Capitolo Quarantaquattro
Yag
Partimmo in volo per Nolami, una grande città posizionata più a nord rispetto a Monacre. Arrivammo quando le prime luci dell'alba diedero qualche sfumatura a questo cielo blu. Ci intrufolammo in uno degli appartamenti sfitti presenti ai confini della città.
La puzza di muffa di quel luogo e l'intonaco che si stava sbriciolando erano meno sgradevoli dei capricci della giovane Melissa, la quale si lamentava della condizione in cui versava.
Cosa ci trovavo in quella giovane umana per andarci a letto? solo Satana poteva avere la risposta. Così io e Veria nei giorni seguenti cercammo una sistemazione gradevole per la cara Melissa.
Italo si diede da fare, buttandosi alle spalle il suo stato di ragazzo borghese e facendo varie richieste di lavoro, riuscì a farsi assumere come operaio in una piccola fabbrica.
Sirmori si prese cura della gravidanza della mortale, anche se il demone non era molto propenso nel rimanere da solo con la sua paziente.
Il dottore e Veria presero in simpatia Italo, il ragazzo era riuscito a incrinare lo spesso muro di pregiudizi che avevano gli immortali nei confronti degli umani.
Il giovane con il poco denaro che aveva da parte comprò l'occorrente per il bambino. Era il massimo che Italo riuscì a permettersi.
Dopo una settimana di incessanti ricerche, trovai un piccolo appartamentino già arredato a un prezzo moderato, dove tutti noi potevamo abitare senza che la signorina avesse da ridire su ogni cosa.
Il mese di aprile passò senza intoppi, il sole tramontava sempre più tardi e l'aria si faceva maggiormente più calda. Finché un dì durante il tardo pomeriggio, a Melissa si ruppero le acque.
«Voi rimanete fuori dalla stanza, ci pensiamo io e Sirmori a far nascere il bambino» spiegò Veria.
«Perché tu sei una massima esperta di parti vero? Non sapevo che squama fosse diventato padre, cosa ti escono uova o bambini?» domandai prendendo in giro il demone.
«No, non ho mai partorito e mai potrò, ma sono una femmina e tutte noi abbiamo l'istinto materno» affermò facendomi un gestaccio con il dito per poi sbattermi la porta in faccia.
«Ero sarcastico» commentai guardando Italo alla mia destra.
«Era abbastanza offensivo Yag» confessò il ragazzo.
Misi una mano sulla sua testa dove i suoi riccioli castani si avvinghiarono alle mie dita affusolate, lo scompigliai per bene.
«Ah Italo sei troppo buono con la gente. A Veria piace essere trattata così, te l'assicuro» feci l'occhiolino allusivo all'innocente ragazzo.
Il tempo passò e le grida si fecero più acute, intervallate da parolacce e frasi poco carine riguardanti la Dea Angelica. Il genere umano era troppo irrispettoso e blasfemo per i miei gusti, se l'avesse sentita Lucifero l'avrebbe arsa viva.
Intanto io e Italo eravamo davanti alla camera dov'era presente l'unico letto matrimoniale, entrambi i fratelli Martini dormivano fin da quando ci eravamo trasferiti, per Sirmori era importante che si abituassero a un'ipotetica vita coniugale.
Sia io che l'umano fissavamo entrambi imbambolati la lucida porta di legno. Fu proprio il sottoscritto a interrompere quel silenzio.
«Cosa farai se il bambino sarà tuo?» chiesi al giovane.
«Ho avuto un mese e mezzo per pensarci e per riflettere, sono sempre rimasto fermo sulla mia decisione. Che sia mio oppure no, mi prenderò cura del piccolo e di mia sorella» disse mettendo grande intensità a ogni parola pronunciata.
«E tu cosa farai Yag?»
Fu quella innocente domanda che mi riportò alla luce il mio vero obiettivo, se fosse stato mio figlio cioè un meticcio, avrei dovuto ucciderlo prima che Lucifero fosse in grado di scoprirlo. Nella mia esistenza ho ammazzato molti umani senza alcun tipo di rimorso, ma una mia creatura sarei mai riuscito a mettergli le mani addosso?
Recidendo la sua vita come ero stato in grado di dargliela?
Non doveva essere tanto difficile, Lucifero l'aveva fatto con una facilità disarmante durante la grande catastrofe, sarei diventato ciò che mi ha sempre disgustato del mio creatore, un mostro senza morale.
Strinsi le nocche facendole diventare ancora più bianche, la temperatura in questo corridoio si faceva sempre più soffocante e i quadri appesi ai muri assunsero forme distorte, la mia bocca era contratta fino a farmi male.
«Ti aiuterò con il bambino Italo, non ho in mente di ostacolarti con Melissa» affermai tentando di essere il più convincente possibile.
