1. Prigioniera
Quando mi sveglio sento sapore di sangue in bocca. Sono sdraiata sul pavimento raggomitolata su me stessa, e tremo. L’Inferno per me è tutto il contrario di quello che teme la gente: non fa il caldo infernale che vorrei facesse, non sono circondata dalle fiamme. Nelle celle del Diavolo fa un freddo fottuto e credo ogni giorno di più che mio padre stia cercando di uccidermi in questo modo. Sarebbe una morte lenta, lontana da tutti.
Mi trascino a fatica contro la parete per sedermi appoggiando la schiena, e gemo per i dolori che mi provoca anche il più insignificante sforzo fisico. Sono debole, abbattuta, e non posso usare i miei poteri perché le celle sono anti-magia. David mi porta da mangiare e dell’acqua la sera, il minimo indispensabile per sopravvivere. Non ho idea del perché il Diavolo non mi abbia lasciata morire qui, senza nulla e nessuno, dimenticata dal mondo. Anche se la mia paura è di rimanere qui per tutta la mia misera esistenza. Non so come stia Demon, né a cosa serva tenermi imprigionata qui, ma in realtà ormai non so proprio nulla.
Nelle celle ai lati della mia ci sono delle creature oscure, che si fanno sentire con i loro versi animaleschi, di tanto in tanto. Non faccio altro che mangiare e dormire, per la maggior parte del tempo, e quando i rumori dei miei vicini di cella mi tengono sveglia mi metto a pensare. Penso a come fuggire da qui, oppure a tutte le cose successe prima che venissi rinchiusa in questa prigione orribile.
Non distinguo più il giorno dalla notte, mi sembra di diventare pazza. Di una cosa sono sicura: è passato almeno un mese dall’ultima volta che ho visto la mia famiglia.
Sento in lontananza il rumore ormai familiare della porta che sbatte, e poi dei passi che si avvicinano. È passato parecchio tempo dall’ultima volta che ho mangiato, quindi mi aspetto di veder comparire David da un momento all’altro per la mia razione di cibo giornaliera ma, al posto suo, vedo un altro volto, ancora più odiato. L’ultima volta che l’ho visto è stato sulla Terra, abbracciato alla mia migliore amica mezza nuda. Vengo percorsa da un brivido, che non so se attribuire al freddo o a questo pensiero. Non appena lo vedo, cerco di portarmi verso il fondo della cella, sperando che sia solo di passaggio, venuto per trovare qualche altro prigioniero. Al contrario di quello che spero, Ramon si ferma proprio davanti alle sbarre della mia stanza, e fissa i suoi occhi nei miei. Se potessi lo brucerei vivo all’istante.
- Ciao, Carry, è da parecchio che non ci si vede, eh? - esordisce, schernendomi. Se avessi abbastanza forze per combattere, lo rimetterei al suo posto. – La tua vita è diventata davvero monotona di recente, dico bene? – continua a prendersi gioco di me e della situazione in cui mi trovo. Eppure io so che se mi alzassi in piedi barcollerei, e so anche che la mia voce sembrerebbe quella di una scimmia soffocata, se aprissi bocca. Me ne sto’ zitta: lo guardo con i miei occhi rossi e vorrei solo che scomparisse nel nulla, e non tornasse mai più.
Ramon fa passare il cibo nella cella, ma resta lì e continua a fissarmi, con un piccolo sorriso sulle labbra. – La guerra è sempre più vicina, sorellina. Le streghe hanno lasciato Winnipeg, ed i tuoi amici sono con loro. Nessuno verrà qui sotto per prendere te, Carry. – sottolinea l’ultima frase con disprezzo. Io spero con tutto il cuore che sia come dice lui: sarebbe un suicidio scendere negli Inferi per salvarmi dalle grinfie di mio padre. La cosa che mi mette più rabbia ora è, però, l’immagine di Alexia abbracciata a Ramon, l’essere ripugnante che mi ritrovo davanti. Si diverte da matti a guardarmi, inerme, abbattuta, ed incredibilmente colma di rabbia repressa. – Non hai intenzione di ringraziarmi per questa visita a sorpresa? – incalza nuovamente. Non ce la faccio più: faccio uno scatto e, riuscendo a produrre solo una piccola fiamma, vedo di non sprecarla e di scagliargliela in viso. Le sbarre della cella assorbono il colpo come se nulla fosse successo. Ovviamente lo faccio senza pensare al fatto che si tratta di una cella anti-magia, per creature demoniache. Cosa che io, in parte, sono.
Ansimo e mi accascio a terra. Tento di non incontrare il suo sguardo: mi sento umiliata e sono completamente senza forze.
- Sai, Lucifero aveva un cane una volta, e lo teneva in una gabbia molto simile a questa. – dice, accarezzando lentamente una sbarra di ferro poeticamente, come si gli riportasse a galla una marea di dolci ricordi. – Gli portavo del cibo e dell’acqua la sera, e lui mi ringhiava contro come se volesse mangiare anche me. Ecco, Carry, tu mi ricordi molto quella bestia in questo momento. Sei prigioniera, inerme, non puoi fare nulla eppure continui a guardarmi ed abbaiare come un cane rabbioso. – Che cosa vuole da me? Perché non chiude quella fogna che si ritrova al posto della bocca?
- Stai… zitto. Devi solo… stare zitto. – parlo lentamente perché ho il fiato corto. La mia voce è come un soffio appena percettibile, e le parole che escono sembrano lontane perfino da me. Ramon allarga gli angoli della bocca in un sorriso falso, come se fosse intenerito dalle mie condizioni pietose.
- Non sono venuto qui per deriderti, anche se devo ammettere che è proprio divertente. – fa una pausa per controllare che effetto mi facciano le sue parole, ovvero che non sia qui per pura crudeltà. In verità non mi interessa nulla di ciò che ha da dirmi, nulla di cosa fa nel suo tempo libero al posto di servire Satana. Mi interesserebbe solamente vederlo carbonizzato sul pavimento di pietra. – Sono qui perché papà vuole vederti domani sera. – non riesce a trattenere un sorriso di scherno. Fa per avviarsi verso l’uscita, ma si ferma un attimo. – Non sei contenta? Una bella riunione di famiglia. – Poi continua a camminare e sento il rumore secco della porta che si chiude alle sue spalle rimbombare per il sotterraneo.
No.
Non sono contenta. Sono debole, non potrò ucciderlo. Si divertirà a torturarmi, o a guardarmi morire.
Oh, Ramon. Ti prometto che prima della mia morte ci sarà la tua. Puoi starne certo.
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