34. Morgane



Neil bussò ancora una volta alla porta della sua camera.

«Ti manca molto?»

«Sì, se continuerai a mettermi ansia!» rispose una voce attutita dall'interno.

Prima che lui potesse replicare, la porta si spalancò a un centimetro dalla sua faccia e Morgane uscì dalla stanza coi capelli arruffati e un asciugamano su una spalla.

«Posso usare il bagno, per caso, o devi andare anche lì?»

Neil sbuffò. «Dovevo solo prendere una cosa!» ribatté, ma lei era già sparita. Si infilò in camera, frugò nel vecchio zaino che giaceva a terra, poggiato alla parete, e ne tirò fuori una felpa stropicciata che indossò in fretta, tremando dal freddo. Poi corse in salotto a fare colazione.

Arun lo aspettava seduto accanto alla finestra, una sigaretta tra le dita. Neil lo salutò con un cenno, poi mosse il capo in direzione dell'ingresso. «È insopportabile!» borbottò.

Il vecchio si mise a ridere.

«Dico sul serio! Io... io la odio! Come può impiegare un'ora per infilarsi una maglia? E poi è così arrogante!»

«Meraviglioso!» fece Arun, senza smettere di sogghignare. «Questa casa è rimasta vuota per vent'anni, e adesso è addirittura sovraffollata! Non l'avrei mai pensato.»

Neil fece per ribattere, ma si fermò appena in tempo quando Morgane fece il suo ingresso fiero in salotto. Col suo passo leggero, la ragazza raggiunse il tinello e trafficò con una padella.

«Qualcuno vuole delle uova?» domandò e Neil rifiutò con una smorfia. Proprio non riusciva a capire come qualcuno potesse avere il coraggio di mangiare uova strapazzate alle otto del mattino.

«Io sì, grazie» disse invece Arun. «C'è anche un po' di pane, se vuoi.»

Neil lo guardò storto, rigirando il cucchiaino nella sua tazza di tè zuccherato. Era un tradimento, quello: un tradimento bello e buono!

Finì di fare colazione per primo e tornò nella sua camera quasi correndo. Quando ne aveva la possibilità, cercava di ritagliarsi un momento di solitudine da godersi in pace, fingendo che Morgane non fosse mai arrivata. E invece erano trascorse già due settimane da quando lei e suo zio avevano suonato al campanello, qualche giorno dopo l'ultima riunione del Ponte di Nessuno, trascinandosi dietro tre grosse valigie.

Era quello il grosso favore che Viktor aveva chiesto ad Arun: ospitare la sua amata nipote, giusto il tempo necessario affinché lui scoprisse qualcosa di più sui Pazienti usciti di senno e sulle pillole modificate. Le nuove leggi lo proibivano, certo, ma il rischio che Morgane avrebbe corso restando con lui sarebbe stato di certo molto più elevato.

A quanto pareva, però, Morgane non era stata affatto d'accordo; e così Neil aveva dovuto sorbirsi un'ora e mezza di discussioni tra Viktor e sua nipote, prima che lei si decidesse a rassegnarsi e lui se ne andasse salutandola a malapena, come se avesse avuto paura che Morgane potesse ripensarci.

A dire il vero, Neil non aveva potuto fare a meno di intenerirsi vedendola così sola e disillusa, ma se n'era pentito quasi subito. Quando aveva provato ad avvicinarsi a lei, che se ne stava immobile in giardino a guardar tramontare il sole, e le aveva chiesto se potesse fare qualcosa per farla sentire meglio, Morgane l'aveva congelato con lo sguardo. «Sì: puoi lasciarmi da sola» aveva sibilato e lui non se l'era fatto ripetere due volte. Se n'era tornato in casa e si era sfogato con Arun.

Neil si lasciò cadere sul materasso molle del suo letto, che ondeggiò al contatto.

