6/2. De Santis [!!!]


Noàn scriveva: «Ciao Thomas. Non credo che io e te ci siamo mai visti di persona».

Seppi subito cosa scrivere. Afferrai di nuovo il mio telefono e scrissi: «Chi sei?».

«Dimmi di te», controbatté.

Doveva sicuramente saper qualcosa. «Ah. Per esempio... sono passati 147 giorni dal mio compleanno», mentii. Aggiunsi dell'altro, qualsiasi cosa sarebbe andata bene, era emergenza: «Mi avevano detto che avrei ricevuto una sorpresa ma non l'ho ancora vista. Tu c'entri qualcosa?».

«Non credo che mi riguardi», rispose. «Come mai conti i giorni?».

Mi morsi un labbro e guardai altrove, rabbrividendo. Aveva notato il numero? O trovava il conteggio semplicemente strano?

«147 è un numero importante, per me», tentai.

«Perché?».

«Non lo so», ammisi. «Ma se tu non c'entri, perché mi hai contattato?».

«Non ho particolari motivi da darti adesso».

«Perché?».

«Rilassati, non sono pericoloso».

All'inizio non sembrava sospetto. Le nostre chat sembravano regolari, se non che ad un certo punto la faccenda incominciò a farsi sempre più cupa, a ricadere nell'enigma che mi circondava.

Ci saremmo incontrati un preciso pomeriggio in un paese vicino, mi aveva consigliato dei modi per raggiungerlo, strade più veloci, autobus...

«Ma in un luogo affollato», precisai io, via chat.

«Ma certo», rispose.

Ero preoccupato, quel giorno, ma cercai di lasciarmi rassicurare dal sole che accarezzava le cose. Avevo raccontato ai miei genitori che avrei passato la giornata con Alberto, dopotutto quel giorno lui sarebbe rimasto a casa da solo e se avesse mantenuto il segreto, questo avrebbe retto.

Quando raggiunsi la piazza prestabilita cercai il nome del bar che mi aveva indicato.

«Come ti riconoscerò?», gli avevo chiesto via chat, in precedenza. «Quanti anni hai?».

«Una trentina. Avrò una camicia bianca, una cravatta marrone, pantaloni chiari e capelli biondi. Vieni da solo».

«Perché da solo?».

«Perché abbiamo dei segreti in comune e da nascondere».

«E quali sarebbero?».

«Non possiamo parlarne tramite un social».

«Perché no? Resta fra noi due».

«Non funzionano così i sistemi di privacy online».

«Come mi hai trovato su internet? Perché hai scelto me?».

«Mi è stato detto di te».

«Da chi?».

«Se vuoi sapere altro dovremo vederci».

«Verrò».

Individuai un uomo biondo, vestito con abiti chiari ed eleganti seduto al tavolo di un bar. Non si guardava spesso attorno, era tranquillo, in attesa. Era lui?

Ad ogni mio passo sentivo un certo vuoto solleticarmi lo stomaco. Avvicinandomi venni notato e ogni tanto buttò uno sguardo verso di me, quando mi vide sostare vicino al suo tavolo accese uno splendido sorriso e mi disse in modo accogliente: «Ciao Thomas. Accomodati, sono io che cerchi».

Mi sedetti di fronte a lui, respirando tutta l'inquietudine che aleggiava intorno a noi.

Allungò una mano verso di me e la strinsi. «Michael De Santis», disse.

Perché non Noàn? Perché aveva usato un altro nome sul social network? Perché proprio Noàn? Sentivo la verità fremere sotto ad un fragilissimo velo.

«Thomas...», ma sospettavo sapesse già il resto. «Manero».

«Sei molto giovane», notò. «Cosa ti ha portato qui?».

Corrugai la fronte ma lui aggiunse subito: «Sarò più preciso... Perché hai accettato di venire qui? Tu sei molto molto giovane, corri molti pericoli ad avventurarti così, da solo. Che mistero ti spinge a venire?», socchiuse le palpebre che come sipari nascosero parte dei suoi occhi azzurri, attenti, «Cosa ti aspetti da questo incontro?».

«Non lo so», ammisi.

«147», farfugliò fra sé, abbozzando un mezzo sorriso. «Ho qui una cosa per te».

Poggiò una busta davanti a me, «Lo sai mantenere un segreto».

Presi la lettera ma non la mollò, così lo guardai confuso ed incrociai i suoi aguzzi occhi fissi dentro di me. Mi lasciò prendere la lettera e preoccupato gli dissi: «Cosa faccio? La apro ora? Perché 147? Cos'è? Dicevi a me?».

«Senza fretta», mi rispose e sorrise ancora. «Devi saper nascondere ogni prova, se non sai farlo, distruggila».

Un'attraente cameriera giunse a chiedergli ordinazioni, lui l'ammaliò con i suoi modi, ordinò un caffè, due tramezzini e mi chiese: «Cosa prendi? Offro io».

«No. Niente», risposi. Come potevo mangiare in un momento d'ansia come quello?

«Faccia lei», disse alla ragazza. «Non badiamo a spese», poi però diede un'occhiata al mio sguardo preoccupato e aggiunse: «Qualcosa di leggero».

«Non posso scegliere per lei. Posso elencarle alcune...».

«Non si preoccupi, faccia come le ho chiesto. Scelga ciò che i ragazzini richiedono più spesso», l'assicurò con fare convincente.

Quando lei si allontanò lui mi posò una mano sulla spalla dicendomi: «Rilassati. Sarà una conversazione amichevole, sono tuo amico».

Anche Mattia lo diceva spesso, dicevano di voler proteggermi. Ma io non potevo esserne sicuro.

