Epilogo
Passarono diversi giorni da quella notte di inizio gennaio in cui tutto aveva avuto luogo. La neve su Camarelli aveva smesso di cadere, ma quella che si era accumulata durante le ultime abbondanti nevicate ricopriva la città e a meno di un improvviso cambio delle temperature, non si sarebbe sciolta prima della fine di marzo. Gli abitanti di Camarelli avevano archiviato il Natale anche per quell'anno e si preparavano a chiedere ufficialmente la fine dell'Inverno. Non era chiaro a chi fosse indirizzata la richiesta ma tutti erano d'accordo nel ritenere che qualcuno fosse all'ascolto, perché l'Inverno presto o tardi abbandonava sempre quella terra lasciando posto alle primule nei prati.
Camarelli continuava la sua vita, ignara degli eventi che avevano avuto luogo a soli pochi chilometri di distanza.
Nessuno fece troppo caso alla scomparsa del nuovo sagrestano della città, che si era fermato solo per pochi mesi. Diedero tutti la colpa ad Imma e al suo caratteraccio del diavolo che avrebbe messo in fuga anche il più imperturbabile degli uomini.
Così come nessuno fece caso alla scomparsa di tre adolescenti del luogo, anche perché sarebbe stato impossibile accorgersi della loro assenza durante un periodo di vacanze, tant'è che al loro rientro nessuno ebbe nulla da dire.
Quasi nessuno.
Adriana ne disse di cose, cose che è bene non ripetere.
Al suo rientro Beatrice si beccò nell'ordine uno schiaffo in pieno viso, un abbraccio che le scaldò il cuore e la madre di tutte le punizioni. Nonna Adriana non volle sentire ragioni e spiegazioni, e segregò la nipote in casa occupandosi personalmente di accompagnarla e ritirarla da scuola.
Che Beatrice avesse salvato il mondo non era una giustificazione.
La punizione sarebbe durata fino alla fine dell'anno scolastico e forse di più.
Durante la sua assenza nonna Adriana aveva dovuto fare appello a tutta la sua forza e integrità psicofisica per non impazzire, per fortuna a condividere con lei le sue paure e l'ansia per le sorti della nipote c'era Wanda, che rimase ospite a casa sua cercando di tranquillizzarla anche se a dire il vero tra le due la più provata dalla situazione sembrava proprio Wanda.
Ad ogni ora del giorno Arturo Conforti chiamava per sapere se c'erano notizie di Carlo e dei ragazzi e Adriana desolata rispondeva che no, nulla si sapeva e che se avesse avuto notizie l'avrebbe immediatamente avvisato.
Alla fine, Arturo stremato, si presentò a casa di Adriana con una piccola borsa dicendo che non ce la faceva più a restare da solo e che chiamare ad ogni ora non gli era di conforto, preferiva stare lì con loro a soffrire ogni minuto. Wanda lo accolse con calore, gli sistemò una camera da letto e gli preparò un bagno caldo per calmare i nervi.
Adriana notò che in quei giorni Wanda riprese a truccarsi.
La situazione era grottesca e surreale, c'erano tre adolescenti scomparsi, anzi meglio dire fuggitivi, che si trovavano in un posto irraggiungibile situato in un altro mondo, pronti a combattere una guerra scatenata da uno stregone malefico con un nome spigoloso che altri non era che il nonno di uno dei tre. Facile da spiegare alla polizia.
In tutto ciò la famiglia di Corrado Garmigli che fortunatamente si rivelò piuttosto assente, e chiamò per avere informazioni solo un paio di volte, si dovette bere delle assurde panzane su una fantomatica gita in montagna a cui i ragazzi stavano partecipando insieme ad Arturo e Carlo. Qui il padre di Carlo oppose una strenua resistenza in quanto non voleva essere coinvolto in nessun modo in quella menzogna epocale e tirò in ballo la responsabilità genitoriale, la patria potestà, i servizi sociali e le catene da neve.
Adriana, che ormai aveva perso la sua aura di donna mite, ragionevole e pacata, lo liquidò con un poco diplomatico "Non me ne frega un corno" gli fece notare che ognuno doveva fare la sua parte e che se avesse voluto evitare di avere problemi con lei e con la legge si sarebbe dovuto attenere a quella versione dei fatti. Wanda poi lo convinse a collaborare, non si sa come.
Resistettero per giorni, tesi come corde di violino, nonostante Wanda non mancasse di decantare ogni giorno le lodi dei tre fuggiaschi descrivendoli come ragazzi con la testa sulle spalle, molto seri e preparati, pieni di risorse e assi nella manica.
Alla fine, nel pomeriggio di una domenica di inizio anno il campanello di casa finalmente suonò e quando Adriana spalancò la porta si vide davanti la nipote e gli altri due, conciati come dei martiri.
Nessuno parlò, solo Wanda emise uno strano rumore gutturale alla vista dei tre studenti tornati dalla guerra. Seguirono schiaffi, abbracci, pianti e racconti.
La sera ognuno tornò a casa sua e Corrado fu così felice di rivedere la sua famiglia che si scordò di averli trovati insopportabili fino a poche settimane prima.
