13. La storia di Arun
Il suono della sveglia interruppe bruscamente il sonno di Neil. Il ragazzo scese assonnato dal letto e aprì la finestra della sua camera sul cielo nebbioso della mattina. La strada dormiva ancora, con le sue automobili parcheggiate ai bordi. Due passanti fecero capolino da dietro l'angolo della palazzina gialla, per poi scomparire alla svolta successiva.
Neil entrò in bagno, barcollando dal sonno, e infilò la testa sotto al lavandino. L'acqua fredda gli scorse piacevolmente sul viso, svegliandolo del tutto. Si infilò al volo un paio di jeans, una maglietta e una felpa scelte a caso dal mucchio che troneggiava sul materasso inferiore del letto a castello, poi entrò in cucina. Bevve un sorso di latte e caffè, stampò un bacio sulla guancia della mamma, appena sveglia, afferrò l'involucro di carta che conteneva il suo pranzo e si precipitò fuori, nel freddo che anticipava l'alba.
L'autobus arrivò in leggero ritardo e Neil prese posto in fondo, come al solito. Si tirò sulla testa il cappuccio della felpa e si accucciò sul sedile, chiudendo gli occhi e cercando di cacciare indietro la nausea causata dal forte odore di scarico. Quel mezzo era vecchio e traballante, e la sua era l'ultima fermata: scendere dall'autobus senza aver vomitato sarebbe stato già un grande traguardo, quella mattina.
Per di più, ciò che era successo a casa di Arun continuava a tormentare i suoi pensieri. Nei giorni dopo la visita a sorpresa, il vecchio si era comportato come al solito, canticchiando le sue canzoncine e perdendosi nei suoi discorsi senza senso. Non aveva più proferito parola su quella visita, né gli era sembrato turbato o nervoso come lo era stato durante quella fatidica mattinata.
Neil era sconcertato. Stava succedendo qualcosa di strano: la preoccupazione che aveva visto negli occhi di Arun gli era sembrata palpabile e sincera. Non era frutto della sua pazzia, le sue parole non erano le solite ciance da vecchio rimbambito; era come se Arun quella mattina avesse recuperato qualche secondo di lucidità, riaffiorata dalle tenebre del suo passato.
Mentre Neil rimuginava, l'autobus sfrecciava a tutta velocità. Mezz'ora dopo lo lasciò al capolinea, dove il bus successivo lo attendeva sbuffando. Neil vi salì di corsa, e sette fermate dopo scese nella minuscola piazzetta dove ogni sera lasciava la bicicletta arrugginita di Arun.
Il tratto di strada in bici fu più difficile del solito, quel giorno: la via era cosparsa di foglie che facevano slittare le ruote e tirava un vento così forte che Neil rischiò più volte di perdere l'equilibrio.
Davanti alla solita porta rossa, Neil suonò al campanello. Quando fu sicuro che in casa non ci fosse nessuno, tirò fuori le chiavi; un paio di giri nella toppa e fu dentro.
Come al solito, si cambiò in bagno, poi mise piede nella stanzetta triangolare, che aveva finito di sgombrare il giorno prima. Aprì la finestra, districandosi tra le ragnatele, e si preparò a ripulire la camera da cima a fondo.
Nessun rumore sembrava provenire dalle altre stanze o dall'esterno, se non il cupo ululare del vento che ghermiva le foglie, trascinandole nella sua danza vorticante.
Era tutto come sempre.
Neil si dedicò alla finestra, l'unica della camera; i vetri erano grigi dallo sporco, le intelaiature erano ricoperte di ragnatele e il davanzale era un tappeto di polvere scura.
Mentre scrostava con forza il marmo polveroso, Neil si imbatté in qualcosa di diverso, incastrato tra il davanzale e una delle due ante della finestra. Lo prese tra le mani e ci passò sopra un panno per togliere il grosso dello sporco.
Un braccialetto. Un braccialetto di perline rosse.
Ma cosa ci faceva lì un oggetto del genere?
Gli venne in mente la ragazza delle foto. Chissà chi era... magari il braccialetto apparteneva a lei.
Mentre Neil fantasticava, qualcosa dietro di lui si mosse: un fruscio, appena percettibile, e uno svolazzo di tessuto verde. Il ragazzo si voltò di scatto e si ritrovò il grosso naso bitorzoluto di Arun a un palmo dal suo. Gli sfuggì un grido spaventato.
