44. La resistenza
Il Diario quella mattina non parlava d'altro.
Il quotidiano locale ormai pubblicava solo quell'unico misero foglio, perché la redazione del giornale era ridotta all'osso dopo che la città era caduta sotto l'attacco delle Falene. I pochi rimasti però ritenevano loro preciso dovere informare e aggiornare i cittadini di Mezzanto che ancora resistevano, circa i fatti del giorno.
Anche i giornali delle altre città riportavano la medesima notizia, la voce si era sparsa per tutti i Sette Distretti e Aezio si godeva nuovamente la sua fama, crogiolandosi al pensiero che finalmente avrebbe potuto terminare ciò che era stato bruscamente interrotto sette anni prima.
Nelle città più grandi e a Babliska i controlli erano rigorosi, nessuno si fidava più di nessuno, chiunque poteva essere un seguace delle Falene. Se gli affiliati della prima ora potevano essere riconosciuti dal marchio sulla mano, la stessa cosa non valeva per i nuovi adepti che invece si confondevano tra le persone comuni e questo rendeva difficilissimo riuscire ad individuarli.
Nella capitale il clima era teso, venne istituito il coprifuoco e venne impedito ogni spostamento fuori dai confini della città stessa. Nella sede dell'Alto Consiglio della capitale tutti ritenevano che se Aezio avesse preso Babliska, si sarebbe automaticamente impossessato di tutti i Sette Distretti, per questo era fondamentale che lui non si muovesse da Mezzanto dove per ora le Falene avevano il loro quartier generale.
Mezzanto. Una città assediata. Il numero delle Falene Bianche era aumentato esponenzialmente durante la prigionia di Aezio e molte di loro si erano schierate per principio contro un sistema che definivano oppressivo. Molti ritenevano che Aezio avesse sbagliato, anche se la maggior parte di loro riconosceva nelle gesta vendicative di Fontamala qualcosa di eroico, ma tutti trovavano ingiustificata e sproporzionata la pena che gli avevano inflitto, inoltre non accettavano la situazione di sudditanza che secondo loro le Comunità Magiche vivevano nei confronti dell'Esterno, che invece restava ignaro e libero. Avevano fatto di Aezio il loro paladino, una specie di difensore degli oppressi.
Lui sapeva di avere un seguito vasto e agguerrito e dal suo scranno ascoltava interessato le notizie nefaste che gli giungevano ogni giorno dall'Esterno.
Migliaia di Passanti e Decimatori erano stati richiamati nel tentativo di riprendersi la città. Interi eserciti erano schierati fuori dai confini e cercavano in ogni modo di penetrare a Mezzanto per mettere fine a tutta quella storia, ma l'impresa si era rivelata fino a quel momento ardua.
La città, infatti, era presidiata giorno e notte.
Lungo i confini centinaia di Falene impedivano la fuga dei cittadini e di chiunque tentasse di allontanarsi o di entrare.
A tale scopo Aezio aveva ordinato la creazione di uno scudo invisibile agli occhi che schermava tutta Mezzanto e che impediva a chiunque di utilizzare il teletrasporto per uscire o entrare nella città.
In quel modo sarebbe stato scongiurato un attacco massivo da parte delle truppe schierate fuori che si sarebbero potute teletrasportare direttamente davanti al trono su cui sedeva, se solo gliel'avessero permesso.
Lo scudo impediva allo stesso modo anche ogni tipo di comunicazione telepatica verso l'esterno e viceversa. Non era possibile ricevere messaggi e nemmeno mandarne, il flusso si interrompeva una volta raggiunti i confini cittadini quindi nessuno era in grado di sapere cosa stesse succedendo all'interno. Le uniche notizie giungevano sporadiche da chi aveva avuto la fortuna di scappare o da qualche falco che le Falene non erano riuscite ad intercettare.
I cittadini di Mezzanto erano fuggiti oltre i confini, ma non tutti, molti si erano rifugiati nei boschi e sulle montagne circostanti, molti erano stati arrestati e persino uccisi per insurrezione e oltraggio al potere costituito. Quelli che non erano riusciti a mettersi al sicuro, si erano chiusi nelle loro abitazioni. La sensazione che provavano tutti era quella di essere stati abbandonati, l'Altor Scalisi era stata uccisa e non era rimasto nessuno che potesse guidarli e difenderli.
Uno sparuto gruppo di Passanti fuggiti alla furia di Aezio aveva però organizzato una piccola ma tenace resistenza, se ne stavano nascosti al limitare del bosco, senza farsi vedere e si occupavano di portare in salvo più gente possibile.
A capo della resistenza c'era Malia Fracassi.
Era una giovane ragazza piuttosto popolare tra le fila dei Passanti. Portava i capelli rasati e indossava un'armatura di cuoio nero. La sua pelle era scura come i suoi occhi. Era in grado di eseguire qualsiasi tipo di incantesimo, governava alla perfezione gli elementi e la materia, e nei suoi stivali c'erano più coltelli che gambe.