Carlo per la prima volta nella vita parlò ininterrottamente, per tutta la notte, e lasciandosi trascinare dall'emozione del racconto levitò fino al soffitto mentre Arturo cercava di afferrarlo per i piedi e tirarlo giù, poi alla fine il sonno lo colse e crollò esausto tra le braccia del padre.
Mirene sorrideva ad entrambi dal comodino.
Beatrice prima di coricarsi infilò la mano sotto il materasso e aprì il suo cartacanto proprio dove il segnalibro le suggeriva di fare. Un sorriso le si stampò sul viso mentre leggeva che Almarino non solo aveva ricostruito la sua vecchia casa così come la ricordava, ma aveva coltivato il giardino, rimesso a nuovo il capanno degli animali e acquistato con alcuni risparmi cinque galline. Gliele vendette Ines, della fattoria accanto. Una giovane donna con gli occhi blu che credeva al destino, alle promesse e all'amore.
Quello che successe a Mezzanto lo vennero a sapere qualche giorno dopo, una volta ripresa la scuola. Galeno trovò il modo di fargli recapitare una lettera in cui descriveva le vicende intercorse nell'ultimo periodo, dal giorno della battaglia fino ad allora.
Il varco che sbucava all'Hotel Commercio dove il povero Tobia aveva trovato la morte era andato completamente distrutto; quindi, venne cancellato dalle mappe dei varchi della città, al suo posto venne però disegnato un nuovo varco che sbucava all'interno della Cattedrale di Camarelli, proprio dietro la piccola porta di legno.
Dopo un lungo lavoro che si rivelò più complicato del previsto riuscirono a disincantarlo e renderlo percorribile, venne però presa la decisione di deviarne il percorso in modo che l'uscita, o l'ingresso, non si trovasse più all'interno delle Prigioni di Mezzanto ma all'esterno.
Venne quindi edificato un piccolo padiglione coperto sormontato da una cupola di marmo lucente, dove una targa in ottone segnalava il nuovo varco Camarelli-Cattedrale. Al suo interno venne posto un nuovo Custode a presidio.
Il Palazzo dell'Alto Consiglio venne ricostruito nelle parti distrutte durante la battaglia, i corpi degli uomini caduti vennero seppelliti alle dimore dei Fani.
Il corpo di Aezio ormai privo di vita fu recuperato dalle Camere Ambrate e venne sepolto accanto alla moglie Cleda. Galeno informò Carlo che una lapide con il nome di sua madre Mirene era stata posizionata accanto a quella dei suoi genitori e il ciondolo a forma di cigno che gli aveva consegnato prima di partire era stato incastonato nella pietra, come da lui richiesto. In qualche modo quella disgraziata famiglia aveva di nuovo trovato la pace.
Nessuno riuscì a spiegarsi che cosa accadde ad Aezio, venne istituita un'indagine per capire che cosa lo avesse portato ad agire in quel modo nonostante lui si fosse dichiarato innocente e inconsapevole di ciò che aveva fatto fino all'ultimo, ma fino a quel momento non erano state trovate risposte.
Il cadavere del povero Buzzi fu ricomposto, alcuni guaritori riuscirono a cancellare le orribili ferite inferte dalle corna del cervo e dopo averlo rivestito dei suoi abiti che riuscirono a ritrovare abbandonati al borgo di Acquamara, lo lasciarono adagiato ai margini del bosco in attesa che venisse ritrovato, cosa che avvenne pochi giorni dopo. Ovviamente le indagini che seguirono non portarono a nulla di fatto e Corrado, Carlo e Beatrice sapevano che non avrebbero nemmeno potuto provare a dare una spiegazione alla famiglia di quel pover'uomo, così come alle famiglie delle numerose vittime. Si sarebbero dovuti portare quel peso addosso per sempre.
Galeno li informò che suo padre Laerte Cherobosco era stato giustiziato nei giorni dell'assedio della città, mentre lui era prigioniero. Purtroppo, non riuscì a ritrovare il suo corpo per dargli una degna sepoltura e sospettava che fosse stato bruciato insieme a tutti quelli che ogni settimana le Falene provvedevano a far sparire.
Il neoeletto Altor di Mezzanto propose a Galeno la posizione di Primo Passante visto che dopo la morte del padre il seggio restava vacante, ma Galeno raccontò di aver rifiutato non sentendosi pronto a ricoprire quel ruolo, che invece fu accettato da Malia.
Le streghe reclamarono i corpi degli animali che avevano perso la vita in battaglia e dopo qualche giorno venne organizzato un lungo corteo di imbarcazioni che percorse il fiume fino ai margini del bosco. Sulle piccole imbarcazioni di legno alcuni uomini traghettarono gli animali esanimi, adagiati su petali di fiori e fieno fresco e li deposero lungo una radura non lontana dal villaggio delle streghe.
Qualcuno disse di aver visto un'ombra trascinare via gli animali lentamente fino nel profondo del bosco, ma forse si era sbagliato, forse era solo la notte che avanzava.