Viktor aveva insistito affinché l'arrivo di Morgane non turbasse troppo le loro abitudini. D'altronde, lei era avvezza alla vita da latitante e si sarebbe adattata e arrangiata come meglio poteva. Così Arun aveva recuperato dalla soffitta una brandina pieghevole, con un materasso sottile su cui però non aveva mai dormito nessun altro, e l'aveva sistemata in un angolo del salotto che Morgane ogni mattina sgombrava, ripiegando la branda e riponendola sotto a una finestra, nascosta dalle tende. Neil non era stato dunque costretto a cedere la sua camera, per fortuna, ma aveva dovuto liberare un paio di cassetti del suo comò. Sarebbe stato poco saggio lasciare in giro i bagagli della ragazza, in vista delle future visite della polizia: Arun li aveva fatti sparire la sera stessa del suo arrivo.

Con grande stupore di Neil, delle tre valigie che Morgane aveva portato, soltanto una, la più piccola, conteneva i vestiti. Le altre due erano stracolme di libri, fogli e quaderni di appunti che Arun le aveva fatto sistemare di sopra, facendo posto sugli scaffali già saturi. Un solo cassetto del comò bastava a contenere tutti i suoi abiti e i suoi oggetti personali.

Era fatta così, Morgane. Decisa, essenziale, rapida. Tranne quando occupava la stanza di Neil per vestirsi, ogni santa mattina.

«Allora, resti qui ad ammuffire?»

Lui nemmeno si voltò a guardarla. «Sto arrivando» rispose freddo, mentre lei apriva il suo cassetto e vi riponeva il piccolo astuccio a quadrettini blu che portava sempre con sé in bagno.

Per rimettersi in piedi, Neil dovette appellarsi a tutta la sua forza di volontà. Non aveva alcuna voglia di studiare e avrebbe volentieri trascorso un giorno di pausa, ma da quando Morgane viveva sotto il suo stesso tetto lui sentiva l'esigenza di dimostrarle che valeva almeno quanto lei: non era ammesso alcun atto di debolezza.

Eppure, nello studio ma anche nella vita quotidiana, era sempre quell'odiosa ragazza a spiccare. Sembrava che non esistesse qualcosa che Morgane non sapesse fare, e questa consapevolezza irritava Neil più di tutto. Ma, dall'altra parte, la competizione lo spingeva a dare il meglio di sé.

Salì la scala a chiocciola che portava in mansarda, deciso. Sarebbe arrivato il giorno, prima o poi, in cui lui avrebbe trionfato su di lei.

Ancora qualche metro. Ancora un paio di passi.

Neil si guardò intorno, disorientato. La ricordava diversa, quella strada. Eppure casa sua, la sua vecchia casa, era proprio là, davanti alla palazzina gialla a otto piani che per vent'anni gli aveva dato il buongiorno al mattino, prima imponente visione che gli balzava davanti agli occhi quando apriva le finestre della sua camera.

Ricordava molto più disordine, molto più movimento: la gente che strillava, le auto che starnazzavano non appena si liberava un parcheggio, i marciapiedi sporchi e affollati di volti tirati. Adesso, invece, il tempo sembrava immobile, distante. Le strade erano quasi vuote e le poche macchine che passavano sfilavano via ordinate, senza farsi notare. I due uomini e la donna che Neil incontrò avevano un'espressione rigida e controllata, una pettinatura curata e abiti di pregio indosso.

Era proprio come pensava. Persino nelle periferie non era rimasto un solo Insano.

«Quanto durano, di solito, questi controlli della polizia?»

Neil sussultò. Preso dai suoi pensieri, si era del tutto dimenticato della presenza di Morgane, che l'aveva seguito in silenzio per le strade della città.

«Dipende. Di solito in un'ora hanno finito. Ma se si mettono in testa di fare un controllo approfondito, possono volerci anche due o tre ore.»

«Beh, noi siamo in giro da più di un'ora. Potremmo fare un po' di spesa per il pranzo e cominciare a tornare verso casa. Non so tu, ma io non ho alcuna intenzione di restare in questo posto orrendo più del necessario.»

Neil storse il naso quando sentì Morgane definire la sua vecchia strada un 'posto orrendo'. Ma come si permetteva di vomitare veleno sul luogo in cui lui era nato e cresciuto? Certo, non era il massimo, ma era stata pur sempre casa sua!