"Guardate qui" disse Malia posando sul tavolo di legno la prima pagina di un giornale sconosciuto.
Il titolo recitava Treno deraglia, possibile guasto, cinque morti e decine di feriti.
"L'ho trovata in città, qualche Falena deva averla portata qui come un trofeo. E dall'Esterno giungono notizie simili ogni maledetto giorno" aggiunse sedendosi esausta sulla panca sgangherata.
Il rifugio della resistenza era una capanna di legno nascosta nel mezzo della boscaglia ad una decina di chilometri da Mezzanto. In quel momento c'erano sette Passanti, di cui uno piuttosto malmesso, un paio di cittadini che dovevano essere portati fuori dai confini e un maestro Guaritore che aveva sposato la loro causa e si occupava dei numerosi feriti.
"Non riusciremo mai a fermarlo, non con quel maledetto scudo" disse uno dei Passanti, un giovane ragazzo con i capelli biondissimi.
Malia lo guardò massaggiandosi il collo.
"In qualche modo ci riusciremo"
"Vorrei avere la tua stessa sicurezza"
"Non credo sia sicurezza, forse è solo rabbia... e stanchezza".
Iano le sorrise, finì di lucidare la lama del suo pugnale e, dopo averne saggiato il filo con la punta delle dita, lo rimise nel fodero di cuoio appeso alla cintola.
"A proposito, che ne è stato di tuo zio?"
"Era troppo tardi quando l'ho trovato" rispose Malia allentandosi i lacci dell'armatura.
"Mi dispiace molto, era una brava persona"
"Già, lo era. Avrei voluto dirgli addio".
Fuori era quasi buio e presto alcuni di loro si sarebbero messi in viaggio verso i confini della città, dove un passaggio sicuro avrebbe consentito all'uomo e alla donna che si trovavano lì, di raggiungere i familiari nella Capitale. Malia se ne stava seduta fissando quella pagina di giornale e chiedendosi come l'avrebbero fermato. Si chiedeva quante notizie del genere avrebbe dovuto leggere nei giorni a venire.
Per un motivo a lei sconosciuto, leggendo quel titolone si rese conto di quanta menzogna ci fosse nella sua vita.
"Possibile guasto..." lesse di nuovo a bassa voce.
Si alzò, aveva le gambe stanche e la schiena dolorante. Si avvicinò alla brocca d'acqua appoggiata ad un ripiano di legno. Era vuota.
Fece un lieve gesto con la mano destra e l'acqua cominciò a salire dal fondo della caraffa fino a riempirla. Ne versò un bicchiere e lo bevve tutto d'un fiato. Non beveva da ore.
La piccola capanna era illuminata da alcuni Lumi che volteggiavano sul soffitto, all'esterno le fronde degli alberi la ricoprivano completamente celandola alla vista.
"Credo che sia ora di andare" disse Iano rivolgendosi all'uomo e alla donna seduti in un angolo.
I due si alzarono, sembravano preoccupati. Indossarono delle giacche pesanti e l'uomo si mise in spalla un grosso zaino. Un altro Passante, meno giovane di Iano, li seguì.
"Potremmo usare il teletrasporto, almeno fino al confine" suggerì.
"No, è troppo rischioso. Questo passaggio è sicuro, almeno per ora, meglio che vi muoviate a piedi" rispose Malia.
"Bene allora, mettiamoci in cammino, la notte non è così lunga" disse Iano aprendo la piccola porta.
Malia lo seguì con lo sguardo fino all'esterno, sperava con tutto il cuore di vederlo tornare.
I Lumi che accompagnavano silenziosi il gruppo scomparvero nell'oscurità nera di pece.
Malia raggiunse un giaciglio improvvisato in un angolo buio della capanna, erano tre giorni che non chiudeva occhio e aveva bisogno di riposare. Si tolse l'armatura e gli stivali e si sdraiò appoggiando la testa sul cuscino. Una fitta la percorse dal collo ai lombi, cercò di rilassarsi e respirò a fondo fino a che il dolore non svanì lentamente. I suoi muscoli chiedevano riposo e vendetta.
Guardò il soffitto buio, c'era un forte odore di muschio e legno nella capanna e faceva freddo. Non potevano accendere fuochi per non dare nell'occhio quindi per scaldarsi utilizzavano delle pietre che rendevano roventi.
Afferrò uno dei pugnali che teneva nascosto all'interno della sua giubba di cuoio e lo portò vicino al viso, la luce dei Lumi si rifletteva sulla lama lucente e metteva in risalto la sottile incisione su di essa.
Malia 21 giugno 1996.
Il suo sguardo si fece cupo, si chiedeva se Galeno fosse ancora vivo oppure no. Era passato poco meno di un mese dall'ultima volta che l'aveva incontrato agli Archivi dell'Ordine e da allora non aveva avuto più sue notizie. Si era cacciato in qualche guaio di sicuro, eppure quel giorno non le aveva voluto spiegare nulla.