Il castano mi guardò sorridente «Ne sono felice Yag. Finalmente potrò essere sereno assieme a mia sorella. I Martini sono morti e rinati in questo medesimo giorno.»
«L'ami veramente tanto.»
«Da sempre» disse il ragazzo rosso in viso «In un certo senso è grazie quello che è successo tra noi tre che l'ho capito.»
«Sai Italo, vorrei veramente disinnamorarmi dell'amore della mia esistenza, per poter provare qualcosa di veramente forte nei tuoi confronti. Sei un così bravo ragazzo e certa gente non ti merita» gli confessai al mortale.
Era la prima volta che dicevo a qualcuno di esterno dalla nostra società i miei veri sentimenti.
Ero disperato per ciò che stavo passando in questo momento e questa sensazione era da tutta l'esistenza che mi tormentava, era da secoli oramai che mi trascinava nell'oblio.
Il ragazzo si avvicinò prendendomi la mano e tentando di rasserenarmi dagli oscuri pensieri. Lui per me c'era.
Italo aprì la bocca, ma fummo interrotti dal pianto di un neonato.
Pochi minuti dopo Sirmori uscì con il suo camice bianco fissandoci per qualche secondo, mi squadrò da capo a piedi con fare serio mettendomi addosso ancora più ansia, più di quanto ne avevo già in circolo.
«Il bambino è completamente umano» affermò.
Italo cadde in ginocchio dalla felicità e si mise le mani sul viso, io fissai il soffitto alzando le mani al cielo emettendo un sospiro di sollievo.
Tutta la mia ansia scoppiò come un palloncino.
«Ne sei veramente sicuro Sirmori? Sai che i meticci non nascono con le ali» domandai per esserne completamente certo, magari si era sbagliato.
«Ovvio per chi mi hai preso? So ancora distinguere un essere umano da un meticcio. E adesso andate da quella nevralstenica.»
Il dottore si tolse il suo camice per poi uscire di casa borbottando seccato.
Entrammo nella camera Melissa era coricata sul matrimoniale, avvolta in coperte di color indaco. Nel mentre Veria stava sterilizzando i vari utensili utilizzati, mettendo al proprio posto le garze e asciugamani puliti. Buttando in un sacco tutti gli indumenti sporchi, appena finito prese l'immondizia e se la caricò in spalla.
«Il piccolo si è già attaccato al seno, adesso se non vi dispiace, vado a prendermi una pausa. Felice giorno per il nuovo neopapà e il demone che ha fatto cilecca grazie agli inferi» affermò Veria facendomi di nuovo un gestaccio, feci lo stesso anch'io prima che potesse chiudere la porta.
Ci avvicinammo alla culla dove Italo prese in braccio il fagottino, il piccolo aprì i suoi grandi occhioni marroni come quelli del padre. I pochi capelli biondi erano appiattiti sulla minuscola testolina. Sì era proprio un umano fatto e finito, oltre fisicamente anche la sua anima me ne dava la conferma.
«Ciao piccolino» disse Italo con gli occhi umidi dalla commozione.
Nel mentre che guardavo il neonato sentivo uno sguardo pieno di astio che mi scrutava, mi voltai in direzione di Melissa e notai che stava osservando con fare truce e serio. L'unico pretesto che poteva tenermi legato a lei, le era appena scivolato tra le mani.
Meglio il disprezzo per come l'avevo ingannata facendola innamorare, piuttosto dell'odio che avrebbe covato se avessi ucciso nostro figlio. Per una volta in tutta la mia esistenza, il fato era stato benevolo.
«Melissa mi assomiglia molto» disse il fratello tenendo ben stretto suo figlio, come se fosse un prezioso tesoro.
Era l'unico in questa stanza a sprizzare felicità da tutti i pori, il solo che poteva compensare lo stato di disagio degli altri due presenti.
«Già ti assomiglia... molto» affermò scostante la madre.
«Melissa va tutto bene?» chiese il fratello sbattendo per diverse volte le palpebre e aggrottando la fronte.
«Sì Italo, sono solo stanca.»
«Scusami. Se vuoi ti lasciamo sola?» chiese Italo.
La ragazzina scosse la testa lentamente, continuandomi a guardare in maniera truce.
«No, potete rimanere ancora un po'.»
«Dobbiamo decidere il nome del piccolo?» disse sorridente il giovane.
«Già è vero» parlò Melissa seccata, rimase in silenzio per qualche minuto dipingendosi un lieve sorriso sul viso «Perché non lo decidi tu Yag? Immagino che sarai dispiaciuto di non essere diventato padre.»
Rimasi spiazzato per qualche secondo, Italo guardò Melissa in maniera confusa per poi annuire tra sé e sé.
«Giusto sono d'accordo con mia sorella. Inoltre tu saresti un perfetto padrino per il piccolo» affermò il giovane avvicinandosi.
