20. Il canto dell'Insanità



Neil scattò in piedi, i pugni serrati, furioso come mai lo era stato in vita sua.

«Che cosa dovrei fare? Starmene qui con le mani in mano sapendo che mia madre ha un mese di vita?»

Arun lo guardò sconsolato.

Lo odiava. Quando gli aveva spiegato cosa era successo in quei giorni, l'ospedale, le analisi, la leucemia, sua madre che tornava a casa più spenta che mai, il vecchio era rimasto impassibile. Certo, era dispiaciuto, ma pareva quasi che se l'aspettasse. E Neil non sopportava più quell'atteggiamento saccente, sicuro, fastidiosamente calmo.

Ma come faceva Arun e il resto del mondo a rimanere così impassibile?

«Capisco quello che provi» gli disse il vecchio, «ma non puoi fare niente per lei. Deve essere tua madre a decidere.»

«No, lei non capisce!» ribatté Neil, gelido.

«Nessuno di noi due vorrebbe che accadesse qualcosa a Leda.»

«Appunto! Non possiamo far finta di niente!»

«Neil, mi devi ascoltare.»

«Lei non può capirmi!»

«Ti ho chiesto di ascoltarmi!» disse Arun alzando la voce, con un tono così autoritario che Neil si azzittì e si rimise seduto sulla sua sedia.

«Hai parlato con tua madre di quello che ti ho detto? Di tutto ciò che ti ho spiegato sulla pillola?» gli domandò il vecchio. Lui scosse il capo, nervoso.

«Lo deve sapere, Neil.»

«Certo, così rinuncerà a prescindere!»

«È una questione importante. Leda ha bisogno di sapere a cosa va davvero incontro, prima di fare una scelta.»

Neil guardò il vecchio negli occhietti acquosi. «Dunque non le va proprio a genio l'idea che mia madre sopravviva, eh?» gli disse in tono di sfida.

Arun non si scompose. «A volte mi domando fino a che punto possa arrivare la tua stupidità.»

Prima che Neil riuscisse a ribattere, lui continuò. «La vita di tua madre mi sta a cuore come neanche immagini. Feci una promessa a tuo nonno, tanti anni fa, e da allora non hai idea di come la mia vita sia cambiata. Perciò, prima di accusare e di dare giudizi fondati soltanto sulla rabbia, prova ad ascoltare qualcosa che non sia la tua ira repressa. Saremmo disonesti a nascondere a Leda la verità. Tua madre sarà libera di scegliere, ma non prima di sapere quello che dovrà affrontare nel caso decidesse di prendere la pillola.»

«Sappiamo benissimo che non accetterà mai quelle condizioni.»

«Appunto! Preferisci ingannarla? Preferisci illuderla?»

«No, io...»

«Tu che cosa faresti al suo posto?»

Neil tacque incerto. La rabbia pian piano stava lasciando il posto a un cupo senso di colpa.

«Dobbiamo dirle la verità, tutto qui. Solo allora avremo davvero fatto il possibile per lei, e dopo starà soltanto a Leda decidere. Non puoi fare il vigliacco, Neil. Non questa volta.»

Il ragazzo si rialzò di scatto, facendo cadere la sedia.

«Io non sono un vigliacco!» gridò. «Mia madre sta morendo, il mondo sta cadendo, e tutto questo per colpa dei Pazienti e della loro stupida pillola! Come dovrei sentirmi?»

«Ti capisco, fidati. Sono appena un tantino più grande di te» fece Arun, pacato.

«Appunto! Io ho vent'anni: certe situazioni non dovrei proprio viverle!»

«Ma non sei tu a decidere. Nessuno è in grado di stabilire cosa dovrebbe succedere e cosa no. Possiamo solo imparare da quello che ci accade e scegliere ciò che noi riteniamo giusto, cercando di non influenzare e non essere influenzati dagli altri.»

«Ma lei non mi capisce!»

«Chi sei per dirlo?» tuonò il vecchio. «Ho vissuto cose ben peggiori di questa! Lo sai come è morto tuo nonno? Hai una vaga idea?»

Neil ammutolì di colpo.

«Non fu un incidente. Tuo nonno faceva parte della Resistenza, proprio come me. Un grande studioso di chimica: in gioventù fece parte della squadra che poi scoprì il canonio. Nessun membro della sua famiglia lo ha mai saputo, perché non voleva metterli in pericolo. Fu uno dei compagni che morirono in circostanze strane, ed era il mio amico più sincero e fidato.»

