28. La pillola numero centocinquantuno



Quella notte, il signor J. pensava.

Pensava alla bellezza di vivere che da poco aveva scoperto. Toccò con delicatezza una spalla candida di Jamie, che dormiva tranquilla accanto a lui, e sorrise felice. L'amava, la desiderava.

L'orologio segnava le due, ma il signor J. non riusciva ad addormentarsi; una cosa che non gli accadeva da quando era ancora uno stupido Insano. Era strano, in effetti.

Quella mattina aveva preso la sua pillola numero centocinquantuno, la prima della quarta confezione della sua vita. Solo pochi mesi e tutto era cambiato. Pochi mesi di felicità, una vita intera di freddo dolore. Una vita fatta solo di inverni.

Si strinse a Jamie, stando attento a non farla svegliare, e le carezzò i capelli. Era inutile preoccuparsi e perdersi nei ricordi. Non era più solo, adesso: aveva un bel lavoro, i suoi ragazzi lo adoravano, aveva molti amici con cui stava bene, e poi aveva lei.

Jamie era perfetta: era la donna che aveva sempre desiderato e che mai avrebbe potuto abbandonare, era la donna con cui voleva condividere il resto della sua vita. Era lei che voleva al suo fianco, era lei che bramava, era da lei che desiderava un figlio. Soltanto da lei.

Si rasserenò col tocco dei suoi capelli tra le dita e riuscì finalmente a prendere sonno, scacciando via ogni pensiero.

L'alba arrivò presto, più rossa che mai. Il signor J. si svegliò da solo nel grande letto a baldacchino.

Toccò la parte del materasso in cui dormiva Jamie. Era fredda.

Sorpreso, si mise a sedere e strizzò lo sguardo, cercando segni di lei nella stanza. La porta socchiusa lasciava penetrare una sottile striscia luminosa.

Il signor J. si alzò assonnato dal letto e si trascinò fuori dalla camera. Quando uscì nel corridoio, la luce dei lampadari lo investì bruscamente e lui dovette coprirsi con le mani gli occhi che lacrimavano.

La porta del suo vecchio studio era spalancata: sparso a terra, un tappeto di fogli e vestiti. Jamie era lì e gli dava le spalle, intenta a piegare quel maglione di un rosso intenso che le stava così bene.

Il signor J. sorrise e la raggiunse.

«Buongiorno, tesoro!» le disse, ma lei non rispose.

Lui le si avvicinò di più e notò che Jamie, man mano che piegava i vestiti, li infilava in grosse valigie straripanti. Sul suo bel viso spuntava un'espressione stizzita.

«Jamie...»

Lei finse di non sentirlo.

«Jamie, che cos'hai?»

Lui le posò le mani sulle spalle e la scosse appena.

«Voglio andarmene.»

Il signor J. la guardò, incredulo. «Cosa?»

«Hai capito benissimo. Vado via.»

Il silenzio era nero e doloroso.

«Che stai dicendo?» fece poi il signor J.

«Non voglio più vederti.»

«Perché?»

«Perché amo un altro, va bene?» sbottò Jamie. «Perché amo un uomo che mi capisce davvero, amo un uomo che sa sempre cosa fare e che non sbaglia mai. E lui è molto più bello e attraente di te!»

Quelle parole lo schiacciarono come si schiaccia un minuscolo, disgustoso insetto. Il signor J. si immobilizzò, mentre Jamie si voltava verso di lui, lo sguardo di fuoco e le pupille rosse come il sangue. Fiamme glaciali presero a scaturire dalle sue braccia, circondando ogni cosa: i vestiti, le carte, le valigie, i mobili e il corpo sottile di lei, che sembrava nutrirsi di quel fuoco innaturale.

«Mi fai schifo! Sei soltanto un fallito, un inetto, una persona inutile! C'è qualcuno che ti ha mai amato nella tua misera esistenza? C'è qualcuno che tiene così tanto a te da mettere in gioco la sua vita? No! Hai fatto fuggire tutti! Che cosa credi di fare, adesso? È troppo tardi!»

