Capitolo Nove
Yag
Robinia ritornò dopo una fottuta ora, ma quanto tempo ci aveva messo per chiamare solamente una persona?
Mi stavo spazientendo, la vidi dal basso giungere in picchiata per poi arrestarsi di colpo e toccare il terreno con delicatezza, dietro di lei comparvero due scie: una bianca e una nera. Veria e Arasio scesero poco dopo.
«Scusa per il ritardo» si giustificò Robinia.
«Ma che dici? ci hai messo solo cinque minuti» risposi sarcastico.
«Dai non te la prendere con Robinia, lei non c'entra niente sono io che dovevo fare delle commissioni» si aggiunse Arasio alla conversazione.
L'angelo era più ammaliante del solito, anche se due leggere occhiaie erano comparse sotto il suo viso, doveva essere stata una giornata pesante per lui.
«Ah è così? Beh, allora non so se accettare le tue scuse» feci l'offeso.
Lui si avvicinò e mi mise una mano sulle spalle «Vuol dire che per farmi perdonare ti butterò giù da qualche finestra» scherzò malignamente.
Gli diedi un pugno al braccio.
«Ahi! Sei un pirla» affermò
«Da quando sei così permaloso?» continuò a scherzare con il sorriso sulle labbra.
«Da quando gli angeli mi mancano di rispetto» dissi immediatamente.
Robinia diede un colpetto di tosse e attirò l'attenzione di tutti.
«Visto che ho portato Arasio io vado. Ci vediamo dopo amico» salutò i presenti e se ne andò il più velocemente possibile.
«Aspettami Robinia» la seguì a ruota Veria.
Le due immortalati ci lasciarono da soli in mezzo alla radura.
Forse si sentivano di troppo? Poco importa.
Arasio si avvicinò e si mise proprio davanti a me, era più solare del solito e anch'io venni influenzato dal suo allegro stato d'animo.
«Allora che cosa c'è da essere così di buon umore?» gli chiesi.
Lui dondolò sul posto e roteò gli occhi «Vedi... avevo appena finito di lavorare, quando Robinia e Veria mi fermarono. La mia amica mi disse quello che era successo al dormitorio. Ero così inorridito per quello che aveva fatto Tab, cercai un modo di farmi perdonare per quel vile gesto. Mi venne in mente un' idea, un negozio in fondo all'angolo vendeva ciò che a te piace da quando eri piccolo.»
Arasio tirò fuori dalla borsa una delle tavolette con su la cera, dove io ero solito disegnare e insieme a essa era presente anche uno stilo.
Lo strumento era di buona qualità, di un legno molto pregiato e con delle venature molto evidenti. Rimasi per un attimo senza parole. L'angelo me la porse e io l'esaminai come se fosse la cosa più preziosa che mi avessero donato.
Era la prima volta che qualcuno mi regalava qualcosa, mi sentivo strano per questo, non ero abituato a quel tipo di gesti. Di solito quando mi serviva qualcosa la rubavo e mi elettrizzava molto questa cosa dell'illegalità, invece ricevere un dono mi dava un impatto emotivo di tutt'altro effetto.
«Io non posso accettarlo, tu non c'entri con questa storia di Tab. Mi dispiace che tu abbia buttato dei soldi per niente» affermai porgendogli la tavoletta, ma lui rifiutò categoricamente.
«No, questa tienila se non la vuoi vedere come un segno di pace, almeno accettala come mio regalo» disse l'angelo.
«Sai non sono abituato a questi gesti d'affetto come scambiarsi dei doni o cose del genere, li trovo strani e inquietanti.»
Lui si mise a ridere «Allora adeguati a questa strana sensazione perché te ne farò molti altri.»
Il mio cuore iniziò a battere velocemente, le sue parole, la sua presenza, era un toccasana per me e pensare che qualche ora prima ero incavolato nero.
Lui è tutto per me.
«Perché non mi fai un ritratto come ai vecchi tempi Yag. È da tanto che non vedo le tue opere. Perché tu disegni ancora non è vero?» vidi un attimo il panico nei suoi occhi blu.