Neil abbassò lo sguardo, in imbarazzo. Non sapeva molto di suo nonno, ma mai avrebbe immaginato che fosse tanto legato ad Arun. Dai racconti di sua madre, pareva esser stato un gran lavoratore, umile e modesto, ben lontano dagli ambienti pericolosi come quello della Resistenza. Era morto quando Leda aveva appena compiuto tredici anni.

«Colpito da una pallottola vagante, ma che razza di incidente può essere? Incolparono un matto, un Insano che aveva più di settant'anni e ai suoi tempi era stato un poliziotto, e che aveva l'abitudine di portarsi dietro la pistola. Quel povero vecchio non c'entrava nulla con la morte di tuo nonno, tant'è che la sua pistola era sempre scarica perché aveva paura che i suoi nipoti la trovassero e ci giocassero. Ha pagato per il semplice fatto di essere vecchio ed essere un Insano. Proprio come me. Fu tutta una montatura per nascondere che quello era un colpo diretto alla Resistenza. Tuo nonno fu il secondo su tre a morire, e se vuoi il mio parere fu anche il più fortunato.»

Neil rabbrividì. Non osò fiatare, e quando Arun continuò a raccontare prestò la massima attenzione alle sue parole.

«Quando il nostro primo compagno venne ucciso, io e tuo nonno considerammo la possibilità di poter morire, eccome se ci pensammo! Correvamo entrambi lo stesso rischio, perché nella Resistenza eravamo tutti alla pari. Ognuno di noi aveva la stessa probabilità degli altri di essere preso di mira, e ognuno cercò di tutelarsi. Io e tuo nonno stringemmo un patto: se uno di noi due fosse morto, l'altro avrebbe fatto di tutto perché i suoi cari non corressero alcun rischio e non venissero coinvolti in affari pericolosi. Così giurai che non avrei mai perso di vista la sua famiglia, tua madre e in seguito te, mentre lui mi promise di... oh, insomma, non ha importanza.»

Arun tacque per qualche istante e Neil pensò ancora una volta alla ragazza bionda delle fotografie.

«È per questo motivo» proseguì il vecchio, «che ho sempre vigilato su tua madre, è per questo che sono rimasto in questa città a fingermi matto per più di trent'anni, è per questo che mi sono messo in contatto con te e ho cercato di metterti all'erta, quando mi sono reso conto che la situazione stava precipitando. Glielo devo, lo devo a tuo nonno, perché così come ci ha rimesso la pelle lui, sarei potuto morire io. E sono sicuro che, anche se a volte sei testardo in maniera snervante, sei il degno nipote di tuo nonno. Sarebbe stato fiero di te, sì.»

Neil continuò a tacere. Si diede dell'idiota, si vergognò della sua rabbia e dei modi che aveva usato con Arun. In fondo, non sapeva quasi niente di lui.

«Lo capisci, adesso, che Leda è importante per me? Lo capisci che, se lei muore, muoiono con lei trent'anni del mio passato? Quello che voglio dirti è questo, Neil. Conosco il dolore, so che cosa significa perdere tutto ciò che hai e so che cosa si prova a veder morire i propri cari. So di non essere altro che un vecchio pazzo, per te, ma ti chiedo solo una cosa: fidati. Troppe volte ho assistito a scene del genere e troppe volte ho rimpianto di aver taciuto sulla verità. Se c'è una cosa che davvero ci rende liberi davanti a tutto è proprio questa: la capacità di accettare la realtà e i suoi cambiamenti. La capacità di tollerare la verità. Solo così possiamo essere davvero liberi, liberi di scegliere e liberi di decidere come andrà a finire.»

Arun fumava fuori dalla finestra, spargendo il fumo nella nebbia. Neil si dondolava nervoso su una delle sedie della cucina, mentre Leda se ne stava in piedi, lo sguardo assente, la schiena appoggiata alla parete di piastrelle verdi.

La scena aveva del surreale: mai Neil si sarebbe aspettato di vedere Arun nella cucina di casa sua, dopo aver raccontato a sua madre che la pillola forgiava per sempre la mente di chi la assumeva. Con Leda, il vecchio aveva usato dei termini più ricercati e le aveva spiegato dei passaggi in più che Neil non aveva ben compreso. Non che avesse ascoltato più di tanto: quella storia la conosceva già, ci aveva riflettuto a lungo e non smetteva quasi mai di pensarci. Erano altri i pensieri che lo assillavano adesso, altre le ansie e le paure che lo distraevano da tutto il resto.

