17. La situzione precipita



Leda tornò a casa più tardi del solito. Neil le andò incontro, lo sguardo interrogativo.

«Questa giornata non finiva mai» gli disse lei, entrando in cucina e poggiando le sue solite e ingombranti borse su un paio di sedie.

«Mi stavo preoccupando» fece Neil, ma la madre lo interruppe con un cenno.

«L'autobus è arrivato in ritardo ed era anche strapieno: mi è toccato stare in piedi, figurati se qualche galantuomo si è alzato per cedermi il posto. La strada era bloccata da una manifestazione di Insani, e altre disgrazie simili. Ho un mal di testa tremendo» spiegò.

Neil fece per parlare ma notò che sua madre si teneva una mano sugli occhi, mentre l'altra era stretta così forte sullo schienale della sedia che le nocche le erano sbiancate.

«Mamma, che hai?» le chiese preoccupato.

Leda si raddrizzò sulla schiena e scosse lentamente il capo. «Niente, solo un capogiro. Su, mangiamo, altrimenti si raffredda tutto.»

«Sicura di star bene?»

«Ma certo, devo avere solo qualche accenno di influenza.»

«E perché hai il fiatone?»

«Saranno state le scale, forse le ho salite troppo in fretta. Sta' tranquillo, Neil.»

Madre e figlio cenarono in fretta, raccontandosi le loro giornate; quando Leda si alzò per sparecchiare e per lavare i piatti, Neil la precedette.

«Dai, faccio io, tu hai cucinato» gli disse lei.

«E allora? Sopravvivrò.»

Leda gli sorrise stancamente. «Grazie.»

Mentre Neil era impegnato tra bicchieri, piatti, pentole e posate, Leda trafficò per qualche minuto con le sue borse straripanti e ne tirò fuori alcuni foglietti spiegazzati.

«Sai, tesoro» esordì, «dalla mattina del tuo compleanno ho cominciato a leggere più attentamente i giornali. Non so, alcune notizie mi hanno un po' allarmata, così ogni giorno raccatto i giornali dei miei colleghi in ufficio e li leggo. Non so, credevo di fare una cosa stupida, tanto per ammazzare il tempo, perché non pensavo di trovare qualcosa di interessante nell'informazione ufficiale... non te ne ho nemmeno parlato proprio perché ne ero convinta, insomma...»

«Mamma, vai al punto» la interruppe Neil, voltandosi a guardarla.

«Sì, hai ragione, sto divagando. Insomma, oggi ho trovato qualcosa. È difficile scovarle, certe notizie, perché le infilano nelle ultime pagine come se non avessero alcuna importanza. Ma ormai ho imparato.»

Leda porse al figlio un paio di ritagli di giornale. Neil si asciugò le mani con uno strofinaccio appeso al pomello di un mobile, poi scorse gli articoli. Sul primo si vedevano alcune immagini di automobili semidistrutte e di una folla in sciopero: Insani, a giudicare dai visi tirati e dalle espressioni adirate. Neil lesse mentalmente le righe accanto alle fotografie.

"A partire da gennaio, guidare sarà un diritto riservato unicamente a coloro che fanno uso della pillola. Negli ultimi mesi le percentuali di incidenti stradali sono notevolmente aumentate, e la totale colpevolezza degli Insani è indiscutibile. La pillola non consente cali di attenzione, colpi di sonno o riflessi lenti, perciò le nostre strade sono minacciate esclusivamente dagli Insani: privando loro del diritto alla guida il problema dovrebbe risolversi, o almeno limitarsi.

Gli Insani non subiranno cambiamenti radicali: la maggior parte di loro non guida e non ha la patente, sia perché i costi di manutenzione delle automobili sono troppo alti per la loro portata, sia perché l'esame della patente non è affatto semplice, e sono davvero pochi gli Insani in grado di superarlo. Nonostante ciò, per tutta la giornata di oggi si sono svolte diverse manifestazioni di protesta che hanno bloccato inutilmente le strade di numerose città."