«Io il padrino? Se te ne fossi dimenticato, sono un demone Italo» risposi aggrottando le scure sopracciglia.
«Dai non farti pregare, in fondo non sei così cattivo. Su avanti fai il padrino e prendi in braccio mio figlio» disse Italo porgendomi il piccolo oramai addormentato.
Lo guardai male per poi ammonirlo «Non sono io a non essere cattivo, sei tu che sei troppo ingenuo.»
Presi tra le braccia il neonato, era molto più minuscolo e leggero di quanto mi aspettassi. Il cucciolo umano era un misto trai i due fratelli, speravo vivamente che di carattere assomigliasse più al padre che alla madre.
«Allora il nome del piccolo?» domandò Italo.
Ci pensai un attimo, biondo con la pelle candida come la neve, l'unica cosa che lo rendeva diverso erano i suoi occhi. Il nome del nascituro mi scivolò dalle labbra «Credo che Attanasio gli starebbe bene.»
I due mi guardarono sorpresi per un attimo, il primo a riprendersi fu Italo sorridente «Attanasio dici? Sì, è un nome inusuale ma mi piace.»
Italo prese un grande respiro per poi guardare prima me e poi Melissa .
«E ora vorrei che Yag non fosse solo il padrino del piccolo Attanasio, ma il nostro testimone.»
Rimasi confuso dell'affermazione del ragazzo. Italo si avvicinò alla sorella intrecciando le sue dita della mano destra con quelle di Melissa. Italo la guardò serio nei suoi occhi, era la prima volta che vedevo un comportamento del genere, il mortale stava prendendo la situazione in mano.
«Melissa ci ho pensato per un intero mese, ti ho messo in una situazione sgradevole e di vergogna. Adesso hai pure un bambino a carico, il frutto di una società che non l'accetterebbe se scoprisse la verità. Non voglio starti accanto come fratello ad affrontare l'ardua difficoltà nel crescere Attanasio, ma come marito e proprio davanti a questo demone come testimone che ti chiedo, mi vuoi sposare Melissa?» affermò il giovane rimanendo serio e pacato, facendosi tradire dagli occhi lucidi a stento le lacrime non scivolarono dal suo magro viso.
Italo lasciò la presa su sua sorella, per poi sfilare una scatolina dai suoi pantaloni rattoppati. L'aprì e nel suo contenuto erano presenti due semplici fedi l'una di fianco all'altra.
Due piccoli cerchi che solo per gli umani dimostravano grande significato, tutto il sudore e sacrificio che aveva da parte il giovane buttato per una donna che neanche lo considerava.
Ci fu un attimo di silenzio finché vidi Melissa abbozzare un lieve sorriso «Sì, lo voglio.»
Il giovane Italo saltò in piedi abbracciandola ignaro che la giovane mi fissava con faccia schifata.
Passò una settimana dal parto, Melissa cambiò cognome con uno fasullo. Io e gli altri due demoni fummo costretti a entrare in una dannata chiesa per una fottutissima ora, circondati da troppa acqua santa per i miei gusti.
Nel pomeriggio ci fu un piccolo rinfresco nell'appartamento, Veria si era impegnata ad alzarsi la mattina presto per preparare qualcosa di almeno un minimo commestibile. Rimanemmo fino a tarda sera finché dal salotto non andai a salutare il piccolo Attanasio dormiente in culla.
La porta della stanza di Melissa si aprì rivelando la giovane neosposa con ancora addosso il vestito da matrimonio.
Ipotizzai quanto la giovane fosse furiosa con tutti noi, in vita sua aveva sognato qualcosa di più sfarzoso. Un matrimonio sicuramente di convenienza ma molto allettante per poter entrare nelle circolo dell'alta società. Il suo abito sarebbe stato pieno di pizzo e merletti e la stoffa del vestito era d'obbligo che fosse la migliore in circolazione.
Sul suo collo avrebbe indossato i preziosi gioielli della famiglia Martini, lo strascico sarebbe stato molto lungo strisciando sul rosso tappeto della navata centrale della chiesa. Il trasparente velo sarebbe stato adagiato sui suoi capelli biondo cenere e una madre orgogliosa avrebbe pianto per aver realizzato il progetto più ambizioso della sua vita.
Tutti a Monacre avrebbero parlato per diverso tempo dello sfarzoso matrimonio della secondogenita dei Martini, pure i fiori del bouquet dovevano brillare di vita propria.
Numerosi colleghi di suo padre sarebbero accorsi a vederla, complimentandosi al ricevimento con Ezio per aver cresciuto la figlia dalle perfette maniere, una purosangue come gli equini che aveva nelle scuderie pronte per la fama e per la gloria.
