48. Le prigioni
Il corridoio della prigione si estendeva per un centinaio di metri. Saliva in modo graduale e il dislivello aumentava più ci si avvicinava alle ultime celle. Non era dritto, ma le pareti curvavano leggermente così che dalla prima cella, quella più in basso, era in effetti impossibile osservare l'ultima. Anche il pavimento pendeva verso destra lasciando così i prigionieri sempre più in basso rispetto alle guardie.
Pareva quasi che i muri fossero cresciuti dal suolo come alberi, con i tronchi ritorti e senza seguire un ordine preciso.
Lungo il muro di pietra nera si intervallavano alcune torce che illuminavano il corridoio impregnandolo di odore di olio bruciato.
Le celle erano tutte di modeste dimensioni, alcune molto più piccole delle altre. Tra l'una e l'altra c'erano delle finestrelle aperte direttamente nel muro, sprangate da sbarre di metallo identiche a quelle che chiudevano le celle stesse.
All'interno c'era solo un giaciglio sul pavimento, una caraffa e un buco scavato nella pietra che fungeva da gabinetto.
La guardia camminava avanti e indietro percorrendo il corridoio pigramente. Le fiamme alle pareti tremolavano ogni volta che l'uomo si avvicinava.
L'odore di piscio era insopportabile e le Falene avevano stipato quel corridoio all'inverosimile. In alcune delle celle c'erano fino a cinque persone. Si trattava perlopiù di Passanti, Custodi appartenenti al vecchio ordine, che rispondevano all'Altor Scalisi e avevano cercato in tutti i modi di difendere la città. C'erano anche diversi cittadini semplici, impiegati dell'Alto Consiglio che si erano trovati imprigionati solo per aver provato a mettersi in salvo. Ad altri era andata decisamente peggio. Le Falene non avrebbero risparmiato nessuno, chiunque avesse provato ad ostacolarli sarebbe stato arrestato o ucciso.
Nella cella numero sette alcuni giovani Passanti parlavano a bassa voce di un tentativo di irrompere in città da parte di un gruppo di soldati esterni, tentativo che però era finito nel peggiore dei modi in quanto uno dopo l'altro erano stati uccisi tutti, colpiti dal fuoco delle Falene che difendevano il confine come un branco di lupi.
Più avanti Elias se ne stava rannicchiato in un angolo della sua cella, dall'altro lato un vecchio impiegato spaventato cercava di farsi forza guardando il piccolo spiraglio di cielo visibile da una finestra minuscola.
Come tutti i prigionieri anche loro indossavano degli strani bracciali metallici ai polsi. Gli avevano detto che si chiamavano frangiluce e da quando Elias li aveva addosso i suoi poteri si erano spenti.
Non poteva compiere nessuna magia, nulla! Nemmeno la più stupida! E non riusciva a levarseli in nessun modo.
"Dannati affari!" imprecò a bassa voce.
"Non puoi far nulla, solo chi te li ha messi può levarteli"
"Già e ancora non capisco perché quel tipo non si sia rifiutato di fare una cosa del genere! Lo conosco dai tempi dell'Accademia, è un ottimo Decimatore perché prestare i suoi servizi alle Falene?".
L'impiegato si tirò su a sedere.
"Perché hanno sua moglie e sua figlia. È costretto a farlo".
Elias deglutì, avrebbe dovuto immaginarlo.
Dalla porta di ingresso del corridoio si sentì un pesante rumore metallico, seguito da alcuni passi veloci.
Elias si avvicinò alle sbarre per osservare meglio, il rumore dei passi si faceva sempre più vicino finché non si fermò proprio di fronte alla cella che precedeva la sua.
Si udì il tintinnio delle chiavi che aprivano il lucchetto. Poi la porta si mosse con un cigolio stridulo.
"Per oggi te ne starai qui! Vediamo se domani avrai voglia di parlare" disse un uomo in tono minaccioso. Poi si allontanò dicendo all'altra guardia che aveva voglia di bere qualcosa.
La porta si richiuse e i passi dei due si allontanarono lungo il corridoio.
