33. Decisioni
La voce grossa di Ghorum risuonò nel salotto affollato di sedie e di gambe accavallate.
«È una strana faccenda, questa, senza dubbio. Una pazzia contagiosa non s'era mai vista.»
«Chissà cos'altro ci faranno passare, quei vermi dei Pazienti» sbottò Frank.
«Sarà una delle trovate dell'Assemblea Purissima» fece Whein, rimarcando con un certo disprezzo le ultime due parole.
Arun, nel frattempo, fumava una sigaretta alla finestra e sbirciava fuori di tanto in tanto, nascosto dietro alle tendine, con l'ansia di chi attende l'arrivo di un ospite indesiderato. Era stato un azzardo organizzare quell'incontro e il rischio di un'incursione della polizia era alto. Ma cos'altro avrebbero dovuto fare? Rispettare le leggi significava abbattere il Ponte di Nessuno e neanche il più timoroso di loro avrebbe voluto perdere quei compagni appena ritrovati.
«Non avete capito proprio niente» intervenne Elgha, drizzando la schiena sulla sua sedia. «Niente!»
La sua foga era tale che il salotto di Arun si riempì di uno strano silenzio.
«Vuoi illuminarci?» le chiese Sylvia.
Lei si sistemò l'orrendo foulard. «Statemi a sentire. Mi avevate assegnato l'incarico di setacciare i giornali, e io l'ho fatto. Pile e pile di giornali, una gran rottura di palle. Poi una decina di giorni fa ho trovato un articolo su un quotidiano locale che parlava di uno scandalo avvenuto dalle mie parti. Diceva che un Insano, uno di quelli impazziti, aveva aggredito sua moglie e l'aveva costretta a prendere la pillola. Lei è finita rinchiusa in un Centro Specializzato e lui si è suicidato.»
Elgha fece una breve pausa, che subito Deilos riempì.
«E allora? Notizie del genere sono all'ordine del giorno.»
«Fammi finire! Dico, non vi sembra che ci sia qualcosa di strano? Tanto per cominciare, perché mai in una casa di Insani avrebbe dovuto esserci una pillola?»
«Magari quella coppia aveva un figlio Paziente» tentò Ivo.
«O forse era stata rubata» fece Theo.
«No, no, no! Niente di tutto questo!» Elgha era sovreccitata. «Mi sono informata bene. Sono andata sul posto e ho parlato con la gente che conosceva quei due. È venuto fuori che il marito, il pazzo, non era affatto un Insano ma era Paziente da pochi giorni. Capite, adesso?»
«Perché l'articolo parlava di Insani, allora?» rifletté Whein.
«Appunto!»
Fu Morgane ad arrivare alla soluzione prima di tutti gli altri. Si irrigidì sulla sedia, spalancò gli occhi. «Le vittime di questa strana pazzia non sono gli Insani» disse sicura, «ma i Pazienti. Questo significa che...»
«... Per la prima volta dalla comparsa della pillola, qualcosa è andato storto» completò Arun.
Morgane annuì. «Tra i sintomi di questa pazzia generale c'è anche il fatto che i malati continuano a ripetere di essere dei Pazienti. Come abbiamo fatto a non pensarci prima? È un classico, in fondo: hanno usato gli Insani per coprire questa faccenda. D'altra parte, cosa succederebbe se i giornali dicessero come stanno davvero le cose?»
«I Pazienti non possono fallire» concluse Elgha. «Quindi gettano su di noi sempre più fango, per non dire un'altra cosa.»
Neil ascoltava in silenzio. Disabituato alla presenza di così tante persone, non riusciva a seguire i loro discorsi. Rimase indietro, capì solo dopo un po', e ancora una volta invidiò Morgane per la sua prontezza.
«Ma perché sta accadendo questo?» fece Frank. «Insomma, perché la pillola su alcune persone non sta funzionando più?»
«Possiamo solo formulare delle ipotesi» rispose Nusio, spingendosi gli occhialetti sul naso. «Forse la Resistenza estremista è riuscita a infiltrarsi nei laboratori e ha manomesso la pillola. O forse si è innescata spontaneamente una reazione chimica che ha danneggiato alcuni lotti.»
«È possibile che alcuni Pazienti risentano delle radiazioni proprio come gli Insani e che su di loro la pillola abbia strani effetti?» azzardò Carsten.
«È più probabile che quelle stesse radiazioni creino qualche problema direttamente alla pillola» fece Viktor. «Le radiazioni possono causare la rottura dei legami chimici: i Pazienti saranno pure immuni, ma la pillola non lo è!»
Nel salotto di Arun cadde una specie di silenzio fatto di mormorii, come se i pensieri fossero diventati all'improvviso avvertibili dall'orecchio umano.
