49. Dante e Beatrice
L'orologio segnava mezzanotte meno dieci.
Corrado si assicurò che lo zaino fosse chiuso e che nulla di ciò che aveva preparato fosse rimasto sul letto. C'era tutto ciò che poteva servire per una missione suicida: acqua, barrette energetiche rubate a sua madre Cecilia, una torcia, una fune, dei ganci metallici, una giacca impermeabile in caso di temporale dentro il Varco, dei calzini puliti, un coltellino, due mele, mutande extra perché l'igiene è importante, un kit di primo soccorso, un taccuino e il Pilotto donatogli da Galeno.
Si caricò lo zaino sulle spalle e poi uscì di casa.
Salto in sella alla bicicletta di Beatrice e si fiondò giù per la strada in direzione di via del Crocicchio.
La neve scendeva lenta e sottile, dopo una decina di minuti Corrado raggiunse il cancellino di ingresso del giardino di Adriana.
Qualcuno gli venne ad aprire nel buio.
"Hai preso tutto?" chiese Beatrice sottovoce.
"Credo di sì, ho fatto più in fretta che ho potuto" rispose Corrado.
"Ok, allora lascia qui la bicicletta, andremo a piedi".
Corrado obbedì e appoggiò la bicicletta accanto all'auto di Adriana, poi si voltò e vide Beatrice che fissava la facciata della casa con aria triste.
"Tutto bene?" le chiese.
"Dimmi che stiamo facendo la cosa giusta ti prego"
"Credo sia la cosa giusta, ma è anche la più pericolosa"
"Non voglio farla soffrire, non di nuovo".
Corrado non seppe cosa rispondere, Adriana avrebbe sofferto eccome. Le sarebbe venuto un colpo trovando il letto vuoto in camera di Beatrice l'indomani, sarebbe morta dalla paura sapendo che Beatrice si sarebbe certamente trovata in pericolo, non si sarebbe data pace per giorni, sarebbe impazzita dal dolore e dall'ansia.
E Beatrice lo sapeva bene.
"Adesso dobbiamo andare, Carlo ci aspetta" disse Corrado.
Beatrice annuì, si tirò su il cappuccio della giacca e uscì sulla strada richiudendo piano dietro di sé il cancello di metallo.
Si incamminarono lungo la via, le loro impronte sarebbero state coperte in pochi minuti dalla neve che cadeva e non avrebbero lasciato alcuna traccia visibile.
"Pensi che Carlo sia riuscito ad avvertire Galeno?" chiese Beatrice mentre svoltavano l'angolo che immetteva sulla via principale di Camarelli.
"Lo spero".
Il rumore della neve che cadeva in quel momento riempiva le strade, si udiva unicamente quel lieve infrangersi di cristalli, che uno dopo l'altro, come piccole schegge di vetro, si ammucchiavano coprendo di bianco l'intera città.
"Sai, io penso che Carlo sia nato nel mondo sbagliato" proseguì Corrado.
"Sì, lo penso anche io. Cioè penso che il suo mondo non sia solo questo"
"È come se una parte di lui fosse sempre rimasta nascosta, l'hai visto anche tu. Non ti sembrava un'altra persona l'altra sera?"
"Sì, non l'ho mai visto così da che lo conosco. Spero solo che riesca a sostenere tutto questo"
"Già. Essere nipote diretto di un pazzo assassino sterminatore non deve essere una bella sensazione"
"No, insomma, potresti pensare di essere un po' suonato anche tu. Geneticamente parlando" disse Beatrice.
Camminarono ancora per diversi minuti finché il campanile della Cattedrale non si parò loro davanti in tutta la sua altezza.
"Ci siamo" disse Beatrice con la voce che tremava leggermente.
Raggiunsero il sagrato velocemente lasciandosi dietro una fila di impronte e si fermarono proprio accanto ai gradini di pietra che portavano all'ingresso principale. Rimasero in attesa, in silenzio per qualche secondo finché un rumore alle loro spalle li costrinse a voltarsi.
"Ragazzi!".
"Carlo!" sorrise Beatrice.
"Vi stavo aspettando, per un attimo ho pensato che non sareste venuti" disse in leggero imbarazzo.
