16. Reazioni
«Si può sapere che cosa ti è successo?»
Leda fissava il figlio dal basso del letto a castello dove Neil giaceva immobile da ore.
«Niente, non mi sento molto bene» tagliò corto lui.
«Sono tre giorni che non parli e che ti muovi soltanto per andare in bagno o in cucina. Anzi, non stai nemmeno mangiando quanto dovresti.»
«Ti ho detto che non è niente, sarà solo un po' di influenza.»
«L'influenza di solito non tiene la bocca cucita e l'umore così a terra. Se c'è qualcosa che non va, se qualcosa ti fa stare male, devi dirmelo! Altrimenti non so come aiutarti.»
Neil si girò dall'altra parte, sbuffando. Era impossibile nascondere a sua madre quello che provava, era difficilissimo cercare di non farle notare i suoi turbamenti. Ma non poteva parlargliene; non questa volta.
«Tranquilla, sono solo un po' abbattuto, tutto qua.»
Leda scosse il capo, preoccupata. «Se lo dici tu...» fece incerta, ma lasciò la stanza dopo pochi secondi e andò in cucina a fare colazione.
Neil tirò un sospiro di sollievo. Si sentiva in colpa, terribilmente in colpa a tacere con sua madre. Il discorso di Arun gli aveva stravolto le idee, e ora aveva la mente così ingarbugliata da non riuscire a elaborare un pensiero sensato.
Il vecchio era stato gentile: gli aveva raccomandato di riposarsi per qualche giorno e di starsene tranquillo, senza pensare a nulla. Quando se la sarebbe sentita, e soprattutto se ancora ne avrebbe avuto voglia, sarebbe potuto tornare al lavoro.
Neil aveva accolto quei suggerimenti senza esitazione, e così se n'era rimasto a casa per tre giorni. Non rimuginare su ciò che Arun gli aveva detto gli era risultato impossibile, ma d'altronde c'era da aspettarselo: era troppo, per un ragazzo di vent'anni.
Eppure, Neil non riusciva a farne parola con la madre. I suoi pensieri erano talmente numerosi e confusi da aggrovigliarsi non appena l'idea di esternarli lo sfiorava.
Non sapeva che cosa credere. Se all'inizio aveva pensato di essere in un sogno, adesso era tutto diverso. Adesso, nonostante fosse al sicuro della sua camera, circondato da quei suoni e quegli odori familiari che lo facevano sentire protetto, i segreti che il vecchio gli aveva rivelato ardevano nella sua testa bruciando dall'interno e Neil si sentiva impazzire.
Perché proprio io?
In certi momenti si sentiva una specie di privilegiato, messo al corrente di questioni di un'entità spaventosa che i suoi pari ignoravano; poi però prevaleva un freddo raziocinio e Neil si rendeva conto di non potersi fidare di un uomo come Arun: in fondo era pazzo, lo dicevano tutti e lo aveva pensato anche lui, e i suoi deliri erano ben noti a Insani e Pazienti che avevano avuto a che fare con lui almeno una volta.
Solo che da quando aveva parlato con lui tutto sembrava diverso. Neil aveva iniziato a vedere le cose da un nuovo punto di vista, aveva cominciato ad accorgersi di piccoli particolari che gli erano sempre sfuggiti. Adesso non poteva più ignorare la situazione.
Banalità come cartelloni o volantini pubblicitari, che era abituato a vedere tutti i giorni, assumevano un significato diverso, così come le trasmissioni televisive, così come le notizie di moda o le ricette di cucina trovate sui giornali.
E se ciò che mi ha detto Arun fosse vero?
Non riusciva a crederci, ma non riusciva neanche a far finta che fosse tutto una bugia.