Dalle labbra di Jamie eruppe, come lava da un vulcano, una risata demoniaca e crudele.

«Credevi di trovare la libertà, non è vero? Credevi di riuscire a seppellire la realtà costruendotene una tutta tua? Ma sei soltanto un codardo! La libertà non esiste! È solo una maledetta illusione, lo capisci o no?»

Il signor J. indietreggiò, inorridito. Si voltò di scatto, afferrò la maniglia della porta e fece per abbassarla, ma si irrigidì dal terrore quando il metallo si fuse sotto le sue dita. Il legno verde della porta scomparve all'improvviso, risucchiato dalla voragine che si stava aprendo nel pavimento, e lasciò il posto al freddo dell'intonaco.

Il signor J. urlò, mentre il fuoco si propagava e la risata di Jamie continuava a risuonargli malvagia nelle orecchie. Lei lo guardò ancora una volta e i suoi occhi di fiamma lo paralizzarono.

Il vortice nero sotto di lui si espandeva a vista d'occhio e presto il corpo del signor J. ne venne risucchiato. Mentre precipitava in quel baratro senza fondo, le parole della donna che aveva amato gli pulsarono spietate nei timpani, amplificate dal terrore e dall'oscurità.

«Sei un codardo! Un codardo! La libertà non esiste!»

Il signor J. si svegliò di scatto. Ansimava ed era sudato come dopo una corsa folle contro il tempo. Tremando, si mise a sedere e cercò di calmare il battito del cuore che sembrava volergli esplodere in petto.

Accanto a lui, Jamie dormiva serena e bellissima come sempre.

Era stato solo un sogno.

L'uomo scattò in piedi e corse in bagno. Ficcò la testa sotto al lavandino e lasciò che l'acqua gli lavasse via l'inquietudine, scorrendogli gelida sulla pelle. Non gli era mai accaduta una cosa del genere, nella sua vita da Paziente. Non sarebbe dovuta accadere.

Si portò le mani alle tempie e le strinse attorno alla testa, che bruciava come se fosse ancora avvolta nelle fiamme del suo incubo. Qualcosa di estraneo gli opprimeva la mente, qualcosa che gli ostacolava i pensieri: una forza immensa e cupa che aveva l'odore delle cose dimenticate.

Si sentiva male.

Spostò la visuale sul vetro dello specchio, montato con cura sopra al lavandino, e inorridì quando il suo riflesso appannato gli restituì lo sguardo.

Era un uomo di mezza età, coi capelli ingrigiti e qualche ruga di troppo. Era un uomo col volto segnato dal tempo e dalla barba sfatta del mattino, una persona come tante altre. Era un uomo piccolo, troppo piccolo e insignificante per affrontare quel mondo così grande.

Come aveva fatto a vedersi speciale? Come aveva fatto a scorgere della bellezza in sé?

La testa gli girò e prese a bruciargli in maniera insopportabile. A un tratto gli sembrava di essere tornato a cinque mesi prima, quando ancora il mondo aveva i suoi colori più scuri, i suoi odori più forti e i suoi rumori più raccapriccianti. Gli sembrava di essere tornato lì, prima della pillola e all'origine di ogni cosa, quando ancora trovava una consolazione nelle sue vecchie tele.

Le sue tele! Ma certo!

Quante volte, da Insano, era riuscito a tirarsi su dipingendo o anche solo osservando le sue opere? Solo così poteva placare il fuoco che gli incendiava la mente. Avrebbe funzionato anche stavolta!

Dov'era che le aveva messe?

Ricordò le sue braccia cariche di sprazzi di pittura, il buio umido di uno scantinato e una porta che si richiudeva alle sue spalle.

