6. Proposte di lavoro
La serratura scattò con un sonoro clangore, dopo appena un mezzo giro di chiave. Neil aprì la porta, sorpreso. C'era qualcuno in casa: sua madre doveva essere tornata prima del previsto. Qualche secondo dopo, infatti, Leda fece capolino dalla cucina, da cui proveniva un invitante odore di dolci.
«Ciao, Neil!» gli disse sorridendo.
Lui ricambiò il sorriso. «Come mai a casa a quest'ora?»
Sua madre alzò le spalle. «Stamattina sono arrivata in ufficio alle otto, ma pare che ci fosse una specie di sciopero del quale io non sapevo nulla; i miei simpatici colleghi devono essersi dimenticati di dirmelo. Ho fatto una passeggiata per il centro, era da tanto che non lo facevo. Poi ho comprato qualcosa per il pranzo e sono tornata a casa. Sto facendo una torta! Tu invece cosa hai fatto, tesoro?»
«Sono stato un po' in giro con Anna, oggi aveva il turno a mezzogiorno.»
«Ah, ecco. Come sta?»
«Bene, lavora parecchio.»
«Immagino, povera cara. Mangiamo?»
Neil entrò nella minuscola cucina e si stupì di trovare la tavola già apparecchiata e il pranzo pronto.
«Se l'avessi saputo, sarei tornato prima. Quando sono da solo, di solito mangio più tardi» disse a sua madre a mo' di scusa, ma lei lo zittì con un cenno.
«Volevo farti una sorpresa. Cucini sempre tu, in questa casa!» gli sorrise.
Neil e Leda sedettero a tavola. Capitava di rado che pranzassero insieme durante la settimana: Leda trascorreva l'intera giornata in ufficio e non tornava mai a casa prima delle otto, salvo sporadiche eccezioni come quella. Capitava raramente anche che Neil uscisse prima di mezzogiorno, ma negli ultimi tempi era quello l'unico modo per vedere Anandria, siccome l'amica aveva quasi sempre i pomeriggi e le sere impegnati. Così, appena sveglio, Neil aveva mandato giù una tazza di tè e un paio di biscotti secchi e aveva preso il primo autobus per il solito parco, a metà strada tra casa sua e quella di Anandria.
Era rimasto con lei tutta la mattina, l'aveva accompagnata al lavoro e se n'era tornato a casa. Era stato bene con lei, bene come al solito; avevano riso e scherzato insieme ed erano riusciti ad affrontare anche dei discorsi più profondi. Tutto era tornato come sempre, e quella banale incomprensione della settimana prima sembrava non essersi mai verificata.
Neil, tuttavia, non riusciva a stare in pace con se stesso. Non le aveva detto che aveva rivisto Arun, tantomeno ciò che il vecchio gli aveva riferito, e si sentiva in colpa perché ad Anandria aveva sempre raccontato tutto, anche le cose più banali. Ma non voleva farla preoccupare, né voleva che si arrabbiasse.
Neil provò a mangiare, turbato, lo sguardo fisso sul piatto. Tutto a un tratto, non aveva più fame. C'era ancora qualcosa che non andava tra lui e Anandria: perché all'improvviso aveva paura di dire le cose in faccia alla sua migliore amica? Da quando temeva di confrontarsi con lei?
«Sai» esordì sua madre, distraendolo, «oggi ho parlato con un tipo. È stato davvero gentile, ed è venuto fuori che cerca aiuto per sistemare casa sua; dice che da tempo vuole dare una bella pulita, ma siccome ha una certa età non riesce a fare tutto da solo. Così ho pensato a te, se ti va magari puoi aiutarlo, ovviamente facendoti pagare il disturbo. So che ha soldi da gettar via.»
Neil valutò la proposta. «Sì, è fattibile.»
Leda ridacchiò. «Aspetta, non ho finito. Quando gli ho detto di te si è messo a ridere e mi ha detto che ti conosce, che ha parlato con te due giorni fa! Curioso, non trovi?»
Neil si immobilizzò, il braccio sinistro a mezz'aria e un'espressione sconvolta sul viso. Era Arun, dunque. Non era possibile! Perché quel maledetto vecchio continuava a comparire nella sua vita?
