Capitolo Dodici
Yag
Arrivò il giorno in cui noi giovani immortali superato il diciottesimo anno di età, saremmo entrati nella società e usciti da questo dormitorio.
Questa manifestazione si teneva ogni anno, come altrettante erano le ricorrenze legate al nostro mondo. Mi alzai, mi diedi una lavata con una brocca piena d'acqua fredda, mi misi la tunica che mi avevano dato con annessi sandali.
Si vedeva che il vestito era per una cerimonia, non era la solita scialba tunica nera che indossavo regolarmente. Questa era fatta di un tessuto molto morbido, di un nero cangiante, con una rifinitura in oro sull'orlo alla fine del vestito e intorno alle maniche. Calzai pure i sandali, i quali mi arrivavano fino a sopra il ginocchio. Erano di cuoio, l'odore era inconfondibile.
Due ali piumate dalle tinte dorate, erano state aggiunte con ago e filo vicino alla caviglia. Chissà se li aveva fabbricati proprio Arasio.
Sentii i brusii nella stanza affollata.
«Che fortuna adesso te ne puoi andare» disse il più giovane demone presente nella camera. Il ragazzo era sdraiato su uno dei letti a castello.
«Già finalmente potrò fare quel che ne ho voglia» affermai con sfrontatezza.
«E quando te ne andrai da qui?» domandò il mio vicino di letto.
«Presto, magari tra un mesetto. Il tempo di comprare qualche catapecchia» risposi con noncuranza, come se fosse una cosa di poco conto.
Qualcuno bussò alla porta e io andai ad aprire.
Veria stava saltellando trepidante vicino all'entrata.
«Allora cosa aspetti? Su andiamo!» disse tutta contenta e con occhi sbarazzini.
La guardai confuso «Cos'è tutta questa felicità? È un giorno come un altro.»
Lei mi diede un'occhiataccia.
«Come un giorno come un altro? finalmente saremo liberi da quella maledetta che controlla il nostro dormitorio, poi potrò rivedere Robinia. Sei tu che sembri così teso... rilassati demone.»
Ero molto più che coi nervi a fior di pelle. Oggi non sarebbe stata solo la giornata in cui sarei diventato per la società un demone a tutti gli effetti, ma mi sarei dichiarato apertamente ad Arasio.
Veria mi scrutò da capo a piedi e fece una smorfia.
«Cosa sono questi capelli disordinati? lo sapevo che avresti avuto bisogno del mio aiuto. Devi essere perfetto.»
Tirò fuori un pettine di legno e mi sistemò quello che rimaneva della mia cresta, ormai cresciuta. Era da mesi che non curavo i miei capelli, decisamente più orientato a perseguire i miei obiettivi.
La barba me la feci da solo qualche giorno prima, era diventata troppo incolta e mi costava troppo il barbiere.
«Ecco fatto! adesso va molto meglio» disse Veria soddisfatta.
Mi specchiai nel pezzo di vetro che avevo nella mia parte di stanza.
I capelli erano ancora molto ribelli ma tirati verso il basso, sembravo un demone dalla parvenza quasi normale.
Veria tirò fuori un oggetto dove al suo interno conteneva una polvere nera. L'immortale la utilizzò in modo leggero su i segni neri che avevo intorno agli occhi e mise un'altra sostanza scura, ma più burrosa sulle mie labbra. Tutto ciò servì per risaltare maggiormente le caratteristiche comuni che generalmente avevamo in volto.
Tranne Lucifero, ognuno di noi demoni aveva dei segni color nero sul viso. Generalmente era comune averli intorno agli occhi, invece in alcuni immortali erano situati sulle tempie. Ancora più rari erano i demoni che avevano le labbra dipinte di nero, le quali diventarono di una tinta più scura durante la notte.
Io ero nato sia con i segni intorno agli occhi sia con le labbra nere, proprio una rarità. Per non parlare del piccolo neo che avevo vicino all'occhio, rendendomi ancora più affascinante.
«Adesso sei perfetto» disse Veria tutta orgogliosa di sé.
Mi prese per un braccio e mi trascinò verso le scale «Su non abbiamo tempo da perdere.»
