Capitolo Quarantasette

Yag

«Signor Moretti vorrebbero chiudere la cassa» affermò la vecchia donna rimanendo cautamente vicino all'uscita della porta.
«Un attimo ancora Teresa, desidero fissarlo solo qualche altro minuto» dissi toccando la superficie liscia e scura della bara.

La donna se ne andò chinando la testa.
Al suo interno era presente un giovane senza vita dai capelli castano chiaro e dalla pelle color latte. Il suo volto era gonfio e la sua espressione era veramente piena di tristezza anche da morto, in netto contrasto allo spensierato ragazzo che passava tutto il giorno nelle scuderie a spazzolare le criniere dei suoi fedeli equini.

Nessuno era venuto a trovare la salma, né i suoi vecchi colleghi né Veria e Sirmori. Dopo avergli dato la triste notizia, mi rimproverarono di non aver tagliato i ponti con questi miseri umani diversi anni fa.
Ricalcando il fatto di un effettivo danno recatogli da parte mia già durante la loro fanciullezza, mi dissero che era una tragedia annunciata sin dall'inizio, causata dalla mia vicinanza.

Il dottore ribadì questi concetti in una lunghissima lettera piena di rimproveri, stilandomi una lista di punti sul fatto che gli umani e i demoni sono delle specie completamente diverse.
"Allettanti pecorelle in mezzo a degli affamati branchi di lupi" li chiamava proprio così, più e più volte nel suo messaggio.

Sospirai in maniera malinconica buttando nel cestino la lettera di Sirmori, il pezzo di carta si adagiò proprio accanto a quell'altra dell'amante di Melissa ridotta oramai in minuscoli pezzi.

Non si meritava questo Italo, il dottore si sbagliava completamente e di certo avrei protetto la sua vita anche dall'imminente prima grande guerra che questo paese e il mondo intero ne sarebbero uscito diversi anni dopo, in una moltitudine di sangue versato. Vinti o vincitori a parer mio faceva poca differenza, rivoltanti creature rimangono.

L'aria autunnale che entrava dalla finestra mi pizzicava il volto con colpi decisi rinfrescando la camera da letto del giovane, il quale emanava da tempo un odore poco gradito.
Trafugai nei miei pantaloni neri tirando fuori una palla di vetro spaccata in maniera irregolare, la misi sotto le mani congiunte di Italo e me ne andai sbattendo la porta.

Quello stesso giorno si tennero i funerali di Italo. Io stesso mi misi a portare con degli altri estranei pagati la fredda bara del mortale. Presi tutta l'acqua fredda che scese quel pomeriggio.
Bruciai i miei pochi risparmi per comprargli una cassa e per acquistargli dei vestiti di seconda categoria.

In questo momento la mia delusione e la mia rabbia erano ancora palpabili, avrei tanto voluto buttarlo in qualche canale e lasciarlo lì, aspettando che qualche animale si cibasse del suo corpo.
Ero cosciente che non era la sepoltura che si meritasse, soprattutto per la misera fine a cui venne incontro.

Tornai nell'appartamento, la vecchia Teresa insistette nell'andarmi a dare una rinfrescata con la brocca nella sua camera, rimase di sasso quando accidentalmente aprendo lo sgabuzzino, si ritrovò invece un bagno con una vasca in porcellana e il locale dalla metratura più ampia.

La donna non disse niente sull'accaduto, anche se a parer mio cominciava ad avere forti dubbi che io non fossi umano.
Questo piccolo dono era una sorta di ringraziamento per tutto quello che aveva fatto. Inoltre era da un pezzo che non usavo i miei poteri e la cosa iniziava a essere frustrante.

Intanto che mi lavavo, la donna andò a riprendere il giovane Attanasio dalla vicina che l'aveva tenuto un attimo in custodia, durante tutto il periodo della veglia fino al funerale.

Appena uscii fuori dal bagno mi diressi in cucina, dove la voce del piccolo bimbo continuava a fare delle domande su Italo, l'anziana  signora tentava di tergiversare in tutti i modi ma con grande difficoltà.

«Ma il papà dov'è? è da molto che non lo vedo» chiese l'infante con voce squillante.
«Vedi Attanasio tuo padre ha deciso di prendere una lunga pausa e di andare in viaggio» affermò la donna.
«Ma io voglio vederlo, perché non è qui con noi? E dov'è anche la mamma? è da tanto che anche lei non si fa vedere» domandò ulteriormente il piccolo, facendo finta di far camminare il soldatino di legno sul tavolo.