In fondo, era vero che la pillola era ovunque: nei manifesti o negli spot in cui veniva pubblicizzata abilmente, sui giornali che esponevano racconti e statistiche che la riguardavano, negli sguardi accesi e nei sorrisi intriganti dei Pazienti. Era vero che le malattie stavano aumentando, sia quelle poco più banali di un'influenza, sia quelle gravi come i tumori. Era vero che tutto sembrava ricondurre lì, a quella maledettissima pillola viola che risolveva ogni problema, ma al prezzo della propria libertà.
Nonostante tutto, Neil aveva deciso di ritornare da Arun. Non amava lasciare un lavoro a metà, e in ogni caso non poteva fuggire davanti alla realtà, non poteva continuare a comportarsi da ragazzino ingenuo e insicuro. Ormai era un adulto e come tale avrebbe dovuto reagire.
Ci aveva riflettuto molto, in quei tre giorni di pausa, ed era giunto a quella conclusione. Non ne aveva parlato con sua madre, e non ne avrebbe parlato con nessuno: stava solo a lui decidere, stava a lui stabilire se fidarsi o meno, e forse per la prima volta in vita sua aveva preso una decisione senza essere influenzato dai pareri altrui.
Neil respirò l'aria fresca di quel pomeriggio, assaporando le sue ultime ore libere prima di tornare a lavorare da Arun. Sua madre era in ufficio e sarebbe tornata a casa con l'autobus delle sette e mezza, così lui aveva deciso di trascorrere qualche ora con Anandria.
Raggiunse il ristorante e la attese davanti ai tre gradini di marmo che precedevano la porta. Dopo pochi minuti lei uscì, i lunghi capelli biondi legati in una crocchia e contenuti da una fascia bianca, le mani arrossate dall'acqua bollente.
Anandria lo abbracciò e lo baciò su una guancia, poi lo trascinò lungo il marciapiede, sorridendogli.
«Come stai? Ho incontrato tua madre e mi ha detto che non parli da tre giorni» gli chiese.
«Sto bene. Ho avuto solo un po' di... mal di testa, ma ora è tutto a posto» balbettò lui.
«Ne sei sicuro? Leda era molto preoccupata, e anche io.»
«Sì, Anna, davvero. Sto bene.»
«Sarà... forse è un'impressione mia, ma ti vedo strano.»
«Beh, allora è un'impressione tua» tagliò corto Neil.
I due raggiunsero un piccolo parco incastrato tra una scuola elementare, una banca e uno strano edificio quadrato. Era quasi vuoto ed era splendido, con le sue aiuole fiorite e i suoi alberi alti e rigogliosi.
Neil e Anandria si avviarono meccanicamente verso una panchina; poi Neil si fermò all'improvviso.
«Ti va di camminare?» chiese all'amica, che fece un gesto di indifferenza con le spalle.
«Allora, come va col lavoro?» gli domandò Anandria.
«Niente male. Non manca molto alla fine.»
Lei si sistemò una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia. «Bene!»
Neil e Anandria fecero un rapido giro del parco, ammirandone in silenzio le piante altissime, i rettangoli di prato racchiusi da piccoli muretti di pietra e i fiori azzurrini, mentre la ghiaia dei vialetti scricchiolava tetra sotto le loro scarpe. Per qualche minuto, nessuno parlò.
«Sai» esordì Anandria all'improvviso, «credo proprio che tu mi stia nascondendo qualcosa. Cioè, insomma, ti fai sentire meno spesso da quando lavori da Arun, sei sempre più cupo e adesso addirittura te ne resti per tre giorni chiuso in casa senza parlare né vedere nessuno. Allora?»
Neil la fissò accigliato. «Ho solo avuto un momento un po' difficile, tutto qua!»
«Sì, lo so... è solo che sembri diverso. Sei troppo pensieroso. È quel vecchio che ti fa stare così, non è vero?»
«Non capisco cosa intendi.»
«Oh, andiamo. Arun è pazzo: per quanto ne so io, potrebbe averti fatto di tutto! Potrebbe averti minacciato. Potrebbe averti cacciato in un mare di guai, o messo in mezzo ad affari loschi...»
