Capitolo Quarantatré

Yag

Ci mettemmo una decina di minuti ad arrivare al piccolo convento. La struttura religiosa era distante una trentina di kilometri, situata a est di Monacre.
Le suore soggiornavano ai confini di uno sperduto paesello, contornato da moltissimi campi. Inoltre l'edificio in mattoncini era circondato da un alto muro.

Con un balzo saltammo nascondendoci nell'ombra vicino agli alberi da frutto. Eravamo dietro al convento in una piccola striscia di terra a disposizione della struttura, lì presente era collocato un modesto orto, le collinette di terra erano state seminate. In fondo vicino al muro era situata una serra improvvisata e poco più vicino a esso si ergeva un pollaio. Era stato creato con i piedi e con poca professionalità, utilizzando in maniera sbrigativa qualche asso di legno marcio, le reti per tenere il pollame nel recito erano usurate in diversi punti, sicuramente non una fortezza così invalicabile per le volpi che circolavano in zona.

«Su va a prendere l'altra umana noi ti aspettiamo qui a monitorare la situazione, si trova al piano terra nell'ala est. Non farti scoprire per carità di Lucifero» spiegò Sirmori.
«La sua camera è molto vicino alla piccola chiesetta che è al suo interno» precisò Veria emettendo un piccolo risolino.

Mi voltai sgranando gli occhi «È per questo che non entrate? Bei amici che siete, sapete benissimo che per noi demoni trovarci in un luogo sacro ci suscita nervosismo.»
Sirmori estrasse gli occhiali dalla tasca per evitare che li perdesse durante il volo, si mise a pulirli nel suo maglioncino nero infeltrito come se cercasse di ignorarmi. Anche Veria fece finta di niente, trovando più interessante fissare le stelle che brillavano nel cielo ancora scuro.

«Mi potreste almeno coprire a debita distanza tenendole addormentate? Se una delle suore mi dovesse scoprire, sarò  costretto a ucciderla prima che possa dare l'allarme» spiegai.
«È un rischio che correremo» affermò Veria continuando a far finta di niente.
«Già, sono d'accordo con Veria. Voglio ricordarti che nessun demone ha un amico, ognuno pensa per sé e adesso muoviti visto che il casino l'hai fatto tu» disse Simori continuando a pulire gli occhiali.

Mi voltai velocemente incamminandomi verso il convento, sbuffando come un bambino.
Entrai aprendo con i miei poteri una delle porte esterne, situate posteriormente alla struttura, collocate all'interno di un vasto porticato affacciato all'orto dove si ergevano lunghe arcate.

Appena mi insinuai nel convento percorsi il corridoio orientandomi sulla sinistra, speravo di aver imboccato la via giusta, mimettizzandomi con l'oscurità l'unica fidata compare con cui avevo vissuto per parecchio tempo.
Evitai con discrezione i raggi della pallida luna che si riflettevano attraverso l'inggiallito vetro delle finestre.

Non incontrai nessuno grazie agli inferi, ero sicuro di non aver sbagliato strada, perché più mi avvicinavo alla fine del corridoio maggiormente i miei muscoli diventavano contratti. 
Quando giunsi alla fine del mio itinerario, tentai di stare a debita distanza al grande portone della chiesetta. L'odore intenso dell'incenso arieggiava in questo punto, dandomi il voltastomaco. Mi concentrai sulle ultime porte prima della cappella, mi avvicinai fermandomi davanti alla penultima stanza, la camera era situata sulla sinistra prima di quel luogo maledetto, dove le stupide umane si mettevano a pregare la Dea Angelica.

Aprii la porta lentamente e la richiusi.
Sì, avevo fatto centro! Le pareti avevano il profumo di Melissa ma di lei non c'era nessuna traccia. Dove cavolo si era cacciata?
Non feci in tempo a riflettere che dei passi echeggiarono lungo il corridoio. Mi nascosi in un angolo di fianco a una libreria, più che altro erano quattro assi fissi al muro dove erano posizionati diversi libri religiosi molto impolverati. Ero lontano della minuscola finestra dove filtrava una leggera luce lunare.

La porta si aprì lentamente con uno stridio fastidioso, chiudendosi in altrettanto modo.
Una ragazza bionda in camicia da notte teneva in mano un semplice candelabro.
La candela inserita era quasi del tutto consumata e sprigionava una luce fioca, la quale le permetteva di vedere solo il minimo indispensabile per non farla sbattere da qualche parte.