«La cosa buffa» continuò la mamma, «è che parlando è venuto fuori che questo signore era tanto amico di...»
«Del nonno, lo so» la interruppe Neil.
«Ah, allora è vero che ci hai parlato!» sorrise Leda.
«Mamma, è pazzo. Sa chi siamo e come ci chiamiamo. È da anni che ci osserva, e noi non ce ne siamo mai accorti! Tu credi che sia una cosa positiva?»
«Beh, sa chi siamo perché conosceva il nonno.»
«No! Lo dicono tutti che Arun è pericoloso... non possiamo sapere che cosa gli passa per la testa, è uno squilibrato senza pudore!»
Il volto di Leda si adombrò. «Mi dispiace che tu la pensi così. Per me è solo un povero vecchietto che ha bisogno di compagnia e di un po' di comprensione. Ed è ricco e di buona famiglia, per giunta, anche se non si direbbe. È facile giudicare dalle apparenze, è facile vedere soltanto ciò che vedono gli altri senza preoccuparsi di scavare un po' più a fondo. Noi non siamo migliori; non sappiamo niente di lui.»
Neil tacque. Sua madre aveva ragione, certo, ma lui non poteva ignorare l'inquietudine che lo perseguitava da quando aveva parlato con quel vecchio per la prima volta.
Perché Arun aveva deciso di mostrare interesse per lui proprio adesso? E perché aveva avvicinato Leda? Era tutto troppo strano...
«Immagino che non accetterai il lavoro» disse sua madre.
«No. So che forse bado troppo all'apparenza, ma non mi fido di Arun. Suvvia, non lo conosciamo! Per quanto ne so, potrebbe essere chiunque.»
«Fa' come meglio credi, non voglio che tu sia condizionato da quello che penso io.»
Madre e figlio finirono di pranzare in silenzio. Quando Neil si alzò e fece per sparecchiare la tavola, Leda gli fece cenno di fermarsi.
«Lascia stare, faccio io.»
Il ragazzo si ritirò in camera sua, pensieroso. Non riusciva a ragionare, non riusciva a riflettere in pace, senza che le parole di Arun gli risuonassero nella testa. Quel vecchio continuava a mostrarsi nella sua vita: ogni maledettissimo evento che gli capitava sembrava volerlo condurre da lui. Eppure non riusciva ad avere paura. Inquietudine sì, ma non quella paura folle e irrazionale che avrebbe dovuto tenerlo alla larga da quella faccenda.
Neil si prese la testa tra le mani. Non era mai stato un tipo coraggioso, né si era mai cacciato nei guai o in situazioni rischiose. Sarebbe stato saggio cominciare proprio adesso?
Sua madre si affacciò in camera sua. Aveva gli occhi gonfi.
«Ascolta» gli disse, la voce che le tremava, «io sono davvero preoccupata. La ditta è in un periodo difficile e non sono sicura che nei prossimi tempi avrò uno stipendio accettabile. Non so nemmeno se manterrò il mio posto di lavoro. Mi dispiace di non avertelo detto prima, credevo che fosse solo una situazione momentanea e non volevo darti altri pensieri. È per questo che ero entusiasta quando Arun ha parlato di quel lavoro, ma forse non dovevo coinvolgerti. Però non possiamo permetterci di rinunciare a un'occasione come questa. Ci andrò io, se dovessi perdere il posto e se nel frattempo Arun non avrà trovato qualcun altro. Non voglio che ti preoccupi.»
Neil strabuzzò gli occhi. «Mamma, io... insomma, non immaginavo che la situazione fosse così grave. Ma non credo che sia il caso di rischiare per quattro soldi.»
«Per come siamo messi adesso, quattro soldi fanno la differenza. Fidati.» Leda tirò su col naso. «Vado a togliere la torta dal forno» mormorò e girò sui tacchi, sparendo alla vista.
Neil sospirò e si coprì gli occhi con le mani. Si sentiva egoista, egoista e viziato. Un parassita. Ma cosa gli diceva il cervello? Per quanto tempo ancora voleva restarsene a casa senza far nulla?
