26. Addio



Neil si fece carico delle pulizie, mentre Arun cercava di sbrogliare il caos della mansarda. Era ancora pieno di oggetti accatastati senza un filo logico, lassù: la vecchia culla, gli scarponi da giardino, i cavi intrecciati, gambe di sedie arrugginite, pentole, vasi, persino una cyclette rovesciata su un fianco. Arun aveva detto di volersene occupare di persona perché solo lui sapeva dove metter mano e come sistemare i libri e gli appunti che giacevano sparsi tra le scrivanie, il pavimento e gli scaffali polverosi, ma Neil sapeva che doveva esserci un altro motivo.

La scatola di fotografie.

Quando Neil aveva avuto una nuova occasione per sbirciare sotto alla culla, la scatola era sparita.

Pazienza, la ritroverò, si era detto, e ormai era certo che Arun volesse tenergliela nascosta.

Ma perché?

Ad ogni modo, non c'era tempo per le domande. Mancavano solo due giorni all'arrivo dei membri della Resistenza, e sia Neil che Arun giravano per casa come vespe impazzite, preoccupandosi che tutto fosse a posto per quel momento.

Arun era riuscito a recuperare due sedie dalla soffitta, mentre Neil aveva cambiato la posizione dei mobili nel salotto per avere più spazio possibile e aveva trasformato la sua stanza, vicina all'ingresso, nel locale guardaroba dove gli ospiti avrebbero lasciato le borse e i soprabiti, togliendo di mezzo le sue cose e infilandole nei cassetti del comò.

In una cassapanca nella mansarda, Arun aveva trovato dei tappeti e dei tessuti datati, ma dalle fantasie vivaci e i colori brillanti. Neil aveva proposto di usarli come arazzi o per coprire i mobili più rovinati, e al vecchio l'idea era piaciuta così tanto che si era messo a saltellare come una cavalletta.

Ma quelle stoffe andavano lavate. Neil si offrì di portarle in lavanderia; avrebbe approfittato dell'attesa per fare un po' di spesa. Mentre lui si infilava la giacca per uscire, Arun scomparve per mezzo minuto nella soffitta e tornò stringendo qualche banconota tra le dita. Gliele affidò, poi lo accompagnò alla porta e lo salutò allegro.

Neil salì in sella alla sua bici arrugginita, le gambe intirizzite dal freddo, sistemò la borsa coi tessuti nel cestino di metallo avvitato malamente dietro al sellino e iniziò a pedalare verso la città, col suo vecchio zaino in spalla. Quando arrivò nella solita piazzetta deserta, fece appena in tempo a legare la bicicletta a un palo della luce. L'autobus frenò fischiando a pochi metri da lui e Neil dovette salirci di corsa, saltandovi sopra.

Il suo abbonamento era scaduto da più di un mese, ma lui fece finta di nulla, il conducente non gli chiese di mostrarglielo e nessun controllore salì a bordo alle fermate successive. Doveva essere per via della nuova legge sulla viabilità, quella che aveva revocato il diritto di guida agli Insani: era in vigore da poco più di un mese e nessuno aveva ancor ben inteso come bisognasse riorganizzare i mezzi pubblici.

L'autobus ci mise meno del solito ad arrivare in centro. Neil saltò giù, la borsa stretta tra le braccia, e camminò fino alla lavanderia automatica, a un paio di centinaia di metri. Una volta arrivato, infilò le stoffe nei macchinari, fece scivolare un paio di monete nelle apposite fessure e la lavatrice partì. Un timer digitale dalle cifre rosse indicava il tempo che mancava al termine del lavaggio e dell'asciugatura: Neil aveva a disposizione due ore e quarantacinque minuti.

Si infilò le mani in tasca, si strinse nella giacca e uscì dalla lavanderia, diretto al centro commerciale. Arrivò in un quarto d'ora e passeggiò pigramente per i negozi pieni di gente indaffarata.

Ancora due ore e mezza.

Quando entrò nel supermercato del centro commerciale, la stazione radio in sottofondo stava trasmettendo una canzone così brutta che per evitare di ascoltarla Neil si concentrò sui discorsi dei clienti che facevano la spesa. Un gruppetto di sei o sette Pazienti stava discutendo di quanto i figli di ciascuno di loro fossero bravi a scuola e lui si mise a origliare, apparentemente intento a leggere l'etichetta di un barattolo di marmellata.