Quando Arun aveva finito di parlare, nella stanza era piombato un silenzio feroce. Il vecchio si era acceso una sigaretta, Neil aveva preso a dondolarsi sulla sedia. Soltanto Leda era rimasta immobile, in piedi, a pensare.

«Mamma, siediti» le disse Neil, ma lei rifiutò con un cenno del capo.

Parlò solo dopo qualche altro minuto di ronzante e insopportabile silenzio, quando Arun aveva già finito la sua sigaretta e Neil aveva smesso di dondolarsi.

«Negli ultimi anni» esordì, «mi è capitato spesso di pensare a ciò che avrei fatto se io o Neil ci fossimo ammalati. Ci ho riflettuto molto. Già prima non riuscivo a considerare la soluzione della pillola, ma adesso ne sono ancora più convinta: è solo un inganno che ci illude di vivere per sempre felici, ma che in realtà ci rinchiude in una gabbia da cui non si può più uscire. È molto peggio di quanto mi aspettassi.»

Arun voltò le spalle alla finestra e si voltò a guardare negli occhi la figlia dell'uomo che era stato il suo migliore amico. «È così» le disse. «Ma conosci le conseguenze della tua scelta.»

«Le conosco e sono pronta ad accettarle. So a che cosa vado incontro.»

«Mamma, no!» la interruppe Neil, la voce rotta dalla disperazione.

«Neil, se c'è qualcosa che ancora mi tiene legata a questo mondo, quello sei tu» disse lei, ferma. «È solo per te che vorrei vivere ancora, e sai bene che tutto ciò che voglio è che tu sia felice. Proprio per questo so che capirai. Forse ci vorrà un po' di tempo, ma alla fine accetterai la mia scelta.»

Neil non riusciva a respirare; una consuetudine ormai, in quegli ultimi giorni. Gli sembrava di aver preso fiato una settimana prima e di aver vissuto in apnea fino a quel momento.

«Non prenderla come un abbandono, tesoro. Io non voglio separarmi da te e l'ultima cosa che farei è lasciarti solo. Solo che per continuare a starti accanto dovrei accettare delle condizioni che mi renderebbero una persona diversa, una persona dalle idee e dalle convinzioni opposte a quelle che ho io. Da Paziente sarei l'esatto contrario di ciò che sono da Insana, la donna che sono oggi non esisterebbe più. Io non voglio questo: voglio che tu mi ricordi per ciò che sono, non per ciò che sarei costretta a diventare.

«La pillola è peggio della morte, capisci? La morte è solo un passaggio, l'ultimo o chissà, forse il primo; la pillola invece mi ucciderebbe dentro, rendendomi un corpo vuoto da riempire con ideali che non sono i miei. Soffriresti ancora di più nel vedermi demolita, che non nell'accettare la mia mancanza. Potrei addirittura aggredirti, farti il lavaggio del cervello e convincerti a distruggere anche te stesso, e nulla per me è più importante che saperti libero.»

Le lacrime scendevano sulle guance magre di Neil. Irrefrenabili, silenziose ma dense di dolore.

Anche sua madre aveva gli occhi lucidi. «Io non vorrei mai una vita perfetta» riprese, «ma essere libera, ecco, è questo ciò che voglio. Fino alla morte. I Pazienti sono i veri malati: io non voglio essere un corpo in costante convalescenza, non voglio dipendere da una pillola. Non mi interessa vivere per sempre: mi importa sapere che tutto ciò che ho realizzato nella mia vita possa essere una base solida per te, Neil; mi interessa trasmetterti il mio amore e non l'illusione di qualcosa che in realtà non esiste. Mi importa l'averti messo al mondo con gli occhi chiusi e l'andarmene sapendoti capace di guardare. Mi importa vedere che sai confrontarti con la realtà e mi importa che tu sappia che non ti lascerò mai davvero solo.»

Neil piangeva senza pudore. «Sei una persona bellissima, mamma» le disse. «Sono arrabbiato e forse non riesco a capirti, ma mi fido di te e so che farai la cosa giusta. Tu mi hai insegnato tutto quello che so e tutto ciò in cui credo, ma soprattutto mi hai insegnato a lottare, a non lasciarmi mai abbattere. È vero, ci siamo lamentati tante volte della nostra vita, ma ora capisco che avevo tutto... che ho avuto tutto, mamma.»

Leda lo strinse a sé, piangendo, e madre e figlio restarono abbracciati a lungo. Arun, che già da un bel pezzo si era piazzato sullo stipite della porta, uscì rispettoso dalla cucina e attese fuori, nell'ingresso.

«Voglio andare in ospedale» annunciò Leda, facendo capolino dalla porta della cucina dopo una decina di minuti.

