3. Gentili telespettatori
Delle voci indistinte risuonarono all'improvviso nel piccolo salotto. Neil sobbalzò, poi si rese conto che provenivano dal vecchio televisore mezzo rotto, che giaceva in cima a un mobiletto dipinto di rosso. Si mosse sul divano e si accorse di essersi seduto sul telecomando, abbandonato tra i cuscini chissà da quanto tempo.
Neil gettò un'occhiata alle immagini: la ricezione era pessima, le figure erano sbiadite e intercettate di continuo da linee fastidiose, ma si riuscivano a distinguere quattro uomini vestiti in maniera elegante che discutevano animatamente tra loro. Le telecamere li inquadravano a turno, soffermandosi sui tratti e sulle espressioni di ognuno.
Neil premette un pulsante del telecomando e cambiò canale. Si imbatté in un noiosissimo programma di moda presentato da una conduttrice dai modi svenevoli, vestita con un abito rosa e bianco pieno di tulle e merletti svolazzanti che la facevano assomigliare a una bomboniera parlante. Storse il naso, disgustato da tutta quella dolcezza soporifera.
Odiava la televisione proprio perché trasmetteva solo programmi inutili e noiosi, o peggio incentrati sull'immancabile pillola. Tutte le reti erano in mano ai Pazienti ormai da tempo e gli Insani erano costretti a sorbirsi quelle manifestazioni di potere e di arroganza anche nei pochi attimi di tempo libero che avevano, quando potevano finalmente rilassarsi sul divano davanti alla tv dopo una pesante giornata di lavoro. Neil e sua madre non l'accendevano quasi mai, sia perché non la sopportavano, sia perché quelle linee onnipresenti e le immagini che danzavano sullo schermo facevano venire il mal di testa.
Mentre la ragazza bomboniera teneva impegnato il suo pubblico nell'ardua decisione tra camicie a pois o a righe, esibendo un largo sorriso macchiato di rossetto, Neil cambiò di nuovo canale. Una donna di mezza età, con un viso innaturalmente bello e giovane, sedeva su una poltroncina azzurra e sfoggiava un'aria da saccente, avvolta in un cappotto bianco. Continuava a passarsi una mano dalle unghie lunghissime tra i ricci tinti di un abominevole arancione, quasi fluorescente. "Dott.ssa S.C." citava un cartellino poggiato sul tavolinetto di vetro davanti alla poltroncina.
La voce del presentatore echeggiò squillante nello studio televisivo. «Adesso diamo la parola alla nostra esperta: la psicologa Susie Common!»
Un tiepido applauso risuonò nella saletta e la donna sorrise compiaciuta.
«È un onore per me partecipare al vostro meraviglioso programma» esordì, fingendo di essere lusingata, «e sono lieta di essere stata invitata a parlare di temi così importanti. Purtroppo il problema dell'Insanità è ancora troppo radicato nel mondo, e suppongo che ognuno di noi conosca di persona almeno una quindicina di Insani. Tuttavia – mi rivolgo ai telespettatori Pazienti –, non siate troppo duri con loro: l'Insanità è una condizione spesso difficile da affrontare.»
Neil aguzzò le orecchie; non voleva crederci, ma forse quella psicologa aveva da dire qualcosa di positivo su quelli come lui.
«Gli Insani» continuò la dottoressa, «sono individui profondamente problematici e insicuri. Hanno evidenti difficoltà nel rapportarsi con il mondo esterno, dal momento in cui molte delle persone con cui ogni giorno devono avere a che fare sono Pazienti, e sappiamo che un Insano non ha alcuna speranza di confrontarsi alla pari con uno di noi. Ciò che noi Pazienti sbagliamo è il modo di relazionarci con loro: vanno aiutati, non aggrediti o derisi più di quanto li scherniscano già il mondo e la natura.»
«Può spiegarci meglio, dottoressa Common?» sorrise il presentatore.