«Certo, siamo così idioti da non riuscire nemmeno a prenderci la patente» sbottò Neil. Lesse in breve il resto dell'articolo, poi s'imbatté in qualcosa che lo irritò.

«"Uno dei problemi sorti in seguito alla nuova norma"» lesse ad alta voce, «"riguarda la guida dei mezzi pubblici. Nei prossimi mesi la patente verrà ritirata a tutti gli Insani che ne sono provvisti; pertanto, non avendo più la possibilità di guidare, tutti gli Insani saranno costretti a viaggiare sui mezzi pubblici, che saranno sempre pieni e affollati". Esatto, come la mettiamo? "Nessun Paziente accetterebbe il ruolo di conducente di mezzi frequentati esclusivamente da Insani, e d'altra parte nessuno si sognerebbe mai di affidare un incarico così degradante a una persona per bene. Tuttavia, è prudente lasciare un compito di tale responsabilità a un Insano? La revoca del diritto alla guida non ammette repliche né eccezioni". Ti rendi conto? Ci privano dei diritti e non possiamo neanche protestare, mentre i Pazienti, poverini, dovranno guidare autobus pieni di gentaglia. Sono pazzi, completamente!» fece Neil, nervoso.

«Non pensavo che si arrivasse a questo punto» disse Leda. «Ero convinta fossero solo le solite voci, e invece...»

«E invece ci stanno mettendo con le spalle al muro!»

«Già. Leggi anche l'altro articolo, parla di una cosa diversa.»

Neil diede un'occhiata al secondo ritaglio. Incastrate tra un'intervista a una nota attrice che stava per avere un figlio e la pubblicità di una catena di ristoranti di lusso, poche righe sottolineate a matita annunciavano il ritiro dal mercato di un gran numero di farmaci. Era la solita notizia che gli aveva accennato anche Anandria e che, ormai più di un mese prima, aveva sentito al telegiornale. Da allora, i medicinali considerati illegali erano aumentati in maniera spaventosa.

Neil sapeva che cosa significava: presto qualsiasi tipo di malattia, banale o grave che fosse, non avrebbe avuto altra cura oltre alla pillola. Ancora una volta, ciò che Arun gli aveva raccontato si stava dimostrando vero: i Pazienti erano davvero disposti a tutto pur di allargare le proprie file, e nessuna protesta avrebbe potuto fermarli.

«La situazione non mi piace» disse Neil.

Sua madre strinse i giornali tra le dita. «Non piace nemmeno a me.»

«La pillola sta diventando troppo forte.»

«Hai ragione. Tutto ciò che accade nel mondo sembra portare lì, alla pillola. Sta diventando l'unica soluzione per tutti i problemi. Non pensavo che arrivassimo a questo, ma ora sono preoccupata sul serio.»

«Sai che i tumori stanno aumentando?» chiese Neil.

Sua madre si irrigidì. «La settimana scorsa è morto il padre di una mia collega Insana. Aveva contratto una forma di cancro molto grave e se n'è andato in poche settimane. Lei è stata licenziata senza pietà, solo perché si è assentata un paio di giorni per seguire la malattia di suo padre, e non l'ho più vista. Non la conosco bene, parlavamo solo ogni tanto, ma mi sono arrivate delle voci: pare che, dopo il lutto e il licenziamento, abbia cominciato a prendere la pillola per la disperazione. Pare che tutta la sua famiglia adesso sia Paziente e viva felice e senza più problemi.»

Leda inspirò forte. «Se tutto questo è vero, se davvero gli Insani presto non avranno più scampo agli inganni dei Pazienti... cielo, Neil, ci aspettano tempi durissimi. Non avrei mai pensato di dirti una cosa del genere, e credimi, vorrei non doverlo fare, ma il vento sta davvero cambiando. Finora non abbiamo fatto altro che lamentarci, senza considerare che le cose, un giorno, sarebbero potute peggiorare. Beh, quel giorno è arrivato. Dobbiamo essere pronti a tutto, dobbiamo continuare a lottare.»

