🔞 Capitolo 22🔞

Ed eccoci a oggi.

Mi trovo nella mia stanza, guardo fuori dalla finestra e sono avvolta dal grigiore della mia solitudine: mi sento un fallimento. Ho perso una delle persone più importanti della mia vita e non ho potuto impedirlo. Ripensare al suo volto trafitto mi genera uno sgomento così forte che quasi desidero farla finita.
Il sangue, la paura, il terrore che ho provato in quel momento riaffiorano nella mia mente. Sento i nervi esplodere mentre tengo lo sguardo fisso verso l'orizzonte. Il sole tramonta e le mie pupille si bloccano contro i raggi solari che muoiono nel cielo. Le grida che ho udito risuonano ancora nelle mie orecchie, poi si fondono con quelle dei bambini che giocano sul viale. Le foglie si sgretolano contro l'asfalto, come il mio cuore, ridotto a brandelli.
La verità è che non riesco più a dare un senso alle mie giornate. Quando si perde qualcuno di importante è così, soprattutto se quel qualcuno ti viene strappato via senza un perché e senza un per come. Sono inca**ata contro le leggi del mondo, contro la cattiveria che regola le nostre esistenze. Non è stata una malattia a ucciderla, non è stata la sua volontà a decretare la sua fine, ma una mattanza insensata e orripilante.

Da quando Angela è morta, la mia vita – o meglio, la mia esistenza – è cambiata. Non dipingo più e ho persino chiuso momentaneamente la mia bottega d'arte. Ogni tubetto di acrilico genera in me un turbinio di emozioni negative e, in modo inspiegabile, mi ritrovo a pensare ad Angela. Soprattutto a quel coltello che le ha perforato la gola. Davanti agli occhi ho costantemente quell'immagine, che mi impedisce di tornare a essere Margot.

Sono diventata un automa, apatica e priva di obiettivi.

Non voglio vedere nessuno.

Non aver salvato Angela sta diventando una malattia; me ne rendo conto, ma non posso fare altrimenti. Passo le giornate chiusa in camera, accompagnata dal mio "spleen" e dal lutto che mi ha penetrato il cuore.

Chiaramente ho smesso di lavorare per i servizi segreti. Divincolarmi è stato estremamente difficile. Ma io, per ora, mi dissocio. Ero entrata lì, solo per Angela, e da quando mi sono imbattuta in quella scena terrificante, non ne voglio sapere più nulla.
Non so come andrà la mia vita, perché sono sicura che non tornerò mai quella di prima. Sono arrabbiata, infuriata, e provo un grandissimo sprezzo. Sono piena d'odio, perché non riesco a tollerare il fatto che Angela sia morta e che io non abbia potuto fare nulla per impedirlo.

Sto piangendo.

È l'occupazione che ultimamente mi riesce meglio: piangermi addosso e sperare che qualcuno risolva il casino che ho nella testa. Le lacrime irrigano e graffiano il mio volto, e io ho solo voglia di gridare.
Perché, oltre ad aver perso una delle persone più importanti della mia vita, ho perso anche l'amore.

Adesso vi starete chiedendo che fine abbia fatto Abe.

Beh, io non lo so.

So solo che, dopo quella sera, non ci siamo più visti, e con molta probabilità lui è rimasto in Messico per comprendere meglio la faccenda.
Sono confusa e costernata.

Ho tanti dubbi da risolvere e pensieri che aleggiano nella mia testa come fossero meteore. Non riesco a smettere di pensare alla rivelazione di Abe: il cartello "Locos" aveva ucciso sua figlia. Ora posso comprendere la sua vendetta, perché anche io sono piena d'ira e avrei volentieri commesso una carneficina contro gli aguzzini di Angela, se solo avessi saputo la loro identità.

D'un tratto, i miei pensieri vengono interrotti dalla porta che si apre. Nel vedere mia madre con un ampio sorriso, cerco di nascondere le mie lacrime.

"Margot, io e tuo padre siamo molto preoccupati per te" mi dice mentre si avvicina e mi stringe una spalla.
Non posso darle torto, perché il mio stato emotivo è davvero pronto a crollare nell'abisso della depressione. Poi, mia madre mi porge una busta che tiene tra le mani ed estrae un vestito sgargiante ed elegante.

"Ho pensato che potesse farti piacere un regalino. Sai, stasera c'è la festa della polizia in cui Abe verrà premiato come migliore agente dell'anno."

Nel sentire quel nome, impietrisco. Guardo mia madre come se fossi posseduta da Belzebù. Cerco di tranquillizzarmi e respiro ansiosamente, perché non vedo quell'uomo da circa un mese e, soprattutto, il fatto di non aver avuto più sue notizie mi agita parecchio.