"Per un attimo l'ho temuto anche io" rispose Corrado.
Si guardarono negli occhi e capirono che quella sarebbe stata la cosa più rischiosa che gli sarebbe capitato di affrontare nella loro vita. Almeno così credevano. Era come entrare nudi e coperti di sangue nella gabbia dei leoni. Entrarci di proposito e sperare di non essere divorati.
Magari i leoni avrebbero dormito, oppure sarebbero stati sazi, oppure qualcosa di più appetitoso avrebbe attirato la loro attenzione.
Le loro speranze erano affidate al Destino. Che finora si era mostrato alquanto beffardo.
"Allora andiamo" disse Carlo.
Si diressero verso il lato della Cattedrale dopo aver verificato che il portone principale fosse chiuso, così come doveva essere a quell'ora di notte.
"Ok, se abbiamo fatto bene i calcoli da quel cancello dovremmo riuscire a raggiungere il cortile interno della canonica" disse Corrado indicando un cancello di ferro grigio.
"Perché la chiami canonica?" chiese Beatrice.
"Perché è così che sia chiama?"
"Mmh... suona così vecchio"
"Beh, lo è se ci pensi" osservò Carlo.
"Già, beh comunque speriamo di non svegliare Don Candido"
"Credo che usi i tappi, per dormire" rispose Corrado.
"Quante cose sai"
"Me l'ha detto mia madre, sai lei organizza quella specie di raccolta fondi per i poveri, che poi dei poveri non le è mai fregato nulla. Comunque, per farla breve, spesso prende il tè con il parroco e lui le ha confessato che da quando è parroco a Camarelli ha iniziato ad usare i tappi per dormire la notte. Sapete per San Quadrone e tutto il resto..." spiegò Corrado.
Beatrice annuì sperando che anche quella notte il prelato avesse optato per un buon paio di tappi.
"Eccoci qui" disse Carlo puntando con lo sguardo alle punte metalliche in cima all'inferriata.
Osservarono il cortile, tutto taceva. L'automobile di Don Candido era parcheggiata all'interno. Gli scuri delle finestre erano tutti chiusi e non c'era anima viva.
Corrado si aggrappò con le mani sull'inferriata e raggiunse la cima con l'agilità di un gatto, oltrepassò con attenzione la sommità appuntita del cancello e balzò dall'altra parte.
"Non è difficile, passatemi gli zaini" disse piano.
Beatrice obbedì si arrampicò appoggiando i piedi negli stessi punti in cui li aveva appoggiati Corrado e una volta a metà lanciò il suo zaino e quello di Carlo dall'altra parte.
Poi raggiunse la cima, scavalcò con la prima gamba e rimase incerta sul da farsi per qualche secondo prima di procedere con l'altra gamba. Arrivata di là si bloccò.
"Come scendo adesso?" disse cercando un appiglio.
"Allungati, metti un piede lì" disse Corrado.
"Lì dove?"
"Li sotto sulla sbarra!"
"Ma non ci arrivo, hai visto le mie gambe?" disse lei seccata.
Certo che le aveva viste.
"Allora buttati non è alto" disse lui mentendo.
"Neanche morta!"
"Tranquilla, ti prendo io!".
Beatrice si guardò giù, si trovava ad almeno tre metri dal suolo con quelle punte di ferro arrugginito che le sfioravano il viso. Non aveva molta scelta. Prese coraggio e saltò giù dall'inferriata come se sotto ci fosse una piscina. Atterrò barcollando e Corrado la afferrò con le braccia prima che cadesse indietro sbattendo sul cancello.
"Presa" disse sorridendo mentre ancora la stringeva.
Lei si allontanò imbarazzata e raccolse il suo zaino mentre Carlo, nel frattempo, si accingeva anch'egli a saltare giù dal cancello, quando all'improvviso perse l'equilibrio e si inclinò pericolosamente sul fianco precipitando al suolo.
Che però non toccò mai, almeno non troppo forte.
Prima di schiantarsi a terra riuscì non si sa come a rallentare la caduta e si fermò a mezz'aria per una frazione di secondo prima di appoggiarsi al suolo delicatamente, senza farsi alcun male.
"E quello cos'era?!" esclamò Beatrice con le mani alla bocca.