«Ma no, che cosa dici!» ridacchiò Neil. «È solo un vecchio decrepito, e non è così pazzo come sembra. Non credo che farebbe mai del male a una mosca.»
«Continui a essere superficiale. C'è qualcosa che ti turba, te lo leggo in faccia. E sono sicura che qualsiasi cosa ti procuri quelle occhiaie da insonne abbia a che fare con Arun.»
«Ma non è vero! Dai, smetti di farmi la morale.»
«Morale?! È solo buonsenso!»
«È una tua fissazione, tu hai...»
«Stai sottovalutando il problema!» lo interruppe lei. «Non riesci proprio a capire? Non puoi fidarti di persone che non conosci. Non puoi pensare che Arun sia a posto solo perché non ti ha ancora ammazzato. Devi essere prudente, Neil, perché questo mondo ci è ostile e perché a nessuno importa veramente di quelli come noi. Perciò, ti prego, qualsiasi cosa tu abbia visto a casa di quel vecchio...»
«Non ho visto niente» disse Neil. Anandria lo fulminò con uno sguardo.
«Qualsiasi cosa tu abbia visto» riprese, «qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto quel folle, tu devi dirmela. Ti scongiuro. Ci siamo sempre raccontati tutto, abbiamo sempre affrontato le nostre paure insieme, e io ho bisogno di saperti tranquillo.»
Neil sospirò a testa bassa. «Non ho visto niente» ripeté, alzando lo sguardo e incrociando quello di Anandria. «Te lo giuro. Non ho nessun problema con Arun. Lui sembra tranquillo, non mi preoccupa per niente, né ha osato minacciarmi o cose simili. Ci siamo semplicemente sbagliati sul suo conto: è bizzarro e rimbambito, certo, ma è pericoloso quanto un coniglio di peluche.»
«Ma a me era sembrato che...»
«Fidati di me.»
Anandria sbuffò. «Certo che sei testardo. E va bene, mi fido. Come al solito.»
«Brava» sorrise Neil.
«E allora cos'hai?»
«Niente, sono solo stanco e preoccupato. Il mondo va a rotoli, e questa non è certo una novità.»
Neil non era troppo entusiasta all'idea di mentire alla sua migliore amica, l'unica che lo aveva sempre ascoltato e compreso; tuttavia non poteva dirle la verità. Anandria era già fin troppo ostile nei confronti di Arun: non avrebbe mai creduto a una delle sue parole; anzi, di certo avrebbe rimproverato Neil per avergli dato retta. Ma forse un modo per condividere con lei i suoi turbamenti in realtà c'era... sarebbe bastato non menzionare Arun!
«Sai» cominciò Neil, «ultimamente sto facendo parecchie riflessioni.»
«Su che cosa?» domandò Anandria, interessata.
«Beh, un po' su tutto. Sulla pillola, in particolare.»
«E che cosa pensi?»
«Non lo so. Ho come delle impressioni strane. Ho notato un sacco di cose che prima mi erano sempre sfuggite.»
«Tipo?»
Neil esitò un momento. «Per esempio, la pillola viene pubblicizzata di continuo. È ovunque, basta guardarsi intorno per rendersi conto che c'è sempre qualcosa che la richiami. Ci sono un sacco di... ehm... messaggi subliminali ovunque.»
Anandria tacque per un attimo. «Ma questo l'avevamo già notato» osservò poi.
«Non fino a questo punto. Facci caso. E poi, ci sono altre cose... ti ricordi di quell'articolo che abbiamo letto a proposito dei tumori?»
«Sì, me lo ricordo.»
«Beh, non ti pare un po' strana quest'improvvisa crescita delle malattie? Non è giustificabile in alcun modo, così come non si spiega l'aumento improvviso dei sintomi come mal di testa, nausea eccetera. Tutti sappiamo che la pillola è l'unico rimedio possibile per una malattia altrimenti incurabile, perciò non mi stupirei se tutte queste patologie venissero diffuse di proposito, per convincerci a diventare dei Pazienti.»