Elias si avvicinò all'apertura laterale e osservò la cella adiacente. Vedeva solo un uomo riverso sul pavimento che gli dava le spalle, sembrava respirare a fatica. Era sporco e aveva una mano coperta di sangue.
Non c'era nessuno nella cella con lui.
"Ehi, stai bene?" chiese Elias sapendo quanto fosse stupida quella domanda.
L'uomo non rispose, mosse leggermente la testa.
"Fanno così tutti i giorni, non credo che durerà a lungo se non si decide a parlare" disse l'impiegato facendosi più vicino.
"E da quanto è ridotto così?" chiese Elias che era appena stato trasferito in quell'ala perché le Falene avevano bisogno di spazio ulteriore per ospitare altri prigionieri, e non aveva idea di ciò che avesse passato quel poveretto nei giorni precedenti.
"Da un paio di settimane all'incirca, all'inizio si opponeva, resisteva... ma ora non sentiamo più nemmeno la sua voce, povero ragazzo"
"Un ragazzo?".
L'impiegato annuì.
Elias tornò con lo sguardo verso quel corpo steso a terra al freddo.
L'uomo non si muoveva, ma dopo qualche minuto si sentì un mugugno. Elias cercò di mettere a fuoco la sua immagine e vide che si era messo a sedere sul giaciglio sudicio con la testa appoggiata nell'angolo. Cercava di dire qualcosa.
"Che c'è? Parla più forte" disse Elias.
Il suo viso era nascosto dall'ombra, poteva vedere solo le sue gambe e il busto. Il respiro sembrava affannoso ma regolare.
"Elias..." disse il ragazzo con un filo di voce.
"Mi conosci? Chi sei? Come ti chiami?" chiese sorpreso.
"Elias..." disse di nuovo il ragazzo, poi cercò di mettersi più comodo ma nel tentativo di sollevarsi sulle braccia cadde riverso sul fianco. Il suo volto finì sul pavimento freddo, nell'unico punto in cui la luce della torcia disegnava un triangolo e dal suo collo sfuggì un piccolo pesce d'argento incatenato.
"Galeno! Galeno santo cielo!" chiese Elias aggrappandosi alle sbarre nel tentativo disperato di spezzarle con le mani.
Galeno non rispondeva, Elias pensò che fosse svenuto per il dolore. Era ridotto malissimo, sembrava magro, il viso sanguinava e aveva gli occhi neri e scavati. I bracciali gli avevano lacerato la pelle dei polsi, aveva sicuramente cercato di levarseli senza riuscirci.
Elias lo vegliò per diverse ore finché verso sera finalmente Galeno si mosse e aprì gli occhi.
"Ehi, credevo fossi morto"
"Anche io" rispose Galeno a fatica mettendosi a sedere.
"Come ti hanno ridotto..."
"Piuttosto male".
Aveva gli occhi semichiusi e i capelli incollati al viso, era seduto con le gambe distese e con le mani si cingeva le braccia per cercare di scaldarsi.
"Cosa vogliono?" chiese Elias sottovoce.
"I ragazzi"
"E a cosa gli servono?"
"Sono gli unici a sapere di noi. Non avrei dovuto coinvolgerli, è solo colpa mia"
Elias si portò le mani alle tempie e cercò di rimanere lucido.
"E ora dove sono?"
"Non ne ho idea, spero in qualche posto sicuro, lontano da qui" rispose Galeno a fatica.
La prigione era silenziosa e buia, le torce sulla parete stavano per esaurirsi e sarebbero state accese di nuovo l'indomani mattina dalla guardia di turno. Non si sentiva alcun rumore, tranne qualche colpo di tosse ogni tanto.
"Ok, senti devo trovare il modo di farti uscire da qui o ti uccideranno" disse Elias.
"Con questi affari ai polsi è impossibile, ci ho provato. Mi sarei tagliato entrambe le mani se solo avessi avuto il mio coltello" rispose Galeno.
"Dobbiamo riuscirci"
"Devo trovare mio padre, è stato arrestato insieme agli alti ufficiali dell'Ordine, ma non so dove si trovino".