Percorremmo i districati corridoi della struttura, più simile a un labirinto disposto a più piani che a un refettorio. Oramai era da un'esistenza che io e Veria vagavamo in questi stretti spazi, talmente esperti da conoscere la via giusta anche a occhi chiusi.
Anche se come avevo notato, la piantina di questo luogo era pressoché identica al dormitorio degli angeli. Questo palazzo trasmetteva tutto tranne che accoglienza. Le finestre erano serrate da assi di legno, rendendo l'intero refettorio completamente al buio sia di giorno che di notte. A detta dei demoni più grandi tutto ciò, abituava i nostri occhi alla tetra oscurità.
Le pareti erano completamente foderate e imbottite, rendendole morbide e vellutate al tatto. Appese a distanza di qualche metro da l'una all'altra, erano disposte delle piccole lanterne placcate di bianco, dove al suo interno erano presenti numerose lucciole. Le bestiole danzavano in maniera coordinata e sinuosa, nello stretto spazio a loro disposizione. Erano le nostre uniche fonti di luce presenti in struttura.
I corridoi erano per la maggior parte spogli. Ad arredare in maniera casuale erano disposti dei piccoli mobiletti. In precedenza erano solamente degli assi di compensato. Il materiale era stato rubato nel villaggio degli angeli da parte di Prostu e dal suo gruppo, solo per fare un dispetto. Stanca di vederli accatastati fuori dalla nostra struttura, Indivia (la responsabile di questo luogo).
Diede l'ordine a quei tre imbecilli di recuperarli e di farci qualcosa di utile. Il gruppo di idioti fecero più danni che altro, non avendo capacità manuali e intellettive. Allora Indivia stufa di vedere quelle mostruosità che crearono, mi obbligò a riparare ai loro danni, essendo a conoscenza delle mie doti artistiche.
Così mi misi al lavoro, ricordo ancora che mi ci volle un mese per finire il tutto, mettendomi a martellare sotto il cuocente sole. Riportando il materiale al loro stato originale.
Li trasformai in diversi mobiletti, verniciandoli con la pittura bianca per renderli visibili al buio e non contento, sulla superficie piana di ciascuna mobilia ci dipinsi diversi immagini, raffigurai alcune scene storiche della nostra comunità.
Riprendendo come ispirazione, le immagini incise sui capitelli del tempio dei nostri creatori. Uno di quelli che mi rese più soddisfatto, fu il ritratto che feci di Lucifero, riproducendo il suo viso di profilo.
Quando furono asciutti vennero disposti nella struttura. Inserendo al loro interno delle candele con appositi candelabri. In maniera tale che durante le notti più buie, si potesse orientarsi lungo la struttura per poter andare in bagno.
Tra l'altro con alcuni scarti che mi erano rimasti, li usai per farmi una piccola cassapanca, dove metterci dentro da una parte il mio materiale artistico e dall'altra le mie vesti pulite. Lo posizionai davanti ai piedi del mio letto.
Scendemmo le scale dei numerosi piani, in ognuna di esse era presente un corrimano in ghisa riverniciato con colori dorati.
Dopo numerosi percorsi arrivammo nell'atrio al piano terra, l'enorme stanzone era per la maggior parte spoglio.
Accatastate in un angolo c'erano diversi vasi in terracotta, con all'interno delle piante appassite, lasciate lì da qualche vecchio immortale.
Nel sottoscala dalla scalinata di destra da cui eravamo scesi, spuntava un tronco dal pavimento, dove i barbagianni (i messaggeri di Indivia) si appollaiavano per riposarsi e mangiare.
In fondo alla stanza torreggiava un enorme portone, tra l'altro fatto dello stesso medesimo materiale di quello dell'entrata. Lì dietro si trovava una scalinata di marmo che portava direttamente: alla cucina, allo studio di Indivia e ad alcune stanze dove si trovavano gli immortali molto giovani.
Invece prendendo la scalinata presente nell'atrio a sinistra, si giungeva nel dormitorio femminile. Mi guardai nuovamente intorno, scrutando attraverso la luce fioca la mia vecchia casa che presto avrei lasciato. Sicuramente non mi sarebbe minimamente mancata, anzi la detestavo.
