29. Sulla paura, sull'amore
Le palpebre di Neil si chiusero per qualche secondo. Arun gli aveva concesso una pausa, il tempo di impastare il pane, e lui era quasi sul punto di addormentarsi sulle pagine giallastre di un volume polveroso.
Un guizzo grigio lo fece ridestare. Il gatto gli era saltato in grembo e ora gli stava facendo le fusa, acciambellato sulle sue gambe. Neil lo accarezzò, distratto, e si ritrovò a pensare a quando aveva chiesto ad Arun come si chiamasse: il vecchio non si era preso la briga di dargli un nome per non privarlo della sua libertà felina.
Lui però non era molto d'accordo. Per lui un nome aveva una certa importanza: era un modo per racchiudere la natura di ciò a cui era attribuito, era un modo per riconoscerne l'individualità e trattenere le sensazioni che il suo portatore era capace di dare.
Lui stesso aveva sempre sofferto non solo l'assenza di suo padre, ma anche la mancanza di un nome a cui rivolgere i pensieri, a cui scrivere una lettera che non avrebbe mai spedito.
Eppure, quel nome aspettava di venir letto ormai da tre mesi, ma Neil non ne aveva ancora avuto il coraggio.
Tirò fuori il bigliettino dalla tasca. Lo teneva sempre con sé, era diventata un'abitudine. Lo appoggiò sul libro che stava leggendo e lo fissò per almeno due minuti. Era così assorto che non sentì i passi strascicati di Arun sulle scale e sobbalzò quando il vecchio tossì a due metri da lui.
«Cosa diamine stai facendo?» domandò Arun.
Neil sollevò appena il biglietto. «Qui c'è scritto il nome di mio padre» rivelò. «Me l'ha lasciato mia madre, ma non l'ho ancora aperto.»
Il vecchio gli rivolse un'occhiata addolcita. «Vuoi che ti lasci da solo per poterlo leggere?»
«In realtà... in realtà io non voglio leggerlo.»
Lo disse senza pensarci, ma si rese conto che era esattamente quello che voleva. Restare nel limbo, restare il figlio di una madre sola che, per compensare, l'aveva amato il doppio.
«Ne sei sicuro?»
«Credo di sì. Non ho mai avuto un padre. Non mi ha mai voluto, non mi ha mai cercato. Non mi interessa sapere chi è.»
Sollevò il biglietto con cautela, come se potesse scoppiare da un momento all'altro, e lo porse ad Arun. «Vorrei che lo gettassi via.»
«Potresti pentirtene.»
«Lo so. Ma non ho bisogno di lui. Mia madre valeva per due.»
Il vecchio sorrise. «Sarebbe stata felice di sentirtelo dire. Ma sei sicuro di non voler dare a tuo padre nessuna possibilità? Magari in fondo lui vorrebbe vederti.»
«Ha avuto vent'anni per farlo. E poi cosa potremmo mai dirci? Siamo due perfetti estranei. Lui potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere un Paziente, e odiarmi. Potrebbe essere morto. Anzi, so che è così. Mio padre è morto.»
Mentre scandiva quelle ultime parole, Neil ne prese consapevolezza. Se lo sentiva nelle ossa, nel sangue, nel cuore. Rabbrividì e cercò di non pensarci.
Arun sospirò. «Beh, non aspettarti che ti dica qual è la cosa giusta da fare, perché non c'è nessuna cosa giusta, in questi casi. L'unica cosa giusta è quello che vuoi tu.» Si sporse in avanti e strappò il bigliettino dalle mani di Neil. «Più tardi lo getterò nel camino.»
Lui gli sorrise. «Mi basta che lo fai sparire, non c'è bisogno di bruciarlo. Io non ne ho il coraggio.»
«Va bene, come preferisci.»
Il vecchio si lasciò cadere sulla sedia che giaceva davanti a quella di Neil.
«Allora» fece, cambiando del tutto discorso, «come procede lo studio?»
«Non ci capisco niente» ammise il ragazzo. «Questo libro è impossibile, non riesco neanche a leggere cosa c'è scritto: i caratteri sono minuscoli!»
«Per quello posso aiutarti io.»
Neil alzò le spalle, incerto. Il suo unico compito all'interno della Resistenza era quello di studiare come un forsennato e cercare di portare le sue conoscenze a un livello dignitoso, non troppo lontano da quello degli altri sedici membri del Ponte di Nessuno. Ma se all'inizio ne era stato felice, ora la stanchezza aveva iniziato a prendere il sopravvento sulla sua mente confusa dalla marea di informazioni che si accumulavano e continuavano a sovrapporsi senza una logica.