"È tornato in città?" chiedo, cercando di placare il mio sentimento.

Nel momento in cui quegli occhi blu riaffiorano nella mia mente, sento un terremoto nel petto e un'altra lacrima divide il mio cuore.
Sto vivendo un pianto interiore che mi fa sprofondare nel cerchio più buio dell'inferno. Sento le anime dei dannati chiedere pietà, e mi unisco anch'io a quelle grida, perché vorrei solo essere felice.

Ma la vita me lo impedisce.

Ho perso Angela e sono innamorata di un uomo che non mi merita, di un individuo che non conosco davvero, verso il quale provo un amore che non è degno di questo mondo.
Perché deve capitare a me questo tormento? Non lo so, ma vorrei una risposta a tutti i miei perché.
Mia mamma annuisce e si allontana dalla mia stanza, lasciandomi sola.

Non ho nessuna voglia di recarmi a una stupida celebrazione per piedi piatti, dato che sono circa trentadue giorni che non esco di casa. Non voglio rivedere lui. Il mio cuore sembra spingermi verso di lui, ma la mia mente si oppone a quello sgomento. Sto soffrendo per un lutto, e non voglio trovarmi a soffrire anche per amore.

Pietà ti chiedo, Dio, se esisti.

Non ho più le forze per crogiolarmi nella mia tristezza e nell'affanno che caratterizzano le mie giornate. Il pianto mi stremisce, e cado in un sonno profondo.

Quando mi sveglio sono circa le 20:00, e le urla selvagge di mia madre mi fanno saltare dal letto. Mi invitano a prepararmi. Esco dalla mia camera e trovo mio padre vestito di tutto punto con la sua splendida divisa. Mi sorride.

"Sappi che sono comunque orgoglioso di te" mi dice, ma io sento di non meritare quelle parole e divento ancora più cupa.

Guardo a terra, decisa a non recarmi alla Festa della Polizia, ma quando lo sguardo di mio padre mi supplica, non posso desistere. Sento il mio cuore sciogliersi in mille pezzi.

"Tesoro, vieni con noi stasera. Fallo per me" mi sussurra, e chiudo gli occhi, combattendo contro il mio dolore. L'amore di un padre verso una figlia è superiore a qualsiasi legge della natura, e così decido di assecondare il suo volere.

Vado a prepararmi e indosso il nuovo vestito regalatomi da mia madre. È troppo appariscente, ma almeno soddisfo i miei genitori. Mi guardo allo specchio. Il mio volto è cadaverico, le occhiaie evidenti. Provo a coprirle con del fondotinta. Adorno le mie labbra carnose di un rossetto rosso e accendo l'ennesima sigaretta.

Sento il fumo entrare nei polmoni mentre il petto si gonfia sotto la stoffa nera dell'abito. Lo scollo a cuore sul seno lascia poco spazio all'immaginazione, ma non mi importa di quello che penseranno quattro poliziotti arrapati. La cosa che però mi genera più paura è rivedere lui. Non so cosa proverò, non so cosa accadrà, ma sono decisa a mettere la parola "fine" a quel rapporto tossico che mi ha portato solo guai.

Ho sofferto molto per quell'uomo e non voglio cadere in un vertice di disperazione per un amore non corrisposto. Senza dire una parola, io e la mia amata famigliola ci dirigiamo in macchina. Guardando mio padre, mi chiedo se abbia mai capito del mio rapporto con Abe.

Forse sì, forse no.

Non so dare una risposta certa, ma posso dire che mio padre non è affatto stolto.

Quando arriviamo nel grande giardino della caserma, ci sono troppi piedi piatti. L'attenzione è fissa su di me. La prima a salutarmi è Lizzie, che mi butta le braccia al collo come se non mi vedesse da anni. Effettivamente non avevo mai risposto alle sue telefonate. Non c'era una vera motivazione, ma non volevo parlare con nessuno.

"Allora, come stai, amica mia?" mi chiede, spiegandomi che ha perso l'amore ma nel frattempo ha conosciuto un nuovo ragazzo colombiano che le ha fatto perdere la testa.

Beata lei, che riesce a eliminare quel sentimento capzioso così facilmente dal cuore. Io, invece, sono innamorata di un imbecille da circa sei anni e non riesco a dimenticarlo.

Bella merda, insomma.

Poi mi avvicino a Thomas, che mi saluta con un ampio sorriso. Ho sempre notato nei suoi atteggiamenti una predilezione per me, e ora ne sono sicura. Mi fissa la scollatura e non osa parlarmi. La cosa mi mette a disagio, e così mi allontano.

Prendo posto tra la platea, dove è stato montato un palchetto al centro del giardino.

Ho l'ansia.

