4/2. La paura


La paura del buio m'assalì ogni sera, poi la passione per il mistero la inseguì, la superò, si lasciò calpestare e si alzò ancora in piedi. Guardai ancora fuori casa, curioso e spaventato, una notte. Poi dei suoni! Ma erano solo piccoli animali che correvano delicati e venivano dal bosco.

Non muovetevi animali, non fiatate insetti, non muovetevi foglie. Che la sera stia zitta. Zitta! Totalmente.

Nessun rumore. Eppure giaceva tutto in espansione fino all'esasperazione, nella mia testa. Ogni voce segreta, ogni ricordo, ogni timore. "Dove siete? Voi misteri. Che volete?", avrei chiesto, al vuoto.

La nonna mi spiegò che quando succedono cose del genere, come nel caso della creatura che spiava dentro casa, è chiaramente opera del male. Sono demoni che giungono a spaventarci, corromperci, distoglierci dalla via. Diceva che il bene si distingue all'istante mentre il male è infido, non è bello né piacevole e spesso da subito. Mi consigliò poi di frequentare la Chiesa, di pregare perché la fede avrebbe scacciato ogni male, ma preferii crederle invece che lasciarmi assorbire dal terrore, dal "male".

Preferii l'illusione. Per una volta. La guarigione.

La Chiesa, storicamente potente, forza economica, militare, manipolatrice, non faceva che deludermi, di mese in mese. Le persone entravano, come pecore, recitavano morenti parole non loro che non ragionavano, con finto cuore o cuore corrotto. Erano come macchine. Erano come vuote, le persone. Ma la Bibbia sì, qualunque cosa fosse, mi permetteva di ragionare, di chiedermi cose che da solo ancora non mi sarei chiesto. Per curiosità, presi quella della nonna e ci diedi una sbirciata ogni tanto, associandola alla filosofia. Ma l'orientalismo invece, sembrava soddisfarmi ancor prima, passai alle letture spirituali, all'olistica, alla filosofia antica. In cerca di qualcosa. Nella coscienza umana. Nei secoli di domande e nella scienza, amata, ma ora muta. Non aveva nulla da dire su ciò che non è fisico, i suoi strumenti non potevano vedere e provare niente e io non potevo dare per inesistente ciò che coi mezzi scientifici attuali non era evidente. L'apertura mentale era in fondo saper accettare l'impossibile ma credere nell'utile. Non si dovrebbe forse ridere del folle che potrebbe saperne più di te e dei tuoi strumenti, che siano pure scienza. Sbagliare è normale quando sei in movimento e io ammiravo il coraggio. Il mondo delle credenze è radicato dentro al nostro animo. Profondo mistero.

La matematica descriveva o componeva ogni cosa? Fosse stata una componente del mondo tramite cui descriverlo veramente?

Le teorie poi... le teorie erano ovunque, dalle chiacchiere alla scienza. Era pericoloso affermarlo ma...

In realtà la certezza non esisteva.

La teoria non coincide col mondo reale ma col mondo ideale.

E non si sa mai abbastanza.

Fortunatamente l'istinto di conservazione ci dona la capacità di adattarci e vivere comunque.

Dopotutto non possiamo vivere solo di realtà o solo di idee. Tremiamo nel buio più profondo ma non possiamo nemmeno guardare il sole in faccia. Forse sta nell'equilibrio, la vita.

Così aprii anche libri sul taoismo, Tao Te Ching, Sun-Tzu Ping-Fa... Cercai, senza fine, volevo capire.

Volevo capire me. Volevo capire il mistero e il mondo. Tutto.

Teorie nascevano e morivano davanti ai miei occhi. Il mondo cambiava a seconda di come io lo pensavo, a seconda di come io mi ponevo rispetto ad esso. Ma quali punti di vista erano i più efficaci?

Scorrevano pagine, correvano i giorni, le mie notti iniziarono ad illuminarsi di luci, prima insignificanti, immediate, ora più concrete. A volte mi svegliavo alla notte, spaventato da esse e a volte invece ricadevo subito nel sonno, accompagnato dal loro rassicurante candore. Cercai anche questo nelle pagine, nelle leggende. Ce n'erano tante, di tutti i tipi. Speculazioni soltanto, ovviamente. Così non mi restava che scegliere fra tutte le storie le migliori, quelle che mi piacevano, perché per azzeccare la realtà occorreva giocare con la fortuna, quindi, tanto valeva scegliere la realtà che più mi piaceva. Non avevo i mezzi per sfondare quel nuovo mistero, non mi restava che allenarmi ad apprezzarle tutte le verità e a non affezionarmi a niente. Come i miei vecchi libri orientali dicevano, tanto più forte è l'affetto e il desiderio, tanto più forte sarà il colpo, il dolore, la caduta. Io non ci sarei cascato in questo tranello, ero abbastanza disilluso da cadere senza farmi male e abbastanza forte da voler apprezzare tutto. Certo, a modo mio.

