63. Ali, artigli e zanne

Beatrice udì il boato che investì l'atrio e si rannicchiò a terra dietro la colonna di pietra, alcune schegge di vetro oltrepassarono la balaustra di marmo del secondo piano e raggiunsero il pavimento lucido tintinnando ai suoi piedi. Corrado accanto a lei, nascosto anch'egli dietro ad una delle colonne possenti che reggevano il soffitto allungò il collo per osservare cosa fosse successo più in basso.

L'aria fredda della notte entrò con impeto nella sala portandosi via la polvere e l'odore di macerie, tutti gli uomini erano voltati verso l'esterno del Palazzo cercando di capire cosa avesse causato quell'esplosione riducendo i vetri in polvere.

Corrado spostò lo sguardo e vide un gruppo di Falene muoversi insieme sulla destra e allontanarsi dall'atrio in direzione della sala degli archivi, al centro intravide la figura scura di Aezio che si trascinava la lunga veste e poco più avanti a lui, Carlo. Percorsero un breve tratto di strada e poi scomparvero inghiottiti dal buio del corridoio.

"Cos'è successo?" chiese Beatrice cercando di rimanere immobile.

"Ho visto Carlo! Era con Aezio!"

"Cosa? Che fa?"

"Non lo so, io non so mai cosa faccia Carlo!"

"E quel botto?".

Corrado guardava di sotto scuotendo piano la testa.

Beatrice si tirò su lentamente e riuscì a sporgersi quel poco che bastava per osservare una parte delle vetrate ormai inesistenti. Poteva vedere il cielo scuro di Mezzanto coperto dalle nubi, non c'erano né stelle né luna quella notte e nonostante l'Ombra li avesse abbandonati, l'atmosfera rimaneva cupa e angosciante. Non era semplice vedere qualcosa dentro a tutto quel buio; eppure, Beatrice notò un movimento nell'aria e a seguire una nuvola di polvere che si sollevava al suolo.

Poi udì dei versi lontani, degli stridii acuti seguiti da altri rumori più profondi e terreni. La nuvola di polvere si fece più vicina e minacciosa, i rumori divennero più intensi, alcuni versi che sembravano ruggiti lacerarono l'aria. Si sentì un frusciare intenso e il suolo prese a tremare sotto i colpi di zampe e zoccoli che avanzavano veloci.

Le Falene si misero in guardia e così fecero anche Galeno, Malia e ciò che restava della Resistenza.

"Che diavolo succede?" chiese Galeno con la spada dritta di fronte al viso.

"State in guardia! In guardia!" urlò Iano in direzione della nube di polvere che ormai era a poche decine di metri dalla scalinata del Palazzo.

In quel momento un gigantesco stormo di uccelli di ogni specie fece irruzione nella sala fuoriuscendo dalla nube di polvere. Si precipitarono compatti con i becchi spalancati emettendo certi versi acuti e striduli che mettevano paura. Fecero il loro ingresso nella Sala e cominciarono ad attaccare rapidi, precisi come se cacciassero delle prede. C'erano diversi rapaci, tra cui una coppia di meravigliose aquile di mare, e poi falchi, gheppi, gufi, allocchi e civette. E ancora corvi neri, cornacchie, passeri, merli, allodole persino pettirossi.

Giravano in tondo lungo il perimetro della Sala e poi scendevano in picchiata attaccando con gli artigli gli uomini presenti che agitavano le braccia cercando di scacciarli.

Galeno li osservò per qualche secondo e notò in quel momento che attaccavano con precisione, seguendo uno schema e soprattutto, le loro prede designate erano esclusivamente le Falene.

Un sorriso gli si disegnò sulla bocca.

"Tucca".

Si precipitò verso Malia mentre lo stormo di uccelli si ingrossava. In quel momento uno scoiattolo gli passò fra i piedi, si fermò un attimo e lo fissò con due occhi piccoli e scuri. Arricciò il naso e poi senza curarsi di nulla e di nessuno raggiunse il fondo della sala scomparendo.

Galeno lo guardò incredulo andare via e poi si voltò versò l'uscita, restò a bocca aperta quando vide ciò che stava per entrare a grandi passi nell'atrio.

Non solo scoiattoli a decine, ma donnole, ermellini, volpi rosse e brune, lepri, istrici, diversi lupi, cervi e persino un enorme orso che si reggeva minaccioso sulle zampe posteriori. Sembrava che tutto il bosco si fosse dato appuntamento lì, pronto a mettere la parola fine a tutta quella faccenda.

