45. Il terremoto

Wanda camminava spedita lungo il marciapiede. Beatrice e Corrado la seguivano a ruota.

Il rumore di tacchi che erano abituati a sentire per i corridoi della scuola, sembrava stonare in quella circostanza. Era come sentire il ruggito di un leone al Polo Nord, qualcosa non quadrava.

Si trattava a tutti gli effetti della loro professoressa di Letteratura e Storia, mai si sarebbero aspettati che la Ossolini fosse una maga venuta da un altro mondo e che avrebbe guidato quel pomeriggio una missione di vitale importanza.

La casa di Carlo era un appartamento al terzo piano all'interno di un complesso di edifici che si affacciavano tutti sulla medesima corte. Beatrice e Corrado riconobbero il posto, quello dove videro Carlo che veniva caricato in ambulanza e suo padre Arturo con la faccia disperata.

Corrado aveva un groppo in gola che non andava né su né giù.

Si chiedeva come avrebbe reagito Carlo a tutto ciò che stava per scoprire e soprattutto come avrebbe reagito Arturo.

L'aria era fredda e le previsioni davano neve.

Arrivarono di fronte ad un cancello dove una trentina di citofoni impegnarono la professoressa Ossolini per un minuto buono.

"Eccolo" disse alla fine individuando più o meno a metà della seconda fila quello giusto.

Suonò una sola volta e a lungo.

Nessuno rispose ma il cancello si aprì con uno scatto.

"Premonizione" osservò Corrado.

"Videocitofono" rispose Beatrice.

Percorsero velocemente lo spazio che li separava dalla porta d'ingresso della scala B. La raggiunsero e la trovarono aperta. Chiamarono l'ascensore e attesero nell'atrio mentre l'agitazione cominciava a farsi sentire.

Corrado con le mani infilate in tasca si guardava intorno nervoso, non avrebbe voluto trovarsi nei panni di Carlo per nessuna ragione al mondo. Si sentiva coinvolto in tutta quella storia anche se, per come si erano messe le cose, gli altri lo erano molto più di lui. Eppure, era lì, con lo stomaco a pezzi e l'incertezza della vita stampata sul volto. Si domandava quale fosse il suo ruolo e non trovava una risposta soddisfacente.

"Stai bene?" gli chiese ad un tratto Beatrice riportandolo con i piedi per terra.

"Certo, sono solo un po' nervoso".

Lei gli sorrise ed entrarono nell'ascensore che nel frattempo era arrivato al pianterreno.

La cabina era vecchia e strettissima, a malapena riuscirono ad entrare in tre. Non c'erano specchi, in quale ascensore non ci sono specchi? La situazione era claustrofobica.

Beatrice si spinse contro Corrado, per far posto alla professoressa, che portava una borsa delle dimensioni di un contrabbasso.

Il viso di Corrado si ritrovò a pochi centimetri da quello di Beatrice, la professoressa armeggiava con i pulsanti cercando di far chiudere le porte che a causa della sua borsa spropositata continuavano a riaprirsi. Ad un certo punto diede uno strattone, si pigiò contro i ragazzi e finalmente le porte si chiusero. Beatrice fu spinta ancora più avanti, Corrado disarmato se la ritrovò addosso con la sua fronte che premeva contro il suo mento. Wanda dava le spalle ad entrambi e controllava i pulsanti luminosi, l'ascensore iniziò a salire lentamente con un inquietante rumore di ferraglia.

"Scusa non...".

Beatrice sollevò lo sguardo e vide Corrado a un centimetro dal suo naso. Era serio, quasi spaventato e la fissava con i suoi occhi chiari. Il suo viso era punteggiato di piccole lentiggini, le ciglia lunghissime e quei capelli troppo corti.

Piano primo.

Beatrice non riusciva a distogliere lo sguardo e si rese conto che non desiderava farlo, avrebbe voluto fermare quell'ascensore e avere il tempo di realizzare. Era agitata e non sapeva perché.