«Mio figlio è un vero studioso» stava dicendo una donna. «L'altro giorno l'insegnante gli ha detto che potrebbe diventare un ottimo avvocato!»

«La mia invece ha già capito tutto: vuole sfondare in televisione! Secondo me ce la farà, ha già un fisico mozzafiato e ha solo dodici anni!» fece un'altra donna.

«Comunque sia, è bello sapere che la scuola è al passo coi tempi» intervenne un uomo dalla voce profonda. «Non potevano approvare delle normative migliori!»

Le donne ridacchiarono, poi il gruppetto si spostò nella corsia accanto e Neil non riuscì a distinguere più nulla di quelle ciance. Posò il vasetto di marmellata, quando ormai non poté più fingere di trovarlo interessante, e tirò fuori dal suo vecchio zaino il foglietto spiegazzato con la lista della spesa.

Mentre Neil scorreva le prime righe con lo sguardo, la canzone trasmessa dalla radio finalmente terminò e la voce squillante di una ragazza annunciò che era arrivata l'ora del notiziario delle cinque. La musica di sottofondo cambiò e una nuova voce, questa volta maschile, augurò una buona serata a tutti gli ascoltatori.

L'uomo parlò di tagli al personale Insano, ingiustificati aumenti delle tasse per chi non faceva uso della pillola e un sacco di baggianate che Neil sapeva già. Erano mesi che il mondo andava avanti così e ormai ci aveva fatto l'abitudine.

Quando però la voce alla radio annunciò che la nuova normativa sull'istruzione era stata ufficialmente approvata, il ragazzo aguzzò le orecchie incuriosito, con una confezione di uova a mezz'aria tra le mani.

«Niente più problemi a scuola per i giovani Pazienti» stava dicendo la voce. «Con la nuova legge, Pazienti e Insani studieranno in classi diverse. L'istruzione dei Pazienti verrà affidata a insegnanti competenti e preparati, mentre tutti i professori Insani ancora in servizio si occuperanno degli studenti che non fanno uso della pillola. Si tratta di una disposizione che è stata ritenuta necessaria, in quanto l'ignoranza e la scarsa perspicacia degli Insani costituiscono un freno all'istruzione dei Pazienti.»

Neil storse il naso. A quanto pareva, stavano continuando a stringere la corda che teneva legati gli Insani a quel mondo folle e insensato.

«Una donna Insana si è tolta la vita la scorsa notte, ingerendo una sostanza velenosa. La donna aveva perso il lavoro qualche giorno fa e ha deciso di provvedere così al marito e ai suoi tre figli. Questo è solo l'ultimo di una lunga serie di episodi che stanno accadendo ogni giorno a decine di Insani. Gli esperti consigliano la pillola a tutti coloro che ancora non ne hanno provato gli effetti, ricordando che è gratuita e che non presenta alcun tipo di effetto collaterale. La situazione si fa sempre più critica e non c'è motivo di dubitare di questa soluzione. Per fortuna, una recente statistica ci informa che il numero dei Pazienti è aumentato dell'11,4% rispetto all'ultimo anno e questi dati ci danno finalmente un po' di speranza.»

Neil strabuzzò gli occhi. Possibile che i Pazienti stessero crescendo così in fretta? Si guardò intorno e si stupì di essere circondato soltanto da persone bellissime e felici che sorridevano e che scherzavano tra loro. Tra gli scaffali del supermercato si intravedevano solo un paio di Insani, un padre con il figlio di una decina d'anni, entrambi paffuti e con il viso ricoperto di efelidi.

Come aveva fatto a non accorgersene prima?

Neil pagò alla cassa e infilò la spesa nello zaino, cercando di tenere lontani i pensieri che lo opprimevano. Uscì dal centro commerciale che era già buio da un pezzo, si incamminò lento verso la lavanderia e quando arrivò attese i venticinque minuti che mancavano al completamento dell'asciugatura.

Quando le stoffe furono pronte le piegò con cura, poggiandosi sul grosso tavolo che arredava il locale, le sistemò nella borsa e si avviò fuori, verso la fermata dell'autobus.