Naturalmente il fantino doveva essere un accessorio, magari il marito sarebbe stato un ragazzo di buona famiglia, un figlio di un padrone industriale, macché dovevo puntare più in alto, sicuramente un ambasciatore oppure il presidente del consiglio.
Ma come tutti i sogni a occhi aperti per quanto siano belli finisco, il purosangue pur essendo figlia di un campione e avendo toccato la gloria se a causa di un incidente diventa zoppa viene mandata al macello. Così la purosangue doveva accettare di essere diventata una giumenta da soma, riconoscendo il matrimonio che le era stato propinato: senza fama, privo di gloria e sprovvisto di dote. Accoppiata con qualcuno che lei considerava un mulo.
«Così te ne vai?» domandò la giovane chiudendo la porta e richiamando la mia attenzione.
«Sì, torno a Monacre per qualche tempo. Attanasio è nato e voi due siete sposati, ho lasciato una busta con dentro dei soldi a Italo nel caso ci fosse bisogno di un piccolo aiuto economico» spiegai rimanendo distaccato.
La ragazza fece una smorfia incrociando le braccia sotto al seno, rendendo il tutto con maggiore rimprovero.
«Mi lasci da sola con Italo?»
«Cosa dovrei fare il terzo incomodo?»
«Ma per favore al massimo è Italo a essere di troppo. Lo sai benissimo che l'ho sposato solo per una stabilità economica e per salvare le apparenze» si giustificò Melissa.
La mortale si avvicinò alla mia figura, prese tra le dita la mia cravatta mettendola a posto. Fece scivolare delicatamente la mano per poi accarezzare la giacca con ulteriori secondi fini.
Allontanai le mani in modo educato anche se la giovane non la prese così bene.
«Mi dispiace, ma questa volta non rischierò di metterti incinta» affermai serio.
Le alzò le spalle con noncuranza «Dov'è il problema? tanto un bastardo già ce l'abbiamo.»
Dovetti trattenermi per non prenderla a schiaffoni tentando di farla ragionare.
«Melissa non buttare via tutto quello che stai costruendo, adesso puoi essere felice.»
Lei in tutta risposta incrociò nuovamente braccia e scoppiò a ridere.
«Ti sembro veramente felice? È tutta colpa tua se sono in questa situazione, niente più benessere, nessuna posizione alto locata, solo una stupida topaia.»
Agitai la mano mantenendo gli animi pacifici «Piano con le parole, visto che la topaia l'ho comprata io altrimenti dormivi per strada. Inoltre vorrei ricordarti che ti avevo avvertito quel giorno nel gazebo.»
La ragazzina si riavvicinò nuovamente fissando con i suoi occhi chiari.
«Parli per caso quando mi hai avvertito di stare lontano dai demoni?»
«Esatto, ti avevo messo in guardia già quella volta.»
«Ma io pensavo che scherzassi.»
«È l'unica cosa vera che ti abbia mai raccontato» confessai.
La giovane strabuzzò gli occhi «Hai detto delle bugie anche di quella ragazza che ti lasciò quando andasti in carcere?»
Rimasi per un secondo senza ossigeno nei polmoni, ripensando alla menzogna che avevo detto mesi fa. Per qualche strano motivo comparve nella mia mente il volto di Arasio, tentai di scacciarlo immediatamente ma con poco successo.
«In parte è vera. Ho amato profondamente una persona, ma la questione della sparatoria e del carcere sono tutte menzogne» spiegai.
Melissa si emise una risata amara, per poi sputarmi in faccia. «Scommetto che l'hai sedotta e abbandonata come stai facendo con me. Tu non sai amare, sai solo possedere e usare, spero vivamente che adesso se la stia spassando con qualche uomo alle tue spalle.»
Bastarono quelle poche frasi per mandarmi in confusione il cervello, al solo pensiero di immaginare Tab e Arasio avvinghiati su un sudicio letto mi strazziava. Tentai di trattenermi ma tutto fu vano, Melissa volò in aria sbattendo in malo modo contro il comodino. La mortale era spaventata e i suoi occhi azzurri erano pieni di terrore.
Le mie iridi tornarono al suo colore naturale e i canini cominciarono a spuntare fuori, tentai di fermarli mettendomi il pugno della mano sinistra in bocca.
Il bruciore si intensificò e il sapore del sangue avvolse la lingua. Tirai fuori la mano dalla bocca, tentai di pulirmi ma lasciai con il dorso ferito una strisciata di sangue sulla guancia, lo stesso punto in cui l'umana mi aveva sputato.
«Tu mi vieni a parlare di amore? Ma per favore. La stessa che ha la lingua di una serpe in bocca. La medesima che non si merita Italo, tu sei troppo poco per lui» affermai con un ringhio.
Mi voltai e me ne andai velocemente prima che potessi farle veramente del male. Attanasio aveva bisogno sia di un padre che di quella sottospecie di madre.
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