Il pancione era ben visibile in netto contrasto con la sua esile figura, la tunica per quanto fosse larga non riusciva a tenerlo nascosto.
La giovane mise il candelabro sul comodino, si posizionò al bordo del letto tese la la testa intenzionata a spegnere la fiamma. Ma prima che potesse soffiare fece scattare il capo analizzando con precisione tutta la stanza.
La mortale balzò dal letto appiattendosi sulla porta tentando di aprire la maniglia.

«Chi c'è qua dentro?»
«Fatti vedere.»
«Che cosa vuoi da me?» affermò a raffica alzando sempre di più la voce.

Se andava avanti così le altre umane presenti nel convento si sarebbero svegliate. La ragazzina trovò finalmente la maniglia riuscendo ad aprire l'ingresso della stanza, con uno scatto balzai  in avanti chiudendo la porta con la mano sinistra e tappandogli la bocca con la mano libera.
«Shhhh sono Yag» dissi mettendo l'indice sopra la mia bocca.
La ragazza mi guardò negli occhi emettendo un verso di dissenso tentando di districare la mia presa sul suo chiaro viso.

Con i polpastrelli feci una leggera pressione senza farle troppo male, in modo tale da poter prendere in mano la situazione.
«Se ti calmi un attimo e mi fai parlare lascio andare la presa, hai capito?» domandai guardandola seria.
La giovane smise di muoversi e annuì lievemente.
«Bene, così va meglio» affermai
Lasciai lentamente la presa, non so cosa le prese alla giovane ma con un gesto repentino mi morse il palmo della mano.
«Ma che fai?» non feci in tempo a finire la frase che mi arrivò un calcio alle parti basse.
Caddi in ginocchio dolorante tenendomi con la mano sana i gioielli.
«Mio dio quanto fai schifo» affermò Melissa sputando il mio sangue per terra.

Tentò di aprire nuovamente la porta, ma con la mano ferita utilizzai i miei poteri per chiuderla.
«Per colpa della gravidanza ti sei bevuta il cervello per caso?» commentai a denti stretti.
Melissa vedendo di non aver alcuna via di scampo si avvicinò puntandomi il dito sul mio petto, intanto io riuscii a rialzarmi con molta fatica e con le gambe tremolanti.
«Tu! È colpa tua se sono in tutto questo casino» disse con sdegno.

La luce della luna baciò il suo viso rendendo la sua espressione ancora più severa, la stessa che aveva il ritratto che era appeso alle sue spalle.
Un giovane angelo dai capelli mossi che mi fissava con talmente tanto sdegno da farmi sentire ancora più in colpa.
Ero veramente stato io a creare quel quadro?
Smisi immediatamente di pensare a quel dipinto e indirizzai la mia attenzione sulla giovane.

«Se mi avessi fatto parlare, avresti scoperto immediatamente che ero venuto per salvarti» spiegai.
La ragazzina scoppiò a ridere completamente incredula, facendo un gesto con l'indice che indicava la sua figura e la mia.
«Tu sei venuto a salvarmi? Ma per favore. Puoi anche andartene» disse Melissa scuotendo la mano indicando l'uscita.

«Ascoltami attentamente ragazzina, tra qualche ora tuo padre verrà a conoscenza che Italo è fuggito e vi cercherà in tutta la zona pur di trovarvi. Sarà enormemente alterato dall'ira e se verrà a conoscenza dove vieni tenuta al sicuro, non ci penserà due volte a metterti le mani addosso rischiando di perdere quella povera creatura» spiegai cercando di convincerla.

Melissa sbiancò appoggiandosi la mano sul ventre, tentò di rimanere composta ma quei piccoli gesti la tradirono.
«Italo è solo un vigliacco, scappare di casa lasciando nostra madre in balia di quel mostro. Io non l'avrei mai fatto» affermò la giovane.
«Spiegami come? doveva farsi ammazzare di botte? Inoltre come avresti fatto per risolvere quel clima di terrore?» ringhiai innervosito.
Melissa non sembrò turbata dal mio cedimento di nervi.

«Come faccio a saperlo? mi hanno costretta a partire e io non sono nella testa di Italo, ma non mi sarei mai comportata da vigliacca. Comunque io non mi muovo da questo convento, figurati se seguo voi due falliti» commentò la ragazzina incrociando le braccia al petto.
«Se rimani qua non è che la situazione migliorerà, sono sicuro che appena partorirai ti porteranno via il bambino dicendoti che è morto, se gli andrà bene verrà adottato da qualcuno altrimenti verrà scaricato in orfanotrofio. Successivamente ti faranno il lavaggio del cervello facendoti diventare suora. Ti ci vedo proprio casta tutta la vita, come ti farai chiamare? Suor Melissa la finta verginella?» commentai brusco.