«Se così fosse» fece poi Ghorum, l'unico in quella stanza ad avere una voce grave abbastanza da rompere quel silenzio, «le armi dei Pazienti gli si sarebbero ritorte contro.»
«Davvero un ottimo affare!» rise Frank, sciogliendo parte della tensione.
Sylvia accavallò le gambe con eleganza. «Non possiamo tentare qualche esperimento?» domandò. «Soltanto per capire quanto questa teoria sia vicina alla verità.»
«Sarebbe un rischio. Non abbiamo i mezzi per farlo, e in un momento critico come questo i controlli aumenteranno a dismisura. Sarebbe sciocco farci beccare proprio adesso» osservò Nusio.
«In realtà l'unico che potrebbe fare qualcosa in tal senso, qui, sono io.»
Viktor, impeccabile nel suo completo gessato, aveva parlato con un tono così fermo che nessuno replicò per diversi secondi.
«Sono d'accordo con Nusio, è troppo pericoloso» disse Ghorum dopo un po'.
«Pericoloso? Ho i contatti giusti per procurarmi i materiali necessari. E sono latitante da più di dieci anni, ormai: so come muovermi.»
«Ma non so se ne valga la pena. Se questa situazione va avanti, presto ci sarà un'isteria collettiva: gli Insani saranno ancora più braccati e discriminati e i Pazienti – almeno quelli ai piani alti, che conoscono la verità – cominceranno a temere di essere le prossime vittime delle pillole contraffatte. Potrebbe essere difficile stavolta, Vik. Potrebbero seguirti, intercettare le tue comunicazioni, e così metteresti in pericolo tutti noi.»
Viktor sembrò leggermente offeso. «Pensi davvero che io sia così ingenuo?»
«Non ho detto questo. È solo che la prudenza non è mai troppa, di questi tempi. I Pazienti stanno impazzendo: se si comportavano da folli quando erano felici, figuriamoci cosa sarebbero in grado di fare adesso.»
«Anche io credo che sia meglio restare al nostro posto. Le notizie arriveranno: bisogna solo pazientare un po'» fece Indre.
Diversi membri del Ponte di Nessuno si espressero sulla questione, ma Neil non riuscì ad ascoltarli. Si ritrovò perso nei suoi pensieri, che in quel momento ruotavano attorno ai Pazienti. Li vedeva all'improvviso sotto un'altra luce: erano di nuovo fragili, inermi davanti alla sorte, ma non avevano più le risorse per fronteggiare il dolore, la frustrazione, la debolezza che il loro essere dei semplici umani inevitabilmente comportava.
«Quello che è successo è un ottimo segno» disse a un tratto Fernand. «Ora abbiamo la prova che la pillola non è imbattibile, che anche la mente dei Pazienti può tornare a uno stadio più naturale.»
«Che ciò sia dato dalle radiazioni, da un'irruzione nei laboratori o da qualsiasi altra causa non è un nostro interesse. Il punto è che adesso, finalmente, Insani e Pazienti potranno cominciare a confrontarsi alla pari» disse Ivo.
«Non saremo alla pari» osservò Frank. «Un po' alla volta, i Pazienti impazziranno tutti e cadranno come mosche. Faranno la fine che meritano e noi, finalmente, avremo la nostra rivincita!»
Uno strano buonumore sembrò pervadere il salotto: qualcuno sorrise, qualcuno addirittura liberò una risata di euforia e presto i commenti denigratori sui Pazienti e sulla loro schiavitù si diffusero in quell'atmosfera di frizzante convivialità.
Neil, tuttavia, non riuscì a prenderne parte. Non voleva gioire del dolore di nessuno, Insano o Paziente che fosse. Ma era soprattutto la prospettiva che avevano davanti a spaventarlo: se la malattia dei Pazienti si fosse diffusa a macchia d'olio, come le voci attorno a lui si auguravano, che cosa sarebbe successo? I Pazienti sarebbero annegati in quella psicosi? Avrebbero cominciato a usare la violenza contro chi la pensava diversamente da loro, come aveva fatto l'uomo di cui aveva parlato Elgha con sua moglie Insana? In un caso o nell'altro, centinaia di vite sarebbero state distrutte dalla follia della pillola.
Insani o Pazienti; che differenza faceva, in fondo? Nascevano tutti uguali: l'abisso che li divideva era una semplice scelta, nulla di più banale e complicato allo stesso tempo. Nulla di più.
Una scelta...
Essere un Paziente significava rinunciare al dolore, fisico e mentale, ma ora che quel privilegio sembrava seriamente a rischio, Neil per la prima volta in vita sua pensò di non essere poi tanto sfortunato a essere ancora un Insano.
Era così assorto che si accorse a malapena che Morgane, alzatasi per prendere un bicchiere d'acqua, nel passargli accanto si era fermata e lo stava fissando.