Lui deglutì e le fissò le labbra semichiuse, erano talmente vicini che i loro respiri si confondevano.

Piano secondo.

Corrado la stava fissando immobile con gli occhi che tremavano. Beatrice sentì lo stomaco che si contorceva e aveva le gambe molli come sabbia. Il suo corpo era premuto su quello di lui. Sentì le dita della sua mano che la sfioravano. Cercò quelle dita e le intrecciò con le sue. Ma che stava facendo? Che stava facendo? Abbassò lo sguardo e sentì le labbra di Corrado sfiorarle la fronte. Chiuse gli occhi.

Piano terzo. Plin!

"Eccoci qui!" esclamò Wanda mentre l'ascensore si fermava bruscamente e la porta si apriva.

Beatrice aprì gli occhi, come se fosse stata svegliata di soprassalto e si allontanò da Corrado continuando a fissarlo con l'espressione più confusa di sempre. Lui era pietrificato con il cuore che gli scoppiava nelle tempie e una gran voglia di scappare via.

"Forza su, che aspettate?".

Uscirono dall'ascensore, Beatrice fissò il pavimento di marmo lucido e camminò dritta dietro a Wanda. Corrado, sconvolto, la seguiva riappropriandosi delle gambe.

Raggiunsero la porta d'ingresso dell'appartamento di Arturo Conforti e si fermarono sull'uscio.

"Bene, ci siamo. Siete pronti?" chiese Wanda guardandoli entrambi.

"S-sì" disse Corrado.

"Che c'è avete visto un fantasma?".

Beatrice non rispose, poi si concentrò sulla situazione senza lasciarsi distrarre da ciò che era appena successo o non successo in ascensore. Cercò di scrollarsi di dosso quella bellissima sensazione di panico che provava e si concentrò su Carlo. Corrado dal canto suo la seguì, come sempre.

Suonarono al campanello e dopo pochi secondi Arturo venne ad aprire.

Fu sorpreso di vedere anche Corrado e Beatrice insieme alla professoressa, ma lei si giustificò dicendo che aveva chiesto ai ragazzi di accompagnarla perché c'erano alcune cose importanti di cui avrebbero dovuto parlare tutti insieme. Arturo che si era sempre fidato di Wanda e sapeva quanto volesse bene a Carlo, non fece ulteriori domande e li invitò ad entrare.

La casa era un appartamento molto elegante, ma non pacchiano. Ogni angolo era arredato con gusto e le pareti color vaniglia facevano risaltare il mobilio di legno scuro. Si accomodarono in salotto, dove un camino acceso scaldava l'ambiente e nell'angolo un grande pianoforte e coda la faceva da padrone.

"Ha una casa splendida, complimenti" disse Wanda togliendosi la giacca.

"Merito di mia moglie, io a fatica so abbinare la giacca con i pantaloni" sorrise Arturo.

Wanda si sforzò di sorridere. Sopra il caminetto c'era una fotografia dove la sua migliore amica stringeva un Carlo neonato. Aveva l'espressione più dolce che Wanda potesse immaginare sul volto di una madre. Altre fotografie di Mirene spiccavano qua e là in tutto il salotto. Wanda percepiva la sua presenza più forte che mai, non sapeva spiegarsi il perché di quella sensazione, ma era come se Mirene fosse lì accanto a lei a tenerle la mano. Si fece forza e si convinse che quello che stavano per fare era la cosa giusta. Anche Mirene avrebbe voluto che suo figlio sapesse la verità.

Beatrice si era tolta la giacca e attendeva.

Arturo tornò con Carlo dopo pochi minuti.

Carlo aveva un'espressione preoccupata e i suoi occhi di ghiaccio brillavano come lanterne.

Si sedette accanto al padre senza dire una parola.

"Ciao", provò a dire Corrado.

"Che succede? Ho fatto qualcosa di male?" chiese Carlo guardando suo padre che gli sedeva accanto.