«Anche Melissa ha deciso di fare un bel viaggio insieme a tuo padre» continuò Teresa sorridendo a stento.
«E hanno deciso di lasciarmi qui da solo?» il piccolo aggrottò le sopracciglia distogliendo l'attenzione dal giocattolo, indirizzando tutto il suo coinvolgimento sulla vecchia signora.

L'anziana aprì la bocca ma non riuscì a replicare le parole del bambino.
«Sono morti tutti e due Attanasio» affermai appoggiandomi allo stipite della cucina.

Il bimbo iniziò a piangere.
«Bugiardo» affermò asciugandosi il volto con la manica della maglietta.
«Non sono un bugiardo è la pura verità, tua madre ti ha abbandonato per poi morire di parto cercando di dare alla luce un bastardo, tuo padre invece si è ammazzato come un vigliacco» risposi al giovane immaturo.

Il cucciolo mortale si alzò dalla sedia avventandosi su di me e dandomi i pugni allo stomaco.
«Bugiardo, bugiardo, bugiardo» urlò con il volto rigato dalle lacrime.
Lo presi per il retro della maglietta e lo sollevai da terra, togliendomelo come se fosse un moscerino dispettoso.

Teresa si alzò e venne in suo soccorso.
«Signor Moretti lo lasci immediatamente» ordinò la donna dandomi il suo bastone da passeggio sugli stinchi.
La ignorai camminando in direzione della stanza dell'anziana coinquilina, intanto sentii Teresa rincorrermi con grande fatica lungo tutto l'appartamento apostrofandomi con parole dialettali poco amichevoli.
«Che ha intenzione di fare?» continuò a urlare.
Aprii la porta buttai in malo modo il bimbo su letto e la chiusi a chiave.

La donna mi guardò inviperita, la ignorai passandole di fianco per poi tornare nuovamente in cucina, aspettando diversi minuti prima che la donna mi raggiungesse.
La signora aveva il volto pieno di rughe contratto per la situazione, fissandomi silenziosamente in maniera furente.
La mortale si sedette sulla sedia, aspettò che copiassi i suoi medesimi gesti. Rimasi in piedi in mezzo alla stanza a fissarla negli occhi.

Teresa capendo che non mi sarei mai seduto, mettendomi al suo livello iniziò a parlare «Perché glielo hai detto in maniera così brusca?»
«Doveva saperlo» risposi.
«Sì, ma si poteva dirlo in una maniera più morbida.»
«No, deve maturare e non vivere in un mondo incantato pieno di fantasia e stronzate varie.»

La donna si mise la mano nei capelli cotonati, chiuse gli occhi per qualche secondo ed emise un verso di frustrazione.
«Signor Moretti riesce a capire le fesserie che sta dicendo? È lei adesso il suo tutore, per caso ha in mente di crescere quel povero piccolo in una maniera così dura e rigida? Ha in mente di sfamarlo con polenta e traumi?»

Scoppiai a ridere e la donna mi fisso ancora più indispettita.
«A mala pena tollero gli umani, figuriamoci se riesco a crescere un cucciolo d'uomo. Lo porterò da sua nonna e lo alleverà lei, almeno sono sicuro che sarà in grado di essere più adatta del sottoscritto.»
Teresa mi fissò preoccupata «Non c'è bisogno di portarlo via da Nolami, me ne posso occupare io della sua istruzione e posso educarlo alle buone maniere, anche se sono vecchia ho sempre desiderato con il mio povero marito un bambino.»

Scossi il capo con dissenso «No, Teresa è meglio che se ne vada da questo posto è troppo intrinseco di brutti ricordi.»
Presi il taccuino, il calamaio e una penna che erano presenti sul banco della cucina, dove la vedova teneva tutte le sue ricette più preziose, scrissi sulla prima pagina libera la città e la via in cui si trovava la villa dei genitori di Italo e Melissa.

Appena finii di trascrivere la mia mano sinistra si sporcò leggermente d'inchiostro, subito dopo strappai la pagina e la misi sul tavolo proprio davanti alla donna, appoggiai anche la chiave del suo appartamento.

«Mi dia solo qualche giorno per tornare a Monacre e sistemare diverse faccende, così potrà andarlo a trovare tutte le volte che vorrà, le assicuro che verrà trattata come un'ospite gradita. Può pure tornare nella sua stanza adesso, quel marmocchio si sarà già addormentato, io riposerò in salotto non si preoccupi» affermai voltandogli le spalle.

Sentii la donna prendere con le mani tremanti il foglio per poi parlare con tono malinconico «È proprio sicuro di ciò che sta facendo?»
«Sì signora Teresa, ho rovinato già due Martini non ci tengo a fare lo stesso con il terzo. Inoltre è meglio che trascorra i suoi pochi anni di vita in tranquillità» detto ciò mi allontanai dirigendomi in salotto.