"Come hai fatto?" chiese incredulo Corrado.
Carlo si rimise in piedi e si tolse la neve dalla giacca.
"Non ne ho idea, ho solo pensato che non volevo schiantarmi" rispose.
"Credo che tu ci sarai molto più utile di quel che pensi" disse Corrado.
Si avviarono verso una piccola finestrella piuttosto bassa, l'unica che non aveva scuri alle finestre. Osservarono all'interno e notarono, un letto vuoto, un armadio di legno e un piccolo tavolino con sopra appoggiata una copia della Divina Commedia.
"Credo che ci siamo, dobbiamo passare da qui e saremo all'interno della Cattedrale" disse Corrado che aveva preso in mano le redini della spedizione.
Carlo afferrò un sasso e senza pensarci troppo ruppe il vetro della finestrella tanto da poterci infilare la mano e aprirla. Beatrice rimase colpita da quell'intraprendenza, Corrado la trovò stupida.
Fortunatamente il rumore non svegliò nessuno.
I tre entrarono nella piccola stanza e si guardarono intorno in cerca di qualche cosa di utile. L'interno era riscaldato anche se ora l'aria gelida dell'inverno si infilava prepotente dal vetro rotto della finestrella.
"Quindi Elias vive qui?" osservò Beatrice.
Carlo si guardò attorno.
"Strettino"
"E puzza di vecchio" aggiunse Corrado.
Aprirono l'armadio dove però trovarono solo alcuni vestiti neri appesi ordinatamente. Il tavolo non aveva nessun cassetto e nella stanza non vi era altro mobilio a parte quelle poche cose. Le pareti erano ingrigite dal tempo e nell'aria permeava un odore di stantio.
Carlo si sedette sul letto appoggiando le mani alle coperte, mentre Corrado e Beatrice si guardavano in giro in cerca di qualche angolo nascosto.
Sentì all'improvviso un rumore provenire da sotto la sua mano destra. La cosa lo incuriosì. Premette di nuovo la mano sul materasso e lo avvertì più chiaramente. Sembrava uno scrocchio.
Si alzò dal letto e tolse tutte le coperte ma non vide nulla a parte un'avanguardia di macchie giallognole; quindi, infilò le mani sotto al vecchio materasso pieno di bitorzoli.
Cercò a tastoni sopra la rete metallica finché qualcosa non sfiorò le sue dita.
"Che c'è?" chiese Beatrice.
"Questa" disse Carlo sventolando una busta sigillata a mezz'aria.
Beatrice si avvicinò e afferrò la busta, l'aprì e con un'espressione piuttosto confusa ne lesse il contenuto ad alta voce.
Di Dante l'amore
Fu angelo in vita
A te mi rivolgo
Nell'ora più ardita
Varcare la soglia
Non richiede denaro
Ma ossequi all'amico dell'uomo
Più caro
Firmato, Elias.
Ci furono alcuni attimi di silenzio prima che qualcuno dei presenti trovasse le parole adatte da proferire.
"Dev'essere impazzito" disse infine Carlo.
Corrado si grattò la testa mentre rileggeva quelle righe misteriose ma, pensava, scritte piuttosto bene.
"Sta parlando a me" disse Beatrice.
"Credo proprio di sì"
"Sono io l'amore di Dante, cioè, intendo dire Beatrice. Giusto? Insomma, lo sanno tutti".
Corrado sorrise con gli occhi.
Carlo sospirò profondamente mentre cercava di comprendere il senso di quelle parole.
"Perché si rivolge a te?" le chiese.
"Perché mi trova simpatica?"
"Aspettate, ragioniamo. Perché Elias ha scritto questa lettera?" chiese Corrado.
"Perché voleva che la leggessimo? Che Beatrice la leggesse?" rispose Carlo.
"Esatto! Quindi l'ha indirizzata a lei ma senza farlo in modo esplicito. In caso qualcun altro l'avesse trovata".
Carlo non era convinto della risposta ma viste le circostanze e il suo disgusto per l'analisi del testo, decise di farsela andare bene.
"Ok, quindi mettiamo che il destinatario della lettera, che sarei io, sia stato raggiunto. Il resto che significa?" chiese Beatrice.