"Oh no, Carlo, tesoro non siamo qui per accusarti di niente!" gli rispose Wanda con la voce più calma che le riuscì di trovare.

"Vogliono solo parlarti, non c'è motivo di agitarsi ok?" disse Arturo.

"In realtà vogliamo parlare ad entrambi" disse Wanda. "E mi creda non so davvero da che parte cominciare".

"È davvero così grave?" provò a scherzare Arturo, ma quando vide che nessuno dei presenti rideva iniziò a preoccuparsi seriamente. "È per il rendimento di Carlo vero? Ci stiamo lavorando, davvero. Quest'anno non arriverà a rischiare una bocciatura. Gli dia solo un po' di fiducia, se potesse mettere una buona parola con la vicepreside, insomma, lei conosce la nostra situazione".

Carlo ascoltava il padre mentre continuava a non capire perché Corrado e Beatrice lo fissassero in quel modo.

"No, Arturo la scuola non c'entra nulla" lo interruppe Wanda.

"E allora perché siete qui?"

"Siamo qui per... sua moglie" rispose.

Carlo si voltò di scatto e fissò Wanda serio.

"Mia moglie? Che c'entra Irene adesso?"

"Vede, lo so che dopo tre anni le sembrerà strano che io le venga a raccontare questa cosa, ma io e... Irene, eravamo molto amiche".

Arturo si accomodò meglio sul divano come se quella rivelazione richiedesse uno sforzo fisico oltre che mentale per poter essere accettata.

"Amiche? In che senso mi scusi? Non l'ha mai conosciuta, lei è... insomma Carlo aveva appena tre anni" disse sempre più confuso.

"Ci siamo conosciute quando eravamo molto più giovani, lei aveva circa venticinque anni e io qualcuno di più. Sa, eravamo molto amiche nonostante la differenza di età" spiegò Wanda.

Corrado fissava Arturo chiedendosi quando sarebbe stato il momento in cui sarebbe esploso.

"Non me ne ha mai parlato" disse sorpreso.

"Lo so, lo so... mi creda è più complicato di quel che sembra"

"Allora me lo spieghi per favore"

"Ci sono molte cose che non sa di Irene e nemmeno io le sapevo, ma poi le ho scoperte, o meglio le ho ricordate"

"Ricordate? Ma che cosa significa?".

Corrado tremava.

"Che le avevo dimenticate, per molti anni e poi sono tornate alla memoria e adesso è giusto che le sappiate anche voi. Sono cose che riguardano la vita passata di Irene e coinvolgono anche Carlo" disse Wanda cercando di mantenere la calma.

"Vita passata? Quale vita passata? Di che cosa state parlando insomma?" chiese Arturo quasi seccato.

Corrado sentiva il rumore dei freni che cercavano di evitare lo schianto imminente. Erano spacciati, decise di prendere in mano la situazione.

"Signor Conforti, quello che la professoressa sta cercando di dirle è che sua moglie non era la persona che voi credevate di conoscere, o meglio non era solo quello" disse.

Sbam.

Dritti contro al muro.

Ossa rotte.

"Ma che state dicendo?!" chiese Arturo mentre il suo viso cambiava colore.

"In realtà si chiamava Mirene, Mirene Fontamala" disse Beatrice dando il colpo di grazia definitivo alle loro possibilità di successo.

Arturo era scosso, tendeva al color prugna e li guardava come un manipolo di matti.

"Ma che diavolo di storia è questa?".

Carlo se ne stava zitto accanto a suo padre, guardava tutti con i suoi occhi di ghiaccio ma sembrava gestire la situazione molto meglio del padre.

"Papà" disse, "lasciali parlare".

Wanda guardò gli occhi di quel giovane ragazzo pallido, seduto educatamente sul divano e non era sicura di ciò che gli stessero dicendo, ma avrebbe giurato che si trattasse di una specie di supplica.

Era come se Carlo la pregasse di andare avanti.