Nel giorno della riunione, ormai quasi due settimane prima, i diciassette compagni avevano parlato a lungo, tutti, serenamente: persino Elgha, che si era mostrata la più indisponente del gruppo, era riuscita a esprimere la sua opinione senza più comportarsi in maniera aggressiva.
Dopo attente valutazioni il Ponte di Nessuno aveva deciso di non spingersi all'estremismo e di mantenere una linea pacifica, limitandosi alla ricerca e a innocue indagini.
«Ci sono tante cose che dobbiamo capire, prima di poter compiere qualsiasi azione» aveva spiegato Nusio. «Dovremmo stilare una mappa delle radiazioni, tanto per cominciare, per individuare i posti più sicuri e quelli da evitare. Dovremmo cominciare ad allertare gli Insani e a ingaggiare qualche nuovo elemento. E poi dovremmo compiere qualche esperimento su delerio, subdio e canonio. Ma ora che i Pazienti sono al massimo del loro potere, non possiamo permetterci di dare nell'occhio. Dovremo andarci cauti.»
Tutti i presenti si erano dimostrati d'accordo, a eccezione di Frank e Theo. I due omoni sembravano più inclini alla violenza che alla diplomazia, ma alla fine si erano adeguati senza protestare alla decisione della maggioranza.
Poi Ghorum aveva assegnato un compito a ciascun membro del Ponte di Nessuno, in base alle conoscenze e alle inclinazioni di ognuno. Si trattava per lo più di incarichi poco rischiosi ma che avrebbero potuto suscitare l'interesse della polizia, per cui bisognava usare una certa discrezione, evitare di farsi notare e di mettersi nei guai.
L'unica che aveva avuto da ridire sulla propria mansione – setacciare i giornali e i mezzi di comunicazione – era stata Elgha.
«Non penso proprio che le notizie di nostro interesse vengano scritte sui giornali!» aveva protestato.
«Bene, vuol dire che Elgha non ci sarà utile» aveva concluso Ghorum senza degnarla di uno sguardo, e lei si era vista moralmente costretta ad accettare il suo compito, per dimostrare ai suoi compagni il suo interesse per la Resistenza.
Neil e Morgane, come membri più giovani del gruppo, non avevano ricevuto alcun incarico se non quello di continuare a studiare. Morgane aveva protestato a lungo con lo zio, mentre per Neil quella notizia era stata un gran sollievo. Sapeva di avere ancora molto da imparare, sapeva di non essere all'altezza degli altri, e qualcosa in lui esultava al pensiero che anche quell'insopportabile saccente era stata ritenuta al suo stesso livello.
Nusio aveva raccomandato a tutti di evitare di frequentare luoghi affollati e centrali, sia per non dare troppo nell'occhio sia per limitare l'esposizione alle radiazioni, meno diffuse laddove la gente metteva piede di rado. Mai come in quel momento, Neil era felice di vivere in una casa sperduta in mezzo ai boschi e di respirare aria pulita ogni giorno.
«Allora, che cos'è che non capisci?»
La voce roca di Arun lo riscosse dai suoi pensieri. Neil scorse rapido la pagina del grosso tomo che aveva davanti e poggiò un dito in un punto. «Qui, per esempio. Questa parte parla dell'origine della pillola, di come è stata creata e del perché... solo che è scritto in maniera arcaica, sembra un dialetto preistorico!»
Il vecchio si sporse sulla scrivania e strizzò gli occhi per leggere quelle microscopiche parole. «È un libro molto vecchio, questo» osservò.
«L'avevo notato.»
«Ma non è troppo difficile. Vedi, Neil, la nascita della pillola è qualcosa di profondamente incerto. Ci sono diverse teorie: alcuni pensano che i suoi elementi si siano sviluppati in seguito a una reazione imprevista di qualche strano e ignoto esperimento scientifico; altri credono che sia stata importata nel mondo da chissà dove; altri ancora pensano che la pillola sia stata creata da persone che non avevano idea di ciò a cui il loro studio avrebbe portato. Personalmente, ritengo verosimile quest'ultima ipotesi.»
«Cioè?»
«Ragiona, ragazzo mio. La pillola è apparsa di recente: è passato poco meno di un secolo, e queste sono cose che si insegnano anche a scuola. A quell'epoca tutto era diverso, v'era tanta ignoranza e la gente campava di stenti e fatica. Allo stesso tempo, però, la scienza cominciava a conoscere le sue prime svolte fondamentali: alcune persone, che magari avevano forti ambizioni o semplicemente del denaro da spendere, cominciarono a effettuare delle ricerche e degli studi approfonditi che diedero vita a quella disciplina che si può tranquillamente definire la precorritrice della medicina di oggi.»
