Capitolo Cinquanta

Yag

Il secolo passò in un batter d'occhio, Monacre e l'intera Italia vennero coinvolte in due grandi guerre, anche se vincitrice ne uscì a pezzi tutte e due le volte.
Dopo la caduta del regime la vidi piangere di fame per poi crescere libera in tutta fretta nel suo splendore più economico, come un adolescente che non vede l'ora di diventare adulto.
Divenni rimostrante quando la sua testardaggine divenne dura come il piombo e ostaggia del suo stesso terrismo.
In futuro lavandosene le mani solo all'occorrenza.

Lei era così un minuscolo stralcio di terra dalla forma inusuale, non potevo cambiarla ma solo ammirarla e metterla in discussione all'occorrenza.

Alla fine mi ritrovai all'inizio degli anni novanta in piazza Stradivari a vendere le mie opere in mezzo alla coltre di persone che attraversavano il mercato, gruppi di signore che osservavano le varie bancarelle a caccia di qualche vestito. Gli uomini seduti al bar con in mano un bianchino intenti a giocare a carte in questa torrida giornata.

Sudavo persino io abituato alle alte temperature dell'inferno, mi ero messo all'ombra per ripararmi e godermi quella poca frescura nel mio angolino in piazza. Ero migliorato nella mia tecnica di pittura in generale grazie ai diversi corsi che ho fatto in questi anni e i moltissimi libri che ho letto. Gli umani erano decentemente colti nella loro forma di espressione artistica.

Ho lavorato con diversi artisti sia di fama internazionale che nazionale, ho avuto una certa notorietà in Italia con diversi pseudonimi, peccato che essendo immortale dovetti dare la notizia della mia morte e cambiare nome d'arte per poi ricominciare da capo la mia carriera.

Per quanto le mostre e le diverse performance mi estasiavano, la cara vecchia piazza li faceva impallidire a confronto. Sono sempre partito dal basso, fin quando componevo mosaici nelle diverse case dei vari concittadini immortali, prima ancora della grande catastrofe e avrei continuato a fare quel lavoro per il resto dei giorni dalla mia esistenza se non fosse mai accaduta.

Intanto che il sole batteva forte una bambina che arrivò correndo, si fermò di colpo proprio davanti al mio stand improvvisato, fatto con qualche sedia vecchia e diversi assi di legno, li avevo coperti con un lenzuolo bianco sui quali avevo appoggiato i miei quadri.

La bimba aveva sette/otto anni umani, almeno così mi sembrava, non sono mai stato bravo ad azzeccare l'età di un cucciolo mortale. Aveva i capelli castani a caschetto e due occhi azzurri dall'aria sbarazzina, erano familiari in qualche modo.

Indossava una maglietta bianca a sbuffo e dei pinocchietti neri con dei à pois bianchi. Me l'aveva detto Veria che si chiamavano così, il demone si stava cimentando nel mondo della moda.

Inoltre indossava delle calzine bianche con dei sandali, sicuramente sua madre non si intendeva molto di moda e anche in questo periodo gli umani si vestivano in modo molto strano, preferivo gli abiti che mettevo appena tornato a Monacre, quando ancora i treni in questo luogo non erano così all'avanguardia.

La piccola si mise a fissare i miei quadri uno per uno come se fosse incantata. Rimase diverso tempo a scrutare il quadro in cui avevo raffigurato il mio compagno, il soggetto era circondato da coltre nuvole nel cieli della Dea Angelica.

«Io quell'angelo l'ho già visto» la sentì affermare.
Strabuzzai gli occhi, forse stava solo cercando di attirare la mia attenzione.
«Bimba ti starai sbagliando e adesso tornatene dai tuoi genitori» le suggerii tentando di essere più delicato possibile con il cucciolo d'uomo.

La piccola scosse la testa con dissenso e mi fissò in maniera stizzita. Quel genere di comportamento era qualcosa di nebuloso ma familiare, quel tipo di espressione l'avevo già incontrata ma non mi ricordavo dove l'avessi vista.

«Io non dico le bugie, quell'angelo lo vedo sempre tutti i giorni.  È appeso in un quadro del salotto a casa mia. Si chiama Arasio così dice mio nonno, è lui che mi protegge ed è proprio lui che con tante sue preghiere, ha permesso che io nascessi dopo moltissimo tempo che mi aspettavano i miei genitori» spiegò la piccola.

Mi misi a ridere, capendo finalmente da che ceppo familiare venisse la bimba e chi mi ricordasse vagamente.
«Certo che tuo nonno è proprio un ingrato, anch'io sono stato il protettore della vostra famiglia, ho vegliato su di voi per diversi anni» affermai.