Non vorrei vederlo, ma allo stesso tempo muoio dalla voglia di incrociare i suoi occhi blu. Lo aspetto, contando i secondi che mi separano da lui, perché sento fisiologicamente che è vicino.

Il capitano Luther, meglio noto come "Baffone", prende il microfono tra le mani. La sua voce risuona nell'aria.
"Agente Williams"

Il suo nome risuona nel mio cuore come un richiamo. Quando lo vedo apparire dal sipario, mi sento morire. La sua pelle è ancora più abbronzata, e i suoi capelli brillano nel buio di quella sera.

"E ora, un applauso speciale per l'uomo che ha dedicato la sua vita a servire la giustizia, distinguendosi per il suo coraggio e la sua determinazione. È con grande onore che premiamo l'agente Abraham Willians come miglior agente dell'anno!"

Nel mio petto si genera un uragano. Le parole del capitano Luther sono inascoltate, perché mi perdo a fissarlo. Respiro affannosamente. I suoi occhi scrutano la platea, osservando ciascun volto, e quando i nostri sguardi si incrociano, la sua espressione cambia.

Non so dire come o perché, ma la sua bocca si apre leggermente e la sua voce inizia a tremare.

"La ringrazio, Capitano Luther" balbetta.

Forse non sono una pazza visionaria: forse non gli sono così indifferente.

La cerimonia è breve, e la festa ha inizio. Abe e mio padre aprono le danze, perdendosi nelle note di YMCA dei Village People. Abe è spensierato. Le sue braccia si muovono a ritmo di musica mentre i due amici ridono di gusto.

Lo trovo bellissimo, con la sua divisa blu che risalta nel crepuscolo della sera.

Mi è mancato vederlo così.

Forse mi è mancata la normalità che la morte di Angela ha spazzato via. Ma mentre lo osservo, una donna si avvicina e inizia a ballare con lui.

Abe non sembra disdegnare. Da buon seduttore, fissa quella nuova preda con aria provocatoria. Mi sento lontana anni luce da lui. Non mi concede nemmeno uno sguardo, come se io non fossi più parte della sua vita.

Ho il cuore che batte forte.

Non posso sopportare di vederlo felice senza di me, perché io non lo sono. Sto male. Sto soffrendo. Non posso accettare questa agonia. Scappo in bagno per cercare aria.

Apro il rubinetto, e l'acqua calda sbatte sul mio volto. Provo a tranquillizzarmi. Sapevo che non avrei dovuto illudermi. Respiro male.

Perché ca**o sono venuta a questa festa? Non lo so.

Sto esplodendo di rabbia mentre mi fisso allo specchio.

Stupida cretina che ha pensato che tra noi ci fosse qualcosa. Sono una stupida cretina!

Poi mi rendo conto di non essere sola. La porta si apre. Alzo lo sguardo, ma non riesco a vedere chi è entrato.

Così torno a guardare la mia tristezza. Mi scruto dentro e sto malissimo.

"Margot," il mio nome si disperde nell'aria e brucia nel mio cuore. E la sua voce, il suo timbro roca che riesce a farmi alzare la testa come fosse un richiamo. Mi volto e i suoi occhi blu si fondono ai miei, si avvicina a me con intensità e sento la mia pelle coprirsi di brividi.

Questo è l'effetto che mi fa Abram Williams e decido di gustarmelo senza provare a cedere però. Voglio sfuggire al suo fascino, ma so già che non ci riuscirò. I suoi pettorali sono vestiti della divisa blu e i suoi glutei si sposano alla perfezione con il pantalone poliziesco. La targhetta con il suo nome brilla contro lo specchio e il rumore della sua calibro 22 enfatizza i suoi movimenti. Eccoci qui, due perfetti disastri che decidono di fondersi in un unico perfetto e spietato soqquadro. E troppo vicino a me, ma non voglio staccarmi da lui. Mi accarezza i capelli e sento le sue mani posarsi sul mio collo.
Rabbrividisco. Ho un tornado nel cuore. Quest'uomo mi è mancato come ossigeno e adesso che è vicino a me, sto tornando pian piano a respirare. Posso uscire da questo tunnel di disperazione solo grazie a lui e lo so.

"Stammi lontano! Hai portato solo guai nella mia vita," dico secca mentre do adito al mio cervello, ma per verità vorrei solo assaggiare le sue labbra che ho sognato ogni notte. Sento le sue mani stringere i miei fianchi, poi con le sue labbra sale per cingere il mio collo di teneri baci.

"Tu-questo-lo-chiami-guaio?" mi sussurra contro l'orecchio con la sua voce erotica, scandendo con provocazione ciascuna parola.

"Sì? È un guaio!"