Elias sapeva che agli alti ufficiali Aezio aveva riservato un trattamento speciale. Il giorno in cui lo arrestarono venne condotto lungo il perimetro delle prigioni insieme ad altri Custodi e Passanti e ciò che vide sul muro di cinta del Palazzo delle Camere Ambrate lo fece rabbrividire. Disposti in fila, appesi per il collo erano esposti una ventina di corpi, tra i quali riconobbe quello dell'Alto Custode e di alcuni sottoufficiali. Aezio aveva deciso di lasciarli marcire lì, divorati dalle mosche e dal vento, come monito per chiunque avesse provato ad ostacolarlo. Non lo disse a Galeno, ma probabilmente appeso tra quei corpi c'era anche quello di suo padre Laerte.
"Che giorno è oggi?" chiese Galeno.
"Il 25 dicembre"
"É un giorno speciale là fuori"
Elias ripensò a Beatrice, al modo assurdo in cui si erano conosciuti. Ripensò al suo viso, ai calci che sferrava contro il sedile della macchina quando lui ricevette l'ordine di portarli a Mezzanto. Rivide la sua espressione incredula e spaventata all'entrata del Varco, rivide gli occhi sgranati di Corrado che le stava accanto e provò la sensazione orrenda di aver donato a quei due ficcanaso il regalo più terribile. Un regalo che sarebbe stato meglio non aprire mai.
Avrebbe preferito che non sapessero nulla. Ora non sarebbero stati in pericolo. O almeno non ne sarebbero stati consapevoli, come il resto degli Estranei.
Continuava a ripetersi dentro di sé che doveva trovare il modo di proteggerli, ma ancora non sapeva come avrebbe fatto.
"Elias cosa è successo dopo? Dopo che ci siamo visti l'ultima volta?" chiese Galeno.
"Non è successo nulla, sono rimasto alla Cattedrale, finché non mi sono giunte notizie da Mezzanto. Erano passate circa tre settimane, poco meno, da quando abbiamo trovato il povero Tobia. Mi è arrivata voce di un attacco all'Alto Consiglio, quindi la prima cosa che ho fatto è stata chiudere il Varco della Cattedrale e recarmi a Mezzanto. Ma è stata una pessima idea perché sono stato arrestato non appena ho messo piede in città. Ed eccomi qui" rispose.
"Come hai fatto a chiudere il Varco? È ancora incantato"
"Sono o no il Custode migliore della città?" rispose Elias cercando di risollevare gli animi.
Galeno mosse piano la testa e guardò fuori dalla piccola finestrella. Poteva vedere un rettangolo di cielo, non c'era una stella quella notte. Nemmeno la luna, nulla. Solo nubi alte che oscuravano ogni cosa. Rimase così per diversi minuti in silenzio, si sentiva stanco e aveva fame. Avrebbe voluto qualcosa di caldo e un fuoco acceso.
Pensò alla locanda di Giannetta, al profumo dello stufato di lepre e della torta di zucca e mandorle. Pensò al burro e al miele sul pane caldo e al camino acceso.
La sua mente ritornò in quella locanda di legno profumata, si sentiva stanco e intorpidito, come se i suoi pensieri si stessero sollevando dal suo corpo. Non percepiva più dolore, né freddo.
In pochi secondi si ritrovò all'improvviso seduto ad un dei tavoli della locanda.
Intorno a lui non c'era nessuno, il locale era desolato. Non si udiva nessun rumore di piatti o di bicchieri, nessun commensale che urlava di portare altra birra. Niente.
Galeno si guardò intorno per cercare qualcuno ma tutto era silenzioso e immobile. Quando voltò nuovamente lo sguardò con sua grande sorpresa davanti a sé sedeva un ragazzo.
Aveva un'aria familiare ma Galeno non ricordava dove l'avesse visto prima. Era piuttosto pallido, aveva i capelli neri e due occhi color ghiaccio.
Galeno non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi che lo scrutavano come lanterne nel buio.
"Chi sei?" chiese.
Il ragazzo non rispose.