La ragazzina mi guardò in modo truce «Non oserebbero mai farlo, io sono una ragazza di buona famiglia.»
«Oh sì che oserebbero, in questo luogo non sei Melissa Martini ma solo una povera ragazza inquinata da un bambino avuto fuori dal matrimonio. Pensaci un attimo, se fosse tutto un piano di tua madre? Aveva ambiziosi progetti sul tuo conto, farebbe sparire il marmocchio e tu saresti bella che pronta a sposarti qualche rivoltante vecchio ricco. Immagino che se tu dovessi rifiutarti, la vita da suora è sempre lì che ti aspetta» spiegai sorridendogli in faccia.

Melissa spalancò i suoi occhioni azzurri e lacrime salate le rigarono il pallido viso, finalmente riuscii a scalfire il grosso muro che avevo davanti.
«È tutta colpa tua e del tuo bambino» disse Melissa con un'espressione schifata.
Rimasi un attimo interdetto dalla sua confessione «Ne sei veramente sicura che sia mio?»
«Ovvio di chi vuoi che sia, di Italo per caso? Ma per favore se a malapena riusciva ad arrivare al piacere» commentò la giovane asciugandosi le lacrime con un sorrisetto divertito.

«Non dire certe volgarità riguardanti tuo fratello»
«È solo una piattola ma adesso basta parlare di lui. Tu cosa farai appena ci saremmo allontanati da Monacre?» chiese l'umana.
«Mi prenderò cura del bambino alla sua nascita» dissi tentando di essere il più convincente possibile, la biondina mi sorrise dolcemente.
«Ma non diventerò mai tuo marito o le stronzate che pensate voi umani» finii il mio ragionamento, la giovane cambiò radicalmente espressione guardandomi furente.

Si avvicinò rapidamente dandomi uno schiaffo in faccia, non cercai neanche di evitarlo me lo meritavo.
«E tutte quelle paroline dolci che mi dicevi quando eravamo in villa? Il tuo grande amore che mi professavi» affermò con la faccia rossa e il viso solcato dalle lacrime.
«Erano bugie, sono un demone è ovvio che mentivo» confessai.
Mi arrivò un altro ceffone questo ancora meglio assestato.
«Se non te ne importa di me, figuriamoci del bambino che porto in grembo. Vattene non ti voglio mai più vedere» disse la giovane dandomi le spalle.
«C'è dell'altro oltre a quello che ti ho raccontato.»
«Vivere una vita da suora non è già degradante di per sé? cosa ci potrebbe essere di peggio?» commentò la giovane voltandosi con le braccia incrociate.

«Tu hai in grembo un Meticcio, una creatura metà umana e metà immortale la quale è severamente vietata dalla nostra legge, avere solo la malsana idea di metterli al mondo è già di per sé un reato. Se Lucifero dovesse venirlo a sapere ti ucciderebbe, per poi rinchiuderci in qualche girone infernale torturandoci per tutta la nostra esistenza, ti basta come prospettiva romantica? Dobbiamo nascondere quella creatura il più presto possibile, te ne rendi conto? Ha ucciso la sua compagna che voi umani vi siete fissati di chiamare Dio, figurati se avrà degli scrupoli per noi due» spiegai sperando che possa cogliere le poche nozioni del nostro mondo.

La ragazza rimase spiazzata indietreggiando per poi sedersi in un tonfo sul letto, rimase per qualche minuto in silenzio annuendo al nulla.
«È in grado di fare le stesse cose che sei riuscito a fare quella notte prima di sparire?» chiese la piccola asciugandosi le lacrime che aveva agli occhi.
«Può fare delle cose peggiori, neanch'io sono consapevole dei limiti della sua cattiveria. In confronto la storia del quadro può essere passata come un innocuo dispetto.»
Melissa annuì tremando «In che guaio mi hai cacciato Yag?»
Scossi la testa fissandola negli occhi «Non lo so neanch'io Melissa, ma ti prometto che non ti accadrà mai niente» affermai solenne.
«È il minimo che devi fare» commentò la giovane alzandosi.

«Su dammi una mano a radunare quei quattro stracci e ce ne andiamo» parlò la giovane ancora scombussolata.
L'aiutai a raccogliere i suoi oggetti personali in una minuscola valigia, per ultimo tolsi il quadro dalla parete.
Continuai a fissare il viso dell'angelo disegnato, finché non lo adagiai nella valigia e la chiusi.

Uscimmo dal retro del convento dove gli altri ci stavano aspettando, Italo corse immediatamente incontro a sua sorella ma lei tutta risposta lo scansò andando per la sua strada.

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