A proposito di corpi, Galeno raccontava nella lettera che nonostante l'avessero cercato in ogni angolo il corpo di Tammonio Tagliavento era completamente sparito, non ve n'era traccia sotto al cumulo di macerie che l'aveva travolto e che fine avesse fatto rappresentava l'ennesimo mistero nella lista delle questioni irrisolte.
Restava un mistero anche la sorte di Teucro Devidio, nessuno l'aveva più visto dal giorno della battaglia, fu messa una taglia su di lui ma le autorità sapevano che trovarlo sarebbe stata un'impresa ardua.
Per ciò che riguardava Galeno, beh... si prese qualche giorno per riprendersi nel corpo e nello spirito, poi scrisse nella lettera che sarebbe partito di lì a pochi giorni. Per dove non era chiaro, non scriveva nemmeno per quanto tempo si sarebbe allontanato e se sarebbe prima o poi tornato. Concluse la missiva con un emblematico A presto, che lasciava aperta la possibilità di incontrarlo di nuovo, chissà quando.
Corrado smise di leggere e ripiegò con cura il foglio di pergamena, lo ripose nella busta e passò le dita sul simbolo della città di Mezzanto impresso nel sigillo di ceralacca blu.
"Sembra che questa storia sia finita davvero" disse senza nascondere un pizzico di nostalgia.
"Credete che lo rivedremo?" chiese Beatrice stringendosi nelle spalle.
Carlo stava con le gambe a penzoloni sul muretto di pietra grigia che circondava il giardino della scuola.
"Chi può saperlo"
"E tu? Che farai ora?" gli chiese Corrado.
"Io? Non lo so, non ci ho pensato ancora a dire il vero"
"Non vorrai lasciarti sfuggire questa possibilità, andiamo. Tu appartieni a quel mondo, ce l'hai nel sangue"
"Appartengo ad entrambi"
"Si, ok certo. Ma stiamo parlando di... insomma dai!" disse Beatrice con gli occhi che brillavano.
Carlo fece un mezzo sorriso.
"E se dimenticassi tutto? Voglio dire, se restando qui... mi scordassi chi sono? Come è successo alla professoressa"
"Per questo non ci devi rinunciare, pensaci. Ti hanno concesso la possibilità di usare il Varco, di apprendere le loro arti, persino di vivere lì!" osservò Corrado.
"Sì, ma io non voglio abbandonare la mia vita qui, è pur sempre la mia vita"
"E chi ha detto che devi farlo?" disse Beatrice.
Carlo si guardò intorno cercando di fare in qualche modo chiarezza nei suoi pensieri, le caselle della sua vita erano state scombussolate e rimesse in un nuovo ordine. Era giusto quell'ordine? Era più importante che fosse giusto o che fosse vero? Si rese conto di aver perso un passato e di averne guadagnati due, quale uomo sulla terra può vantare due passati? E il suo futuro invece? Si sarebbe sdoppiato anch'esso? Avrebbe vissuto una doppia esistenza per sempre o semplicemente avrebbe dovuto considerarla la sua vita e basta?
Si arrovellò cercando risposte che non arrivavano, poi guardò i cumuli di neve ghiacciata ammassati lungo i marciapiedi, il cielo era grigio e soffiava un vento leggero che accarezzava le cime dei pini nel cortile della scuola.
"E voi? Verrete con me?" chiese a quel punto.
Beatrice guardò Corrado interrogandolo con un sorriso eloquente al quale lui rispose con uno ancora più sfacciato.
"Certo che verremo! Non vorrai lasciarci qui ad ammuffire a Camarelli mentre tu te ne vai volteggiando su una bolla!"
"O dalle streghe a fare intrugli!".
Carlo rise.
"Allora, dovrò chiedere un permesso speciale per degli amici"
"Vedo che cominci ragionare" disse Corrado.
La prima campanella risuonò nell'aria e gli studenti cominciarono a dirigersi verso la porta d'ingresso del liceo.
Sulla soglia avvolta in un coreografico cappottino fucsia, in bilico sui tacchi alti, splendente come una rosa di maggio la professoressa Wanda Ossolini, per tutti Puntaspilli, li salutò agitando la mano.
"Sapete, credo abbia una cotta per mio padre" disse Carlo rispondendo al saluto.
"Giura!" esclamò Beatrice.
"Sì, e non so se la cosa mi faccia più piacere o più ribrezzo"
"Dai! Invece li trovo carini insieme!"
"Bea ti prego..."
"Potresti trovartela in casa la mattina, in pigiama che ti prepara la colazione" osservò Corrado.
"Ho i brividi al solo pensiero"
"Dai, su! Guardala non è così male dopotutto"
"Corrado, per favore..."
"In pigiama è meglio fidati, io l'ho vista"
"Sto per vomitare..."
Il cortile si svuotò e gli ultimi studenti raggiunsero in fretta l'ingresso. Poi le porte si chiusero. Al loro interno centinaia divite si sfioravano ogni mattina, ognuna con la sua storia mai raccontata, ognuna con le proprie speranze, i propri sogni e i propri tumulti del cuore e della mente. Ognuna con il suo passato a puntellare la vita e il suo futuro ancora da scrivere. Ognuna con i propri segreti, piccoli, oppure grandi come un intero mondo.
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