«Dobbiamo aspettare ancora un po'» rispose, infastidito. «Non possiamo rischiare di incrociare i poliziotti di ritorno dall'ispezione.»

Morgane sbuffò. «Che seccatura!»

«Ehi, qui funziona così!» sbottò Neil. «Non posso rischiare di mettere Arun nei guai solo perché tu ti annoi!»

«Aspetta, sta' zitto un attimo...»

«Che cosa?! Come...»

Lei agitò una mano davanti al volto di Neil, mentre con l'altra indicava una finestra aperta sopra di loro. «Sto cercando di ascoltare!» mormorò.

Il ragazzo tese le orecchie. Dalla finestra, al primo piano della palazzina gialla, arrivava un sottile brusio, una confusione di voci che parlottavano. Sembravano irrequiete.

«L'ho lasciato lì, mi hanno detto che ci faranno avere notizie» stava dicendo un uomo. «Ma i sintomi sono chiari.»

«Dici che sia quello?» fece una donna.

«Ho paura di sì.»

«Ma... com'è possibile?»

«Tutto è possibile, tesoro.»

Le voci si abbassarono al punto che Neil non riuscì a sentire le parole successive.

«Ma se io l'ho visto!» strillò poi la donna. «L'ho visto prendere la pillola un sacco di volte!»

«Lo so, l'ho visto anch'io. Ma forse le sputava quando non guardavamo. Forse ci ha imbrogliati per tutto questo tempo.»

«Mi sembra così assurdo. Perché nostro figlio avrebbe fatto una cosa del genere?»

«Perché gli Insani sono matti, tesoro. Aaron compreso.»

Qualcuno chiuse la finestra e le voci cessarono. Neil e Morgane, la schiena premuta contro il muro sotto al davanzale, si guardarono incerti.

«Sai dov'è il Centro Specializzato più vicino?» domandò Morgane.

Neil annuì. «Perché?»

«Facciamoci un salto.»

Senza una parola, i ragazzi si incamminarono verso il centro cittadino. In poco più di venti minuti raggiunsero un elegante complesso residenziale con le facciate pulite e tutte uguali. Dietro alle palazzine, un piccolo centro commerciale inghiottiva e rigurgitava file ordinate di persone. A Neil parve di vedere tra loro un paio di Insani.

Sulla cima di una salita oltre il centro commerciale, segnalato da un cartello, svettava un edificio austero e completamente bianco. Le pareti, le cornici attorno alle finestre, le imposte, i tubi delle grondaie: ogni cosa spiccava nel grigio di quella giornata. Solo in un punto, a margine di un davanzale, un rivolo scuro solcava il candore dell'intonaco come un'impronta terrosa sulla neve, forse un residuo di anni di piogge che, nonostante tutto, cadevano anche su quelle mura simbolo della vita paziente.

All'interno del Centro Specializzato sembrava esserci un bel viavai di gente. Dalla porta a vetri, Neil e Morgane vedevano sfilare camici bianchi a destra e a sinistra, fantasmi fluttuanti che infestavano i corridoi della struttura accompagnando, di tanto in tanto, un visitatore insano o paziente.

«Entriamo.»

Morgane sembrava un gatto in agguato sulla preda, gli occhi puntati oltre le vetrate del Centro. Neil le indirizzò uno sguardo torvo.

«Sei matta?»

«Guarda che non possono farci nulla! Chiederemo solo qualche informazione.»

«Hai dimenticato che lì dentro ci sono Pazienti impazziti?»

«E allora? Di certo non li terranno a spasso per il Centro. Saranno rinchiusi da qualche parte. Ehi, se ne incontriamo uno potremmo scoprire qualcosa di interessante!»

«È una pessima idea, io me ne tiro fuori!»

Morgane sbuffò. «Va bene, fai come ti pare. Ma non lamentarti, poi, se non ti verrà mai affidata una missione concreta. Se non ti darai una svegliata, passerai tutta la vita a studiare e basta!»

Neil si trattenne dal replicare e strinse i pugni, infastidito. Se Morgane fosse stata un uomo, forse l'avrebbe colpita senza pensarci. Eppure aveva ragione: per quanto tempo ancora lui si sarebbe ostinato a farsi da parte, a evitare di esporsi e di lottare in prima linea?