"Credo che sia una specie di indovinello, no?" provò a dire Carlo.
"Sì, io credo che stia cercando di aiutarci... varcare la soglia, varcare la soglia..."
"Varcare! Il Varco!"
"Ma certo! ...E come si varca il Varco?" chiese Carlo.
"Dovevi proprio parlargli di Dante quel giorno? L'Inferno, Lucifero e bla bla bla..." disse Beatrice a Corrado, che si spremeva le meningi fissando le parole sul foglio quasi ad aspettarsi che potessero parlare.
"Non serve denaro... mmh, beh noi non ne abbiamo meglio così"
"Cosa intende con ossequio?" chiese Carlo.
"Ossequio, sarebbe... portare rispetto, rendere omaggio" spiegò Corrado.
"Anche questo suona di vecchio..." osservò Beatrice.
"Formale, scommetto che vuoi dire formale"
"Quello che ti pare prof, non poteva essere più chiaro e basta?"
"No, altrimenti l'avrebbero capito tutti!"
"Ma tutti chi? Chi verrebbe mai qui alla ricerca di un varco magico?" ribatté Beatrice immaginando Elias mentre si impegnava a rendere il più oscure e complicate possibile quelle poche righe.
"E cosa dice dell'amico più caro?" proseguì.
"L'amico dell'uomo più caro... e chi sarebbe?" chiese Corrado.
"Questa è facile... chi è il migliore amico dell'uomo?" chiese Beatrice aspettandosi la risposta giusta da almeno uno dei due.
"Non lo so, io non ho amici" rispose Carlo lapidario.
Beatrice alzò gli occhi al cielo.
"Il cane! Il migliore amico dell'uomo è il cane!" disse infine.
Corrado si grattò di nuovo la testa e tutto gli sembrò ancora più oscuro e confuso.
"Dobbiamo rendere omaggio a un cane?" chiese.
"Ve l'ho detto che è impazzito" concluse Carlo.
Passarono alcuni istanti, e un lieve odore di incenso penetrò nella piccola stanza che ormai iniziava a diventare piuttosto fredda.
"Ok, propongo di andare di là e provare a capirci qualcosa, se Elias ha scritto queste parole un senso ci deve essere per forza" disse Corrado facendo appello alla razionalità.
Uscirono dalla stanza lentamente cercando di non fare alcun rumore e pregando perché i legni antichi dell'edificio non emettessero cigolii sinistri.
Si ritrovarono nella sagrestia, dove sul grande tavolo erano riposti alcuni testi sacri e il necessario per la messa. Filtrava poca luce delle finestre e gli armadi scuri ai lati incutevano un certo timore. Uscirono dalla sagrestia e si ritrovarono all'inizio della navata laterale della Cattedrale, proprio accanto all'altare maggiore. Le luci erano tutte spente, l'odore di incenso era più forte e dalle vetrate colorate filtrava la luce gelida della notte.
Ai piedi dell'altare era stato allestito un presepe per festeggiare il Natale. Il bambinello di gesso dipinto era avvolto in un panno di lana e adagiato sulla paglia, sua mamma lo guardava con gli occhi pieni d'amore portandosi le mani al petto mentre il papà le mani le teneva aperte, pronto ad accogliere quell'amore che rimbalzava da un cuore all'altro come una palla.
Beatrice e Corrado camminavano in silenzio verso il centro della Cattedrale, mentre Carlo li precedeva curioso di esplorare quel luogo che non ricordava di aver mai visitato.
"Dove lo troviamo un cane qui dentro?" chiese Corrado.
"E anche ammesso che ne troviamo uno, poi che ci facciamo esattamente?" rispose Beatrice.
Corrado non poté fare a meno di ridere, la situazione era tragica ma in quel preciso momento aveva dimenticato tutto il resto e quella folle cosa del cane, lo faceva scompisciare.
Beatrice appoggiò a terra il suo zaino e si sedette su uno dei lunghi banchi di legno al centro della navata, mentre Carlo si allontanava verso il fondo.
Corrado la seguì facendosi coraggio, quella ragazza era come una calamita per lui, difficile starle lontano.
"Ti ricordi?" gli chiese lei.
"Che cosa?"