«Sembra che tu muoia dalla voglia di dire qualcosa» esordì a un tratto. Neil si riscosse e si gettò meccanicamente un'occhiata intorno.
«Parlo con te» confermò Morgane. Era la prima volta che gli rivolgeva la parola. Era la prima volta che lo degnava di uno sguardo.
«Ehm... i-io...»
«Beh, se hai qualcosa da dire, fallo e basta. Se aspetti che qualcuno chieda il tuo parere, morirai in silenzio.»
Neil non sapeva se detestarla o esserle grato: negli istanti successivi – non fu in grado di capire se l'avesse fatto per orgoglio o perché si sentisse incoraggiato – richiamò l'attenzione con un cenno timido e, infiammato dall'imbarazzo, alla fine parlò.
«Stiamo facendo il loro gioco.»
L'euforia sembrò raggelarsi per un momento. «In che senso?» domandò Theo.
Neil prese fiato e coraggio. Gli tremavano le gambe. «Se ci rallegriamo del dolore dei Pazienti» disse, «non siamo poi molto diversi da loro. Non è una cosa che detestiamo, questa? I Pazienti ci deridono da una vita, ci odiano, ci augurano il peggio. E noi, adesso, stiamo facendo la stessa cosa.»
«Mi spiace deluderti, ma la storia funziona così» intervenne Nusio. «È un ciclo: si passa da essere oppressi a essere oppressori, e poi di nuovo da oppressori a oppressi. Le mezze misure non funzionano.»
«Lo so, ma... ma nulla ci impedisce di romperlo, questo ciclo.»
«E come? Siamo pochi, siamo disorganizzati e non abbiamo risorse. Sarebbe un tentativo inutile.»
«Inutile?»
«E infruttuoso, anche» intervenne Evan.
Neil cominciava a scaldarsi. «I Pazienti non sono nostri nemici. Sono esseri umani, proprio come noi. Ciò che ci ha separati è solo una stupida pillola, una banalissima scelta.»
«Ma è una scelta che loro hanno compiuto per sentirsi superiori a noi» osservò Frank.
«Dimenticate cosa li ha spinti davvero a farlo?» il ragazzo era ormai infervorato. «I Pazienti che hanno deciso di diventare tali senza alcun condizionamento si contano sulle dita di una mano. Tutti gli altri l'hanno fatto per sopravvivere, perché altrimenti non ce l'avrebbero fatta. Perché hanno perso il lavoro. Perché sono rimasti da soli. Perché non sono riusciti a trovare più nulla per cui valesse la pena restare ancorati a se stessi, alle proprie convinzioni, alle proprie aspirazioni. I Pazienti sono solo un mucchio di disperati che hanno creduto di poter uscire dal loro vortice di disillusioni nascondendosi in un'illusione. Come possiamo odiarli al punto da desiderare che anneghino tutti nella pazzia?»
Il Ponte di Nessuno restò silenzioso per qualche istante, mentre Neil cercava di non dare a vedere il tremito delle sue gambe. Si era pentito di aver parlato fin dal primo momento in cui aveva aperto bocca, ma al tempo stesso non era riuscito a frenare i suoi pensieri.
«Si vede che sei giovane» fece poi Whein, le piccole gambe penzoloni dalla sua sedia. «Hai così tanti ideali, tante energie e buoni propositi.»
«Gli ideali, purtroppo, restano fini a se stessi» disse Ghorum. «È così che vanno le cose: per sopravvivere, bisogna chiudere gli occhi e andare avanti. Questo mondo non perde tempo a osservare e noi non ne abbiamo abbastanza per preoccuparci della sorte degli altri.»
Le gambe di Neil ormai tremavano così forte da far oscillare la sedia. Era stato un idiota: avrebbe dovuto tenere i suoi pensieri per sé e invece aveva voluto strafare, lui e quella maledetta competizione con Morgane che lo assillava, lo stressava, lo faceva sentire un esserino minuscolo e insignificante. In fondo, lui davvero non contava nulla davanti agli altri membri del Ponte di Nessuno.
Per qualche istante Neil desiderò solo sparire; poi intercettò lo sguardo di Arun e – anche se forse l'aveva solo immaginato – gli sembrò di scorgervi una scintilla di ammirazione.
«Io sono d'accordo con Neil» disse il vecchio.
«Anche io, naturalmente» lo seguì Ivo.
«Beh, io penso che potremmo per lo meno discuterne» si aggiunse Fernand.
L'anziana Indre esibì un delicato sorriso. «Credo che sia una buona idea.»
Nusio esitò: aveva perso un po' della sua sicurezza. «Va bene, ma non dobbiamo limitarci alle idee: dobbiamo elaborare un piano d'azione. Che cosa proponete di fare coi Pazienti?»
«Intanto dovremmo tutelare gli Insani che potrebbero essere attaccati dai Pazienti malati» bofonchiò Deilos, e tre o quattro voci assentirono.