Non era più un bambino, ormai. Aveva quasi vent'anni e doveva imparare ad affrontare anche le situazioni che non gli piacevano. Doveva smetterla di evitare tutto e tutti, o non sarebbe mai andato da nessuna parte e avrebbe continuato a farsi mettere i piedi in testa da chiunque, Insano o Paziente che fosse.
In fondo, cosa aveva da perdere? Giornate tutte uguali e insoddisfacenti, trascorse a sognare di fare qualcos'altro. Non poteva fare il vigliacco: sua madre non lo meritava, lui stesso non poteva permetterselo. Aveva l'opportunità di rendersi utile, finalmente, e se la lasciava scappare così?
Si sarebbe trattato di un mese scarso di lavoro o poco di più. Che cosa poteva succedergli? Arun era solo un vecchio indifeso, non gli avrebbe fatto nulla, e in caso contrario, in fondo, a Neil poco importava.
Uscì dalla sua stanza diretto in cucina, dove la madre stava finendo di lavare i piatti. Un invitante profumo gli inebriò le narici e Neil si sentì subito meglio.
«Ci vado» disse deciso.
Leda si voltò a guardarlo, un sopracciglio inarcato. «Cioè?»
«Ho deciso di accettare il lavoro di Arun.»
«Non lo stai facendo perché mi compatisci, vero?»
Neil indugiò appena. «No, non per quello. Ho bisogno di fare qualcosa, di rendermi utile; per me è importante, lo sai. E poi, se davvero siamo messi così male, non posso rifiutare alcun tipo di lavoro. Siamo una famiglia e io devo collaborare.»
Lei gli sorrise stancamente, poi gli si avvicinò e lo abbracciò. «Ah, Neil» gli disse, «sono contenta di sentirtelo dire. Credimi, in altri tempi avrei insistito perché tu trovassi qualcosa che davvero ti soddisfi, ma siamo in un momento veramente difficile e credo di non aver mai passato una crisi tanto brutta in tutta la mia vita.»
«Lo so, mamma, lo so» fece lui, ricambiando la stretta. «Farò il possibile. Te lo prometto.»
«No. Stai scherzando.»
Neil sorrise, ma Anandria era terribilmente seria.
«Non sto scherzando. Non ho alternative.»
L'amica sbottò. «Ma è possibile che non capisci? Arun è pericoloso!»
«Pericoloso? Quanto può essere pericoloso un vecchio che passa le giornate al tavolino di un bar?»
«Non sai cosa potrebbe farti! L'hanno sentito blaterare frasi senza senso, l'hanno visto avvicinarsi a bambini indifesi, l'hanno visto tormentare decine di Pazienti. Non bisogna dargli retta. Mi fa paura, Neil.»
«Io non credo che sia così spaventoso.»
«Ma se non ci hai mai nemmeno parlato! Che cosa ne sai di quello che ha in testa?»
Neil valutò se riferirle il breve dialogo che aveva avuto con Arun, giorni prima, ma quello non era il momento adatto per discuterne, anche se non gli piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione.
«È solo un vecchio rimbambito. Non ha proprio niente, in testa» obiettò alla fine.
«Questo non lo sai. Potrebbe essere un maniaco, un sadico. Gira addirittura una voce secondo cui, tanti anni fa, due ragazzi scomparvero e lui era tra i sospettati. Ti rendi conto? La polizia lo tiene da tempo sotto controllo, e un amico di mio fratello conosce un poliziotto che una volta gli ha perquisito la casa. Pare che sia così ben nascosta tra gli alberi che se dovesse tornarci non riuscirebbe a ritrovare la strada. È vecchia e piena di muffa e cumuli di roba indefinita ammucchiata a caso in ogni stanza, tanta polvere da non riuscire a respirare, pavimenti lerci che scricchiolano! Quell'uomo se la stava facendo sotto, ed è un poliziotto!»
«Ma non significa nulla, io...»
«Tu andrai lì, da solo, in quel posto inquietante e pericoloso!» lo interruppe Anandria.
Neil ridacchiò «Beh, ci vado apposta per rimetterlo in ordine, no? Mi sembra coerente!»
«Smettila di scherzare, sei irritante!»
«Non sto scherzando. Mi paga per rendere quella casa un posto decente, no?»