Io e Veria uscimmo dal dormitorio e ci trovammo davanti un carro, i colori di cui era stato tinteggiato erano prettamente di oro e di nero. Tutto intorno era circondato da drappeggi bianchi, era un tessuto particolare con dei riflessi argentati. Al suo interno c'erano delle sedie di colore scuro. Al traino erano presenti due cavalli dal manto corvino, anch'essi con qualche ghirigoro sulla sella.
Sul carro al posto di comando c'era Indivia, la nostra responsabile del dormitorio, una vera arpia.
Era una femmina con dei capelli a caschetto neri, un trucco molto pesante per quell'epoca e indossava una tunica molto provocante.
Salimmo sul carro in fondo, proprio negli ultimi due posti sfigati. Al suo interno c'era anche quel maledetto di Prostu, mi ero dimenticato che anche lui era nato nel mio stesso anno di creazione.
Indivia si girò lentamente e ci guardò in modo poco amichevole «Yag, Veria siete in ritardo.»
Feci un cenno con il capo in segno di scusa. Il capo dormitorio ritornò alla sua posizione facendo partire i cavalli.
Gli equini percorsero prima tutto il nostro minuscolo paese pieno di baracche, per poi passare interamente il villaggio principale vicino al tempio. Le strade erano deserte, qualsiasi immortale adulto era già nella casa dei nostri creatori per il grande evento. Solo i pochi umani che trafficavano nella cittadina, ci guardarono incuriositi al nostro passaggio.
Arrivammo davanti alla struttura sacra, sulle scalinate c'erano ad aspettarci Teli e Aletta la compagna di quest'ultimo. Il carro degli angeli era già arrivato, i giovani dalle ali bianche si erano posizionati in fila indiana davanti ad Aletta. Di fianco a lei era presente Lux, il capo del dormitorio degli angeli, un immortale all'antica, severo e ligio nelle regole. Aveva i capelli molto lunghi di un biondo platino e con il viso scavato.
Scendemmo dal carro e ci posizionammo in fila indiana davanti a Teli, il quale aveva due lingue di fuoco al posto degli occhi.
«Siete in ritardo, nessuno vuole spazientire i nostri creatori vero?» disse severo.
«Pff... siete demoni cosa ti meravigli?» commentò Lux con tono spocchioso.
Teli lo fulminò con lo sguardo «Nessuno ti ha chiesto niente angelo.»
Aletta andò vicino al suo compagno e gli diede un bacio sulla guancia «Calmati Teli, non ha senso prendersela.»
Teli si tranquillizzò, borbottando frasi poco carine a Lux.
Aletta e Teli ci diedero le spalle e iniziarono a farci strada, da chiudi fila delle due code erano i responsabili dei nostri dormitori.
Eravamo in venti, dieci demoni e dieci angeli, divisi in file indiane parallele. Dietro di me era presente Veria che veniva oscurata dalla mia figura, di fianco al sottoscritto dall'altra parte della fila di angeli vidi Arasio. Davanti a lui c'era Tab e dietro al mio amico sbucava Robinia, la quale fece l'occhiolino a Veria e lei rispose con un sorrisetto complice. Che cavolo avevano quelle due?
Percorremmo un lungo passaggio per raggiungere la stanza del trono.
L'enorme sala era chiusa da un portone. Immediatamente i bisbigli si spensero appena sentirono la nostra presenza.
Teli e Aletta aprirono insieme la grande entrata, inondando il corridoio di luce.
Al suo interno erano presenti moltissimi immortali. Il pubblico era in piedi su dei balconcini che circondavano tutta la stanza.
Davanti a noi torreggiavano sui loro troni i nostri creatori. Parallelamente non troppo lontano da essi, erano situate vicino al muro della stanza, dieci piccoli troni da una parte e dieci anche dall'altra.
Il tutto era decorato con drappeggi bianchi e dorati. Legati alle colonne della navata centrale erano posizionati dei fiori. Le decorazioni emanavano un profumo intenso, se non sbaglio dalla pigmentazione doveva essere alstroermeria. Un fiore di color giallo che non cresceva affatto nella nostra zona.