«Non ti preoccupare, l'amore per il disegno non mi ha mai abbandonato. Siediti pure sul prato, visto che ambisci così tanto di un tuo ritratto» affermai scherzosamente.
Ci sedemmo tutti sul suolo erboso e io iniziai a incidere sulla tavoletta, l'angelo mi fissava assorbito da ogni mio movimento, i suoi occhi blu non smettevano di guardarmi. La mia mano diventò molto sudata, tanto da farmi scivolare lo stilo un paio di volte dalla presa. Perché tutta questa agitazione? Non era la prima volta che gli facevo un ritratto.
Ero esasperato, dovevo inventarmi qualcosa, la mia mano era tutta tremolante e non smettevo di fissare il suo viso.
«Arasio, potresti chiudere gli occhi voglio provare una nuova tecnica» mentii.
«Okay.»
Emisi un respiro profondo e continuai a disegnare.
«Che lavoro fai?» chiesi interrompendo il rumore del silenzio.
Era da quando la sua amica me ne aveva parlato che ero curioso di sapere.
«Faccio il calzolaio, è grazie ad Aletta che è riuscita a trovarmene uno. Se non fosse per lei sarei ancora disoccupato.»
«Il calzolaio... non l'avrei mai detto. Non riesco a concepire come noi esseri immortali dobbiamo fare cose da umani. Io sto a zonzo per il villaggio, poi quando mi butteranno fuori dal dormitorio mi inventerò qualcosa» affermai, era inutile sforzarsi per entrare in una comunità che non ci appartiene.
Finii di disegnare i suoi capelli biondi che gli arrivavano quasi alle spalle, per poi tracciare la linea dei suoi occhi.
Nel mentre Arasio scoppiò a ridere «Analisi interessante demone, lo faccio per avere abbastanza soldi per permettermi anche una piccola cassetta per vivere da solo. Non manca moltissimo all'entrata nella nostra comunità immortale. Il mio sogno e un altro, non farò il calzolaio a vita.»
«E quale sarebbe il tuo più grande obiettivo?» questa cosa mi aveva incuriosito.
«Vedi, Robinia è stata scelta da poco come guardia reale per la nostra Dea. Io voglio fare altrettanto, desidero essere al fianco di Angelica, l'ammiro tantissimo, così ammaliante da essere irraggiungibile.»
Il viso dell'angelo era molto rilassato e il tono che aveva usato sembrava di un innamorato.
Quella sua ammirazione mi dava fastidio e mi rendeva nervoso.
La linea dello stilo divenne più incisiva, rischiai di rovinare il disegno.
«Che sogno stupido! Non ti prenderebbero mai, sei gracilino e codardo, chi vorrebbe farsi difendere da te» parole taglienti uscirono dalla mia bocca, dettate solamente dalla mia ira.
Arasio aprì gli occhi e mi incenerì con lo sguardo, si alzò e mi spinse a terra.
«Se tu non hai un obiettivo nella tua misera vita, non rovinare il mio!» l'angelo gesticolò a casaccio e usò un tono di voce molto aggressivo, non ero abituato di solito era molto calmo e gentile.
Continuò a urlarmi a dietro, fin quando le parole divennero versi incomprensibili di frustrazione. Arasio si girò e se ne andò con lunghe falcate. Dovevo fermarlo, stavo rovinando tutto e non volevo, avevo desiderato così tanto (quasi in maniera viscerale) in questi giorni di passare del tempo con lui. Mi ero pure fatto buttare dalla finestra pur d'incontrarlo, tanta fatica e avevo rovinato in un secondo, solo per gelosia.
Lanciai frettolosamente la tavola e lo raggiunsi, non sapevo cosa fare e fu l'istinto a prevalere sulla mia mente.
L'abbracciai da dietro e misi il mio viso nell'incavo del suo collo «Scusami» dissi in un soffio.
Lui si irrigidì, ogni cellula del il mio fisico era elettrizzata da questo contatto e percepivo la stessa risposta da parte del suo esile corpo.