Andai in chiesa a cercare gli angeli dei misteri, andai per trovare le luci ma nulla comparve per me all'altare. Nessun mistero. Non era ancora il momento di sposare la realtà quella? Ma quante facce aveva, era possibile che io vi volessi ancora scappare ora che ero così vicino a prendere il mistero con le mie stesse mani?

Camminai accanto un fiume, ragionando, tornando al paese coi miei genitori. E tu fiume, che corri veloce, non ti arresti, dove corri? Cosa vedi? Che misteri si dicono le tue acque da una parte all'altra del mondo? Cosa dice la montagna, cosa il mare? Che segreti silenziosi si celano dietro ogni singola increspatura che luccica sul velo divisorio fra l'aria ed il subacqueo? Cos'hai da dire? Corri senza meta?

Anche mio zio lasciò la sua terra, forse senza una meta. Era il fratello di mia madre, un ricercatore di nuovi scherzi e misteri, in segreto, lo diceva solo a me. La sua anima si staccò dal fiume e chissà se mai tornò al mare. Non ci era dato sapere. Ma comunque sia il viaggio di chi va oltre il confine, coloro che restano rimangono vittima di un'inspiegabile vuoto umano. Trovai un biglietto sul letto di mia madre, lo lessi, lentamente, lasciando che la vita invadesse man mano tutte le parole:

C'è un orizzonte, quello è ignoto,

terra mai calpestata, un mistero o un inganno

non cercare via d'uscita, non raggiungerlo,

non è ancora troppo tardi, lascia andare

qui e ora

sempre

vivi nel presente.

Due settimane dopo la morte dello zio, nel buio, venne la luce a bussare con le sembianze di un segreto. Mi ero svegliato di notte e me ne stavo seduto sul letto, mio zio davanti a me accendeva uno strano sorriso, circondato da una luce sinistra. Non mi lasciai del tutto rassicurare dalla sua luce e dalla sua presenza. Qualcosa si muoveva alle sue spalle ma la luce e il buio assieme mi impedivano di capirne le forme, fin lì non vedevo. Ma il mattino dopo mi svegliai, come da un semplice sogno, forse lo era anche stato ma era vivido, me lo sentivo. Dentro.

Vennero altre presenze, vennero angeli che mi chiedevano di uscire, di giocare. Alcuni raccontavano storie, per esempio alcuni dissero che ero stato cattivo e che per salvare me o a volte anche i miei genitori dall'eterna pena, avrei dovuto seguirli e andare a purificarmi nella loro luce. Però io non credevo nell'inferno. L'inferno era lì, nella Terra, nell'incoscienza e nella malvagità, eravamo noi, umani accecati da banali istinti di amore e distruzione. Eravamo ancora quelli della fionda e delle pietre, finché ciascuno sarebbe rimasto così ci sarebbe stato l'inferno, quello creato coi peccati, quello dove una sorta di karma non toglie il male a chi lo costruisce. Se il Dio della Chiesa era buono non ci avrebbe creato per servirlo o bruciare nel luogo dell'inferno. Quindi quelle visioni non c'erano, non erano angeli, quelli, non potevano. Cos'erano? C'erano.

Mi sentii preso in giro, sempre più spaesato. Ero preoccupato. Ragionavo bene, facevo bene i conti, le strategie, ricordavo le cose, parlavo, vivevo, non potevo essere pazzo. Non lo ero. Ma quello? Quello?

«Thomas», mi chiamò Mattia, una notte. Sobbalzai alzandomi di scatto e andai ad accendere la luce ma Mattia illuminò la stanza col proprio lucente piccolo corpo. Rimasi a fissarlo, inorridendo davanti alla terrificante realtà dei fatti. Mattia era vivo?

«Matt...», tentai, prima di soffocare la voce in un inquietante silenzio, confuso e spaventato.

«Sono io», rispose.

Ed era proprio lui, i suoi ricci rossi, le sue labbra piccole e i suoi occhi profondi, coraggiosi.

«Non mi credi?», mi chiese. La sua voce echeggiò, nel vuoto freddo senza tempo. «Thomas?».

«Cos'è successo a Calà?».

Sorrise, come fece lo zio una di quelle notti e allora insistetti contro il suo silenzio: «Mattia. Cos'è successo a Calà? Cos'hai visto?». Ma sapevo bene che forse non era Mattia, quello.

Il mio cane incominciò ad abbaiare e ululare, da qualche parte nel buio e quel suono accompagnò la raccapricciante vicenda, le sue parole così strane, la mia confusione.