"Quando è iniziato tutto quanto. Eravamo proprio qui, come ora" disse guardando dritta davanti a sé.
"Io non credo di essere lo stesso che era seduto qui con te"
"In che senso?"
"Non lo so, è una cosa strana ma, non sarò mai più quello di prima"
"È questo è un bene o un male?"
"Credo sia troppo presto per capirlo" rispose Corrado guardandola.
"Promettimi una cosa" disse Beatrice fissando il pavimento di marmo.
"Che cosa?"
"Qualunque cosa succederà tu dovrai essere sempre sincero con me, e io farò lo stesso" disse voltandosi verso di lui.
"Promesso".
I passi di Carlo risuonavano nella Cattedrale buia e silenziosa, quando ad un certo punto cessarono e per qualche minuto non si sentì più alcun rumore.
Fu la sua voce a rompere quel silenzio all'improvviso.
"Ehi! Venite presto!" disse dal fondo della navata.
Corrado e Beatrice non si fecero pregare, afferrarono gli zaini e lo raggiunsero di corsa mentre i loro passi riecheggiavano sulle pareti di pietra.
"Cos'hai trovato?" chiese Corrado trafelato.
"Guardate" disse Carlo indicando un pannello informativo che mostrava la distribuzione delle Pale d'Altare all'interno della Cattedrale. Per ognuna di esse c'era una riproduzione in bianco e nero e una breve didascalia. In particolare, Carlo indicava una delle Pale d'Altare sulla navata di sinistra, una composizione di Santi e una Maestà sul trono. Il pannello riportava uno schema del dipinto in cui erano riprodotte solo le sagome dei personaggi, numerati da uno a cinque.
"Madonna con Bambino, Santa Lucia, San Rocco, San Sebastiano e San Lorenzo" lesse Beatrice ad alta voce.
"Quindi?" chiese Corrado senza capire.
"Il numero tre" rispose Carlo indicando la sagoma con la cifra corrispondente.
"Il numero tre... San Rocco. Protettore degli appestati, invocato spesso durante le epidemie, raffigurato in abiti da pellegrino e quasi sempre in compagnia di un cane! Carlo sei un genio!" esclamò Corrado.
"Dove si trova?" chiese Beatrice emozionata.
Corrado si guardò intorno per localizzare l'esatta posizione della Pala e una volta individuata ci si diresse di corsa, seguito dagli altri due.
Raggiunsero una delle cappelle laterali, dove era alloggiato il dipinto. Era maestoso, alto almeno cinque metri. Nella parte alta spiccava una struttura architettonica molto dettagliata che faceva da cornice alla scena sottostante dove una giovane Madonna sedeva in trono circondata dai santi.
San Rocco se ne stava accanto al trono, con lo sguardo triste a mostrare la sua piaga sulla coscia destra. In basso accucciato tra le sue gambe un cagnolino bianco e marrone li fissava con i suoi occhi scuri e lucidi.
"Eccoti qui bestiolina" disse Beatrice avvicinandosi.
"Bene, ora che l'abbiamo trovato che si fa?" chiese Carlo
Corrado era perplesso.
"Quella cosa degli ossequi giusto?"
"Come si ossequia un cane? Non riesco a capire"
"Con delle crocchette" rispose Beatrice.
Corrado ci pensò un po' su, poi cominciò a camminare avanti e indietro guardando quell'animale ignaro che li fissava.
"Come si rende omaggio a qualcuno?" chiese alla fine.
"Con una cerimonia?"
"Con un regalo?"
"Serve qualcosa di più semplice..." disse continuando a camminare.
"Un abbraccio? Una pacca sulla spalla? Una stretta di mano?" provò a buttare lì Beatrice.
"Un applauso, un inchino?" disse Carlo.
Corrado si fermò all'improvviso.
"Un inchino, mmh..."
"Quindi ci inchiniamo al cane?" chiese Beatrice incredula.
"Avete altre idee? Anche stupide?"
"Ok, facciamolo".
Messi da parte dubbi e perplessità varie si posizionarono di fronte all'amico dell'uomo più caro e abbassarono il capo in segno di gratitudine.
Quello che successe dopo furono solamente le loro teste che si rialzavano in evidente imbarazzo.