"Il mio guaio, Margot," dice Abe, avvicinandosi con sguardo deciso e voce bassa, "è che ogni parte di me ti desidera più di quanto dovrei. Quando ti vedo, quando ti tocco, non riesco a fermarmi. Siamo fuoco, siamo pericolo, eppure è proprio in questo caos che trovo il mio piacere più profondo. Tu sei la mia rovina, e non voglio altro che perdermi in te, senza freni, senza limiti."

Sento la sua lingua avvolgere il mio collo pallido: conosco quella sensazione, non posso più tornare indietro. I suoi capelli ordinati, la sua pelle abbronzata, il suo profumo da uomo che emana, e i suoi gesti raccontano alla mia immaginazione di scene erotiche che si aggrovigliano nella mia mente. Non oso rispondere a quella sua provocazione e mi rendo conto che sa osservando le mie cosce, che la gonna lascia abbondantemente scoperte. Sono avvolta da un confortante tepore che si trasforma in una vampa che mi incendia il corpo e non appena Abe inizia ad accarezzarmi risalendo fino all'inguine. Cerco di scacciare qualsiasi pensiero dalla mente, ma il poliziotto prende delicatamente la mia mano destra, accompagnandola fino a farla posare proprio sopra alla patta dei pantaloni, dove la sua erezione è ben dura e sta in attesa.

"Mi sei mancata davvero troppo, mia piccola Margot," mi sussurra e quella rivelazione mi incendia il cuore, quel "mia" mi ha decisamente stregato. Accarezzo delicatamente quel rigonfiamento mentre divento di fuoco.
Lui supera il bordo delle mie mutandine per frugare dentro di me, regalandomi brividi per ogni dove.
Non aspetto, voglio averlo subito e il fatto che qualcuno possa sorprenderci mi eccita. Dopo avergli sbottonato la camicia (e accarezzato a lungo quegli addominali tanto seducenti), passo alla lampo dei pantaloni, desiderosa di infilarci una mano dentro. L'ho trovato pronto, duro e vigoroso, e sono rimasta sorpresa: forse gli sono mancata davvero. Libero la sua mascolinità dai pantaloni e mi sorprendo per la sua dimensione gigantesca, ogni parte del suo corpo mi è mancata, ma non posso ammettere che fare l'amore con lui è un dolce piacere di cui non voglio mai più privarmi.

"Anche tu mi sei mancato, Abe." A quelle parole, lui mi spinge contro un servizio igienico e chiude la porta. Con violenza, mi sbatte contro il muro e lo sento davvero eccitato mentre, con una mano, mi tiene i capelli lunghi in una improvvisata coda di cavallo e me li tira. Con l'altra, si tiene l'erezione, avvicinandola al mio ori**zio e iniziando a massaggiarlo per ammorbidire la muscolatura. Mi inizia a schiaffeggiare le natiche ridendo e il suono della sua risata mi è mancato come l'aria.

Forse sto sbagliando perché dovrei farmi desiderare di più, ma io non riesco a resistere al fascino di quell'uomo.

lo lo amo!

Sorrido anche io perché so che non se l'aspettava che avrei reagito così positivamente, ma a me è mancato davvero molto.

Mi libera del mio vestito con sapienza e affonda in me velocemente, trovandomi aperta e pronta. Si spinge nel mio corpo con dei colpetti dapprima leggeri e poi sempre più decisi e profondi.

"Sei tutta mia, Margot. E non c'è niente che tu possa fare per fermarmi."

"Sono tutta tua. Fammi quello che vuoi" sussurra e quando affonda totalmente dentro di me, mi sento travolgere da un calore totale, vorrei urlare che ho bisogno di lui per continuare a vivere, ma non ne ho il coraggio. Tiene le mie gambe sollevate di fronte a lui e penetra dentro di me senza tregua: affonda con intensità fino in fondo e sento che ha appena sfiorato la mia anima.

" Il modo in cui ti prendi il mio ca**o, mi fai impazzire... Non c'è niente che desideri di più che perdere me stesso in te."

Il suo sguardo è cangiante e introspettivo: Dio, quanto sono profondi i suoi occhi azzurri.

Posso scorgere anche un pizzico di stupore, decisamente non si aspettava questo fine serata.
Stringo le sue natiche toniche tra le mie dita e i ritmi dell'org**o sono vicinissimi, d'un tratto, mentre sono quasi vicina a gridare per il piacere, lui viene e si stacca da me con fare goliardico e si volta di spalle.

Giustamente, lui è arrivato al piacere e io no: la sua saccenza mi schifa ma allo stesso tempo mi intriga.

"Ti aspetto a casa mia per proseguire, piccola Margot. " mi dice con la sua solita sfacciataggine mentre va via e mi lascia sola nel bagno.

È sempre il solito str**nzo!

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