«Io ti stavo cercando», mi rispose.

Mi asciugai una lacrima, commosso. Carezze spettrali rincuorarono il mio animo, guardando il suo pallido sorriso e gli dissi: «Vai avanti. Avanti con la storia!».

«Ti ho trovato, Thomas. Torna con me, ti devo mostrare...», e indietreggiò, verso la finestra aperta.

«Dove stai...», ma il fiato mi mancò prima di finire la frase.

«Thomas...», insistette, dolcemente. «Vieni a vedere, è qui fuori».

«Chiamerò qualcuno», lo minacciai, coraggiosamente. Respirai profondamente, rapidamente, ma trattenni lo sguardo sicuro fermo su di lui.

«Non lasciarmi andare», mi disse, preoccupato. «Non potrò fare ritorno, non avvertire altri».

«Io non ti seguo», m'imposi. «Chiunque tu sia».

Il rumore degli ululati s'impose assieme a me, contro il suo volere.

«Thomas, tu vuoi sapere».

M'arse la voglia di andare oltre ma calpestai ogni istinto, «No».

«Thomas, io ho visto la luce». Mentre parlava, ma non me ne accorgevo, mi avvicinavo, lentamente, progressivamente verso di lui che ormai era di fronte a me, oltre la finestra.

Alzai lo sguardo, vidi una luce nel cielo, troppo grande per vedere stelle attorno ad essa.

Quando mi svegliai provai una grande irritazione per quel mistero ed un grande piacere per aver toccato un limite invalicabile, ma c'ero arrivato, non sapevo come, né perché a me quel privilegio, ma c'ero giunto.

Aspettai ancora qualche notte lo spirito del mio amico, qualche notte temei di poterlo vedere e non lo vidi. Fino al giorno in cui tornò e non ero ancora preparato.

«Thomas», era la sua voce. Determinato lo cercai nel buio ma non potei ricordare altro di quella vicenda. Eppure così tante domande avevo! Le avevo fatte e dimenticate? O non le avevo fatte? E quelle domande quando le avrei pronunciate all'Infinito? Al mistero, all'invalicabile che mi giungeva innanzi per parlarmi.

In quei giorni, Alberto, che non notava alcuna preoccupazione nei miei occhi profondi e silenti, curiosi come sempre e poco attenti alle cose poco importanti, mi fece iscrivere a qualche social network convincendomi che io, che ero un bambino di tecnologia, non potevo non avere. Ecco, sì, erano mezzi potentissimi, oro, mal utilizzati dall'uomo, mi permisero di contattare gruppi e persone, giocare e ragionare con chiunque senza metterci davvero la faccia, senza espormi totalmente. E fu così che incrociai un profilo a me amico. Fu un'altra svolta, si rivoltò ancora la storia. Mattia aveva un profilo su uno di questi social. Quindi lui... era vivo? Ero indeciso se scrivergli, le mie dita fremevano, volevo toccare quei tasti, digitare un saluto e poi le domande. Ma non lo feci. Mi trattenni. Proprio a Mattia, così scosso, ferito, colpito, così fragile, avrei raccontato tutto questo?

«Hai visto?», mi chiese Alberto con grande entusiasmo, la settimana dopo. «C'è anche Mattia! Ma ci hai parlato? Gli hai inviato l'amicizia?».

«No», dissi serio e guardai gli occhi vispi di Alberto, minaccioso. «Non dirgli niente. Tienilo lontano».

Gli feci quasi paura, tanto che non chiese. Per fortuna non volle davvero indagare.

«A quando Calà?», chiedeva Mattia, nella mia mente.

«Presto», risposi, nel mio passato.

«Cosa aspetti?».

«Il momento».

Non sarei tornato. Questo era troppo. Era sconosciuto. Ma da quando l'ignoto si permetteva di farmi indietreggiare nel mio campo?

Allora scrissi anch'io, come mia mamma, delle frasi su un foglio, liberatorio, ascoltando me stesso, senza filtri, parlarmi, da solo:

Cerca, senza carte, senza direzione

La tua forza nella tua mano

Stringi forte

È il momento della resa o della sfida

Ma era evidente che il mondo della poesia non faceva per me, anche se dietro alle parole dell'animo si celavano i segreti di noi stessi, piccoli misteri, ma molto più piccoli di Mattia, Calà e delle altre cose. Molto più innocenti ma non insignificanti.

Incominciava a chiudersi l'estate degli enigmi e dei divertimenti. Presto saremmo tornati a scuola e avrei avuto meno tempo per badare al paranormale. Sarebbe iniziato il nostro primo anno alle scuole medie, ci aspettavamo molto studio ma non ci credevo troppo.