Anandria annuì col capo. «A questo ci avevo pensato anch'io. All'inizio credevo che la crescita dei tumori fosse una notizia falsa creata ad hoc per spaventarci e per pubblicizzare la pillola, ricordi che te ne avevo parlato? Solo che in questi ultimi giorni ho sentito certe storie... Sai che quasi tutti i farmaci diversi dalla pillola sono stati ritirati dal mercato? Pare che contengano un composto dannoso per l'uomo, perciò ora non potranno più essere prodotti e sono diventati illegali. Inoltre ho sentito diverse persone che raccontavano di avere dei parenti o degli amici che si sono improvvisamente ammalati in modo grave, addirittura un conoscente di un mio collega Insano ha contratto un morbo sconosciuto che provoca perdita dei capelli e pruriti fastidiosissimi in ogni parte del corpo; non appena si gratta, gli spuntano delle grosse macchie rosse sulla pelle. Nessuno sa di cosa si tratta, e nessun tipo di cura sembra funzionare. Allora, mi sono detta, lo sviluppo dei tumori deve essere una cosa reale. Solo che sta avvenendo tutto così in fretta e così all'improvviso che risulta difficile pensare a una spiegazione plausibile.»
«Appunto. E se fosse tutto calcolato? Se fosse tutto studiato apposta per farci ammalare e poi ricorrere alla pillola?»
«Potrebbe essere, e non me ne stupirei» fece Anandria. «Solo che c'è ancora una cosa che mi sfugge: perché? Per quale motivo a qualcuno dovrebbe interessare che gli Insani si convertano alla pillola? Se davvero siamo arrivati a questo punto, non può certo essere solo una questione di orgoglio dei Pazienti.»
«Giusto» osservò Neil. «Magari il motivo è che fa comodo a qualcuno.»
«E a chi? Non saprei, mi sembra pura fantascienza. Forse è solo che la pillola ci rende più mansueti. Magari vogliono renderci un popolo di Pazienti perché vogliono cambiare qualcosa del mondo, qualcosa che a un Insano non starebbe affatto bene.»
«Può darsi, come no.»
«E magari arriveranno al punto da costringerci a prenderla» fece Anandria, intimorita.
«No, quello no. Il Paziente deve assumere la pillola di sua spontanea volontà, o l'effetto non è lo stesso» disse Neil, senza pensare.
«Dici? Come fai a saperlo?»
Lui si irrigidì. «Non so» farfugliò incerto. «Suppongo che sia una cosa del genere.»
«Sì, in effetti è probabile» confermò lei, e i muscoli di Neil tornarono a distendersi.
«Comunque devi promettermi che farai attenzione» continuò il ragazzo. «Qui c'è in gioco qualcosa di decisamente più grande di noi e che forse non riusciamo neanche a immaginare. Tutto diventa sempre più falso e costruito: non possiamo più fidarci.»
Anandria gli prese una mano e gliela strinse forte. «Sono d'accordo con te, e voglio che tu sappia che non sarai mai solo. Siamo due persone che hanno sofferto, che soffrono ogni giorno, ma non dobbiamo arrenderci. Vada al diavolo chi non vuole accettarci! Io ci sarò sempre per te, così come so che tu ci sarai per me. Siamo Insani: niente può fermarci, non se siamo insieme.»
Neil sorrise e l'abbracciò. Il senso di colpa per le bugie che le aveva detto stava pian piano svanendo.
In fondo, non le aveva proprio mentito: aveva soltanto taciuto su qualche dettaglio. L'importante era averle parlato, aver condiviso con lei i suoi pensieri e le sue preoccupazioni e aver trovato ancora una volta un punto d'appoggio, quella comprensione che caratterizzava la loro amicizia e che da sempre la rendeva qualcosa di meraviglioso e indissolubile.
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