Arun si interruppe per qualche secondo, schiarendosi la voce con un colpetto di tosse.
«Una volta che i rimedi naturali erano stati sostituiti quasi del tutto da farmaci di nuova produzione» continuò, «queste persone si posero nuovi obiettivi da raggiungere. Quando si accorsero che, insieme alla medicina, si erano sviluppate anche le malattie, il loro nuovo scopo fu presto chiaro: trovare una cura imbattibile, una soluzione potentissima e senza precedenti.»
«La pillola?»
«O qualcosa di simile, sì. Il punto è che queste persone, coloro che ai loro tempi rappresentavano il potere, erano prima di tutto uomini. Uomini come tutti: frustrati, incontentabili, vigliacchi e irresponsabili. Non agivano per migliorare la realtà in cui vivevano, ma per mascherarla, per trasformarla in qualcosa di meno crudo e impietoso dove poter vivere nelle illusioni. Nelle loro condizioni, probabilmente nemmeno persone come me e te avrebbero reagito in maniera diversa.»
Arun tacque per qualche istante.
«Sai qual è la cosa che fa fare più sciocchezze agli uomini?» chiese poi.
«No.»
«La paura, Neil. La paura. Ci rende degli inetti, degli idioti senza cervello che sprofondano nel panico senza riuscire a riemergerne. Gli uomini hanno paura di tutto, ragazzo mio: hanno paura della morte, ma prima ancora hanno paura della vita. Hanno paura di ciò che non hanno mai provato, temono i cambiamenti e le novità. Tremano come foglie davanti all'idea che prima o poi tutto ciò che hanno svanirà, tutto ciò che sono diverrà cenere. Hanno paura dell'ignoto, di quello che non conoscono ma che inevitabilmente li attende ogni giorno. Temono il buio perché li rende ciechi, temono il silenzio perché li rende sordi, temono la solitudine perché li rende muti. In poche parole, hanno paura di tutto ciò che minaccia la loro subdola onnipotenza.»
Neil annuì col capo, mentre il vecchio riprendeva fiato.
«Adesso, che cosa annienta il potere degli uomini e li spazza via dal loro trono di grandezza? La morte, ragazzo. La morte scombussola i piani dell'uomo. Se potessimo, decideremmo di vivere per sempre senza nemmeno pensare alle conseguenze di questa scelta. Se potessimo, venderemmo l'anima pur di sconfiggere questa nemica che detestiamo soltanto perché non vogliamo ammettere di temerla. Siamo stati capaci di sostituire la paura della morte con un folle desiderio di eternità, e questo significa che non siamo disposti a morire. Non siamo disposti ad accettare che tutto è destinato a finire, non siamo capaci di guardare oltre ciò che conosciamo. È da questo nostro enorme limite che, a mio parere, è nata l'idea della pillola: qualcosa che garantisse la bellezza, la felicità, l'etereo benessere, qualcosa che ci assicurasse ciò di cui avevamo bisogno: l'eternità, la lontananza da ogni paura. La pillola è nata per sconfiggere la morte, Neil.»
Il ragazzo tacque per qualche secondo.
«Quindi chi è stato, alla fine, a creare la pillola?» domandò poi.
«Non c'è un colpevole. La pillola è stata creata a fin di bene, senz'altro; solo che, man mano che il tempo passava, non ci siamo resi conto di quanto in realtà si sia rivelata niente più che una rischiosa illusione. Non ci siamo accorti della sua potenziale pericolosità e ne siamo diventati schiavi.»
«Allora noi contro chi lottiamo?»
«Contro tutto questo. Contro ciò che nasconde la realtà e che ci impedisce di viverla nella sua imprevedibile autenticità. Qui non c'è un cattivo da combattere: il nostro nemico è il sistema che noi stessi abbiamo costruito, e che molti sprovveduti inconsapevoli della propria ignoranza si ostinano a difendere.»
Neil prese il grosso libro tra le mani e sfogliò un paio di pagine. Non sapeva cosa pensare al riguardo, anche se doveva ammettere che le parole di Arun erano molto più interessanti e comprensibili dei discorsi contorti che aveva letto lì sopra. Saltò senza pietà i quattro capitoli successivi, che parlavano ancora della storia della pillola, e passò alla parte centrale, dove si elencavano alcune delle sue caratteristiche originarie.
«Questo libro tratta la storia e lo sviluppo della pillola» intervenne Arun, scorrendo le pagine che Neil voltava. «È senz'altro una materia interessante, ma ai fini della tua preparazione non è indispensabile. Ciò che sai sulle origini della pillola basta e avanza, e se vuoi puoi passare al prossimo libro.»