La bimba mi guardò confusa per la mia affermazione «Per cui anche lei signore è una specie di angelo?»
«Più un demone tentatore piccola Alba» commentò un uomo anziano.
Il vecchio si stava avvicinando a noi con un bastone nella mano destra.

L'anziano mi fissò intensamente, i suoi occhi erano rimasti immutati nel tempo, nocciola come quelli di suo padre Italo.
I capelli biondi avevano lasciato spazio a un colore bianco come la neve, erano lunghi fino alle spalle e molto sottili.
Le rughe segnavano il suo volto e la barba lo rendeva ancora più vecchio. Era alto e leggermente ingobbito, decisamente diverso dal bambino che avevo lasciato più di ottant'anni fa.

Se Italo non fosse morto così giovane, credo che l'avrei preso in giro ogni giorno a ogni sua ruga spuntata dopo il sonno, a ogni capello grigio che avrebbe tinto la sua testa biondo cenere... la mia mente fantasticava troppo su queste scene che mai più potevano avverarsi, visto che Italo come avevo visto con i miei stessi occhi, era all'inferno e ogni santissimo giorno veniva sbattuto contro la parete rocciosa del suo girone infernale.

Questo mio rimorso mi faceva male anche dopo tutto il tempo che era già passato. Una stretta al cuore a cui non potrò mai guarire.

Tornai al presente dove la bimba e l'anziano mi stavano fissando, Attanasio mi sorrideva come se avesse rivisto un vecchio amico, ma la sua anima nascondeva una certa malinconia.
«Suvvia Attanasio non essere così duro nei miei confronti, soprattutto dopo tanto tempo che non ci vediamo. Ti vedo invecchiato sai» lo presi in giro facendo finta di toccarmi una barba immaginaria.
«Già invece tu non sei cambiato per niente» commentò l'anziano.
«Sono bello e giovane da sempre» ammiccai facendogli l'occhiolino.

«Chi l'avrebbe detto che ti saresti ricordato di me, voi umani avete una così poca memoria e tentate di scordare in fretta i fatti che sono successi» continuai in modo amichevole.
«Veramente dovrebbe essere il contrario come ragionamento. Visto che per voi un giorno o un decennio non cambiano più di tanto. Per non parlare di tutte le volte che mia nonna parlava male di te, erano parole di fuoco, per nominarti "cancher" era la sua parola preferita» spiegò Attanasio.
Scoppiai a ridere «E così la vecchia ti ha raccontato cos'ho combinato in passato?»

«Solo in punto di morte ha deciso di spiegarmi il tutto, dicendomi una una cosa molto importante» affermò l'umano.
«E che cosa?» domandai.
L'uomo toccò le spalle di sua nipote con fare protettivo, la quale si riprese dalla noisa e incomprensibile chiaccherata che stavo avendo con suo nonno. L'anziano si avvicinò al suo orecchio continuandomi a fissarmi «Stagli lontano il più possibile non solo da lui, ma da tutta la sua specie che cerca solo di corromperci.»

Quelle parole dette dall'anziano sembravano proprio pronunciate dalla voce femminile di Sabrina, una volta era la padrona della villa Martini.
«Come non darle torto al suo avvertimento» ammisi.
«Sai in questo momento anche se mi starà maledicendo dalla sua tomba, vorrei sorvolare sul suo avvertimento e desidero comprare quel ritratto là in mezzo, tra il quadro del torrazzo e la tela raffigurante il duomo di Monacre» indicò Attanasio sorridenti.

Fissai un attimo il punto in cui stavo guardando l'uomo.
In mezzo alla maggior parte di quadri raffiguranti la natura di questo territorio, scorgevo nascosta solo qualche tela riproducente la città di Monacre di una volta, piena di vari esseri piumati dalle tonalità di ali chiare e scure con le loro tuniche che emettevano uno frusciare a ogni movimento. Tra una di quelle, era rappresentato un mio autoritratto, un giovane dalla pelle bianca e dai capelli scuri e dalle ali del medesimo colore. 

Era circondato da una vastità di sabbia rossa molto simile alla tonalità dei suoi occhi. Quel quadro che raffigurava la nostra civiltà, fu fatto un po' dopo la grande catastrofe.
Mi trovavo in mezzo all'inferno completamente vigile nel tener d'occhio sia Veria sia Digris, sperando che non facessero qualche cazzata causata dal dolore di non poter vedere i loro compagni.