«Ma certo. Gli Insani si oppongono alla pillola, ma pochi lo fanno perché ne sono davvero convinti: quasi tutti la rifiutano per sentirsi trasgressivi, rivoluzionari, o perché nei loro cervelli vengono inculcate delle idee sbagliate, delle convinzioni del tutto infondate. Gli Insani non sono pericolosi: sono solo ignoranti. E l'ignoranza non è una malattia incurabile, non è un morbo sconosciuto: basta un po' di pazienza, ma soprattutto tanta disponibilità a mettersi in gioco da entrambe le parti.»
«Quindi che cosa possiamo fare noi, nel concreto, per arginare l'Insanità?»
Attraverso la telecamera, la Common guardò dritto negli occhi di Neil. «Parlo con voi, gentili telespettatori. Se siete Pazienti abbiate pietà, abbiate compassione degli incoscienti che vi circondano, perdonate la loro ignoranza e provate a compiere un piccolo gesto per salvarli dalla loro cecità; se siete Insani, invece, provate a indossare i nostri panni. Provate a immaginare che cosa significa cercare di costruire un mondo migliore ed essere costantemente ostacolati da chi, come voi, si oppone al cambiamento. Provate a mettere in dubbio le vostre convinzioni e a rendervi conto di quanto siano instabili. Ricordate, si può sempre cambiare idea: ma se, da una parte, voi Insani non accettate il nostro modo di essere, noi Pazienti siamo e saremo sempre bendisposti verso di voi, se doveste decidere di abbandonare la vostra chiusura mentale. Io sono una semplice psicologa, ma donerò il mio tempo e i miei studi a chiunque desideri un parere, e sarò lieta di accompagnare Insani pentiti lungo un percorso sano e positivo.»
Neil reagì all'applauso del pubblico con uno spasmo di nervosismo. Ovviamente, si era sbagliato: nessun Paziente avrebbe mai potuto rispettare gli Insani, meno che mai in televisione o in qualsiasi altra forma pubblica. Secondo la dottoressa, Sara Common o come diavolo si chiamava, gli Insani erano i vili usurpatori che ostacolavano la nobile opera dei Pazienti, esseri pacifici e comprensivi. Eppure, nella realtà era l'esatto opposto: erano gli Insani a essere vittime del mondo marcio dei Pazienti. Questo Neil lo sperimentava ogni giorno sulla sua stessa pelle.
Il ragazzo osservò la donna nello schermo. Continuava a sorridere con aria da snob, un accenno di modestia palesemente forzata sul viso, e scuoteva la testa, su cui i capelli arancioni spiccavano in maniera innaturale. Sembrava una caricatura, stretta in quel cappotto candido davanti a migliaia di telespettatori bramosi delle sue idiozie.
Era una deficiente, tutto qua. Una psicologa a cui serviva uno psicologo.
«Interrompiamo la nostra trasmissione» disse a un certo punto il presentatore, «per dare spazio al telegiornale delle quindici. Non cambiate canale: restate con noi per guardare la replica di questa puntata! Vi aspettiamo tra un'ora!»
Una sigla abominevole accompagnò la chiusura del programma, cui fecero seguito i titoli del notiziario a caratteri cubitali.
Neil cercò il telecomando per spegnere quell'aggeggio infernale. Ne aveva abbastanza. Non aveva mai sopportato la televisione; figurarsi se aveva voglia di guardare daccapo quella trasmissione squallida e di riascoltare il discorso di quell'idiota della Common. Il telecomando sembrava sparito nel nulla e Neil imprecò quando si accorse di averlo mandato sotto al divano con un calcio. Si chinò per recuperarlo; nello stesso momento, una ragazza bellissima comparve nello schermo. Aveva morbidi capelli corvini che le ricadevano sulle spalle e una giacca nera molto elegante – niente a che vedere con l'abito di tulle e merletti della presentatrice bomboniera.