Neil accolse il suggerimento con gioia. Aveva sempre odiato la storia: non riusciva mai a ricordarsi nulla di quello che leggeva, le date e le informazioni gli passavano di mente e si mescolavano in una gran confusione di epoche e culture diverse. Si alzò stancamente, ripose il vecchio volume in uno scaffale in alto e ne prese uno di dimensioni assai più ridotte. Non aveva voglia di impegnarsi troppo, quel pomeriggio.
Come molti dei libri di Arun, anche questo non aveva alcun titolo; o meglio, forse una volta ne aveva avuto uno, ma era stato brutalmente cancellato dal tempo e dall'usura. Una rapida occhiata alle sue pagine, tuttavia, bastò per far capire a Neil che il testo parlava della società Paziente. I caratteri erano di una dimensione quasi sopportabile e il linguaggio sembrava meno arcaico rispetto al libro precedente.
«Ah, questo lo conosco a memoria» ridacchiò Arun.
Neil scorse qualche riga di una pagina aperta a caso.
«"La forza dei Pazienti» lesse ad alta voce, «risiede nella loro unione. Il loro potere deriva esclusivamente dalla loro uniformità e dai loro ideali, che restano invariati per ogni singolo Paziente. A differenza di ciò che si possa pensare, dunque, l'arma vincente di coloro che fanno uso della pillola non è il benessere, bensì l'omogeneità". Quindi il potere dei Pazienti non deriva dalla loro felicità?»
«Il benessere è un ottimo mezzo, senza dubbio, ma non è la motivazione principale della loro forza. A differenza degli Insani, che hanno punti di vista e idee diverse, i Pazienti la pensano allo stesso modo e ragionano come una persona sola. È questo il loro punto di forza, in realtà; è questo che li rende così potenti e invincibili. Un gruppo di Insani è formato da mentalità diverse, da storie differenti, mentre un gruppo di Pazienti può contare nella stessa misura sui propri componenti. Non è il benessere che li rende così sicuri, ma la loro unione.»
Neil sfogliò ancora il libro. Contava diversi capitoli che trattavano ognuno una caratteristica diversa dei Pazienti: abitudini, stile di vita, emozioni, sensazioni, ideali... Era difficile immaginare che esistessero così tante cose da conoscere dei Pazienti, che esaminati in tal modo sembravano quasi una strana razza di piante rare.
Lui odiava tutte quelle classificazioni, odiava che una categoria di esseri umani venisse considerata un oggetto di studio. I Pazienti erano persone come lui che avevano seguito una strada diversa e non era giusto parlarne come se fossero oggetti senza significato. Come aveva detto Arun, i nemici degli Insani non erano loro, ma il sistema malsano che reggeva le basi di quella folle realtà, e l'ultima cosa che Neil voleva era che gli Insani giocassero sporco, assumendo gli stessi comportamenti che criticavano nei Pazienti.
Voltò pigramente alcune pagine finché non si ritrovò davanti al dodicesimo capitolo, che aveva come titolo Sull'amore. Con un tuffo al cuore gli venne in mente il bellimbusto che aveva incontrato in compagnia di Anandria l'ultima volta che l'aveva vista. Era stato solo un paio di settimane prima, ma a Neil sembrava che fosse passato un secolo.
Chissà come era andata a finire tra loro...
«Esiste l'amore tra i Pazienti?» chiese ad Arun.
Lui rifletté un momento. «Non lo so. Credo che la loro sia semplice attrazione e basta. Si accoppiano a caso, l'importante è procreare.»
«Però dicono di essere innamorati.»
«Neil, anche tu dici di non vedere nulla al buio, ma non sai che cosa significa essere cieco. L'attrazione, il desiderio che lega due Pazienti tra loro è ciò che di più simile all'amore essi possono provare, perciò non c'è da stupirsi che si definiscano innamorati l'uno dell'altra. Comunque sia, né io né tu abbiamo mai preso la pillola: non possiamo giudicare una condizione che non abbiamo mai vissuto.»
Neil tacque. Arun aveva ragione: chi erano loro per giudicare? Lui, poi, neanche sapeva che cosa significasse essere innamorato!
Provò a ricordare una volta in cui aveva sentito il cuore battere forte per qualcuno, ma i risultati furono alquanto deludenti.
Che cos'era in fondo, l'amore? I capelli biondi di Anandria che per anni gli avevano sfiorato il viso? Le mani di Arun che impastavano il pane? Le fusa del gattone grigio che gli era rimasto acciambellato sulle gambe per tutto quel tempo?
L'ultimo abbraccio di sua madre, o la sua sciarpa nera sepolta nel cassetto del comò?
«Sono stanco, continuo domani» annunciò Neil, distogliendosi dai suoi pensieri e richiudendo il libro con un colpo secco.
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