«Silenzio!» gli intimò il vecchio, una fermezza inquietante nella voce e nello sguardo. Neil obbedì, le gambe tremule.
Arun lo prese per un polso e fece per trascinarlo fuori dalla stanzetta, ma lui si divincolò. «Che cosa succede?» chiese al vecchio.
«Tu seguimi e te lo dico.»
Arun si avviò verso la mansarda, arrampicandosi sulla scala a chiocciola. Neil lo guardò dal basso, incerto.
«Allora? Vieni o no?»
Neil rabbrividì. Gli parve di sentire la voce di Anandria che lo metteva in guardia.
È una scusa per adescarti. In una casa del genere, avrebbe molti posti dove nascondere un corpo...
Sentì l'impulso di scappare a gambe levate e non tornare mai più, ma c'era qualcosa, in quella situazione, che lo attirava in maniera inspiegabile. Strinse i pugni e cercò di convincersi che quelle paure erano solo sciocche suggestioni.
Con il cuore a mille, Neil salì i primi gradini. Quando sbucò nella mansarda, trovò Arun seduto sull'imponente poltroncina dietro alla scrivania più grande. Con un cenno, il vecchio lo invitò ad accomodarsi su una delle due sedie davanti a lui.
«Ti sei accorto di qualcosa, suppongo» esordì.
Neil alzò le spalle. «Non capisco.»
«Ragazzo mio, non rendermi il lavoro più difficile. Intendo proprio ciò che pensi tu, ciò che vuoi che ti venga spiegato ma che non hai il coraggio di chiedere.»
Neil esitò un momento. «Beh, una cosa che non mi spiego è quella visita della polizia, tre giorni fa. Lei mi ha fatto dei discorsi un po' strani» disse infine.
«Bene, è un buon inizio. Tanto per cominciare, non è la polizia a preoccuparmi: no, quei balordi che vengono qui a infastidirmi sono solo delle pedine mosse da una forza molto più grande di loro. Ma è ciò che so che mi spaventa.»
Arun fece una breve pausa, mentre contemplava assorto un fascicolo di documenti sulla scrivania.
«Cosa vuole dire?» chiese Neil.
«La pillola, ragazzo, la pillola!»
«Io non capisco cosa...»
«Pensavo che fosse tutto meno grave, ma mi sbagliavo. Pensavo che non ci sarebbe mai stato bisogno di preoccuparsi troppo, eppure siamo arrivati al limite. La situazione sta precipitando in fretta, bisogna fare qualcosa.»
Neil tacque, incerto. Non riusciva a capire se Arun facesse sul serio o se quello fosse uno dei suoi attacchi di follia. Ma il suo sguardo era irremovibile, il suo tono fermo e autorevole, e Neil seppe che ciò che il vecchio stava per dirgli era vero.
«Cercherò di essere breve» proseguì Arun. «Credevo di non aver mai dovuto delle spiegazioni a nessuno, ma non posso continuare a tacere. Sono stanco, adesso. Ti dirò quello che so, anche se questo ti trascinerà in un gioco più grande di te. Almeno forse riuscirò a metterti in guardia.»
Arun fece un'altra pausa a effetto. Quando un forte colpo di tosse lo scosse con violenza, la sua nuova immagine autoritaria si andò a sovrapporre a quella del solito vecchio pazzo, malato e indifeso.
«Quando ero giovane, la pillola non era ancora così diffusa come adesso. Era una soluzione, come dire, d'élite. Non era neppure gratuita, anzi: aveva un prezzo esorbitante e soltanto i ricchi potevano permettersela. Ti sei mai chiesto come fosse possibile che quasi tutti i personaggi politici vivessero così a lungo e così bene? Beh, loro prendevano la pillola. Era la pillola del potere, nelle mani dei più forti. Ma queste sono cose che si studiano anche a scuola, le saprai già. A un certo punto, le disuguaglianze tra i ricchi e i poveri cominciarono a stancare: i poveri lavoravano come animali e vivevano di stenti all'ombra dei ricchi, che invece campavano a lungo e circondati dagli agi. Venne deciso allora di rendere la pillola più accessibile: il suo costo si abbassò e sempre più persone iniziarono a farne uso.
«I Pazienti crescevano e con loro cresceva il benessere generale. Grazie alla pillola, finalmente era stata trovata la soluzione a ogni problema, la chiave della felicità. Non c'era più bisogno di star male, le guerre non servivano più, così come le proteste o gli scioperi. La gente lavorava senza lamentarsi, viveva senza lamentarsi; per molti, la vita senza la pillola non aveva più un senso. Politici e sindacati si mossero, perché il benessere era un diritto indiscutibile di tutti i cittadini, e la pillola era diventata sinonimo di questo benessere.
