35. Come una spiga di grano



«Non mi interessa!»

«Interessa a me, apri!»

«Vattene!»

Neil batté il pugno sulla porta con più vigore. «Guarda che Arun deve usare il bagno!»

Funzionò. La porta si aprì appena e dietro vi apparve la faccia arrossata di Morgane. Fu allora che Neil agì: infilò un piede sulla soglia, spinse la ragazza all'indietro, chiuse la porta e ci piazzò le spalle contro prima che lei potesse ribellarsi.

Morgane incrociò le braccia. «Hai intenzione di tenermi prigioniera in bagno? È davvero una mossa di classe, complimenti.»

«Adesso sta' zitta un secondo e ascoltami» fece Neil. «Io non so niente dei tuoi problemi.»

«Appunto!»

«Ecco, appunto!»

«E quindi?»

«E quindi scusa. Non volevo ferirti.»

Neil si sforzò di tenere alto lo sguardo. Era stato più facile del previsto. La fermezza di Morgane tremolò appena, ma anche lei ce la stava mettendo tutta per non crollare.

«Ok.»

Gli occhi di Neil si spalancarono. «Come sarebbe ok? È tutto quello che hai da dire?»

«Neil...»

«Quando si tratta di provocare hai sempre la battuta pronta, e adesso pensi di cavartela con ok?»

«E va bene, va bene! Avevi ragione, al Centro Specializzato sono stata troppo impulsiva, potevo cacciarmi nei guai se tu non mi avessi retto il gioco e non mi avessi trattenuta. Sei contento, adesso?»

«Mi prendi in giro?»

Morgane sbuffò. «Senti, fammi uscire. Me ne voglio andare.»

«Io da qua non mi sposto» s'impuntò Neil.

«Bene, vorrà dire che ti sposterò io.»

Lei si fiondò su di lui, tirandolo per le braccia, e lui dovette aggrapparsi alla cornice della porta con tutte le sue forze. Era una furia, quella ragazza: ma dove le trovava tutte quelle energie?

Le dita di Neil scivolarono e lui cadde in avanti. Cercò di bilanciarsi divaricando le gambe, ma per non appoggiare il piede su quello di Morgane, alla fine non lo appoggiò affatto e finì a terra a pancia in giù. Morgane aveva scartato a sinistra, ma non era stata abbastanza svelta: ora giaceva supina sotto di lui, la bocca a un centimetro dal suo naso.

Neil fece per ritrarsi: poggiò i palmi sul pavimento e stese le braccia, alzando il busto, ma non riuscì a rialzarsi d'istinto come avrebbe voluto. L'istinto, al contrario, l'avrebbe spinto volentieri giù, a inspirare il profumo di lei che solo ora sentiva per la prima volta.

Morgane, dal canto suo, non disse una parola. Si limitò a guardarlo, e Neil si accorse che nei suoi occhi non v'era l'astio che aveva creduto di trovare, ma qualcosa di simile a una viva curiosità.

Restarono così, immobili, per una decina di secondi – o forse erano venti? trenta? un minuto, oppure un'ora? – prima che tre colpetti leggeri risuonassero sulla porta ancora chiusa.

«Allora, avete finito? Il bagno mi serve davvero!»

I ragazzi scattarono in piedi, in imbarazzo. Neil aprì la porta, borbottò un «Stavamo parlando» davanti alla faccetta furba di Arun e uscì spedito, seguito a ruota da Morgane.

«Il punto è proprio questo» stava dicendo Morgane. «Da dieci anni ormai seguo mio zio nei suoi spostamenti, ho conosciuto centinaia di persone, ma mai nessuno è stato un mio vero amico. Tu almeno avevi Anandria: le dicevi tutto, lei si fidava di te e ti raccontava tutto a sua volta. Ecco, nessuno ha mai fatto questo con me. Nessuno si è mai fidato di me al punto da parlarmi della sua vita.»

«E questo ti fa innervosire?»

«Non sai quanto.»

Neil, seduto sul pavimento della sua camera, le spalle contro il muro, le gambe distese davanti a sé, esitò un istante. «Beh, io l'ho appena fatto. Parlarti della mia vita, intendo.»

Era vero. Dopo aver dato il cambio ad Arun in bagno, i ragazzi si erano infilati nella stanzetta triangolare, si erano accomodati – Neil aveva lasciato il letto a Morgane, come atto di galanteria per farsi perdonare di esserle caduto addosso, e lei ora era seduta sul materasso a gambe incrociate – ed erano finiti a parlare. Neil le aveva raccontato della sua adolescenza, dell'amicizia con Anandria, del rapporto fantastico che aveva avuto con sua mamma, e Morgane gli aveva parlato della sua cicatrice. Era stata sua madre a procuragliela, quando era bambina: per convincerla a prendere la pillola, aveva pensato di sfigurarle il viso con i ferri roventi del camino, ma Morgane si era spostata e il ferro le aveva marchiato la spalla. Quella stessa sera, lo zio Viktor era andato a trovarla e con una scusa se l'era portata via per sempre.