"Ci siamo conosciute nel posto dove siamo nate entrambe, è una grande città, si chiama Mezzanto. Io all'epoca avevo già intrapreso il mio lavoro d'insegnante, mentre lei era appena stata nominata una Passante"

"Una che?" chiese Arturo.

"Una Passante, qualcosa di simile ad un esploratore. Qualcuno in grado di oltrepassare i Varchi"

"I varchi...?"

"Passaggi che uniscono il vostro mondo... al nostro".

Corrado si nascose il viso fra le mani.

"Il vostro mondo?! Vi è dato di volta il cervello per caso? Che cosa significa tutto questo?" disse Arturo alzandosi dal divano. Wanda si alzò subito dopo cercando di calmarlo.

"Arturo, la prego mi deve ascoltare, riguarda Carlo e riguarda tutti noi" disse avvicinandosi.

Arturo guardava tutti come se fosse vittima di un bruttissimo scherzo.

Beatrice decise di prendere in mano le redini della situazione.

"Signor Conforti, se lo ricorda mio padre?" gli chiese.

"Certo, me lo ricordo bene Pietro. E ricordo anche Maria Sole. Eravamo amici" rispose Arturo guardandola con tenerezza nonostante l'agitazione.

"Io no invece. Non me li ricordo affatto. E non avrò mai la possibilità di recuperare niente" rispose Beatrice con voce calma.

Arturo tornò a sedersi e vide gli occhi chiari di suo figlio brillare come fari.

"Ho sempre creduto che si trattasse di un incidente, ma non è così. Quella montagna non è venuta giù da sola, qualcuno ha provocato la frana che li ha uccisi" continuò Beatrice.

Arturo sbarrò gli occhi.

"Come? Cosa stai dicendo?"

"Ci sono delle persone cattive signor Conforti, che non si fanno nessuno scrupolo o remora nell'uccidere o distruggere. Queste persone sono molto più vicine a noi di quanto si possa immaginare, anche se lei non può vederle. E anche se ora le sembra folle, deve sapere che a capo di queste persone c'è qualcuno che appartiene alla vostra famiglia. Alla famiglia di sua moglie" disse.

"Ma mia moglie non ha una famiglia, non aveva nessuno, nessun parente in vita!" rispose Arturo agitandosi.

"Questo è quello che ricordava, o che credeva di ricordare" disse Beatrice. "In realtà qualcuno c'era, e c'è tutt'ora. Suo padre, Aezio Fontamala. È lui il responsabile della morte dei miei genitori e della morte di altre migliaia di persone".

"No, no, no. Io non ci sto capendo nulla. Come fate a sapere queste cose di mia moglie? E poi lei si chiamava Irene. Irene Fianoletto, nata a Borgovello. State sbagliando persona. Cosa sono tutte queste storie? E chi è questo Fontamala?" chiese Arturo che cominciava nuovamente a cambiare colore.

"C'è un mondo fuori da qui che nessuno può vedere, un mondo nascosto, celato agli occhi di tutti. Io provengo da quel mondo e anche sua moglie" disse Wanda.

"Un mondo?" chiese Carlo che fino a quel momento era rimasto zitto seduto sul divano accanto a suo padre.

"Sì, un mondo. Un mondo intero, dove le persone fanno cose straordinarie e tu appartieni a quel mondo Carlo" rispose Wanda guardandolo come avrebbe potuto guardare un figlio.

"Non capisco davvero che cosa state cercando di fare, mi sembrate solo dei pazzi che farneticano! Cosa significa tutta questa storia?" chiese Arturo con gli occhi sgranati e il viso arrossato.

"Sappiamo che è difficile da credere, signor Conforti, ma noi ci siamo stati. L'abbiamo visto con i nostri occhi, questo mondo esiste ed è molto più vicino di quel che crede. Anche per noi è stato uno shock scoprirlo ma le assicuro che le stiamo dicendo la verità" disse Corrado a quel punto.

"E dove sarebbe questo mondo si può sapere?" chiese Arturo sarcastico.

"Al di là dei Varchi, dei passaggi che lo collegano al nostro"

"Dei passaggi?"