«Buon pomeriggio, gentili telespettatori, e benvenuti all'edizione delle quindici del nostro notiziario» disse in tono meticoloso. Anche la sua voce sembrava perfetta, distaccata e adeguata al contesto ma allo stesso tempo intrigante e coinvolgente al punto giusto.
«Una manifestazione Insana questa mattina ha bloccato le strade di molte città, interrompendo tutte le attività. Ci colleghiamo con il nostro inviato» annunciò la giornalista dando la parola a un suo collega, un giovane con un lungo impermeabile blu che descrisse gli avvenimenti del mattino con voce atona e priva di qualsiasi espressione.
Neil lo ascoltò, curioso. I manifestanti avevano protestato contro la pillola, che li differenziava dal resto del mondo e che portava discordia ed emarginazione, oltre al benessere che invece donava ai Pazienti. Sullo schermo vennero proiettate le immagini di una folla che urlava esaltata, brandendo striscioni, cartelloni e megafoni. Gli slogan sui manifesti gridavano frasi di speranza, ma anche parole minacciose e intimidatorie; com'era da prevedere, le telecamere inquadrarono quasi esclusivamente le minacce più ottuse, lasciando ben poco spazio alle frasi più sensate.
L'inviato intervistò brevemente un paio di Pazienti: una ragazza bellissima sulla trentina e un signore distinto stretto in un completo gessato. Entrambi si lamentavano della stoltezza degli Insani, che scioperando riuscivano a ottenere soltanto caos e delirio, e li accusavano di aver rovinato la loro giornata di lavoro, causando ingorghi nel traffico.
Il tono dei Pazienti non era irritato, ma solo deluso, fastidiosamente pietoso. Neil era abituato a quel genere di contatto coi Pazienti: quando si rivolgevano a quelli come lui, lo facevano trattandoli come bambini sciocchi e viziati, comportandosi come dei padri con i figli capricciosi. Era piuttosto snervante, a dirla tutta, ma ormai lui non ci faceva neanche più caso.
Una volta che i due Pazienti ebbero finito di parlare, l'inviato fece qualche domanda ad alcuni manifestanti: una donna orrenda dalle labbra sottilissime, un tizio grasso, calvo e baffuto, un paio di ragazzini dall'aria distratta e una vecchia putrida e rugosa. Neil ascoltò sbigottito le parole dei cinque Insani che si esponevano a turno, la mano che reggeva il telecomando sospesa a mezz'aria. Nessuno di loro sembrava avere l'aria più intelligente di un cetriolo e i loro interventi erano incompleti e privi di senso. All'ultima domanda del giornalista, che chiedeva loro quale fosse il motivo per cui non volevano prendere la pillola, risposero incerti, senza pensare.
«Non mi fido della scienza» dichiarò la signora dalle labbra sottili.
«Nella nostra famiglia abbiamo sempre fatto così» dissero i due ragazzini.
«La pillola dà uguaglianza, e non è giusto paragonare alcune persone ad altre» fece l'uomo grasso.
«Non credo nella pillola perché è sbagliato, punto e basta. Sono tutte baggianate! Quando ero piccola io, senza pillola, un sacco di gente campava lo stesso» esclamò la vecchia.
L'inviato passò la linea alla bella giornalista, che annunciò il ritiro dal mercato di numerosi farmaci per la nausea e per il mal di testa, ritenuti pericolosi da un'equipe di ricercatori e per questo considerati illegali.
Neil spense il televisore, indignato. Non riusciva ad ascoltare una parola di più.
Le persone come lui non avevano una vita facile, sempre impegnate a difendersi e a giustificare tutte le loro azioni. La solidarietà tra Insani era fondamentale per non crollare, perciò constatare come molti di loro ostentassero un'ottusità e una chiusura mentale d'altri tempi era piuttosto deludente.