Non fece in tempo a rimuginarci che Morgane si scagliò in avanti, senza aggiungere altro. Prima che Neil potesse capacitarsene, aveva già varcato le porte trasparenti del Centro Specializzato. La vide mettersi in fila davanti al bancone nell'ingresso, dietro ad altre quattro schiene in attesa, e la seguì d'impulso.

Quando entrò nel Centro Specializzato, Neil dovette ripararsi gli occhi dalla luce che invadeva lo spazio. Si trovava in un atrio anonimo, con due aperture ai lati da cui si intravedevano dei lunghi corridoi affollati di porte ben allineate. Morgane, davanti a lui, non l'aveva visto e lui fece finta di niente, il cuore agitato, le gambe che gli tremavano.

Al centro esatto dell'atrio, dietro a un bancone rotondo si affaccendavano due Pazienti in camice chiaro; un uomo e una donna. La fila scorreva in fretta e presto fu il turno di Morgane, che si fece avanti con grazia. Non sembrava affatto turbata: in quel momento, Neil avrebbe venduto l'anima per apparire calmo anche soltanto la metà di quanto lo fosse lei.

«Come posso aiutarla?» le chiese la donna in camice.

«Hanno portato qui un mio amico» fece Morgane. «Vorrei vederlo, se possibile.»

«Come si chiama?»

«Aaron.»

La donna trafficò con dei fogli sul bancone. «Ha qualche informazione in più? La data di nascita, la famiglia, dove abita?»

«Oh, certo. Ecco...»

Morgane esitò un istante. Quanto bastava, pensò Neil, per mandare all'aria quel piano improvvisato.

«Abita in Viale del loto, al numero otto» intervenne allora lui, affiancandosi a lei e poggiando una mano sul bancone.

La donna cambiò subito espressione. «Voi due siete insieme?» chiese a Morgane, incredula, come se fosse la cosa più strana e disgustosa del mondo.

«Ehm, sì, più o meno» borbottò Morgane.

La donna, per tutta risposta, le fece un sorrisetto. «Tesoro, col tuo bel faccino è un vero peccato farti vedere in giro con lui!»

Neil lasciò scivolare il velato insulto come avrebbe fatto con le gocce di una pioggerellina inoffensiva e si concentrò su un piccolo dettaglio. Quella donna si comportava in maniera sgarbata con lui ed era invece gentile con Morgane. Troppo gentile: nessun Paziente avrebbe mai usato quel tono carezzevole con un Insano.

«Vede, Aaron ha detto a me di essere un Insano, mentre a lei ha detto di essere un Paziente» disse allora il ragazzo, indicando Morgane. «Volevamo solo capire che cosa fosse successo.»

«Sappiamo che è qui perché ha cominciato ad avere strani comportamenti» aggiunse Morgane.

La donna in camice sventolò un foglio davanti a sé. «Esatto» affermò, leggendolo. «E quella roba lì colpisce solo gli Insani.»

«Roba? Quale roba?» domandò Neil. Davanti all'espressione di marmo dell'infermiera, la sua ansia stava rapidamente cedendo il posto alla rabbia.

«Hai capito benissimo. Non la guardi la televisione? Gli Insani stanno diventando matti uno dopo l'altro. Stai attento: tu potresti essere il prossimo.»

Neil ora ne era sicuro: dal modo in cui lo scrutava e da come invece guardava Morgane, quella donna doveva essere convinta che la ragazza fosse una Paziente.

«Non si può fare nulla per curarlo? Se è davvero un Insano, potrebbe prendere la pillola» bofonchiò, con quello strano tono che si assume quando si cerca al tempo stesso di manifestare e di celare la propria irritazione.

«Non è così semplice.»

Morgane esibì un sorrisetto di circostanza. «In che senso?»

«Nel senso che si tratta di questioni private» tagliò corto la donna. «Ora, se non vi dispiace, a meno che non abbiate altri motivi per restare, sarebbe meglio che ve ne andaste. Ci sono altre persone che attendono il loro turno.»

«Non possiamo vedere Aaron?» riprovò Morgane.

