Capitolo Quarantadue

Yag

Rimasi seduto sul letto a riflettere sul da farsi, non mi interessava ciò che mi sarebbe accaduto se Satana l'avesse scoperto.
Mi dispiaceva solamente lasciare Melissa rinchiusa in un convento di bacchettone, per non parlare del destino di Italo condannato a una vita di soprusi da parte di Ezio solo perché non era suo figlio .
Non lo potevo accettare, volevo solo divertirmi con loro, mica segnare la loro breve vita umana.

Mi alzai dal letto, mi sciacquai il pallido viso e uscii di casa. Lasciandomi alle spalle la struttura color panna piena di condomini. Una volta molti secoli orsono, erano presenti in questa zona moltissime abitazioni fatte in pietra, tra cui proprio in quel punto c'era la mia e quella del mio ex compagno.

Arrivai all'ambulatorio del dottore nel tardo pomeriggio, il piccolo studio era collocato in una delle vie nascoste del centro di Monacre. Ci avevo impiegato quasi venti minuti per arrivare con i vari mezzi, se non ci fossero stati troppi umani nel paraggi avrei potuto aprire le mie ali e librarmi in volo per raggiungere la mia destinazione.
Bussai su un vecchio portone marcio, il quale si aprì immediatamente scricchiolando rumorosamente, era sicuramente da tempo che le giunture non vedevano un po' d'olio.

Percorsi un breve corridoio trovandomi al centro in un piccolo cortile in comune con le altre abitazioni adiacenti. Le mura delle casine erano grigie e datate come gli anziani che ci abitavano. L'edera cresceva verde e indisturbata, le grondaie chiedevano un bisogno immediato di essere cambiate, mi irritava da sempre vedere il decadimento urbano e ancora di più un lavoro fatto male.

Tutto ciò mi ricordava quella stupida staccionata che delimitava il piccolo paesello in cui mi recavo per prendere le mie pigmentazioni, quando ancora Monacre brulicava di immortali, quando potevo ancora mostrare le mie ali alla luce del sole.
Feci qualche passo e mi fermai davanti a una porticina di legno incastonata in una piccola casetta. Appena l'aprii mi trovai in una stanzetta bianca, collocate sparse per la stanza erano disposte diverse sedie dalla pelle consumata.

«Meno male che ci hai onorato della tua presenza» affermò una voce maschile.
Guardai davanti a me e vidi un'ulteriore stanza con la porta spalancata.

Entrai nello studio del dottore, vidi che era alla scrivania intento a leggere diverse cartelle cliniche ingiallite e piene di macchie da cassetto. Gli occhiali del demone erano ben fissati sul ponte del suo naso, dandogli ancora di più un'aria severa.
Non aveva bisogno di quello stupido oggetto umano, noi avevamo una vista migliore degli uomini, ma Sirmori mi aveva sempre risposto che gli servivano per mimetizzarsi meglio in questa società.

Dietro di esso erano posati diversi oggetti metallici a me sconosciuti, completamente ignorante su quel campo. Accanto a quegli apparecchi era collocato un mobile rettangolare con due ante di vetro, al loro interno adagiate in maniera ordinata erano presenti delle boccette.

Sulla sinistra sotto la finestra era posizionato un piccolo tavolino di compensato di scarsa qualità, sopra di esso era appoggiata una brocca di ceramica scheggiata e una bacinella.
Tra la finestra e la scrivania Veria era seduta su un lettino intenta a truccarsi, intanto Squama era tutto attorcigliato sulle gambe del lettino e aveva in bocca uno specchio.
Veria era più bianca che mai in viso a causa della troppa cipria, stava finendo di mettersi un rossetto dalla pigmentazione rosso sgargiante abbinato con il suo stesso vestito.

«Pensavamo che non saresti venuto» disse il demone sfilando dalla bocca della sua bestiola lo specchio, continuando a guardarsi e a rimirarsi.
«Non voglio passare per quei demoni che utilizzano gli umani solo per avere una prole. Per ora ho in mente di salvare i due ragazzi» spiegai ai presenti.

Sirmori buttò la cartellina sul tavolo mi guardò scuro in volto, incrociò le sue lunghe dita pallide dandogli un'espressione ancora più seria rispetto al solito.
«E per quanto riguarda il bambino che cos'hai in mente di fare?»
Riflettei qualche secondo prima di rispondere «Beh io... appena sarà nato, appena avrò la conferma che possa essere mio figlio. Non avrò pietà e ucciderò il meticcio.»

Veria sbatté velocemente le palpebre proferendo parola senza mai incontrare i nostri sguardi, i suoi occhi sembravano catturati dal pavimento dello studio.
«Povera creatura» si lasciò sfuggire dalle sue rosse labbra.
«Nessuna pietà per quegli scherzi della natura. I meticci non dovrebbero esistere intaccano la nostra società. Devo dire che grazie agli inferi finalmente hai riacquistato un minimo di lucidità, è la cosa più intelligente che abbia pronunciato Yag in questi ultimi due giorni» commentò Sirmori solenne.