Neil era sempre più sconcertato. Le proteste degli Insani non l'avevano mai interessato più di tanto: i Pazienti li consideravano esseri inutili, persone la cui presenza o assenza era irrilevante; non era di certo scioperando che si sarebbero fatti notare. Anzi, quelle manifestazioni servivano solo a etichettarli come dei miserabili falliti, gente dalla mente rigida e chiusa che ancora non accettava i cambiamenti del mondo, persone del tutto svitate e mosse da ideali che nemmeno capivano, come mostravano i cinque Insani intervistati dall'inviato del telegiornale.
Quando la pillola era stata lanciata sul mercato, poco più di cinquant'anni prima, c'erano state molte manifestazioni, e alcune di queste erano entrate nella storia. Erano cose che si studiavano a scuola: nonostante le proteste si fossero trasformate in autentiche carneficine, nessuno era mai riuscito a bloccare i Pazienti, né tantomeno a rallentare la crescita sempre più vertiginosa di quel farmaco miracoloso. Nessuno sciopero era mai servito davvero, nessuna manifestazione Insana si era mai rivelata efficace. Quello era il tempo dei Pazienti, e niente avrebbe potuto sradicarli dalle loro convinzioni.
«Gli Insani non sono pericolosi» aveva detto la Common, «sono solo ignoranti». Ed era vero. Una gran parte degli Insani era davvero ignorante; il resto era disunito, ognuno la pensava in maniera diversa dagli altri. C'era chi rifiutava la pillola perché gli era stato insegnato così, perché era cresciuto con quelle idee ed era convinto che non ci fossero alternative; i più benestanti ritenevano che fosse un disonore essere paragonati a gente comune come operai, manovali, impiegati, spazzini e contadini, e non accettavano che tutti potessero avere le stesse opportunità e gli stessi diritti; i più anziani opponevano una naturale resistenza al corso degli eventi. E un altro filone di Insani sposava l'idea che la pillola dovesse essere distribuita solo a chi lo meritava davvero: chi si era sempre comportato bene, aveva sempre pagato le tasse e aveva una fedina penale perfettamente pulita.
Quanto a Neil, per lui le cose stavano in modo ancora diverso. Semplicemente, lui non voleva dipendere da una pillola, non voleva che la sua natura venisse edulcorata, non voleva mutare il suo corpo e il suo spirito, seppur odiasse quasi tutto di sé. La società Paziente, così perfetta e senza ombre, lo inquietava.
«Quella gente non ha più una personalità» gli diceva spesso Anandria, che la pensava come lui. Era vero. I Pazienti erano riusciti ad azzerare ogni distanza – sociale, fisica o morale che fosse. E adesso erano tutti uguali.
Anandria. Chissà come stava.
Neil gettò uno sguardo all'orologio appeso alla parete. Non erano neanche le tre e mezza e già non ne poteva più di quella giornata. Si spostò in cucina, sollevò la cornetta del telefono e compose il numero dell'amica.
«Pronto?»
Neil esitò. Non si aspettava che Anandria fosse in casa e che gli rispondesse.
«Pronto, chi è?»
«Anna?»
«Neil?»
Neil sorrise. «Sì! Che ci fai a casa?»
«E tu perché hai chiamato?» lo prese in giro lei. «Comunque c'è stato un guasto a un impianto e il ristorante stasera resterà chiuso. Mi hanno appena mandato via. Ti avrei chiamato tra poco.»
«Ottimo. Ti va di uscire?»
Anandria tacque per un paio di secondi. «Mmh, sì, ma prima delle sei e mezza non ce la faccio. Vorrei sistemare un po' di faccende a casa.»
«Vada per le sei e mezza. A tra poco!»
«A dopo» lo salutò lei.
Neil riagganciò, alleggerito. Era da tanto, troppo tempo che non vedeva la sua migliore amica. Corse in camera, euforico, e si affacciò alla finestra in attesa che l'ora dell'appuntamento arrivasse. Fuori impazzava il solito caos di automobili, fumo e persone affaccendate sotto al cielo grigio che minacciava di piovere.
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