lui era il più basso, aveva una lunga barba bionda come altrettanto lo erano i suoi capelli. I suoi occhi da rapace erano sempre guardinghi, pronto a criticarti in ogni momento.

L'angelo aveva la pessima abitudine di saltare fuori all'improvviso, mettendosi subito a urlare se per lui il mosaico non seguiva il suo disegno originale.
Non so perché c'è così tanta gente che l'idolatrava, a parer mio era solo un mediocre e un pallone gonfiato.

Non aveva solamente me come collaboratore, insieme a noi lavoravano anche due angeli alle sue dipendenze, uno con fattezze femminili e l'altro con fattezze maschili. Tutti e due mi stavano alla larga dal primo giorno.

«Non ti sarai vendicato vero?» chiese Arasio, ascoltando tutto quello che era successo oggi.
«No, come potresti pensarlo Arasio?» dissi addolorato per le sue insinuazioni.
Arasio smise con le sue faccende, si lavò le mani e se le asciugò, per poi girarsi guardandomi negli occhi.

«Secondo te ci credo?» affermò.
Alzai le spalle «Ho solo messo degli insetti morti nel suo pranzo.»
L'abbracciai annusando il suo profumo, mi mancava così tanto era da stamattina che volevo vederlo, forse è per questo che Gerarldo oggi continuava a prendermi a parole, avevo tutta la testa occupata per pensare ai mosaici.

Lui aggrottò le sopracciglia bionde «Potevi fare di meglio Demone, magari mettere delle vespe vive nella sua tunica» scherzò.
Gli tirai la guancia destra e con le nocche gliela toccai delicatamente «Che angelo diabolico.»

«E invece Arasio com'è andato il lavoro?» domandai cambiando argomento.
Lui roteò gli occhi «Le solite cose, aggiustare sandali e basta.»
Gli diedi un bacio sulla fronte e schioccai le dita, nella mia mano comparve una rosa color pesca e la donai ad Arasio che l'accettò molto volentieri.

«Non sarai per sempre in quello sgabuzzino, un giorno ti vedrò su una sella sopra al tuo cavallo bianco come capo delle guardie reali» dissi incoraggiandolo.
Arasio sorrise all'idea «Dovrei fare le scarpe a Gioele, prima di diventare capo delle guardie.»

«Sì ma prima rafforza quei muscoletti, sono molto flosci» affermai scherzando.
Arasio non la prese molto bene e cercò di acchiapparmi per tutta la casa, ingiuriandomi con frasi poco carine.
Aveva le gote rosse, i capelli spettinati e uno sguardo di odio, più che incutere paura sembrava un cucciolo arruffato.

Dopo un'ora di scongiuri sul fatto che scherzassi, ci mettemmo a seduti a cenare con la rosa in mezzo al tavolo.
Arasio aveva preparato delle buonissime bistecche accompagnate con del vino rosso.
Giunta sera mi trovai davanti alla porta di casa del mio compagno, ero avvinghiato a lui e non volevo staccarmi.

«Smettila Yag di fare il bambino, vai nel tuo dormitorio» disse l'angelo autorevole.
«Ma io voglio rimanere qua a dormire, non ci vediamo così tanto. Almeno la notte fammi restare» piagnucolai.
Arasio sbuffò rumorosamente «No, i vicini potrebbero supporre che abbiamo una relazione. Non voglio che lo venga a sapere tutta lo società. Già la vicina dell'ultima casa continua a farmi delle domande ambigue e mi guarda sempre dalla finestra.»

Mi staccai amaramente da Arasio e gli diedi un dolce bacio pieno di passione, poi aprii l'uscio di casa.
«Per stanotte mi accontenterò di questo bacio» chiusi la porta tristemente.
Misi di nuovo una rosa color pesca vicino all'entrata, domani non potevo dargli il buongiorno ci avrebbe pensato quel fiore al suo risveglio.

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