Il dottore si alzò avvicinandosi sempre di più alla soglia della stanza in cui eravamo, approcciando il suo corpo allo stipite che dava davanti alla sala d'aspetto.
«È inutile continuare a parlare di questa storia. Abbiamo un bel viaggio da fare e due umani da convincere. È meglio muoversi» detto ciò il demone uscì dalla camera, seguito a ruota da me e Veria.

Dopo poco tempo ci trovammo davanti al cancello dei Martini che ormai per me era fin troppo familiare.
Il buio della notte circondava ogni oggetto della proprietà.
Ci guardammo intorno, nessuno era nei paraggi, aprimmo le enormi ali color pece in un angolo della strada privo di occhi indiscreti. Con un battito d'ali salimmo in cielo per poi approdare sul tetto della facoltosa famigliola.

«Io e Veria utilizzeremo le nostre abilità per poter far cadere tutti i membri di questa villa in un sonno profondo. Intanto convinci l'umano a seguirci» affermò Sirmori voltandosi senza che io potessi proferire parola.
Veria lo seguì lanciandosi dalla parte opposta.

Percorsi tutto il tetto, fermandomi in un punto a ovest della villa, la stanza del giovane doveva trovarsi al primo piano della casa. Guardai in basso rannicchiandomi, osservando in maniera scrupolosa la zona circostante.

Presi la spinta e mi buttai nel vuoto, atterrando delicatamente sul balcone del giovane. Mi incamminai davanti all'enorme portafinesta, le tende color crema erano leggermente tirate e al suo interno si scorgeva la figura di un ragazzo che dormiva sul fianco, mi stava dando le spalle e il suo corpo era rilassato avvolto nelle candide coperte del letto a baldacchino.

Tesi il braccio allargando le dita della mia mano, la portafinestra si aprì lentamente non emettendo nessun rumore. Mi avvicinai al letto e toccai la spalla del ragazzo.
«Italo» dissi a bassa voce per svegliarlo ma non ottieni alcun successo.
Il giovane emise un grugnito di dissenso per poi rimettersi a dormire.
Tentai diverse volte finché mi spazientii e con una manata ben assestata lo buttai giù dal letto.

Il giovane si svegliò di scatto, appena vide la mia figura con le ali completamente aperte, uscì dalla sua bocca un urlo, si accovacciò mettendosi le mani davanti tremando come una foglia.
«Ti prego non farmi del male» disse con voce strozzata.
«Italo sono Yag, non avere paura» affermai.
Ero interdetto dalla sua reazione esagerata, ma quando si tolse le mani dal viso notai i profondi ematomi sulla sua faccia.
Il candido volto era intaccato da impetuose pennellate di viola e di giallo, per non parlare dell'enormi ferite che solcavano il labbro e il naso.

Un occhio era completamente nero come quelli che avevano i panda, un animale asiatico che avevo visto una volta su un'enciclopedia in biblioteca.
Il suo viso era più scavato e l'aria ingenua del giovane ragazzo era svanita, divenendo l'ombra di un uomo impaurito.
Mi inginocchiai guardandolo attentamente.
«Sei venuto a uccidermi o vuoi la mia anima?» chiese.
«Ma non dire fesserie Italo» dibattei.
Gli avrei dato un ceffone dietro la testa per l'idea assurda che gli era venuta in mente, mi trattenni solo per il fatto che fosse così mal ridotto.

«Chi ti ha fatto questo Italo?» domandai al giovane già intuendo la risposta.
«Mio padre... ehm mi correggo quello che pensavo fosse mio padre, Ezio Martini» rispose Italo con un tono amaro.
Avvicinai lentamente le dita sul suo viso sentendo il ragazzo sussultare, ma non protestò per la mia vicinanza.

«Perché mai ti ha fatto questo?» chiesi trattenendo la rabbia.
«Da quando te ne sei andato il problema è degenerato. Ezio ha iniziato a trattarci come bestie, per non parlare di come si rivolge alla servitù. Successivamente la situazione è peggiorata quando ha scoperto che Melissa è rimasta incinta, non so di chi dei due sia se devo essere sincero, ma non è questo il punto. Per non riversare tutta la sua cattiveria nei confronti della figlia legittima, se l'è presa principalmente con il figlio bastardo. Non puoi immaginare quante volte sono stato colpito, questi sono i segni della partenza di mia sorella. Mia madre aveva paura che quel mostro si potesse scagliare anche nei confronti della figlia gravida, quando Ezio ha scoperto che mia madre l'aveva fatta scappare in gran segreto si mise a picchiarla barbaramente. Mi misi in mezzo e presi non solo le mie botte quotidiane, ma anche quelle di mia madre. Adesso lei sta pensando di farmi sposare con una delle figlie di una sua cara amica, per far sì di farmi scappare da questa tremenda situazione» spiegò emettendo un respiro più pesante sull'ultima frase.