«Lo so, mamma. Tanto io non ho molto da perdere.»

«Neil, ho bisogno di sapere una cosa da te» fece Leda, preoccupata. «Non sappiamo che cosa ci aspetta: uno di noi, se non entrambi, potrebbe ammalarsi o restare vittima di qualche strano incidente. Potremmo subire dei soprusi, potrei perdere il lavoro e la casa, potrebbero separarci, oppure...»

«Non accadrà.»

«Questo non lo sappiamo, non possiamo esserne sicuri. Non vorrei mai che succedesse qualcosa di brutto a uno di noi, e meno che mai a te: sei la cosa più bella che ho al mondo, e sono fiera di come sei e di ciò che stai diventando. Ma se davvero la situazione sta precipitando così in fretta, ne risentiremo in un modo o nell'altro. Quello che voglio sapere è se tu sei veramente pronto ad affrontare tutto questo.»

Neil sbuffò. «Ma certo che sono pronto! Non abbiamo molte alternative, no?»

«Forse mi sono espressa male. Ciò che voglio dirti è che sei libero di scegliere, Neil, indipendentemente da me. Io ho già preso la mia decisione. Se la tua sarà diversa dalla mia, io sarò pronta ad accettarlo e a farmene delle ragioni. Se tu dovessi decidere di prendere la pillola, nonostante io lo disapprovi, avrai il mio appoggio. Siamo due persone diverse e indipendenti, e i legami d'affetto non dovrebbero interferire con le scelte di vita di ciascuno di noi.»

«Mamma, fermati. La pillola non mi interessa, non la voglio! Preferisco morire da Insano piuttosto che arrendermi.»

Leda sorrise amara. «Sei giovane e hai ancora molto da imparare. Le persone possono cambiare, così come cambiano le idee e le situazioni. Non precluderti mai nessuna possibilità, Neil.»

Neil arrivò a casa di Arun prima del previsto. Il secondo autobus era arrivato a destinazione con un largo anticipo, e lui era riuscito a recuperare qualche minuto prezioso.

Aveva ricominciato i lavori il giorno prima. Tenersi occupato gli serviva a sfogare la rabbia, a mettere un freno alle emozioni di quegli ultimi tempi. Arun non si era fatto vedere per tutto il giorno: forse nemmeno si aspettava che Neil sarebbe tornato.

Il ragazzo preparò il secchio con la vernice, trascinò la vecchia scala metallica accanto alla finestra e ci pose sotto qualche foglio di giornale; poi salì e cominciò a dipingere le pareti della stanza di un bel verde pastello. La scala oscillava paurosamente, ma Neil ormai vi era abituato.

Dopo una decina di minuti, un rumore strascicato di passi e Arun fece capolino dalla porta. «Già all'opera?» biascicò con la sua voce gracchiante.

«Sì.»

Arun entrò nella stanzetta. Sembrava essersi rimesso dall'influenza: aveva abbandonato la vestaglia verde e indossava ora la sua tenuta da vecchio vagabondo, con quei jeans sgualciti, la consueta camicia a quadri e un giaccone logoro.

«Grazie per essere tornato» disse a Neil. «Sul serio, mi fa piacere. Sei un ragazzo in gamba.»

Neil sorrise, senza una parola. Quando Arun gli annunciò allegramente che stava uscendo, lo salutò senza distogliere lo sguardo dal pennello impregnato di vernice. La porta di ingresso si chiuse con un tonfo sonoro, e Neil quasi lo rimpianse. Si sentiva così solo...

Si infilò una mano nella tasca dei vecchi jeans che usava per lavorare e le sue dita sfiorarono un ammasso di perline. Il braccialetto.