«Temo di no. Disposizioni dall'alto, mi spiace. Passa una buona giornata, cara.»

Neil si voltò e trascinò con sé Morgane, che non pareva intenzionata a mollare. «Lascia perdere, è inutile» borbottò a bassa voce.

«Ehi, tu, ragazzo!» sentì poi gridare alle sue spalle, e gli ci volle tutto il suo sangue freddo per non lasciar trasparire la sua inquietudine.

«Sì?»

L'infermiera, da dietro al suo bancone, lo stava fissando come se fosse uno strano animale. «Le attività di questo Centro sono tutte gratuite» gli disse col tono di chi si rivolge a un pezzente. «Perché non ti fai visitare? Sei troppo magro e gracilino. Potresti avere qualche malattia.»

Neil alzò le spalle. «Sarà per un'altra volta, grazie» disse prima di sparire oltre le porte del Centro Specializzato.

Una volta fuori, al sicuro da orecchie indiscrete, Morgane gli rivolse un'occhiataccia. «Complimenti, Neil!» sbottò. «Hai rovinato tutto.»

«Tutto cosa?» fece lui di rimando.

«Avrei potuto incontrare quel ragazzo, se solo tu non ti fossi intromesso!»

«Che cosa?! Ma hai sentito? Non ci avrebbero mai fatto entrare!»

«Sì, invece, se mi avessi lasciato parlare ancora un po' con l'infermiera!»

«Ti credeva una Paziente!»

«Beh, e non era meglio così?»

Neil sbuffò. «Hai idea di cosa significhi, per un Insano, fingersi un Paziente? Altro che Assemblea Purissima! Finiresti su tutti i giornali!»

«L'ho fatto un sacco di volte e non è mai successo niente!»

«Eravamo in un Centro Specializzato! Quegli infermieri vedono centinaia di Pazienti al giorno: credi davvero che non se ne sarebbero accorti?»

«Basta essere sicuri di sé, Neil» replicò Morgane, velenosa, infilandosi le mani nelle tasche. «Ma cosa parlo a fare con te? Sei la persona più insicura che io conosca!»

Lui spalancò la bocca. Era davvero troppo, stavolta.

«Magari sei tu a essere un po' troppo sicura di te» sbottò. «Non è che lo sei davvero una Paziente? Questo spiegherebbe un bel po' di cose!»

Morgane si immobilizzò. Tutt'a un tratto sembrava una bambina indifesa. Era quello, allora, il suo punto debole?

«Secondo te potrei mai essere una Paziente?» disse stizzita, ma abbassò la voce.

«E perché no? Tratti tutti con sufficienza. Mi guardi dall'alto in basso. Sei... sei molto più bella di una comune Insana. E sei arrogante, come tutti i Pazienti. Mi chiedo come abbia fatto a non pensarci prima!»

Neil si pentì di quelle parole nell'istante in cui le pronunciò, vedendo il viso di Morgane cambiare colore, ma al tempo stesso una strana euforia gli pervase la spina dorsale. Non era mai stato molto capace di tenere testa a qualcuno che conosceva appena, durante un litigio: di solito lasciava correre, teneva per sé le proprie opinioni, si sforzava di essere sempre gentile, come gli aveva insegnato sua madre. Ma con Morgane era diverso: quella ragazza era una sfida che gli era capitata tra capo e collo senza che lui potesse capacitarsene, e in un certo senso era fiero di come stava riuscendo a gestire la situazione, senza farsi mettere i piedi in testa.

Lei restò immobile per un istante infinito. «Me ne torno a casa» fece poi, voltandosi, e cominciò a camminare a passi svelti. Neil la seguì, incerto, tenendosi a debita distanza.

Arrivarono davanti al cancelletto nella proprietà di Arun verso le due, dopo più di un'ora di reciproco silenzio. I poliziotti se n'erano andati e del vecchio non c'era traccia. Forse, pensò Neil, era sul retro, nell'orto.

Morgane sparì in qualche stanza della casa e lui si chiuse in camera, gettandosi di schiena sul letto e godendosi un po' di quiete. Non aveva bisogno di quella ragazza. Non aveva bisogno della sua amicizia, non era costretto a piacerle. Poteva permettersi di ferirla senza dispiacersi. Eppure si sentiva così triste...