Sirmori mi aveva lasciato lì con loro sapendo benissimo che anch'io potevo cadere nella loro stessa situazione da un momento all'altro, che demone sconsiderato.
Devo essere sincero allestivo maggiormente quadri raffiguranti paesaggi rispetto a quelli con gli immortali perché non ne vendevo in grande quantità, infatti il mio appartamento era pieno di tele di questi soggetti alati.

Se con i quadri rappresentati gli angeli (e l'ipotetico paradiso di cui potevo utilizzare solo la mia fantasia) li riuscivo a smerciare, con quelli raffigurati i demoni e l'inferno non me li considerava nessuno, anche se c'ero io di una bellezza immane come soggetto in queste opere d'arte.

Una volta a una mostra allestii una tela con raffigurati Lucifero e Angelica spiegando che loro erano i veri creatori di tutto ciò che li circonda, non le storielle che raccontate ogni domenica in chiesa, non vi sto a dire che vennero considerate blasfeme dal pubblico costringendo l'organizzatore della mostra a togliere, non vi dico quanto ci rimasi male vedendo la parete completamente vuota.

Beata ignoranza umana. Lì per lì avevo in mente di cercare per poi ammazzare, chiunque si fosse permesso di criticare la mia arte. Furono solo le scuse e il ragionamento dell'organizzazione a farmi cambiare idea, affermando che l'arte provocatoria molte volte non viene apprezzata (anche se non doveva essere provocatoria ma sorvolai su questo dettaglio) e che molti artisti si sono dovuti scontrare con questa dura realtà, ma non per questo cambiarono il loro concetto che cercano ancora adesso di trasmettere.

Ed è per questo che continuai lo stesso a dipingere ciò che adoravo di più ma vendevo solamente le opere che piacevano tanto a questi miseri umani, unicamente per avere un tetto sulla testa e per pagare le bollette.
Rimasi sorpreso quando Attanasio mi chiese proprio quel tipo di soggetto raffigurato.

«Come mai proprio quel quadro?» domandai.
L'uomo mi fissò raggiante «Lo so che sto facendo un torto a nonna portando un tuo ritratto nella villa, ma vedi quel demone qui dipinto anche per quanto sia bello e affascinante, ha sempre qualcosa di triste nei suoi occhi o così diceva papà, ed è per questo che voglio portarlo nel posto che più gli spetta, accanto alla tela dell'angelo che ho in salotto.»
Rimasi colpito dalle sue parole, tentando di rimanere il più impassibile possibile.

«È questo che pensava tuo padre di me?» domandai.
L'uomo annuì con il capo «Quando era sobrio me lo diceva spesso, aveva un gran rispetto per te anche constatando cosa tu fossi davvero.»
«Ho voluto un gran bene a tuo padre e se potessi ritornare indietro, tenterei in tutti i modi di salvarlo dalle braccia della morte. Avrei fatto di tutto per farlo ascendere in paradiso, volevo passare ancora del tempo con lui» affermai mantenendo la calma, tentando di non scivolare nella rabbia che mi aveva indotto il suo suicidio.

«Sono sicuro che questa cosa la sappia anche lui» insisté l'anziano.
«Lo spero» affermai tirando fuori dalla mia borsa a tracolla un album da disegno.
Il quaderno era molto vecchio e logoro già terminato da tempo, li usavo quando trovavo un soggetto in piazza da utilizzare per i miei quadri, ma questo era speciale. Lì avevo fatto diversi ritratti e schizzi di Italo, il quale lo ritraevo spesso durante il periodo estivo e autunnale.

Attanasio sfogliò l'album con una certa sorpresa, vedendo il padre da quando era solo un ragazzino di ricca borghesia a quando era caduto in disgrazia divenendo uno dei tanti operai a Nolami.
Nel mentre che il vecchio sfogliava il quaderno, la bimba si alzò in punta di piedi incuriosita. Intanto mi spostai avvicinandomi alla tela che mi aveva indicato, la presi e gliela misi davanti.

«Quanto ti devo?» domandò staccando lo sguardo dall'album per poi chiuderlo.
«Neanche una lira. Che padrino sarei se ti facessi pagare. Il demone nel quadro è già contento nel ritornare al posto che gli spetta... accanto al suo angelo, chiede solo che uno dei suoi schizzi su quell'album, venga incorniciato e messo nella vecchia stanza di Italo, nulla di più» spiegai.
Attanasio mi fissò negli occhi per qualche secondo, per poi esclamare due flebili parole prima di andarsene con la nipote.
«Lo farò.»
«Addio» risposi con altrettanto basso volume della voce.

Mossi il capo in segno di saluto prima che il mortale mi diede le spalle. Un grande peso si depositò sopra al mio cuore, vedendo per l'ultima volta quell'uomo oramai cresciuto che consideravo come un figlio.
Nel punto in cui se n'erano andati si alzò la barriera che teneva separati gli angeli dai demoni. La protezione s'inspessì moltissimo, per poi disperdersi dopo una decina di minuti.