«Va bene, lo faremo di certo: metteremo i nostri compagni Insani al corrente dei rischi che corrono. Ma quale atteggiamento dovremmo adottare nei confronti dei Pazienti? Tolleranza o intolleranza? Sostegno o indifferenza?»
Nessuno rispose d'impulso. Anche chi aveva fatto intendere di rallegrarsi della caduta dei Pazienti non si espresse sull'argomento. Forse, volle convincersi Neil, era il segno che le sue parole non erano state inutili come pensava.
«Io credo che dovremmo prestare soccorso ai Pazienti malati» fece poi Morgane. «La società Paziente non può affrontare casi del genere: loro non hanno nemmeno gli ospedali, ma soltanto i Centri Specializzati che non sono attrezzati per risolvere i problemi legati alla pillola. Noi, invece, abbiamo imparato a cavarcela anche nelle situazioni più difficili. Possiamo aiutarli. Possiamo evitare che muoiano. Possiamo farne dei preziosi alleati.»
«Anch'io credo che una nostra chiusura nei loro confronti sia stupida» disse Carsten. «I Pazienti stanno pian piano tornando vulnerabili: se le cose continueranno così, le differenze tra noi e loro si azzereranno.»
«Certo, e una volta che li avremo aiutati quegli infami ci denunceranno all'Assemblea Purissima» fece Elgha con una smorfia. «Non ci si può fidare dei Pazienti.»
«Non ci si può fidare di nessuno; neanche degli Insani» ribatté Sylvia.
«Ma è molto meno probabile che gli Insani tradiscano. Noi siamo uniti nella disgrazia!»
Sylvia sospirò. «E a breve lo saranno anche i Pazienti.»
Per evitare l'inutile discussione che sembrava volersi accendere tra le due donne, Nusio prese in mano la situazione: analizzò i fatti, espose pro e contro, propose diverse ipotesi. Neil, stordito dal calo dell'adrenalina, lo ascoltò a malapena.
Alla fine la proposta di Morgane venne messa ai voti e venne accolta con solo quattro pareri contrari. Per Neil fu una vittoria a metà, dal sapore dolceamaro: la miccia l'aveva accesa lui, ma era stata la sua rivale a fare tutto il resto.
Quando la riunione giunse al termine, il tavolo del salotto si riempì di bottiglie, bicchieri, ciotole e vassoi di tartine. Indre e Sylvia avevano portato dei piccoli tramezzini fatti in casa, Ghorum aveva stappato una bottiglia del suo vino, Carsten aveva appena aperto due barattoli delle sue marmellate, e non poteva mancare il pane di Arun, sfornato quella mattina, da condividere con tutti.
Ma Neil non aveva molta voglia di godersi quel momento di convivialità. Aveva lo stomaco chiuso e non gli andava di parlare con nessuno. Sentiva solo il bisogno di restare un po' da solo, in tranquillità, anche se con la casa piena di gente sarebbe stato piuttosto difficile. Si rifugiò dunque nell'ingresso, salì a due a due i gradini della scala a chiocciola che portava nella mansarda e sedette sulla cima, stanco, la testa tra le mani.
Restò così per un po', eclissato dal resto del mondo: le voci dal salotto e i tintinnii dei bicchieri gli arrivavano lontani come echi. Poi qualcosa di strano attirò la sua attenzione. Un suono diverso, un bisbiglio. Qualcuno passò davanti all'abat-jour accesa nell'ingresso, sul tavolinetto accanto alla scala, e la sua ombra raggiunse Neil per qualche istante.
«Allora, che cosa volevi dirmi?» gracchiò una voce familiare.
«Io voglio farlo, Arun.»
La seconda voce era poco più che un sussurro e Neil non riuscì a capire a chi appartenesse. Si sporse appena dalla scala, scivolando sui gradini per non far rumore, e intravide la manica di un completo gessato. Viktor.
«Fare cosa?»
«L'esperimento. Lo farò. Voglio vederci chiaro in questa faccenda.»
Arun tacque per un po', o parlò così piano che Neil non lo sentì.
«Potresti cacciarti in un brutto guaio» disse poi.
«È per questo che andrò da solo. Non posso portare Morgane con me. Ma lei non dovrà saperlo: non accetterà mai di essere stata messa da parte, anche se è per la sua sicurezza.»
«Sei proprio certo di quello che fai?»
«Ci penso già da tempo e ormai ho deciso. Mi serve solo un grosso favore, Arun.»
Dal salotto, con un tempismo impeccabile, qualcuno rise così sguaiatamente che Neil non riuscì a cogliere le parole successive. Vide solo la schiena di Viktor coprire di nuovo l'abat-jour e, quando la risata si estinse, udì appena la voce di Arun.
«Puoi contare su di me, lo sai.»
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