Il dì seguente entrai nella camera di Teresa con in mano il giacchettino del bimbo.
«Attanasio muoviti ti ho chiamato ben tre volte, sono quasi le sei e non ti sei ancora alzato, dobbiamo andare via il prima possibile» dissi spazientito mostrando il giubbotto aperto.
Il piccolo mi non mi rispose fissandomi con odio attraverso i suoi occhi castani ancora gonfi per un lungo pianto, era tutto raggomitolato su se stesso e aveva buttato le coperte per terra.

Comparve immediatamente Teresa, la quale tentò in tutti i modi questa mattina di farmi cambiare idea sulla mia decisione, fallendo miseramente.
«Signor Moretti non vede che ha ancora addosso i vestiti di ieri? Sarebbe il caso di dargli una bella rinfrescata» puntualizzò la vecchia signora.
Sbuffai seccato «E va bene Attanasio, andiamo vai a farti fare un bagno, ti aiuterà Teresa.»

«Signor Moretti io non posso mi fa male la schiena in questi giorni e non posso piegarmi, sto diventando troppo vecchia» commentò la donna toccandosi la schiena dolorante.
Era proprio una pessima attrice.
Buttai il giubbotto sul letto e fissai il giovane «Alzati Attanasio devo lavarti.»
«No!» affermò il giovane incrociando le braccia e corruggiando la fronte.

Sospirai chiudendo gli occhi, trattenendomi dal fatto di voler radere al suolo l'intera palazzina.
Riaprii gli occhi e presi per il bordo la maglietta il bimbo, alzando il marmocchio di peso.
«Signor Moretti un po' più di delicatezza» mi riproverò la donna.
Ignorai quell'appunto, intanto il cucciolo umano continuava in maniera incessante a divincolarsi dalla mia presa. Entrai in bagno e chiusi la porta a chiave, adagiai il bambino con poco garbo per terra e aprii le manopole dell'acqua calda.
Mi girai in direzione di Attanasio.

«Su muoviti e togliti i vestiti» gli ordinai.
All'ennesimo No ci fu una battaglia per svestirlo, la quale la vinsi con molta fatica.
«Tu sei il diavolo» affermò il bimbo inviperito intanto che entrava in vasca.
«Ci sei andato vicino e adesso muoviti che non abbiamo tutto questo tempo» affermai, nel mentre mi tirai su le maniche e inumidivo i capelli biondi del piccolo.

Gli feci anche qualche massaggio alla testa per addolcirlo un po'. Che sia la prima e l'ultima volta che abbia a che fare con un bambino.
Appena pulito e lavato mi chinai per asciugare il cucciolo.
«Chiudi gli occhi Attanasio» suggerii.
Il piccolo li chiuse con una certa titubanza, soffiai il mio alito sopra i capelli arruffati i quali si asciugarono in pochissimo tempo.

Dopo quello che mi sembrava un'eternità, ci trovammo davanti la porta di casa.
«Su saluta Teresa che adesso dobbiamo partire» affermai.
I due umani si guardarono malinconici.
«Dove andiamo?» domandò il bimbo.
«Da tua nonna.»
«Ma è sua nonna materna o paterna?» chiese la donna.
Rimasi un attimo interdetto per la domanda «Di entrambi, credo, secondo la vostra idea.»
Teresa mi fissò basita per la risposta, ma continuò lo stesso con l'interrogatorio.

«E non ha altri parenti?»
«No da quello che so, suo nonno è appena morto» o almeno prossimamente ci avrebbe pensato il sottoscritto.
«Capisco» commentò la signora.
«E l'appartamento di sopra?» continuò la donna.
«L'ho già venduto. I beni di Italo e quel poco che ha lasciato Melissa, li ho già a casa mia.»
«Ma io non ho visto nessuno prendere gli oggetti dei due Martini» commentò la donna insospettita.
«Non si preoccupi l'appartamento è completamente sfitto, possiamo andare a vedere se vuole, ho chiamato dei professionisti.»

Non potevo certo raccontargli che avevo utilizzato le mie creature infernali per spostare i beni da Nolami a Monacre.
«Ci sono altre domande? Non ho tutto questo tempo» dissi sbrigativo.
«No, va bene così» commentò la donna avvicinandosi al giovane e stringendolo forte a sé.
«Mi raccomando fai il bravo, piccolo Attanasio» parlò la donna con voce rotta.