Si guardarono perplessi, sui loro visi delusione e confusione facevano a botte.
"Non può essere tutto qui è ridicolo!" disse Beatrice.
"Forse abbiamo sbagliato qualcosa" osservò Carlo.
Corrado si allontanò di qualche passo in cerca di risposte, deluso per non essere riuscito a cavare un ragno dal buco. Agitato, perché quello stupido intoppo li stava bloccando lì, mentre Galeno era chissà dove forse già cadavere.
Guardò verso l'altare e osservò il gruppo di Magi poco distante dalla culla del Bambinello, che portavano doni.
Ad un tratto ebbe un'illuminazione. Quella scena era l'apoteosi degli ossequi! I tre Magi non solo portavano regali ma erano inginocchiati di fronte alla mangiatoia.
Corrado si precipitò di nuovo di fronte al dipinto.
"In ginocchio! Dobbiamo metterci in ginocchio!" disse buttandosi con le ginocchia a terra.
Gli altri due lo imitarono senza farselo ripetere di nuovo.
Solo in quel momento quando il loro sguardo si allineò con quello del piccolo animale notarono una variazione di colore molto evidente nel dipinto, accentuata dai riflessi della luce che filtrava dalle vetrate. Un rettangolo grande non più di una cartolina, proprio sul muso dell'animale, virava decisamente verso un colore più chiaro e brillante, come se fosse stato ricoperto di una qualche vernice. Non solo, ma da quella posizione notarono un taglio nella tavola del legno che stando in piedi era impossibile vedere.
"Cos'è?" chiese Beatrice allungando la mano verso quella fessura sottile.
Riuscì appena ad infilare le unghie e tirò verso di sé cercando di non farsi scappare il tassello di legno che ora si muoveva scivolando verso l'esterno.
Una volta fuori per metà Beatrice lo afferrò meglio e tirò finché quello non uscì completamente dal suo alloggio lasciando un buco nero e profondo dove prima c'era il muso del cane.
Carlo ci infilò coraggiosamente la mano dentro senza temere di incontrare ragni o altre schifezze, e ne estrasse una grossa chiave di metallo mezza arrugginita.
I loro cuori sobbalzarono come cavalli alla vista di quell'oggetto.
"L'abbiamo trovata" disse Carlo.
"Elias sarebbe fiero di noi, ne sono certa" disse Beatrice quasi commossa.
Rimisero a posto il tassello di legno riportando il muso del cane alle sue fattezze.
"La chiave del Varco" osservò Corrado con un po' di paura, certo che da quel momento in avanti non sarebbe stato più possibile scherzare.
Si alzarono osservando quella chiave tra le mani pallide di Carlo, sapevano perfettamente dove andare e che cosa avrebbe aperto.
Si diressero verso la parte opposta della Cattedrale alla cappella laterale. La quarta.
Arrivarono davanti alla parete come se per loro fosse del tutto naturale trovarsi lì in quel momento.
Carlo si avvicinò alla porta di legno scuro, infilò la chiave nella serratura e provò a girare, questa fece un po' di resistenza ma alla fine cedette facendo scattare il meccanismo con un rumore ferroso. Poi Carlo tolse di nuovo la chiave e la infilò in tasca.
La porta scattò in avanti di un paio di centimetri buoni lasciando intravedere solo un interno buio.
In quel momento ebbero la sensazione che qualcosa di invisibile gli crollasse davanti, come se quella chiave avesse non solo aperto la serratura che chiudeva la porta ma avesse anche sgretolato qualcosa di molto più resistente, una specie di copertura.
Percepirono come uno spostamento d'aria. Un crollo.
Si guardarono tutti negli occhi.
Avevano lo stomaco che si contorceva per l'emozione e la paura.
"Qualsiasi cosa ci sia lì dentro, stiamo vicini, d'accordo?" disse Corrado.
Gli altri due annuirono.
Carlo aprì la porta di legno.
Corrado entrò per primo, seguito da Beatrice e per ultimo fu il turno di Carlo che una volta dentro richiuse la porta a chiave dall'interno.
La cattedrale ripiombò nel silenzio della notte mentre la neve ricominciava a scendere copiosa sulle strade di Camarelli.
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