In preda a un'ansia inspiegabile, si trascinò disperato al piano di sotto. Infilò la chiave nella toppa con mani tremanti, girò un paio di volte e si tuffò nella tetra oscurità di quella vecchia cantina impregnata di muffa. Accese una lampadina appannata e si gettò sul fagotto confuso coperto da un lenzuolo strappato che giaceva inerme sul pavimento di piastrelle grigie.

Scostò via il lenzuolo e sfiorò il suo passato sepolto tra quei brandelli di stoffa. Voltò quelle tele che un tempo erano state le sue uniche vere amiche, ma quando i loro colori vennero alla luce il signor J. impallidì.

Sprazzi di dolore, schizzi di follia, macchie scure di terrore.

Il rosso delle fiamme e del sangue, il grigio immobile dell'infelicità, il verde distante delle chiome degli alberi, l'arancione della follia, il blu tetro di una voragine nel mare aperto, il bianco degli orizzonti irraggiungibili, il nero cupo della paura.

Le sue opere esprimevano la vita da cui era fuggito, esprimevano tutto il dolore che aveva provato nell'Insanità.

Quelle sensazioni scoppiarono tutte insieme nel petto e nella testa del signor J. Giorni, mesi, anni di dolore, esplosi in quel corpo piccolo e inerme. Come poteva un solo uomo contenere tutto ciò?

Il signor J. si accasciò a terra, incapace di muoversi o anche soltanto di pensare. Il panico lo divorò, come ai vecchi tempi. L'Insanità che aveva rinnegato era tornata, infine, a fargli visita.

Non sarebbe dovuto succedere. Non adesso che la pillola avrebbe dovuto proteggerlo da tutto quel dolore, non adesso che la sua vita da Paziente gli stava dando tutto ciò che aveva sempre desiderato, ora che la sua realtà era un sogno.

Preso dalla disperazione, il signor J. riuscì a rimettersi in piedi e a balzare oltre la porta della cantina, richiudendosela alle spalle con l'ansia di un bambino che scappa dal mostro delle sue paure. Doveva uscire, andare in un Centro Specializzato, capire. Aveva bisogno di risposte.

Le chiavi della macchina erano nella tasca della sua giacca preferita; salì le scale a fatica e corse in camera da letto con le gambe che gli tremavano e che riuscirono a stento a sorreggere il suo peso.

Jamie era seduta sul bordo del materasso, ancora insonnolita. Sembrava lontanissima.

«Che cosa è successo?» gli chiese quando lo vide fuggire via dalla stanza, ma lui non rispose. Non ci riuscì.

Per fortuna, quella mattina la strada era libera. Il signor J. riuscì a raggiungere la sua meta in una manciata di minuti; lasciò la macchina sul bordo della carreggiata, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere a chiave gli sportelli, e si piombò davanti alle porte bianchissime del Centro Specializzato.

«Aiuto! Sto male!» gridò non appena fu dentro, e la solita signorina perfetta lo trascinò di peso nella saletta adiacente.

Lo visitarono, gli fecero delle domande e conclusero il controllo dandogli dell'impostore.

«I Pazienti non sognano, e poi sono belli e sereni. Non hanno i capelli fuori posto, non escono di casa vestiti in questo modo, non soffrono di attacchi di panico e il loro cuore è a posto, come il loro cervello. Tu sei un Insano, e sei anche matto. A chi vuoi darla a bere?»

A nulla erano valse le spiegazioni disperate del signor J., a nulla era servito ricordare che soltanto cinque mesi prima aveva deciso di diventare Paziente in quella stessa stanza bianca e terribile.

All'inizio gli uomini in camice sembravano in evidente difficoltà, perché effettivamente il medico che l'aveva visitato all'epoca sembrava ricordarsi di lui. Poi quello stesso medico aveva formulato l'ipotesi che il signor J. in realtà non avesse mai preso la pillola, che gli avesse mentito e che adesso stesse cercando soltanto di fargli perdere tempo, e così il caso era stato chiuso. Era stato mandato via con la forza, con il dolore alla testa che anziché affievolirsi aumentava a dismisura in ogni minuto che passava.