I miei genitori, assieme alla famiglia di Alberto, una sera, ci accompagnarono ad una festa di paese. Alberto pensava già a come si sarebbe ingozzato di cibo tradizionale e di come ci saremmo divertiti alle giostre. Arrivati al posto, infatti, la serata incominciò con un'interminabile fila accanto ad un capannone caldissimo. Nel frattempo riuscì ad ingannare la noia ed il tempo trascinandomi a caccia degli insetti più spaventosi e utilizzarli per far scappare le persone. Si inventò molti scherzi e io ne inventai qualcuno con lui. Poi, mentre cercavo di agguantare un piccolo grillo, alzai lo sguardo su un telescopio posto proprio vicino a me e mi sedetti lì a guardare l'uomo che lo sistemava, puntandolo contro delle stelle molto brillanti. Sorrisi, incuriosito, così che quella persona non poté che spiegarmi perché era lì e farmi vedere qualcuno dei pianeti tramite quello strumento. Alberto intanto gli attaccò una bruttissima cavalletta sui pantaloni, si trattenne delle risate e si buttò addosso a me facendo delle espressioni tragiche, «Emiddio Tom guarda là! Guarda cos'ha sul piede! Oh, no! Lo morderà! Lo morderà!».

L'uomo sobbalzò allarmato, si guardò la caviglia su cui stava l'animale e la scosse lasciandolo cadere con una smorfia di disgusto: «Le cavallette non mordono, sai?».

Alberto sbuffò e rispose disinteressato: «Immaginavo, era per star tranquillo». Poi afferrò stretto il mio braccio e mi trascinò via, «Ti prego! Facciamo qualcosa!».

Salutai l'uomo e seguii il mio amico verso i nostri genitori, bloccati nella fila, «Erano interessanti quei telescopi, mi ha fatto vedere da vicino la Luna!».

«Sì ma... la luna non fa mica niente».

«Eh. Certo che non fa niente! Ma aveva i crateri».

«Sta lì? Che bello c'è? E poi certo che ha i crateri, mica serve un cannocchiale per vederlo!», brontolò.

«E che noioso, però!», brontolai anch'io.

Andammo a sedere ad un tavolone e ci concentrammo a risolvere i giochi sulla tovaglietta di carta. Poi mi venne un'idea e lo sfidai: «Facciamo a chi completa prima il gioco del labirinto?».

Alberto guardò il semplice labirinto stampato sulla tovaglietta e si mise subito con la penna a cercare di uscirne. Io con un sorrisetto fastidioso piegai il foglio e lo bucai con la penna in corrispondenza dell'entrata e dell'uscita del labirinto, «Vittoria».

Alberto alzò lo sguardo e fissò il buco, perplesso.

«Non lo vedi?».

«Un buco».

«Precisamente è una piega spazio-temporale».

Ma il mio amico rimase zitto, così riprovai: «Un Wormhole». E continuai, «La penna entra qui ed esce qui. Ossia entra nel labirinto ed esce dal labirinto. Non hai ancora capito?».

«Sì che ho capito ma non vale».

Risi, «Senza regole non può non valere».

Finito il pasto andammo verso le attrazioni per giocare.

«Andiamo là, mamma! Andiamo là!», insistette Alberto trascinando i suoi genitori fra la folla. Io lo seguii seguendo anche il suono di motore che sovrastava la folla. C'era una pista improvvisata dove i bambini si sfidavano correndo piano piano con delle piccole moto, accompagnati dalla guida.

Alberto ne rimase abbagliato tanto che salì subito a farsi un giro e una volta sceso mi invitò a salire con lui. Il suo entusiasmo mi spinse a voler scoprire subito cosa c'era di tanto attraente su quelle piccole moto. Eravamo i più veloci in pista, i bambini avevano paura di salire sulle moto perché c'eravamo noi. Gli istruttori erano tesissimi, fermi ad aspettare che completassimo il giro di nuovo. Non andavo davvero così veloce ma un brivido mi graffiava dentro come l'aria fresca in faccia, non volevo scendere.

Quando tornammo a casa quella pista ci rimase sul cuore e un solo pensiero avevamo in mente.

Dovevamo tornare.

~~~~~~~~~~~spazio autrice ~~~~~~

Caaspita la situazione si fa più strana di prima! O Thomas era già abbastanza strano? :P Forse qualcuno percepisce il crescendo, avete già delle teorie su dove porterà??

La pic di oggi non è una spoiler pic, è la copertina (diciamo bozza dai) provvisoria della copertina provvisoria, fatta un po' alla cavolo perché non avevo voglia di fare assolutamente niente. Serve per dire che anche i grafici ogni tanto fanno delle schifezze x.) Chissà se farò mai la copertina con la tuta spaziale ... mah

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