«Non credo serva a molto» fece il vecchio.

Lei sorrise. «Voglio ringraziare i medici: sono stati tanto gentili con me. E poi ho un paio di cosette da farmi sfuggire di bocca davanti ai malati.»

«Vacci piano con questi discorsi» la avvertì Arun. «Sono cose delicate, che non tutti capiscono.»

«Farò attenzione. Anzi, mi farebbe piacere che lei venisse con noi: ha tenuto fede alla promessa fatta a mio padre per più di trent'anni ed è giunto il momento di riconoscere la sua grandezza d'animo.»

Arun sorrise amaro, le rughe del volto tirate in un'espressione stanca ma soddisfatta.

Quando aveva raccontato a Leda del patto stretto con suo padre, lei si era commossa e aveva pianto, e l'aria s'era fatta più dolce, la nebbia fuori dalla finestra s'era fatta poetica, il ticchettio dell'orologio aveva scandito il tempo evocando una strana nostalgia.

Leda si ritirò in camera per cambiarsi e Neil raggiunse il vecchio nell'ingresso. Non disse una parola, ma lo osservò riconoscente. Ormai non era più arrabbiato con lui.

Arun gli sorrise, ma rispettò il suo silenzio senza fargli domande.

«Tua madre è una donna in gamba» gli disse dopo un po'. «Ha un carattere forte, è una persona coerente e integra. Vedrai che non soffrirà: sa quello che fa e ti vuole troppo bene. Ricorda, è facile essere pronti a vivere; molto più difficile è essere pronti a morire.»

Neil gli sorrise timidamente, il viso ancora rosso di pianto. «Grazie» mormorò.

Arrivarono all'ospedale nel tardo pomeriggio, mentre il sole splendeva dei suoi ultimi raggi dietro gli edifici della città. Nello studio del primario, Leda e Arun discussero a lungo coi medici, mentre Neil preferì aspettare fuori, nel grigio insignificante di una saletta d'attesa, seduto sul bordo di una sedia rossa gettata lì per i visitatori.

Dalla finestra della camera di fronte, dove si scorgevano un paio di letti sfatti, Neil intravide i frammenti dorati del tramonto nel caos cittadino di passanti, palazzi e automobili.

Quando sua madre uscì dallo studio, Neil si alzò e le andò incontro. Sembrava serena: il suo viso splendeva di una luce nuova e radiosa, ed era più bella che mai.

Anche Arun uscì con il volto più disteso del solito. Sembrava addirittura meno vecchio e stanco di quanto fosse davvero.

Leda volle andare a trovare le sue compagne di stanza, ammesso che fossero ancora ricoverate, e nel raggiungere la camera numero dieci si fermò a conversare con chiunque incontrasse, come una vecchia amica. Neil, nel frattempo, taceva e si guardava intorno, quasi sicuro di trovarsi in un sogno – se non fosse stato per l'angoscia bruciante che continuava a premergli sullo stomaco.

Poi, finalmente, tutti e tre si abbottonarono i cappotti, pronti a tornare a casa.

Mentre l'insolito trio attraversava il corridoio che conduceva all'uscita principale, sempre più teste fecero capolino dalle stanze. La storia di quella donna che aveva scelto di morire, ma che sembrava viva e radiosa come il volo di una farfalla sui primi fiori della primavera, aveva già fatto il giro dell'ospedale: i ricoverati volevano incontrarla, volevano vederla passare per quei corridoi impregnati di sofferenza e disperazione, volevano trovare in lei un po' di coraggio e di fiducia.

Leda neanche sembrò accorgersene. Quando Neil le fece notare che l'intero reparto dell'ospedale la stava guardando e le sorrideva, lei si commosse e fece una cosa che suo figlio mai si sarebbe aspettato.

Cominciò a cantare: prima piano, facendosi udire a stento, poi sempre più forte.

Quando il suo canto ebbe raggiunto ogni angolo della corsia, Neil e Arun aggiunsero le proprie voci quasi nello stesso istante: roca quella di Arun, bassa e timida quella di Neil.

Il vecchio, la donna e il ragazzo continuarono a camminare senza voltarsi in quel corridoio di Insani disperati, cantando le proprie speranze. Al loro passaggio, sempre più pazienti si aggiungevano al coro, alcuni commossi, altri fermi e orgogliosi.

Quando arrivarono alla fine del corridoio, non v'era più un malato rimasto in silenzio: l'intera corsia risuonava di quel canto imperfetto che faceva bene all'anima.

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