Il signor J. tornò in macchina e guidò fino a casa come un matto, rischiando per due volte di scontrarsi con le altre auto. Quando arrivò, gettò il suo corpo tremante sul divano dell'ampio salotto e chiuse gli occhi che bruciavano. Piombò il buio nella sua mente, che non rispondeva più al suo controllo, e un attacco di panico intenso e atroce come non mai lo divorò dall'interno, privandolo della vista e della lucidità.

Trascorse il resto della giornata tra il bagno e il divano, alternando i conati di vomito alla febbre e ai capogiri che lo costringevano a restare rannicchiato tra i cuscini.

Alle sette Jamie tornò, come ogni sera. Il signor J. era ancora lì, immobile, soffocato dai pensieri e dal terrore.

Lei quando vide che il suo uomo non reagiva e non le rispondeva, abbandonato a se stesso tra gli spasmi di dolore, si accontentò di scuoterlo e di schiaffeggiarlo un paio di volte.

Il signor J. alzò lo sguardo vuoto su di lei. «Male... sto male» farfugliò con un filo di voce.

«Davvero? È strano.»

Jamie lo guardò ancora per qualche secondo, poi alzò le spalle e salì in camera da letto a cambiarsi d'abito.

Lui restò immobile ancora per un po'. Poi si mise a sedere a fatica e si trascinò verso il piccolo balcone del suo studio, al piano di sopra. Aveva bisogno d'aria.

Vedere come la donna che amava lo aveva trascurato, vedere come era fredda e distaccata gli faceva male. Sapeva che non era colpa sua, sapeva che in realtà Jamie non poteva preoccuparsi: la pillola glielo impediva, trattenendola in quella gelida indifferenza. Quel giorno per lei era stato uno come tanti, un altro giorno da Paziente, senza ostacoli. Un altro giorno speso tra i suoi ammiratori, adesso che ormai era diventata un'attrice famosa e amata dal pubblico affamato del suo corpo.

Non era lei ad avere qualcosa che non andasse. Era lui.

In lui, per qualche strana ragione, la pillola aveva fallito. La testa non aveva smesso di fargli male neanche per un istante e il suo cuore pulsava più rapido del battito d'ali trasparente di una libellula impazzita.

Il signor J. strinse la presa sull'esile ringhiera del terrazzino e le nocche sbiancarono alla luce della luna. L'aria della notte gli bruciava i polmoni, gelida, uscendo dalle sue narici in nuvolette di condensa.

Gli erano bastati cinque mesi da Paziente per dimenticare come si era sentito per una vita intera, per dimenticare cosa fosse il dolore, per dimenticare l'Insanità in cui aveva vissuto per cinquant'anni. Era bastato così poco, e ora che aveva conosciuto il benessere non era più in grado di tollerare quel supplizio.

Che cosa era successo?

Mai una sola volta, nella storia, la pillola aveva avuto delle anomalie.

Ma perché? Perché proprio a lui?

Non poteva nemmeno sperare che fosse tutto un brutto sogno, perché per un Paziente era impossibile sognare. I Pazienti dormivano e basta, un sonno tranquillo e ristoratore, senza alcuna distrazione.

Il signor J. si sporse dalla ringhiera e spiò la tranquillità della sua camera che si intravedeva dalla finestra accanto. Jamie era lì, che piegava con precisione gli abiti freschi di bucato, ignara della follia che lambiva la mente dell'uomo che credeva di amare.

Lui serrò le palpebre e si appoggiò al parapetto. Quella visione gli ricordava il sogno della notte precedente e si aspettava di vedere la sua donna prendere fuoco da un momento all'altro, mentre lo scrutava col suo sguardo glaciale e demoniaco.

Scosse la testa con violenza, cercando di calmarsi. Era stato solo uno stupido incubo. Ma i Pazienti non potevano sognare, giusto? E allora perché lui l'aveva fatto?