«Vennero varate nuove leggi per rendere la pillola accessibile a chiunque ne avesse avuto bisogno, facendosela prescrivere presso un Centro Specializzato. Nessuno ebbe da ridire su questo: anzi, persino i più potenti trovarono positiva l'idea di rendere la pillola una soluzione universale contro ogni malattia e ogni problema. Finalmente, gli uomini potevano davvero essere tutti uguali.
«Questo avvenne una cinquantina d'anni fa. Avrò avuto la tua età o poco più; la gente sembrava impazzita, i Centri Specializzati erano letteralmente presi d'assalto. La mia era una famiglia benestante e i miei genitori ce l'avevano a morte con questi provvedimenti che mettevano ricchi e poveri sullo stesso piano. Erano persone all'antica, di quelle che si credono superiori solo perché hanno i soldi e sono fissate con castronerie come la purezza della famiglia. Insomma, loro si opposero alla pillola e ci imposero di non prenderla. Ma io ero solo un ragazzo, allora, e volevo vederci chiaro. Insieme a uno dei miei fratelli, mi misi a fare delle ricerche.
«Non fu semplice. Le informazioni che si conoscevano sulla pillola erano sempre le stesse: dava benessere, forza, immunità alle malattie, lunga vita eccetera eccetera. Eppure ci sembrava strano che non vi fossero controindicazioni. La pillola dava agli uomini tutto ciò che desideravano senza chiedere nulla in cambio. Era tutto troppo bello per essere vero.»
Arun tacque per qualche secondo. A Neil sembrava di vivere un sogno, niente di più: non riusciva a capacitarsi di quella situazione.
«Ci mettemmo in contatto con altri che, come noi, cominciavano a essere scettici» continuò il vecchio, «e conoscemmo gente molto interessante. Si era venuta a creare una vera e propria Resistenza Insana, che se all'inizio era debole, in quel periodo stava raccogliendo numerosi consensi. Aderire ci sembrò la scelta giusta per mandare avanti le nostre ricerche.»
Un violento attacco di tosse interruppe di nuovo il discorso di Arun, che imprecò nervoso.
«Continuammo a studiare assieme ai nostri compagni. Ci riunivamo sempre in posti diversi, nelle biblioteche o nelle case di ciascuno di noi. Buttammo via gli anni migliori della nostra gioventù, ma eravamo felici così, perché né io né mio fratello volevamo vivere in un mondo falso, costruito e privo di identità. Forse eravamo troppo giovani e idealisti, credevamo ancora che l'umanità potesse essere salvata... e ci sbagliavamo.
«Nessuno dava credito alle nostre scoperte, la pillola continuava a trionfare. Molti membri della Resistenza cedettero al suo potere, molti lasciarono perdere tutto e si dedicarono alle loro famiglie. Vivere da Insano cominciò a essere difficile: venivamo derisi, emarginati, ci dicevano che eravamo pazzi e che le nostre ricerche erano inutili, tutto tempo sprecato. Mio fratello cominciò a scoraggiarsi, a farsi convincere dalla propaganda. Quando perse la testa per una donna, una Paziente, per amor di lei decise di prendere la pillola. Ci litigai, venimmo anche alle mani, e da allora non l'ho mai più rivisto.
«Dopo che lui se ne andò, nell'arco di un anno, si verificarono strani incidenti ai miei compagni. Tre di loro morirono in circostanze inspiegabili. Molti ebbero paura e abbandonarono la nostra causa. Ci stavamo immischiando in una faccenda troppo grossa.
«Eravamo rimasti in otto quando decidemmo di separare le nostre strade e di dire addio alla Resistenza. Da allora mi chiusi in me stesso. L'unica possibilità che avevo per continuare a sopravvivere indenne nel mondo della pillola era fingere di essere una persona che non ero. E l'ho fatto, fino ad ora.»
Il vecchio finì di parlare. Neil lo scrutò, cercando di non farsi notare, e gli parve che fosse più serio che mai. Sembrava un'altra persona.
«Che cosa scopriste, riguardo alla pillola?» gli chiese, curioso.
«Che cosa scoprimmo?» ripeté il vecchio. «Adesso te lo mostro.»
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