"Sì, qui a Camarelli ce ne sono due... anzi, ora ne resta solo uno"

Arturo li osservava dal divano e l'impressione di essere vittima di un enorme scherzo architettato non si sa per quale motivo si faceva ogni secondo più forte. Eppure, allo stesso tempo non riusciva ad accettare di essere la vittima prescelta di uno scherzo così folle. Perché lo stavano facendo?

"E perché Irene non mi ha mai parlato di tutto questo se, come sostenete voi, ne faceva parte?"

"Beh non è una cosa semplice da raccontare... non crede?" rispose Wanda.

"..."

"E in più, dopo un po' di tempo i ricordi svaniscono e nessuno ha più memoria del suo passato, anche io avevo rimosso chi fossi. Poi all'improvviso tutto è ritornato alla memoria. Credo che Mirene abbia semplicemente dimenticato chi fosse"

"Non ha dimenticato proprio nulla, lei sapeva perfettamente da dove veniva. Borgovello, è nata lì ve l'ho già detto. Ha studiato e poi ha lavorato al Museo archeologico, prima di trasferirsi qui a Camarelli dove ci siamo conosciuti. È tutto scritto, ci sono i documenti, le date, tutto quanto."

"Signor Conforti, non ha idea di quanto sia semplice ottenere dei pezzi di carta. Abbiamo un intero dipartimento nel Palazzo dell'Alto Consiglio di Mezzanto che si occupa solo di questo. Persone che costruiscono un passato credibile a chi decide di fuoriuscire. Con documenti, carte e tutto il resto. La vostra burocrazia è spietata! Ma i nostri ispettori lo sono di più!"

"Gli ispettori?" chiese Arturo sempre più allibito da quel racconto.

"Seguono i Fuoriusciti per diversi mesi e quando i loro ricordi si stabilizzano, provvedono a fornire tutto ciò che serve per permettere una nuova vita qui, per non essere scoperti".

Arturo respirò a pieni polmoni, chiuse gli occhi e li riaprì lentamente.

"Quindi lei mi sta dicendo che mia moglie era una specie di clandestina, uscita da un varco dell'altro mondo, che ha perso la memoria, girava con dei documenti falsi e usava uno pseudonimo?"

"Sì, all'incirca..." rispose Corrado.

"Se è uno scherzo, non è divertente".

Arturo era un uomo di quasi cinquant'anni, aveva smesso di fare cose che non gli andava più di fare, perché diceva che il Destino è tiranno e può toglierti tutto all'improvviso; quindi, non bisogna perdere tempo ed energie con ciò che tolleriamo appena. Aveva smesso di essere tollerante. Aveva poche amicizie fidate, chi non lo appassionava più era stato tagliato fuori drasticamente dalla sua vita. L'unica sua ragione era Carlo. E il ricordo di Irene a cui si aggrappava ogni giorno.  

"Quando l'ha conosciuta?" chiese Wanda.

Arturo fece una pausa per permettere al ricordo del suo primo incontro con Irene di affiorare.

"Era il 1981, gennaio. Una mostra fotografica a cui avevo collaborato con qualche scatto amatoriale. E lei era lì che fissava una delle mie immagini. Scambiammo qualche parola e poi se ne andò"

"E poi?"

"Poi in effetti sparì, la incontrai di nuovo l'anno dopo verso la fine dell'estate. Era settembre se non ricordo male. Si era trasferita qui da poco e non ci lasciammo mai più, fino a quel giorno maledetto".

Carlo fissava il pavimento e Beatrice notò che con le mani si torceva nervosamente i pantaloni.

"Mirene mi salutò per l'ultima volta nel gennaio del 1982, questo significa che prima di incontrarla nuovamente passarono almeno otto mesi, un tempo sufficiente per dimenticare. Sua moglie non le ha nascosto nulla Arturo, le ha detto la verità o meglio quella che lei credeva fosse la verità".