Meno di un minuto dopo, Morgane fece irruzione nella sua camera. Si era cambiata: aveva sfilato i jeans e indossato la sua solita tuta grigia, troppo grande per lei. Si era sfilata anche la maglietta, restando in reggiseno: una mossa graziosamente inopportuna che fece strabuzzare gli occhi di Neil, mandandolo in subbuglio.

Prima che l'immagine di Morgane seminuda potesse connettersi con il suo cervello, tuttavia, la ragazza si sollevò i capelli e scoprì la spalla destra.

«Se fossi una Paziente, credi che avrei questo orrore?»

La pelle liscia di Morgane in quel punto era inquinata da una brutta cicatrice biancastra, una sbavatura di vernice su un quadro altrimenti perfetto. Era lunga, frastagliata, invadente.

«Spero tu sia soddisfatto di te stesso.»

Neil scattò a sedere sul letto, ma Morgane era già sparita oltre la porta. «Io non potevo saperlo!» le gridò di rimando.

Avrebbe dovuto chiederle scusa, ne era consapevole, ma quegli atteggiamenti continuavano a infastidirlo. Morgane faceva di tutto per farlo sembrare un vigliacco insensibile, ma lui non era così, e lo sapeva.

Quando Neil si precipitò fuori dalla sua camera, nervoso come era stato poche altre volte, per poco non si scontrò con Arun. Il vecchio doveva essere appena rientrato e teneva tra le braccia una cassetta carica di verdura.

«Ah, siete già tornati?» domandò.

Neil lo ignorò. «Arun, io non la sopporto più! Se Viktor non tornerà a riprendersela, me ne andrò io!»

Sul volto del vecchio comparve un'espressione a metà tra la curiosità e il dispiacere. «Che cosa è successo?» chiese Arun, mentre invitava il ragazzo a seguirlo in salotto con un cenno del capo.

«Si comporta come... come se il mondo ruotasse intorno a lei! E poi... e poi...»

Neil riempì un bicchiere e fece un sorso d'acqua. Non riusciva neanche ad articolare le parole. Arun sedette sulla sua solita sedia con un sospiro stanco e poi gli sorrise come avrebbe fatto un vecchio amico, e lui riuscì finalmente a raccontare ciò che era successo mentre erano in città.

«Non ti sembra di esagerare un po'?» fece Arun, placido, quando ebbe finito di ascoltare. Ancora una volta, Neil si sentì al cospetto di un amico: non c'era disapprovazione, non c'era alcun rimprovero nel suo tono.

«Esagerare? Forse. Ma è stata lei a farmi arrivare a questo. Mi ha stufato.»

Arun si accese una sigaretta e si avviò ciabattando verso la finestra del salotto. «Morgane è una ragazza molto sveglia ed è consapevole di esserlo, per cui cerca di mettere in mostra questo lato di sé, spesso apparendo arrogante; su questo non ci piove. Ma non hai pensato che, magari, la sua prepotenza serva a riempire un vuoto che ha dentro di sé?»

Neil roteò lo sguardo sul soffitto. «Arun...»

«Dico sul serio. Rifletti: lei si è ritrovata qui da sola, in un posto che non conosce, ospite di gente che non conosce. Non ha alcun riferimento. Ricordi come ti sentivi tu, all'inizio, quando tua madre se n'è andata? Quando sei stato sfrattato da casa tua?»

«Io mi sento ancora così.»

«Beh, non dovresti, ma ti capisco. E se tu non hai ancora superato quei momenti, se ancora non ti senti a casa, prova a pensare a cosa stia provando Morgane. Io conosco la sua storia. Lei una casa non ce l'ha mai avuta. Se si comporta in modo brusco, è solo per difendersi.»

Neil spostò gli occhi sulla schiena di Arun, intento a soffiare fumo fuori dalla finestra. «Che cosa dovrei fare, allora, secondo te?»

«Fa' tu il primo passo. Chiedile scusa. Se poi continuerà ad avere quegli atteggiamenti, le parlerò io.»

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