Lui emise un respiro veramente pesante, si girò lentamente e mi scrutò con i suoi occhi blu, era ancora tra le mie braccia.
I miei arti superiori erano incrociati tra di loro, come se fossero incollati.
«Non lo pensavi veramente quello che hai detto?» chiese Arasio con tono spento e deluso.
Scossi la testa violentemente «Ovviamente non lo pensavo davvero. Arasio tu sei molto coraggioso, altrimenti non saresti ritornato indietro quando Prostu e gli altri mi avevano menato, rischiando la tua vita. Erano parole dettate dalla gelosia, niente di più, ti invidio tu hai un sogno e anche molto importante e per raggiungerlo ti stai mettendo d'impegno. Invece io non ho niente, sono un guscio vuoto che va a zonzo senza un obbiettivo nella propria esistenza» parlai con il cuore in mano.
I lineamenti dell'angelo divennero meno tesi e il suo viso si rilassò.
«Accetto le tue scuse Yag, sono contento che tu abbia capito che hai sbagliato. Non dire che non hai un sogno, perché ce l'hai proprio davanti a te.»
Per un attimo fraintesi le sue parole, poi Arasio indicò la tavoletta riversa nel tappeto erboso.
Aggrottai le sopracciglia «Il disegno? È solo un modo per passare il tempo» dissi in modo superficiale.
«Non credo che sia solo uno svago, ce l'hai sempre avuta davanti questa passione, è ora che qualcuno ti apra gli occhi e che ti faccia capire che l'hai sempre amata. Magari potresti provare a lavorare con altri materiali, componendo mosaici oppure dipingendo i vasi, non credi?»
Io scossi la testa «Non credo che io sia così bravo come tu pensi»
Arasio fece un cenno con il capo «Non dire fesserie, poi dici a me che sono insicuro.»
Abbracciai il mio amico. Pace fu fatta e tornammo a sederci sul prato.
Ricominciai a disegnare e lui richiuse gli occhi, tutto tacque e mi misi d'impegno per finire questo ritratto, ma qualcosa andò storto.
Dovevo disegnare la sua bocca così rosea e delicata, per quanto mi sforzassi non riuscivo neanche minimamente a riprodurre le dolci labbra che avevo proprio davanti a me. Erano così invitanti, appoggiai il tutto sull'erba e mi avvicinai a gattoni, in modo lento per non farmi sentire.
Ero proprio a un palmo dal suo viso.
Devo ammettere che da vicino Arasio era ancora più bello. Normalmente quando stavamo insieme gli stavo sempre a una certa distanza, come se ci fosse una linea invisibile.
Non distoglievo lo sguardo dalle sue labbra.
Ogni minima increspatura il mio cervello la stava memorizzando, ma non mi bastava solo vederle in questo momento volevo di più, sapevo che era una pazzia ma l'istinto per la seconda volta prese il sopravvento.
«Allora non hai ancora finito? Ci stai mettendo un'eternità» disse Arasio ignaro di tutto.
Non risposi, mi avvicinai ancora di più a lui e lo baciai, toccare le sue labbra era una sensazione indescrivibile.
Arasio aprì gli occhi e mise una mano sul mio volto, mi feci più strada volevo di più. Le nostre lingue s'incontrarono e si cercarono ansiose di rivedersi dopo anni.
Diventai più passionale, desideroso di maggiore contatto.
Il mio amico si spaventò e mi scaraventò per terra.
I suoi occhi erano spalancati e il suo fiato era affannoso, proprio come il mio. Il dorso della sua mano destra la stava strisciando contro la sua bocca.
«Arasio posso spiegarti» mi alzai e cercai di raggiungerlo.
A ogni mio passo l'angelo si allontanò sempre di più, voltandosi e spiccando il volo, il più lontano dalla mia presenza.
Non lo seguii, ero rimasto scioccato anch'io per quello che avevo fatto.
Quel giorno facendo quel gesto che io reputai avventato, mi servii per capire cosa provavo veramente per Arasio.
Sentimenti acerbi e rinnegati mi erano serviti per scovare il compagno della mia intera esistenza, come diceva Veria "la mia felicità proibita".
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