Wanda spiegò ad Arturo dei Fuoriusciti e dei ricordi fittizi che si fissano nella loro mente prendendo il posto di quelli veri. Gli raccontò di come Aezio si fosse vendicato per la morte della figlia, di come fosse stato arrestato e poi decimato. Corrado gli spiegò la Decimazione, gli raccontò di Galeno e di quella notte nel bosco in cui Aezio era tornato. Gli parlarono delle Falene e di Otto Fracassi.

"Noi crediamo che Carlo abbia un ruolo in tutta questa storia, ancora non riusciamo a capirlo con chiarezza, ma le parole di Otto fanno pensare che in lui sia riposta l'unica speranza di fermare Aezio e di salvarci tutti quanti" disse Wanda.

Carlo li fissava terrorizzato.

"Aezio è mio nonno?" chiese.

"No! No, Carlo! Aezio non è nessuno, tutta questa storia è solo una buffonata che vi siete inventati. Non credo ad una parola, è tutto assurdo e ora per favore vi chiedo di andarvene" disse alzandosi in piedi.

"La prego, ci ascolti! Non abbiamo motivo di mentirvi, non è uno scherzo!" disse Wanda.

"Carlo! Tu lo sai che è così, vero? Tu lo sai chi sei veramente! Sai che non potremmo mentirti!" disse Beatrice.

"Io non..."

"Basta! Andatevene subito da casa mia!" urlò Arturo con il viso paonazzo.

"Papà... io..."

Carlo con i pugni chiusi e un'espressione smarrita, si guardava intorno in cerca di qualcuno che lo ascoltasse, ma tutti discutevano fra di loro animatamente. Wanda cercava di calmare Arturo, Beatrice le andava dietro e Corrado parlava con Beatrice.

Carlo non ascoltava, le voci nel salotto si fecero lontane e ovattate e il suo respiro divenne affannoso.

Nessuno si rese conto in quel momento della vibrazione che percorse i vetri della casa facendoli tremare e che poi divenne ancora più intensa, come un terremoto. Solo quando il lampadario si mise a dondolare sopra le loro teste, tutti smisero di parlare. Si misero a fissare il soffitto temendo che sarebbe crollato uccidendoli tutti.

"Che succede?" chiese Arturo guardando i pendagli di vetro verde tremolare sopra la sua testa.

"Non lo so, è un terremoto?" rispose Wanda appoggiandosi al divano.

La scossa era debole ma costante, il silenzio era calato nel piccolo elegante salotto di casa Conforti. Tutti si guardavano straniti senza capire cosa stesse succedendo.

Solo Carlo continuava a fissare il pavimento stringendo i pugni, era ancora seduto sul divano.

Suo padre si voltò e vide che la sua fronte era completamente sudata.

"Carlo ti senti bene?" chiese avvicinandosi al figlio.

Carlo non rispose e suo padre gli mise una mano sulla fronte.

"Dio mio sei bollente!" disse sedendosi accanto a lui. Wanda lo raggiunse e verificò.

"Stava benissimo poco fa, come è successo?" chiese guardando Arturo.

Carlo continuava ad avere i pugni serrati e la vibrazione percorreva il salotto in modo costante.

Beatrice spaventata gli si avvicinò, si inginocchiò di fronte a lui e cercò il suo sguardo dietro i capelli neri dove troppo spesso si rifugiava.

"Ehi", disse appoggiando le mani sulle sue ginocchia. "Va tutto bene".

Carlo si mosse lentamente e la fissò con i suoi occhi di ghiaccio che tremavano come fiammelle. Passarono alcuni secondi poi i suoi pugni di distesero. La vibrazione cessò in quell'istante.

"Ma che sta succedendo?" chiese Arturo guardando Beatrice.

"Non lo so"

"È successa la stessa cosa qualche sera fa, durante le celebrazioni, ho chiamato un ambulanza perché non l'avevo mai visto così" raccontò Arturo.

Wanda gli lanciò un'occhiata di preoccupazione e poi afferrò la mano di Carlo.