Mentre aspettava, lo zaino che gli pesava sulle spalle, notò una ragazza poco lontano. Stava parlando con un tipo alto e muscoloso, di quattro o cinque anni più grande. Era senza dubbio una Paziente, con un sorriso perfetto e i capelli biondi che le scendevano luminosi sulla schiena. Indossava un cappotto azzurro che sembrava dipinto sul suo corpo e portava a tracolla una grossa borsa marrone, gonfia di oggetti.

Era bella, una delle ragazze più belle che Neil avesse mai visto, ma non era per questo che la stava guardando. C'era qualcosa in lei che Neil conosceva già: le sue espressioni, il suo modo di muoversi, di sorridere, di ravvivarsi i capelli.

A un tratto, Neil sentì la borsa con le stoffe scivolargli dalle mani.

Anandria.

Ma no, non poteva essere lei.

Neil non riusciva a respirare. Un pugno, un violento pugno nello stomaco. Uno schiaffo in pieno viso. Acqua ghiacciata versata all'improvviso sulla testa. Così si sentiva.

La ragazza non lo aveva ancora notato. Continuava a parlare e a sorridere a quel bellimbusto e sembrava felice come Neil non l'aveva mai vista. Poi spostò lo sguardo su di lui e Neil non ebbe più alcun dubbio.

Anandria.

La sua migliore amica.

Fece per raggiungerla, ma le sue gambe sembravano incollate al marciapiede e non volevano saperne di muoversi. Con le mani scosse dai tremiti, Neil afferrò la borsa da terra, fece un bel respiro e si sforzò di camminare verso di lei, mentre Anandria continuava a rivolgergli sguardi pietosi che gli bruciavano addosso come fiamme vive.

Le si piazzò di fronte e restò lì impalato, troppo sconvolto per proferir parola. Rispose alla pena di lei con un'occhiata carica di delusione, ma Anandria non sembrò capirlo.

«E questo chi diavolo è?» fece il bellimbusto.

«È Neil, un vecchio conoscente.»

Lui si sentì mancare.

Conoscente?

Per una manciata di infernali secondi, non riuscì a far altro che aprire e chiudere la bocca senza che ne uscisse alcun suono. Poi la rabbia gli incendiò il petto e Neil guardò Anandria negli occhi.

«Perché?» le chiese, ma lei fece finta di non sentire.

«Vuoi che lo mandi via?» tentò il bellimbusto.

«Perché?» lo interruppe Neil, gridando, tremando. «Che cosa ti è successo, che cosa hai fatto?!»

Anandria parve valutare se rispondergli o meno. «Ero arrivata a un punto critico» disse infine. «Ho fatto solo ciò che era giusto, e non capisco perché tu stia facendo questa scenata. Sono felice, adesso, sto bene. Ho un lavoro e dei nuovi amici, e dovresti essere contento per me. Invece no, sei solo un egoista. Non hai idea di quello che provavo, non sai come mi sono sentita prima di arrivare a questa scelta, e fidati, è stata la cosa migliore che abbia mai fatto in vita mia.»

«Mia madre è morta! Ho perso la mia casa, ho perso la mia vecchia vita e ora ho perso anche te! Secondo te, io come dovrei sentirmi?»

«Proprio per questo non ti capisco. Nelle ultime settimane sono stata veramente male, e la pillola è stata la mia unica soluzione. Mi sarei ammazzata, te ne rendi conto? Non lo guardi il telegiornale? I suicidi degli Insani aumentano di giorno in giorno, ma non è meglio essere vivi e felici piuttosto che morti e frustrati?»

Neil si tenne il petto con una mano. Si sentiva svenire.

Tutto ciò che voleva era svegliarsi nel suo vecchio letto a castello e scoprire che quegli ultimi mesi erano stati solo parte di un terribile incubo concepito da una mente esausta.

«Non sapevo che cosa si provasse a essere veramente felice» riprese Anandria. «Adesso sì. È una delle sensazioni più belle del mondo, Neil! Mi sento libera, leggera, e quel peso che mi opprimeva l'anima se ne è andato per sempre! Fidati, dovresti provarlo! Non te ne pentiresti, e finalmente risolveresti tutti i tuoi problemi!»

Lui indietreggiò, inorridito. «Stammi lontano!»

«Devi fidarti.»