Gli animali corsero all'interno dell'atrio travolgendo con le loro zampe le Falene che non ebbero il tempo di reagire, il suolo tremava come se ci fosse un terremoto in corso, gli uccelli volavano creando un vortice sopra le teste dei presenti. L'enorme orso ritto sulle zampe possenti bramiva minaccioso e afferrava con le sue fauci spalancate chiunque provasse a fermarlo.

L'atrio aveva le sembianze di un girone dantesco.

Gli scoiattoli e le donnole attaccavano in gruppo affondando i loro denti nella carne dei polpacci e del collo delle Falene che avevano la sfortuna di capitargli a tiro. Sembrava che tutti si muovessero con una sola volontà e un solo scopo.

Galeno si sollevò a mezz'aria, rinvigorito da quell'aiuto inaspettato mentre lo stormo di uccelli vorticava impazzito davanti ai suoi occhi.

"Dov'è Aezio?" gridò cercando di individuarlo.

Non lo vide da nessuna parte e continuava a chiedersi dove fossero finiti Corrado e Beatrice.

In quel momento una sfera di luce lo colpì facendolo precipitare al suolo, quando aprì gli occhi stordito con un forte ronzio nelle orecchie e il naso che sanguinava, vide davanti a sé il ghigno inconfondibile di Tammonio.

Questi lo afferrò per il bavero e lo colpì con un pugno talmente forte che Galeno fu scaraventato in fondo alla sala. Andò a sbattere con violenza contro la parete di marmo lucido. La vista gli si annebbiò.

Una coppia di grossi daini si mise sulla strada di Tammonio mentre lui gli andava incontro con il chiaro intento di liberarsene una volta per tutte. Lo attaccarono con la testa bassa ma Tammonio sguainò la spada e prima che potessero travolgerlo spezzò loro le zampe lasciandoli a terra ad agonizzare in una pozza di sangue.

Galeno fece appello a tutte le forze che ancora gli restavano a si rimise in piedi con la spada dritta davanti a sé.

Il colpo lo aveva tramortito e a fatica si reggeva sulle gambe.

Tammonio lo raggiunse in fretta abbattendo nel cammino anche un grosso rapace che provò a fermarlo.

"Avrei fatto bene ad ucciderti prima!" disse minaccioso.

"Già e invece eccoci qui" rispose Galeno.

Tammonio lo attaccò con la sua lama, ma Galeno riuscì ad evitarlo.

Lo attaccò a sua volta e di nuovo, ma quello parò ogni colpo. Andarono avanti così per un po', il rumore metallico delle spade si confondeva con lo stridio degli uccelli e le urla.

"Dimmi dov'è Aezio!" urlò mentre la sua lama colpiva dritta quella di Tammonio facendogli tremare le braccia.

"Ti sei messo con gli Estranei, Cherobosco?".

Un altro colpò vibrò nell'aria.

"Volete scatenare una guerra inutile! Non ce la farete mai!"

"E chi sarà a fermarci, tu?".

Tammonio rise.

"Tuo padre sarebbe orgoglioso di te Cherobosco".

Galeno sentì il sangue gelargli nelle vene.

"Cosa gli avete fatto! Dov'è?".

Tammonio fece roteare la spada e si scagliò con forza verso Galeno.

"Chiedilo alle mosche!".

Il colpo lo raggiunse alla spalla, il dolore si irradiò fino alla mano che reggeva la spada.

Galeno si sentì sopraffatto, perduto. Ripensò a suo padre e al suo viso severo. Non gli aveva detto addio, non l'aveva nemmeno salutato, aveva fatto di testa sua come sempre, non l'aveva ascoltato e aveva agito d'impulso. Si era fatto sospendere e poi arrestare, torturare. E ora l'aveva perso per sempre.

La rabbia gli bagnò gli occhi ma dovette ridestarsi perché Tammonio aveva tutta l'intenzione di farlo a pezzi.

Galeno si spostò verso la scalinata di marmo che portava ai piani superiori, salì con i piedi sul corrimano trovandosi così più in alto di Tammonio. Caricò un paio di sfere e gliele schiantò addosso, ma gli fece solo qualche graffio e quello non accennava a fermarsi, anzi l'unica cosa che ottenne fu la sua reazione rabbiosa.

Tammonio attaccò di nuovo e riuscì a colpirlo di nuovo facendogli cadere a terra la spada d'argento che si infilò proprio sotto la gradinata. Galeno cadde e rotolò dai gradini trovandosi così con la faccia sul pavimento. Tammonio gli fu addosso con un balzo, lo fissava con odio mentre la sua spada indietreggiava lentamente pronta a sferrare il colpo decisivo.