"Per favore andate via adesso" disse di nuovo Arturo.

"Signor Conforti, vorrei mostrarle una cosa prima che ce ne andiamo" disse Corrado.

Arturo lo guardò sperando di non dover sentire altre storie assurde.

"Avrei bisogno di un oggetto, qualcosa di molto personale"

"Che cosa ci devi fare?" chiese Carlo.

"Devo farti vedere una cosa"

Carlo si alzò pallido, si precipitò in corridoio e sparì per diversi secondi. Si sentì il rumore di alcuni cassetti che venivano chiusi con forza e poi spuntò di nuovo con una scatola di velluto blu fra le mani.

La posò sul tavolino al centro del salotto e la aprì lentamente. C'erano diverse fotografie di famiglia, alcune banconote antiche e un paio di penne stilografiche. Carlo spostò le fotografie e afferró un piccolo oggetto lucente.

"Questo era di mia madre" disse porgendo a Corrado un ciondolo d'oro a forma di cigno.

Corrado lo afferrò e lo rigirò un paio di volte fra le dita, poi estrasse una piccola scatolina di metallo intarsiato e la diede a Carlo.

"Aprila" disse.

Carlo obbedì.

"È vuota" osservò deluso.

"Ora mettici dentro il ciondolo di tua madre e chiudila" disse Corrado.

Arturo osservava il figlio eseguire alla lettera le istruzioni e si domandava come mai Carlo fosse così attento e in preda ad una sottile seppur evidente eccitazione.

"Arturo, apra la scatola per favore" disse Corrado.

Arturo si avvicinò guardandolo negli occhi, si sedette accanto a Carlo e lentamente aprì il coperchio della scatola.

Sul suo viso si appoggiò una maschera di incredulità mista a paura.

"Ma come... che giochetto è questo?" chiese rovesciando il contenuto della scatola sul tavolino.

Carlo trasalì quando vide due ciondoli identici tintinnare sulla superficie di cristallo.

"Che cos'è questa roba?" chiese poi indicando la scatola che non osava più toccare.

"Un pilotto, una scatola moltiplicatrice, una scatola magica. Regalo di Galeno" rispose Corrado.

"Signor Conforti, quel mondo nascosto esiste davvero lei ci deve credere" disse Beatrice provando a convincerlo.

Arturo era sconvolto ma non voleva cedere. Aveva la sensazione che quelle persone si stessero prendendo gioco del suo dolore e di quello di Carlo. Non voleva più ascoltare nulla, non si sarebbe fidato.

"Se pensate che io mi beva tutte queste storie vi sbagliate di grosso, non so che intenzioni abbiate ma non mi convincerete con questi trucchetti da prestigiatore. Non credo ad una sola parola di quello che ho sentito e ora per favore andate via" disse calmo.

Wanda raccolse le sue cose e si avviò verso la porta d'ingresso.

Corrado la seguì lanciando un'ultima occhiata a Carlo seduto sul divano.

Arturo guardò Beatrice in piedi davanti ai suoi occhi. Come poteva prendersi gioco di Carlo? Proprio lei, che aveva sofferto immensamente e sapeva benissimo cosa avessero provato in tutti quegli anni. Non avrebbe potuto farlo eppure Arturo non poteva crederle, non ne era capace. Tutte quelle storie erano assurde, fuori da ogni logica umana, come potevano pensare che ci avrebbe creduto?

Beatrice gli sorrise e poi se ne andò.

Arturo si alzò dal divano e chiuse a chiave la porta d'ingresso poi si precipitò in camera e si sedette sul bordo del letto con le mani a sorreggere il volto. La fotografia di sua moglie gli sorrideva dal comodino. Lui la supplicò di aiutarlo, gli mancava come l'ossigeno e avrebbe voluto che lei fosse lì a smentire tutta quella storia assurda.

Carlo rimase seduto in salotto a fissare i due piccoli cigni dorati sul ripiano di cristallo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top