L'angelo di passaggio depositò un indizio a me molto chiaro, non lasciando nessun dubbio su chi fosse. Scattai in piedi dalla sedia e mi diressi in un angolino vicino ai portici della piazza.

Vicino a una piccola pianta lasciò una rosa color pesca.
La presi in mano e la fissai scrupolosamente.
Sì, doveva avermela mandata Arasio. Chi altri sapeva che questo delicato fiore rappresentava l'essenza del nostro amore?

A un certo punto la rosa si contorse su se stessa chiudendosi a riccio per poi spruzzare del liquido sul mio viso. Subito dopo iniziò a mancarmi il respiro, la sensazione che la mia faccia si stesse sciogliendo e un caldo inimmaginabile mi stava mangiando ogni cellula del mio viso.

Mi toccai con le mani la faccia completamente disperato, peggiorando ulteriormente la mia situazione anche le mani vennero aggredite dal liquido.

Urlai dal gran dolore e nel panico muovendomi a scatti, andai contro il muro di qualche negozio. La vista si stava sempre di più offuscando, finché non divenne tutto buio accompagnato dalle urla della gente. L'unica cosa che percepii prima di svenire era come quel male a me sconosciuto, mi stesse divorando velocemente.
Quando riaprii gli occhi mi trovavo in una stanza bianca, Veria scattò in piedi preoccupata per poi sfiorare con la mano il lato destro del mio volto.

Istintivamente solamente con quel leggero tocco la mia pelle iniziò a bruciare.
«Va tutto bene Yag? Ti fa tanto male?» chiese il demone con così tanta premura da farmi preoccupare.
«Se non mi sfioravi la faccia stavo molto meglio. Comunque mi sento tutto indolenzito e ho la sensazione di avere la pelle del volto totalmente rigida da non riuscire quasi a parlare» spiegai.
Veria annuì ma non mi guardò in faccia.

«Che cos'è successo? Dopo aver raccolto una rosa tutto mi è diventato buio» chiesi.
Veria continuò a fissare dappertutto tranne il sottoscritto, strappandosi con i denti le pellicine delle dita.
«Allora me lo vuoi dire oppure Squama ti ha mangiato la lingua?» commentai tentando di non essere pungente, ma il suo silenzio iniziava a turbarmi.

«Vado a chiamare Sirmori» disse Veria alzandosi e correndo fuori dalla stanza il più velocemente possibile.
«Robe da matti» farfugliai ad alta voce per il suo comportamento.
Successivamente dopo cinque minuti entrò Sirmori seguito a ruota da Veria.

«Oh finalmente ti sei deciso di svegliarti» commentò il dottore con le mani affossate nelle tasche del camice.
«Dottore mi può dire che cosa mi è successo senza giri di parole? Quel demone privo coraggio che hai proprio lì accanto non me lo vuole dire» affermai scocciato da tutto questo mistero.

Veria non rispose alla mia provocazione, anzi si sedette sulla sedia vicino alla finestra ricominciando a torturarsi le dita delle mani, al contrario di Sirmori  prese l'altra sedia presente nella stanza di ospedale e si posizionò di fianco al mio letto.

La porta della camera si chiuse di colpo, il Dottore si tolse gli occhiali strofinandosi per qualche minuto le palpebre con il pollice e l'indice. Dopo di che si rimise gli occhiali, le iridi erano ritornate al loro colore naturale e le pupille si erano ristrette visibilmente.

Il dottore emise un lungo respiro e incominciò a parlare «Vedi Yag, quello che sto per dirti potrebbe turbarti visibilmente, per cui cerca di mantenere la calma altrimenti dovrò sedarti.»
«La stai facendo troppo lunga, arriva al punto» commentai fin già troppo irritato di tutta questa suspence.