Si mosse appena e infilò una mano in tasca, estrasse un ciondolo a forma di pesce d'argento infilato in una catenina e lo posò sul tavolo proprio di fronte a Galeno.
"Passeranno il Varco, hanno la chiave di tutto" disse poi con voce calma.
"Cosa?" chiese Galeno senza capire.
"Il Varco, Galeno. Serve un passaggio sicuro. Hanno la chiave di tutto" ripeté il ragazzo.
Poi si alzò, lo guardò un'ultima volta negli occhi e si allontanò dal tavolo sparendo nell'ombra.
"Aspetta! Chi sei?" urlò Galeno rovesciando la sedia a terra, ma quello era già sparito.
Galeno fissò immobile il piccolo ciondolo argentato e si chiese come mai non si trovasse dove doveva essere, al suo collo.
Lo afferrò e lo indossò come aveva sempre fatto da quando l'aveva ricevuto in regalo anni prima.
In quel momento la locanda sparì dalla sua vista, come se un lampo avesse cancellato tutto. Si ritrovò al buio, sentiva freddo e aveva dolori dappertutto.
Aprì gli occhi e vide di nuovo la piccola finestrella della prigione incastonata nel muro grigio come una gemma. Si ritrovò esattamente dove si trovava pochi minuti prima e si rese conto che tra le mani stava stringendo il ciondolo a forma di pesce.
"Elias?" disse.
"Che c'è?" rispose una voce aldilà del muro.
"Hai detto di aver chiuso il Varco?"
"Sì, l'ho detto e l'ho fatto"
"Accidenti..."
"Che succede?"
"Non so come sia possibile, ma credo di sapere dove si trovino" disse sottovoce.
"Cosa?" si tirò su a sedere Elias.
"Credo che stiano per passare il Varco, anzi ne sono quasi certo"
"E come lo sai?"
"Qualcuno mi ha parlato, ed era come se ci conoscessimo, non lo so spiegare. Mi ha detto che loro hanno la chiave di tutto".
"Che significa?" chiese Elias.
"Non ne ho idea, ma è l'unica speranza che sento di avere in questo momento" rispose Galeno.
Elias ci pensò su e gli sembrò talmente strano che alla fine decise di fidarsi di quella voce anche lui.
"Galeno quel Varco è ancora incantato, lo sai vero? L'ordine di disincanto non è mai stato dato a causa dell'indagine. Sai che potrebbero non uscirne vivi?" disse poi preoccupato.
"Certo che lo so, io l'ho percorso. È per colpa di quel Varco se ora siamo qui"
"Tu l'hai visto? Sai cosa c'è all'interno?"
"Non l'ho visto, non del tutto. È mutevole e pieno di inganni. Ne ho percorso una piccola parte, quella in prossimità dell'Esterno, ma sono stato come sbalzato fuori. È lì che i ragazzi mi hanno visto. E sinceramente ora che l'hai chiuso mi chiedo come possano riuscire ad entrarci" osservò Galeno.
"Beh diciamo che c'è una possibilità" rispose Elias.
Galeno non capì cosa intendesse dire Elias, ma lui era a tutti gli effetti un Custode e conosceva i meccanismi dei Varchi meglio di chiunque altro. Alcuni erano più semplici da aprire, altri invece richiedevano diversi giorni di lavoro. Se Elias riteneva che Corrado e Beatrice sarebbero stati in grado di trovare il modo per entrare allora lui non poteva che fidarsi di quel vecchio Custode.
Il vero problema era permettere loro di oltrepassarlo indenni, anche perché se fossero riusciti a venirne a capo si sarebbero trovati proprio in bocca al loro nemico. Quel Varco acerbo, primordiale, incantato e pieno di energie funeste immetteva direttamente alle prigioni di Mezzanto, nel Palazzo delle Camere Ambrate.
Galeno strinse il pesciolino d'argento fra le dita e decise di fare un ultimo disperato tentativo, sperando che la forza della sua mente stavolta potesse superare quella dei frangiluce.
Chiuse gli occhi e pronunciò il suo nome. Malia.
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