"Galeno!" si sentì urlare dall'alto.

In quel momento Galeno vide il viso di Beatrice e i suoi capelli castani ondeggiare come fiori dal marmo candido della balaustra. Anche Tammonio si voltò per una frazione di secondo e bastò quella perché potesse vedere la pioggia di piccoli sassi piombargli addosso come grandine.

Galeno sparì come un lampo evitando la sassaiola e si materializzò in cima alla scalinata mentre Corrado dalla balaustra lanciava un'altra manciata di sassi verso Tammonio. Questi tentò invano di ripararsi coprendosi il capo con le braccia, ma non bastò, le esplosioni lo raggiusero e il suo viso fu colpito in pieno.

La scalinata crollò sotto le esplosioni, il marmo si sbriciolò e una nuvola bianca inghiottì Tammonio mentre cercava di aggrapparsi al corrimano che gli scivolò via come sabbia tra le dita.

Lo videro precipitare giù portandosi le mani all'occhio sinistro che aveva lasciato posto ad un grumo sanguinolento. La scalinata crollò e lo travolse seppellendolo.

Galeno fece appena in tempo a spostarsi sul pavimento del corridoio superiore prima che l'ultimo gradino si sbriciolasse. Beatrice lo raggiunse trafelata.

"Galeno! Oddio sei ferito!"

"Spostatevi presto!" fece lui guardando dietro di loro con gli occhi sbarrati.

Le quattro Falene di guardia alla porta, che non si erano mai mosse di un millimetro, puntarono improvvisamente le lance in avanti senza dargli nemmeno il tempo di ringraziare Corrado e Beatrice per averlo salvato.

Di nuovo.

"State indietro!" disse mentre i palmi delle sue mani rilucevano di un chiarore di luna. Corrado e Beatrice si fecero da parte e Galeno scagliò una raffica di sfere luminose che tramortirono le Falene lasciandole barcollanti come fantocci.

"Dobbiamo entrare lì dentro! Fanno la guardia a qualcosa!" disse Corrado indicando la porta dorata in fondo al corridoio.

Nell'atrio la battaglia continuava e la Resistenza guadagnò terreno grazie all'intervento di quella mandria di belve, ma il loro vantaggio duro poco perché in quel momento altre Falene si materializzarono dal nulla proprio al centro delle Sala, portando di nuovo il loro numero ben al di sopra di quello dei loro avversari.

"Dobbiamo abbattere quel maledetto scudo!" disse Galeno dando il colpo di grazia all'ultima delle guardie che fu scaraventata giù dalla balaustra sul cumulo di macerie che aveva appena travolto Tammonio.

"Andiamo!" disse dirigendosi verso la porta dorata.

La aprirono e si ritrovarono in una sala immersa nella penombra. Era piuttosto stretta e proprio sulla parete opposta c'era un'apertura, come un passaggio da cui filtrava una debole luce verde. Alcuni piccoli bracieri ardevano ai lati illuminando le pareti scure.

"Ci deve essere qualcosa qui dentro" disse Corrado guardandosi intorno.

"Ho perso di vista Carlo" disse Galeno riprendendo fiato. Era ricoperto di polvere, aveva un grosso taglio alla spalla destra e uno dei suoi calzari era completamente ricoperto di sangue.

"L'abbiamo visto allontanarsi con Aezio, dopo l'esplosione" rispose Corrado.

"Credo che volesse provare a parlarci" spiegò Beatrice.

"Parlarci? Con Aezio? Comincio a pensare che la pazzia sia un tratto di famiglia"

"Carlo è così. Si butta nei precipizi come se fosse una cosa normale. Però fino ad ora gli è sempre andata bene. E sai, non credo che sia solo fortuna" provò a giustificarlo Corrado, come se ci tenesse a non far passare Carlo per una persona dissennata.

"Spero davvero che tu abbia ragione" rispose Galeno

Si sentirono dei passi lungo il corridoio, alcune Falene li stavano per raggiungere con le spade sguainate.

"Presto, sprangate l'ingresso!" disse Galeno indicando una lunga lancia appesa alla parete.

"E tu?" chiese Beatrice mentre le urla delle guardie li raggiungevano.

"Cerco di fermarli. Qualunque cosa ci sia qui dentro fate attenzione!" disse tirando verso di sé le ante dorate del portone.

"E fate in fretta!".

Lo videro sparire nello spazio verticale fra le due ante, mentre un gruppo di Falene si avvicinava di corsa. Pregarono che avesse la forza di resistere anche stavolta.

Infilarono la lunga lancia di ferro tra le maniglie e piombarono nella penombra.

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