«No! Sei un'estranea! Tu non sei Anna, non la mia Anna! La mia migliore amica non ha mai detto queste cose, non le ha mai pensate!»

«Perché prima non le conoscevo! Come puoi giudicare qualcosa che non hai mai provato sulla tua pelle? Perché hai scelto di vivere nel dolore, Neil? Lo vedi come ti senti adesso? Sai, sarà così per il resto della tua vita. Ma tu puoi cambiare tutto questo, puoi decidere ancora di salvarti! Perché sei così cocciuto, perché ti ostini a ignorare le cose che non conosci?»

Neil vacillò sulle gambe instabili. Si reggeva in piedi a stento, mentre il cuore ormai si era perso, raggrinzito in un petto che voleva scoppiare.

«Non è vero, tu non lo pensi» balbettò, ma sapeva benissimo che ormai la mente della sua migliore amica era stata soggiogata dalla pillola. Solo che non voleva accettarlo.

Ammettere che Anandria non era più la stessa persona con cui aveva condiviso l'infanzia e l'adolescenza significava demolire l'ultimo brandello che lo teneva ancora legato al suo passato, significava lasciarsi la sua vita alle spalle senza avere mai più la possibilità di voltarsi indietro.

«Ti sbagli. Io sono convinta di quello che dico, a differenza di te, e negli ultimi tempi avevo cambiato idea sulla pillola. Forse sei tu a non essertene accorto, troppo preso dai tuoi problemi inutili.»

Quelle ultime parole lo colpirono allo stomaco, mozzandogli il respiro per lunghissimi, interminabili secondi. Neil vide il mondo scorrergli attorno al rallentatore, senza suono. Vide una folla di Insani sciamare verso la fermata e salire sull'autobus, accalcandosi come una mandria di disperati. Vide il nuovo amico di Anandria che la stringeva tra le sue braccia muscolose e che le sorrideva, così come aveva sempre fatto lui.

La rabbia lo accecò: voleva colpire, urlare, aggredire quel buffone che stava prendendo il suo posto nella vita di Anandria e strappare dal volto di lei quella nuova espressione di finzione, fredda come le mani di un morto. Rivoleva indietro la sua migliore amica, rivoleva indietro i litigi con lei e le sue crisi isteriche, rivoleva indietro i suoi abbracci e le sue parole di conforto.

Tutto ciò che riuscì a fare, invece, fu avviarsi tremante verso l'autobus che lo aspettava sbuffando fumo nerastro dalla marmitta. Camminando all'indietro raggiunse la porta, mentre i suoi occhi si riempivano dell'immagine di Anandria che gli voltava le spalle senza più degnarlo di uno sguardo, stretta al suo nuovo amico.

«Allora che fai, sali o no?»

«S-sì, mi scusi.»

Neil saltò a bordo, la borsa in mano, il dolore in petto. Aveva perso di vista Anandria e sapeva che probabilmente non l'avrebbe mai più incontrata. Era finita, la sua migliore amica era morta, e lui con lei. Con le lacrime agli occhi, Neil le augurò dentro di sé di restare felice per sempre e le disse addio.

Per tutto il tragitto che lo separava dalla piazza dove aveva lasciato la bicicletta, non riuscì a pensare a niente. Si accucciò su un sedile dell'autobus, libero per miracolo, e fissò il vuoto.

La nuova Anandria, lontana dalle imperfezioni che lui aveva tanto amato, era felice, anche se la pillola l'aveva inaridita. Ma Neil avrebbe vissuto per ciò che restava della sua vita con un enorme vuoto nel cuore che mai si sarebbe colmato.

Il senso di colpa gli ottenebrava la mente in una morsa feroce.

Si sentiva un idiota. Si sentiva egoista e irresponsabile.

Aveva sottovalutato fatalmente la situazione. Non era riuscito a cogliere i segnali della crisi di Anandria, non aveva capito quanto fosse grave, e ora l'aveva persa. L'aveva persa per sempre, così come aveva perso sua madre.

Rannicchiato pietosamente sul sedile, Neil pianse tutte le lacrime silenziose che tratteneva da troppo tempo, da prima che sua madre morisse, da prima che tutto cambiasse.

Adesso era davvero solo: solo come non lo era mai stato.

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