«Adesso non avrai più bisogno di sposarti. Sono venuto a prendere te e tua sorella per portarvi via da questa situazione» dissi guardandolo negli occhi.
Il viso del giovane si distese mostrando un lieve accenno di sorriso, sostituito da una smorfia di dolore causatogli dalle brutte ferite del labbro.

«Porterai via anche nostra madre con noi?» domandò il ragazzo speranzoso.
Feci un lieve accenno con il capo e risposi al suo sorriso. «Certamente Italo, ma non questa notte. Prometto che domani la porterò il più lontano possibile da Ezio.»
L'impegno che avevo preso nei confronti di sua madre era solo un modo per farlo stare tranquillo. La mia parola non contava niente  e questa cosa era avvalorata dal fatto che era stata stipulata da un demone. Alla fine la promessa venne mantenuta anche se ci misi parecchi anni.
«Mi fido di te Yag, allora ti seguo non vedo l'ora di vedere mia sorella» affermò il giovane con una strana luce nei suoi occhi.
Lo stesso luccichio che avevo avuto anch'io una volta.

Ignorai la stretta dolorosa che sentivo attorno al mio cuore.
«Prima di andarcene vorrei sistemarti il tuo viso.»
Toccai con l'indice la lunghezza del suo naso, prima era dritto e fine adesso ne aveva preso il posto uno spaccato e storto.
«E cosa hai in mente di fare?» domandò l'umano.

Mi avvicinai a Italo, mi bagnai le labbra e iniziai a leccargli la guancia lentamente. Il giovane mi mise le mani sull'addome con un colore rosso vivo dipinto sul volto.
«Ma che fai sei pazzo?»
Sbuffai mi ero dimenticato che gli umani erano ignari di certi poteri e della nostra cultura immortale.

«Come ti ho appena detto ti sto sistemando le ferite, guarda» feci un gesto con la mano e il piccolo specchio appoggiato sulla parete si staccò galleggiando in aria per tutta la stanza verso la nostra direzione. Lo presi tra le mani e riflettei l'immagine di Italo.
«Vedi sulla tua guancia destra non hai più nulla, adesso posso ricominciare?» domandai irritato per avermi interrotto.
Il ragazzo rimase un attimo sorpreso toccandosi lungo la parte guarita. Mi fissò per un attimo con i suoi occhi nocciola per poi dare un lieve cenno con il capo.

Mi chinai ancora verso l'umano dove sistemai le sue profonde cicatrici sul naso, dovetti ricalcare numerose volte e in più punti. Passai lungo tutto il suo collo, Italo si conficcò le unghie delle mani nelle cosce. Tremava tutto, per non dilungarmi troppo nella medicazione sistemai solamente il viso, su tutto il corpo ci avrebbe pensato il dottore.
Per ultimo lasciai le lunghe cicatrici sulle sue labbra. Ci passai con la punta della lingua prima sul sottile labbro superiore per poi dilungarmi su quello inferiore. Italo dischiuse le labbra e si avvicinò maggiormente al mio viso. Non ci pensai due volte senza alcun rimorso a baciarlo, le nostre lingue si unirono e il ragazzo mise una delle due mani attorno al mio capo.

Dovetti staccarmi a malincuore dal ragazzo, dovevamo andarcene ed eravamo in un ritardo tremendo.
«È ora di lasciare casa. Credimi starei qui molto volentieri a baciarti e a fare altro, ma non riusciremo a salvare Melissa se ci dilungheremo ancora oltre» dissi alzandomi il più velocemente possibile e allontanandomi dal giovane.
«Va bene, mi vesto prendo solo qualche cambio e partiamo» parlò il giovane alzandosi dirigendosi verso l'armadio.
Annuii dandogli le spalle «Ti aspetto sul balcone.»
Non era un bene che stessi nella sua stessa stanza intanto che si svestiva.

Una decina di minuti dopo ci trovammo tutti e due sul balcone.
Il ragazzo aveva addosso degli indumenti comodi che metteva quando andava al maneggio a lato era presente una piccola tracolla marrone.
«Adesso come facciamo ad andarcene?» domandò il giovane.
«Voleremo per tutto il tempo, ci sono altri due demoni che ci staranno aspettando sul tetto. È meglio sbrigarsi stai più stretto possibile al mio corpo» spiegai all'umano.
Italo sembrò molto a disagio ma fece come gli avevo spiegato.

Si avvicinò circondando le sue braccia al mio collo intanto allungai il mio braccio destro sul suo fianco.
«Sei pronto?»
«Sì Yag.»
Aprii le mie ali e con un balzo otterrai sul tetto dove Veria e il dottore ci aspettavano.
Sirmori mi guardava scuro in volto e con le braccia incrociate, sbattendo ripetutamente il piede contro la tegola.
«Siete in ritardo» affermò con tono di rimprovero.
«Scusa abbiamo avuto un contrattempo» mi giustificai.
«Immagino» rispose il demone dandomi le spalle.
«Su andiamo a salvare anche l'altra umana.»
Detto ciò ci librammo in volo nello scuro cielo.

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