«Dice così, ma potrebbe essere una scusa per adescarti!»
«Adescarmi? Suvvia!»
«Cosa ne sai? In giro c'è gente malata! E con una casa del genere, avrebbe molti posti dove nascondere un corpo!»
«Tu stessa hai detto che la polizia lo controlla. Perché dovrebbe mettersi nei guai?»
«Perché è pazzo! Ti prego, Neil! Potrebbe essere un assassino!»
Neil sbuffò. «Senti, io non trovo lavoro e abbiamo bisogno di soldi. È normale avere un po' d'apprensione, ma questa storia è assurda. Devo accettare e basta, anche perché non ho niente da perdere.»
«Ah, e così io non sarei niente...»
«Smettila. Lo sai quanto conti per me, ma non posso continuare così, a vivere come un inetto solo perché ci sono quattro persone in croce che mi vogliono bene e che hanno paura per me. Cerca di capire, Anna.»
Anandria si passò una mano sugli occhi, trattenendo i singhiozzi. «Sono solo preoccupata. Ti prego, non parliamone più: non è possibile che ogni nostra conversazione debba ruotare attorno a quel vecchio maledetto.»
«Già, forse è meglio così.»
Entrambi tacquero per un po', turbati. Poi Neil chiese ad Anandria notizie del suo lavoro e lei si perse a parlare delle sue faticose mansioni, degli orari pesanti, dei suoi colleghi Insani e di quelli Pazienti, che lavoravano meno della metà per il doppio dei soldi. Neil la ascoltò demoralizzato. Lavorando a casa di Arun, almeno, non avrebbe avuto a che fare con quelle subdole discriminazioni.
Il vento cominciava a farsi sentire e le grosse nuvole nere che oscuravano la luna sembravano farsi sempre più minacciose.
Neil tremava dal freddo. Accelerò il passo, stringendosi nella felpa verde che spiccava nel grigiore della periferia, e imprecò quando un piede gli finì dritto in una pozzanghera. Lo ritrasse, nervoso, abbassò lo sguardo e si specchiò nell'acqua vacillante. Da quella prospettiva, le sue gambe sembravano ancora più lunghe e il naso spuntava enorme dal suo viso magro. Sembrava un orrido mostro deforme. Con la punta della scarpa, Neil increspò la superficie dell'acqua fino a che la sua immagine vi sparì.
Distolse lo sguardo da quel vortice che sembrava scrutarlo, occhio liquido nel bel mezzo dell'asfalto, e riprese a camminare verso casa. L'insegna sgangherata del solito pub gli sembrò più vecchia che mai, così come l'uomo che serviva ai tavoli, che adesso stava spazzando un pavimento segnato da milioni di passi.
Affissa a uno dei battenti della porta del locale – quello rimasto chiuso –, Neil vide una locandina colorata che non aveva mai notato prima. Si avvicinò per leggere meglio, ma presto capì che si trattava dell'ennesima pubblicità della pillola.
"Vuoi essere felice?", c'era scritto. "Eccoti accontentato!".
Sotto lo slogan, un uomo con un sorriso impeccabile offriva al pubblico qualcosa di piccolo e viola. La pillola: un'oasi di benessere nell'arido deserto della miseria; la luce in un tunnel oscuro e misterioso; ossigeno nei polmoni dopo una lunga e tormentata apnea.
Neil avrebbe potuto fare grandi cose, se si fosse lasciato tentare. La pillola avrebbe risolto ogni suo problema e lo avrebbe reso sereno, bello e vigoroso. L'avrebbe allontanato per sempre dalle incertezze, dalle indecisioni, dalla rabbia che dimorava latente in lui, senza conseguenze e senza chiedergli nulla in cambio.
Neil allungò una mano verso la locandina, sfiorandola con le dita magre. La punta del suo indice si imbatté in qualcosa di duro sotto agli slogan che promettevano pace e benessere, forse un nodo nel legno o un rigonfiamento della colla che teneva il manifesto attaccato alla porta. Sorrise, amaro: anche nella vita ideale donata dalla pillola v'era qualche pecca nascosta, proprio come quel bozzo celato sotto quella carta macchiata di perfezione.
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