«Anche io ti ho parlato di me.»

«Appunto. Allora direi che ci fidiamo l'uno dell'altra.»

Morgane sorrise, gli occhi bassi. «Sì, è vero.»

«Non credere che sia così scontato. Le persone si frequentano, si conoscono, a volte si sposano persino senza fidarsi. Nascondono lati di sé come fossero segreti inconfessabili.»

«Forse lo fanno perché hanno paura. Perché si vergognano.»

Neil piegò le ginocchia. «Già.»

I due restarono in silenzio per un po'. Poi Morgane si alzò dal letto, aprì il suo cassetto del comò e ne tirò fuori una graziosa canottiera a fiori – su sfondo nero, ovviamente: Neil non le aveva mai visto indossare qualcosa su cui non predominassero i colori scuri. Si sfilò la maglietta, restando in reggiseno per la seconda volta nello stesso pomeriggio, e Neil si voltò dall'altra parte.

«Fai sempre così, senza preavviso?» le disse, fingendo una punta di fastidio.

«Perdonami, la prossima volta lo annuncerò a gran voce.»

Quando Neil tornò a guardarla, lei indossava la canottiera a fiori. La cicatrice, semicoperta dai capelli, era venuta alla luce.

«Ti sta molto bene» le disse.

«Grazie. Me l'ha regalata mio zio, qualche anno fa, ma non l'avevo mai messa. Credo che comincerò a farlo.»

«Sì, dovresti.»

«Anche perché nascondere le cicatrici non serve a niente.»

Restarono in camera fino a tardi, a parlare come vecchi amici, seduti faccia a faccia sul letto. Non si poteva tornare indietro, ormai: la diga era stata aperta e le emozioni che entrambi avevano a lungo trattenuto davanti al mondo strariparono in quella stanza tutte insieme. Alla fine, sia l'uno che l'altra avevano raggiunto i loro obiettivi: Neil aveva abbassato la guardia e Morgane non se n'era andata.

Lui le parlò persino del peso di quella competizione che sentiva gravare sulle sue spalle, e lei risolse il problema con un sorriso in cui Neil lesse una tenerezza di cristallo che Morgane doveva tenere nascosta da qualche parte in fondo al suo animo e che doveva tirar fuori solo per le occasioni speciali.

«È stupido e inutile fare un paragone» gli disse. «Io studio quella roba da quando avevo dodici anni; tu hai appena cominciato. Ne sai fin troppo!»

«Lo credi davvero o lo dici solo per farmi stare zitto?»

«Davvero, Neil. Guarda che non sei così male come pensi.»

«Cosa ne sai di quello che penso di me?»

«Io nulla, e tu?»

Neil incrociò le braccia. «Colpito e affondato.»

Morgane rise, forse per la prima volta da quando lui la conosceva, e Neil represse un'improvvisa voglia di abbracciarla, di inspirare il suo profumo, di restarle accanto per sempre. Poi gli venne in mente tutta una vita di rinunce, di timidezze, di inutili remore che negli anni si erano stratificate in lui formando un guscio di solitudine che gli aveva impedito di entrare davvero nel mondo, limitandosi a vederlo scorrere dalla finestra tra una sventura e l'altra, tra un giudizio altrui e un'autocritica, con la certezza costante di non essere abbastanza. E allora lo fece: ruppe il guscio. Si porse in avanti, in equilibrio sulle ginocchia, prese il viso di Morgane tra le mani e la baciò.

Lei restò immobile, rigida, ma fu un istante: prima che Neil potesse temere di essere respinto, ricambiò il bacio sporgendosi in avanti a sua volta e costringendolo ad arretrare.

«Colpita e affondata» gli mormorò all'orecchio quando le loro labbra si separarono.

Neil le sorrise. «Almeno affondiamo insieme.»

Restarono abbracciati, i corpi perfettamente incastrati l'uno all'altro, come se fossero stati progettati apposta per stringersi in quel modo, e i minuti passarono, e la sera calò, e il profumo del pane appena sfornato per la cena li raggiunse dalla porta socchiusa. Si separarono a malincuore solo perché entrambi, dopo il pranzo saltato, avevano lo stomaco in subbuglio dalla fame – o almeno si convinsero che si trattasse di quello – e ringraziarono la penombra della stanza che nascondeva il rosso dei loro visi.

Quando furono nell'atrio, sotto la luce dei lampadari e delle plafoniere, Neil trattenne Morgane per un braccio e la baciò di nuovo. Poi le sfiorò con delicatezza la cicatrice sulla spalla.

«Sai che è bella? Assomiglia a una spiga di grano» le disse.

«Una spiga di grano?»

«Sì, guarda: una spiga al vento, che si flette, ondeggia, ma non si piega davanti a niente.»

Morgane si studiò la cicatrice. «È vero. Mi piace» approvò, felice, prima di entrare in salotto dove Arun li attendeva per la cena.

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