«Ti voglio bene Teresa» disse il bambino avvolgendo le braccia attorno al busto ricurvo della donna.
Si staccarono diversi minuti dopo fissandosi ancora in maniera più triste, presi la manina del bimbo e mi misi sulla spalla un vecchio borsone logoro, dove al suo interno erano presenti i pochi beni che Teresa aveva comprato per il giovane.

Aprii la porta e fissai per l'ultima volta la donna «Arrivederci e grazie» dissi chiudendo l'entrata di casa.
Subito dopo sentii dei singhiozzi strozzati della vedova.
Mi avviai sul terrazzo della palazzina, dove il giovane mi seguì senza far resistenza.

Salimmo le varie scale mano nella mano.
Diedi un'occhiata veloce alla porta del quinto piano, era posizionata in un angolo. I numeri di ferro avevano la stessa colorazione sbiadita sin dal tempo in cui la comprai.

Ripensai al momento in cui proprio in quel luogo, cinque anni fa, sbattei quella porta malridotta e rinsaldata più e più volte, dove un giovane neopapà uscì per rincuorarmi dai miei istinti omicidi che avevo nei confronti di sua sorella. La ragazza che un tempo indossava i vestiti color pastello e prendeva il tè con le amiche, era riuscita come sempre a essere odiosa.

Cinque anni fa mi aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia, lo stesso umano che aveva promesso che alla sua morte appena salito in cielo, avrebbe parlato con Arasio.
Lo speravo ardentemente che fosse insieme a lui a fissarmi dall'alto dei cieli.

Il medesimo umano che in passato era un ragazzo giovane e ingenuo e non l'alcolizzato depresso degli ultimi tempi. Scacciai l'amarezza che avevo in bocca e continuai ad andare avanti per le varie scalinate, stringendo la manina del piccolo in modo tale che anche lui non mi sarebbe sfuggito lungo il tragitto.

Finalmente arrivammo all'ultimo piano. Davanti a me si trovò una porta di ferro ci misi la mano e quest'ultima si sciolse come un ghiacciolo al sole, presi il piccolo Attanasio in braccio il quale mi guardò a bocca aperta.

Sorpassai il buco che avevo fatto nella porta e finalmente ci trovammo sulla balconata. Fissai il cielo, era molto nuvoloso e una leggera nebbia sovrastava i palazzi di questa grande città.

Potevamo partire nessuno per il momento ci avrebbe scoperti grazie alla coltre di nebbia. Bisognava muoverci prima che la foschia autunnale potesse diradarsi,  iniziando per entrambi un nuovo cammino.

La vecchia amica di questo luogo, ci avrebbe nascosto con il suo grigiore e umidità dagli occhi umani.
Scrutai il giovane bimbo che stava fissando in lontananza la porta di ferro.
Rivolsi la mia attenzione a quella testolina bionda «Attanasio ti piacerebbe volare?»
Il piccolo alzò il capo fissandomi con i suoi occhi castani «Perché si può fare?»

Annuì facendo uscire le mie ali color pece, nere e lucenti. Le cicatrici erano ancora fresche sulla mia schiena, per cui non ebbi chissà quale problema a estrarle.
Lasciarle troppo tempo all'interno del proprio corpo immortale, poteva fare un gran male al primo tentativo di apertura, dopo un lungo periodo senza il loro utilizzo.

Certe volte mi faceva strano non avere tutto questo peso addietro, proprio come un misero umano, privo dalla mia armatura di piume.

I mortali erano una specie così ignorante da averci dimenticato, se sapessero di noi, potrei andare in giro sfoggiando quel ben di Satana che il mio creatore mi ha dato.

Il piccolo mi fissò estasiato sfiorando con i polpastrelli delle mani le mie ali.
«Allora sei un grande uccello» disse il piccolo.
«Ho anche quello di grande, ma non sono un volatile ben sì un demone» risposi.

Il bimbo sembrò non aver percepito né la mia allusione sessuale né la mia confessione, troppo intento a guardarmi le ali e molto piccolo per percepire certe affermazioni.
Misi le sue mani (per quanto fosse possibile) attorno al mio collo, intanto avvolgevo il mio braccio sinistro intorno ai sui fianchi.

Presi lo zaino e lo buttai in aria, prima ancora che toccasse terra un mio insetto gigante uscii fuori da delle mattonelle e con le lunghe zampe pelose prese l'oggetto per poi andarsene.

Avvicinai la testa del piccolo all'incavo del mio collo.
«Tieniti forte Attanasio» affermai toccandogli i capelli.
Il piccolo diede solo un lieve accenno con il capo.
Subito dopo sfrecciai lungo il cielo nuvoloso di Nolami. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top