«Mh...», commentò guardando il mio viso silenzioso. «Hai qualcosa da chiedermi?».

«Perché siamo qui?».

«Per il contenuto di quella busta».

«L'hai scritta tu? C'è una lettera dentro?».

«Non l'ho scritta io», mi rispose. Ricevette due tramezzini e me ne passò uno ma scossi la testa.

«Su, avanti...», disse ed addentò il tramezzino. «Siamo amici».

«Non lo so», gli risposi.

Sorrise, «Ma bravo, ragazzo».

«Cioè?».

«Sì. È giusto così, Thomas. Ma non devi preoccuparti oggi. Non per me».

La cameriera mi consegnò dei pasticcini e li mangiai molto timidamente, sotto allo sguardo attento del mio nuovo, strano amico.

«E dunque...», iniziai. «Se non hai scritto tu la lettera... chi lo ha fatto?».

«Prometeo».

Prometeo...

«Una persona?».

«Un'organizzazione».

«Di?».

«Ci occupiamo di diversi settori». Da come ne parlava sembrava qualcosa di estremamente normale.

Ma non lo era. Di sicuro non lo era. Come avrebbe potuto esserlo?

«Sai niente di ciò che è successo a Calà di recente?», domandai.

Annuì, masticò e mi guardò silenziosamente. Poi rispose serenamente: «Sì. C'è stato un'incidente».

«Come ne hanno parlato alla TV?».

«Non so cos'abbiano detto alla televisione ma non credo proprio».

«Io c'ero quando è accaduto».

«Eri lì?», ma non sembrò molto sorpreso. «Conosco il tuo caso, di questo ho letto qualche accenno».

«Il mio caso?», l'angoscia mi strinse ancora e poggiai il pasticcino sul piatto.

«Oh, rilassati. Tranquillo!», e rise. «Noi ci occupiamo proprio di voi, siamo qui per questo. Non abbiamo cattive intenzioni». Poi spinse con due dita un bicchiere di succo verso di me, «Beviti un sorso, dev'essere buono».

Ma rimasi ad osservare i suoi occhi, «Loro hanno fatto del male ad un mio amico».

«Loro chi?», domandò più serio.

«Gli...». Alieni. «Le navicelle. No, le... luci. Di Calà».

«No», rispose. «Non so a cosa tu ti stia riferendo ma i nostri non attaccherebbero mai dei ragazzini».

«E dei bambini?».

«Quando è successo? Tre anni fa?».

«Sì. Come lo sai?».

«È stata la tua prima esperienza».

«No».

«Sì», rispose perplesso. «Le altre te le sarai immaginate», e rivolse la sua attenzione al caffè, ma solo per un attimo. I suoi occhi tornarono su di me: «Ne hai avute altre, prima?».

«Sì».

«Evidenti?».

«Non lo so...».

«No, questo non è normale», scosse la testa e soffiò delicatamente sul fumo che emergeva dalla tazzina. «Non ne ero informato. Non esiste».

«Quante cose sai di me, Michael?».

«Si pronuncia alla svedese, il mio nome, non così. Comunque poche», rispose. «Ma dimmi dei tuoi casi precedenti».

«Perché vi interesso?».

«Perché sei un caso raro, i miei superiori hanno bisogno di te».

«Adesso?».

«No! Sei troppo piccolo. Ma ora che ti abbiamo trovato potremo aspettarti tranquillamente. Ma dimmi degli altri casi».

«Delle voci. Credo».

Parve voler ridere, «Di notte?».

«Forse... sì. Non ricordo bene».

Scosse la testa, «No. Non ci siamo. Non siamo qui per parlare di suggestioni infantili».

«Tu sai niente delle cose strane che mi capitano?».

«Dovresti specificare!», e rise. «Non ho le risposte a tutto!».

Mi guardai attorno e gli sussurrai: «Le luci... i sogni...».

«Messaggi?».

«Ma da chi?», gli domandai.

«Non conosco tutto», mi rispose.

«E che cosa conosci?».

«Le tue potenzialità. I fenomeni che includono Prometeo».

«E questi non riguardano uno dei campi di Prometeo?».

«Sì, certo. Ma sei così vago! Come potrei non darti risposte vaghe?». Poi ci pensò e mi disse: «Potremmo parlane da un'altra parte. Ne hai bisogno ora?».

«Non verrò da solo con te, da un'altra parte», lo avvisai.

«Allora abbiamo finito per oggi», s'alzò.

M'alzai anch'io, lui prese i pasticcini e me li diede: «Finiscili anche più tardi, sembrano buoni».

Andò a pagare. Me ne rimasi appoggiato ad una colonna, perplesso. Non sapevo più cosa pensare di tutto questo. Sembravo avere così tanto e così poco allo stesso tempo. Guardai la busta, fui tentato dall'aprirla ma preferii nasconderla nello zaino per dimostrargli di essere sveglio.

Tornò e ci salutammo, così le nostre strade si divisero.

Ma non completamente.

Io raggiunsi casa di Alberto e rimasi solo con lui finché i miei genitori non vennero a riprendermi. Alberto non mi aveva fatto molte domande, non era così curioso, era piuttosto impegnato a catalogare i suoi insetti e impiegarmi in varie mansioni per risistemare le sue cose.

Appena a casa si spensero le ultime luci, nel silenzio candido della notte, accesi una lampada,seduto sul mio letto ed aprii la busta.

SPAZIO AUTRICE:

E mo ... cosa succederà?? ;) C'è chi già crede che De Santis sia un'alieno ... e voi che teorie avete??

Pubblicherò altri capitoli se raggiungerò abbastanza views fino alla fine! Quindi se volete sapere come va avanti potreste darmi una mano! :) Il bello della storia deve ancora cominciare :3

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