E ciò che stava provando ora, dunque, era reale o faceva ancora parte del sogno?

C'era da impazzire.

Spiò Jamie ancora una volta, attraverso il vetro della finestra che lo separava da lei. La vide bellissima e gentile, come sempre, ma tremendamente distante. Tra di loro ormai c'era un abisso impenetrabile, un vortice nero come la notte che ormai era calata sul mondo, chiudendo il sipario su quella giornata infinita.

Nero come la morte che sembrava chiamarlo dalle viscere del buio sotto di lui.

Il signor J. guardò in basso. Se neanche la pillola aveva funzionato con lui, se neanche la più infallibile delle soluzioni era riuscita a salvarlo da se stesso, allora non rimaneva che una sola, ultima possibilità.

La Jamie del sogno aveva ragione. In fondo, nessuno l'aveva mai amato davvero. La stessa Jamie amava la sua apparenza, amava l'uomo che la pillola le mostrava, ma avrebbe mai potuto amare l'oscurità che c'era in lui?

«Hai fatto fuggire tutti! Che cosa credi di fare, adesso? È troppo tardi!»

Era vero. Non era riuscito a cucirsi un misero rapporto umano, non era riuscito a tenersi vicino neanche l'ombra di un affetto. Aveva sempre tenuto tutti lontano da sé.

Gli venne in mente quella donna, una notte di passione di ormai vent'anni prima. Capelli neri, occhi scuri e pieni di vita. Gli piaceva, e tanto, ma aveva mandato via anche lei. Aveva avuto paura. Paura di non poter più essere libero.

«Sei soltanto un codardo! La libertà non esiste!»

Il signor J. sorrise amaro.

Aveva gettato via la sua vita per colpa delle sue stupide paure. Aveva demolito ogni possibile strada, chiudendosi nel vicolo cieco del suo dolore. E adesso era tardi, troppo tardi.

Chissà come sarebbe stata la sua esistenza, se avesse avuto il fegato di vivere davvero.

Chissà come sarebbe stata la sua vita accanto a quella donna.

Leda.

Troppo tardi.

Era stato un pessimo uomo. Un amante codardo. Un padre inesistente.

Mantenne gli occhi incollati nel vuoto, e l'oscurità gli descrisse luoghi mai visti e suoni mai uditi, gli promise nuove tele su cui provare a dipingere ancora, parlò al suo cuore come mai nessuno era riuscito a fare.

A un tratto, il signor J. seppe ciò che doveva fare.

Era la cosa migliore, e Jamie non ne avrebbe sofferto. La pillola gliel'avrebbe impedito.

Forse fu proprio quella consapevolezza a donargli il coraggio che gli serviva: la donna che l'amava non avrebbe sofferto la sua mancanza, e tra vivere e morire l'unica differenza sarebbe stata il dolore dell'esistere.

Sedette sulla ringhiera, le lunghe gambe nel vuoto. Ormai aveva deciso.

La pillola l'aveva fuorviato. L'aveva condotto ancora più lontano, alla deriva. Per una volta, l'ultima decisione sarebbe stata sua, e sua soltanto.

La pillola...

Le immagini di quella mattina gli tornarono nella mente, all'improvviso più lucida. Il brusco risveglio. L'acqua fredda che scivolava sulla sua pelle. I pensieri confusi, la fretta di uscire di casa, e tutto fu chiaro.

La pillola forse avrebbe funzionato, come sempre; ma lui aveva dimenticato di prenderla, distratto dall'angoscia del suo incubo. Era stato lui stesso a provocarsi quel dolore insopportabile.

Né Insano né Paziente. Non era più nulla.

Tra i suoi pensieri tornarono a galla dei versi scritti chissà quanto tempo prima.

Nelle tenebre della mia mente guardare è un po' come svanire, come cadere. Come aprire gli occhi nel buio.

E il signor J. guardò nel buio, senza un grido
e cadde
e svanì.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top