«Okay, come desideri» proseguì il demone.
«Vedi ero in ambulatorio a Monacre quando un collega umano mi chiama. Il dottore in questione mi chiese di dare una mano alla sua equipe.
Il gruppo di medici si trovava davanti a una situazione disperata, non riuscivano a trovare un intervento adeguato per salvare il ragazzo che era stato aggredito da dell'acido. Mi recai il più velocemente possibile dal mio collega avendo già capito che l'umano che era venuto a contatto con dell'acido, altri non era che un demone aggredito da dell'acqua santa, ed è per questo che non riuscivano a trovare nessuna soluzione. Rimasi sorpreso nel vedere che eri tu Yag in sala operatoria, ti muovevi in maniera convulsiva anche se eri svenuto. Grazie agli  studi attuati da me e da Ardea in tutto questo tempo, inoltre ai vari esperimenti fatto sul mio corpo con quella maledetta sostanza. Siamo riusciti a trovare una soluzione, un'acqua sacra così tanto potente poteva solo essere contrastata da un'acqua così tanto maledetta. Utilizzai le mie scorte del liquido derivante dall'unico fiume presente nei gironi infernali. Ho dovuto buttartelo in gran parte in faccia e una piccola quantità in endovena. È veramente una fortuna che ti abbia salvato, era così un caso critico che pensavo di poterti perdere e invece dopo mezz'ora le tue attività vitali sono ritornate nella norma. Mi hai dato tanto di quei grattacapi da dover cancellare la memoria a tutto il personale presente nel sala operatoria. Per non parlare del viaggio che dovrò fare per rifornirmi dell'acqua infernale.»

Mi toccai il viso tremante per ciò che mi stava raccontando e notai profonde solcature sul mio viso «Mi hai salvato non senza avere delle ripercussioni vero?»
Sirmori sospirò ancora più rumorosamente fissandomi con aria malinconica «Già.»

Il dottore tirò fuori uno specchietto dalla sua veste e me lo mise in mano.
Urlai immediatamente osservando il mio riflesso. Ero un mostro di orribile aspetto, dalla faccia gonfia e deturpata. La pelle su tutto il volto era rossa e piena di solchi, tapezzata da vescicole disgustose come se mi avessero buttato dell'acqua incandescente addosso.

«Chi si è permesso di farmi questo?» mi mossi di scatto dal letto tirando nella mia direzione il Dottore, stritolando con rabbia il suo camice.
Il Dottore non fece una piega domandandomi con tranquillità «Dovresti dirmelo tu? non sei un demone così stupido da avvicinarti al primo fiore che vedi.»

«Beh mi sono avvicinato a quel fiore perché poco prima si era innalzata la barriera annunciando il passaggio di un angelo, il quale lasciò proprio una rosa color pesca proprio uguale a quella che io e Arasio ci regalavamo spesso» raccontai sognante i vecchi ricordo.
Il dottore tolse la mia mano dal suo camice e tentò di sistemare le pieghe che avevo creato sul candido tessuto.
«Sei sicuro che nessun altro sappia di quel dettaglio tranne te e Arasio?» domandò.
«Solo io e lui, ne sono sicuro» risposi.
«Allora potrebbe essere stato A...» aprì bocca Veria in un sussurro.
«Stai Zitta!» urlai come un pazzo.

Calò un silenzio pesante per diversi minuti, mi girava così  tanto il capo da farmi venire la nausea. Il mio stomaco bruciava e la mia voce uscì tremante «Non può avermi tradito in un modo così infimo.»
Veria si asciugò il viso singhiozzando silenziosamente «Non ci voglio credere che possano farci una cosa del genere» affermò con un filo di voce.

Poco dopo la mia confessione e lo sfogo di Veria, Sirmori mi alzò sbuffando.
«Io me ne vado. Sono stanco di vedere tutte queste sceneggiate è ora che vi mettiate il cuore in pace, noi detestiamo gli angeli e gli angeli odiano noi.»
«Spero vivamente che Ardea non abbia avuto dei problemi in ambulatorio, poverina l'ho lasciata tutta sola» argomentò l'immortale di punto in bianco come se fossimo diventati invisibili.

Veria si alzò in piedi bloccando la via di uscita al dottore.
«Tu non puoi minimamente capirci, non ti sei mai innamorato di un demone figurati se riesci a cogliere il dolore di noi coppie miste. Di cosa si prova a vivere lontani dalla propria anima gemella» affermò l'immortale puntandogli il dito in faccia.

«Grazie agli inferi che non sappia cosa si provi, vedendo come vi hanno ridotti. Siete solo degli immortali senza spina dorsale» affermò il dottore con tono freddo.
Dopo quella triste uscita nei confronti della mia amica, Sirmori spostò con il dorso della mano il dito di Veria per poi sorpassarla andando dritto alla porta.

Prima di uscire voltò il campo nella mia direzione il suo viso indispettito e arrabbiato.
«Non riesco proprio a capire cosa ci troviate tu e quell'altro di così speciale in Arasio, lo vorrei proprio sapere.»
Detto ciò uscì di scena sbattendo la porta.

Spazio Autrice

*cancher: espressione dialettale tradotta in italiano come carogna oppure bastardo

. Nell'immagine in alto abbiamo Sebastian Stan il prestavolto di Sirmori

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