Doveva esserselo infilato in tasca quando Arun l'aveva colto di sorpresa, la mattina in cui gli aveva raccontato tutte quelle cose che ancora bruciavano ardenti dentro di lui.

Lo tirò fuori con delicatezza e ammirò i riflessi rossastri delle perline, splendenti nonostante gli anni di oblio nella polvere di quella stanza. Ancora una volta, a Neil venne in mente la ragazza bionda che aveva visto in foto, col suo volto scarno e bianchissimo e il suo sorriso tirato. Non riusciva proprio a immaginare una donna nella vita di Arun.

Poca luce filtrava dalle persiane chiuse. Neil si rigirava tra le lenzuola, cercando di prendere sonno senza tanti risultati. Faceva caldo, un caldo soffocante e innaturale, e la coperta di lana giaceva aggrovigliata ai piedi del letto.

Neil spalancò gli occhi nella semioscurità. Mille pensieri gli affollavano la testa senza dargli un attimo di tregua.

A un certo punto ebbe freddo: un freddo terribile, che lo gelava fino alle ossa. Recuperò la coperta e se la tirò fino al mento, rannicchiandosi.

Fuori, il corridoio vibrava di una luce azzurrina. Neil strizzò gli occhi e si rese conto che la luce si faceva sempre più vicina: lo spicchio di parete del corridoio, appena visibile attraverso la porta socchiusa della sua camera, ormai era di un bianco abbacinante.

Quando la luce si fece strada oltre la porta, Neil si irrigidì. Un globo bluastro, poco più grande di una nocciola, brillava al suo centro come se ne fosse il nucleo, un cervello di fuoco. La luce vagò per qualche secondo nella stanza, poi sembrò fiutare la sua presenza e puntò dritto su Neil.

Il panico prese il sopravvento, ma Neil non riusciva a muovere un muscolo. Era sveglio e percepiva il suo corpo, disteso a pancia in su sul suo letto a castello, eppure i muscoli non gli rispondevano.

Ormai il globo era a un soffio dal suo viso. L'avrebbe investito, l'avrebbe consumato.

Neil chiuse gli occhi, terrorizzato. Poi sua madre, nella stanza accanto, tossì.

La sfera di luce restò immobile per qualche istante, prima di seguire quel nuovo richiamo. Con un guizzo, si dileguò fuori, nel corridoio, lasciando Neil stordito e accecato. Sparì veloce lungo il corridoio, e con esso sparì il freddo glaciale che aveva paralizzato la camera.

Neil riprese a respirare, il cuore che martellava contro lo sterno. Aveva la sensazione di essere appena riemerso da un lago ghiacciato. Si raggomitolò sotto le lenzuola fresche di bucato, inspirando l'odore di casa per calmarsi. Nel silenzio, chiuse gli occhi.

Quando la sveglia suonò, Neil rimase sotto le coperte per qualche minuto in più del solito. Si era svegliato controvoglia, di malumore, e proprio non gli andava di abbandonare quel letto così caldo e confortevole.

Ormai quasi ogni notte era vittima di un incubo; di solito erano solo sciocchezze, sogni inverosimili e banali, ma quella volta era stato diverso. Quella notte, la sfera di luce gli era sembrata più vivida che mai, e la paura che aveva provato era vera, era viva.

Accigliato, si alzò pigramente, si arrampicò giù per la scaletta del letto e spalancò la finestra. Respirò l'aria fresca delle sei del mattino, che entro un paio d'ore si sarebbe riempita di smog, dei miasmi della città, del fumo sputato senza pudore dalle marmitte.

Si infilò in bagno per lavarsi. Sua madre dormiva ancora.

Preso dalle faccende quotidiane, Neil dimenticò il globo di luce, come si dimenticano molti sogni quando ci si sveglia. Non fu più in grado di capire se si fosse trattato davvero di un incubo, oppure di un'inquietante realtà.

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