Percorremmo la navata centrale e ci fermammo prima degli scalini, proprio davanti ai troni.
Ci inginocchiammo uno dietro l'altro come gesto di rispetto.
Aletta e Teli salirono gli scalini e si misero di fianco ai creatori, uno accanto a Lucifero e l'altra vicino ad Angelica.
Non molto lontano, su un piccolo tavolo erano appoggiate delle coroncine di alloro con foglie intersecate tra di loro dalla colorazione dorata.
Lucifero si alzò dalla regale poltrona e tutta la gente qui presente applaudì.
«Oggi siamo qui, per annunciarvi che venti immortali, entreranno nella nostra società. Una società dove non sarete più protetti dai vostri responsabili di dormitori. Un mondo dove otterrete il rispetto della comunità in cui siete nati e che apparterrete per l'eternità, amandoci incondizionatamente e guadagnando il nostro rispetto con sudore e fatica.
Non saremmo più così benevoli se combinerete qualcosa» Lucifero fulminò con lo sguardo Prostu che era in fondo alla fila.
«Anzi pagherete con la vita, un vostro imperdonabile errore» finì il discorso e tutti applaudirono con entusiasmo.
La Dea Angelica si alzò e si mise di fianco a Lucifero, si presero per mano, un gesto che io non potevo permettermi con Arasio.
«Sono d'accordo con quello che ha detto il mio compagno. Voglio aggiungere che i qui presenti da ora in poi, cercheranno con le loro forze le loro ambizioni, ciò che è già stato scritto nel loro destino e nella loro anima. Ma la cosa più importante...»
Angelica guardò prima Satana con amore, uno sguardo ricambiato e puntò il suo indice nella nostra direzione.
«Scoprirete l'amore, qualcosa che per ancora alcuni di voi è un sentimento sconosciuto. Una sensazione mai provata prima che ti scombussola la mente, il fisico e soprattutto l'anima.
Sarà il vostro ossigeno, la vostra ragione, tutto il vostro mondo dal primo sguardo. Anche se completamente opposti, anche se dovrete andare contro la società, questo non importa perché loro vi completano» Angelica finì il tutto con un dolce e caloroso sorriso.
Ci fu un grande applauso da parte di tutti, le parole che udii erano più che veritiere, termini che ti scaldano il cuore se ricambiato.
Ci chiamarono a coppie un angelo e un demone, andavano davanti al loro corrispettivo creatore, si mettevano in ginocchio e la Dea e Lucifero porgevano la corona di alloro sui capi delle loro creature.
I giovani demoni si rialzavano per poi dirigersi sulle loro corrispettive poltrone, poste ai lati.
Demoni sui troni a sinistra e angeli a destra.
«Yag» Satana mi chiamò con tono severo.
«Arasio» disse a sua volta la Dea Angelica.
Mi alzai e andai in direzione di Lucifero e Arasio seguì i miei stessi movimenti, avvicinandosi ad Angelica.
Mi chinai di nuovo al cospetto del mio creatore. Lucifero mi adagiò la corona d'alloro sul capo.
«Allora ti sei dichiarato?» chiese Satana a bassa voce.
«Non ancora, mi scappa in continuazione» risposi in fretta.
«Ah, ti mancano le basi ragazzo inesperto» ribatté Lucifero sconsolato.
Sentii Angelica che diede un colpo di tosse, mi rialzai e mi sedetti al mio posto.
Davanti a me all'opposto della sala, c'era Arasio che scherzava bellamente sottovoce con quell'idiota di Tab.
Non staccavo i miei occhi rossi da quell'angelo, lui lo sapeva, sentiva di essere osservato, fissava ogni cosa ma non aveva il coraggio di guardami in faccia.
Codardia o Menefreghismo?
Furono le due parole che si insinuarono nella mia mente.
Qualsiasi sia l'esito dovevo provarci, era ciò che aveva bisogno la mia anima.
Spazio Autrice
Mi scuso tantissimo se il capitolo è più lungo del solito, ma ho dovuto aggiungere diverse descrizioni di alcuni luoghi.
Presto ci sarà la svolta tra i due protagonisti.
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