Rilesse l'incisione sul pugnale, si ricordava perfettamente quella mattinata all'Accademia quando entrambi vennero nominati ufficialmente Passanti ed entrarono in servizio dopo la cerimonia di assegnazione. Quello fu un regalo di Galeno, mentre lei gli regalò un piccolo pesce d'argento infilato in una catenina.
Galeno divenne il Passante 31 e lei il numero 26.
Avevano legato fin dal primo giorno di Accademia e avevano negli anni condiviso diverse missioni esplorative. Il primo Varco lo disincantarono insieme.
Spesso durante i pomeriggi si erano allenati nelle radure appena fuori dalla città, provando incantesimi di attacco e di difesa, manipolazione della materia, voli acrobatici e teletrasporto.
Si erano esercitati nella lotta fino a diventare entrambi abilissimi nel maneggiare lame e coltelli di ogni genere. Erano due fuoriclasse tra le fila dei Passanti.
Malia si rigirò più volte il pugnale fra le mani, decise che avrebbe provato di nuovo a mettersi in contatto con lui. Sperando di riuscirci questa volta.
Il fatto che la telepatia non funzionasse poteva anche essere un buon segno, forse Galeno si trovava da qualche parte al sicuro fuori da Mezzanto. Ma poteva significare anche la cosa peggiore, quella che Malia più temeva.
Chiuse gli occhi e pensò al viso di Galeno, visualizzò il suo profilo, i suoi capelli raccolti alla sommità del capo, gli occhi scuri e profondi, le sopracciglia e la barba corta. Cercò di vederlo sorridere ma non ci riuscì.
Poi lo chiamò.
"Galeno... Galeno ci sei?" disse senza parlare.
Passarono alcuni secondi ma non ci fu risposta. Malia non si diede per vinta e provò a chiamarlo ancora. E ancora e ancora.
Non giungeva risposta e la speranza di ritrovarlo vivo si fece sempre più debole e lontana. Malia aprì gli occhi rassegnata e ripose il suo pugnale accanto al cuscino.
Si girò dall'altra parte cercando una posizione confortevole e chiuse gli occhi. Non ci volle molto prima che il sonno sopraggiungesse e la portasse via.
Calò il silenzio.
Calò il buio.
Si ritrovò nel bel mezzo di una radura avvolta nella nebbia, attorno vedeva decine di alberi spogli. Il vento soffiava gelido ma placido. Non c'era anima viva in quel luogo desolato. Malia cominciò a camminare dritta davanti a sé cercando di orientarsi, il suolo scricchiolava ghiacciato sotti i suoi stivali neri. In lontananza scorse un grande masso grigio, alto un paio di metri, lo raggiunse e ci si arrampicò sopra. Lentamente la nebbia si diradò e dritto davanti ai suoi occhi comparve, massiccio e possente come un lingotto d'oro, il Palazzo delle Camere Ambrate.
Intorno ad esso non vi era nulla. La città di Mezzanto era scomparsa e quell'edificio luminoso e lugubre allo stesso tempo, si stagliava davanti ai suoi occhi come una grossa bestia addormentata.
Malia percorse diversi metri prima di raggiungerlo, era vuoto. Non c'erano Custodi o Decimatori a sorvegliarne le mura e il portone era spalancato. Malia entrò e una volta raggiunto il centro della corte principale si fermò. Il portone si richiuse dietro di lei intrappolandola all'interno.
Si guardò intorno in cerca di una possibile via di fuga ma non ne vedeva traccia.
Percorse il cortile e imboccò un piccolo viale, poi un altro ancora finché non raggiunse un altro cortile, stavolta più piccolo e dall'aspetto trasandato.
A quel punto sentì un rumore d'acqua provenire da un punto imprecisato alla sua sinistra, si voltò e cercò di localizzarne l'origine. Lo sentì più chiaramente e si avvicinò sempre di più finché non raggiunse delle scale di pietra che scendevano verso uno spazio buio e piuttosto polveroso. In un angolo erano state accatastate diverse assi di legno e alcuni vecchi telai. Malia si avvicinò, il rumore dell'acqua cessò e all'improvviso una folata di vento gelido la colpì in pieno viso. Dietro a quel mucchio di legna e polvere scorse una breccia nel muro, come se fosse in parte crollato. L'aria fredda usciva proprio da lì. Cercò di farsi spazio tra il legname umido e raggiunse quella spaccatura nell'angolo della parete.
Malia sollevò il bavero del suo soprabito nero per proteggersi dalla corrente che le sferzava il viso.
Si introdusse a fatica in quell'angusto passaggio e dopo pochi metri si ritrovò al buio.
Poté di nuovo stare ritta sulle gambe, le pareti anguste erano scomparse lasciando posto ad un'oscurità sconfinata.
"Malia" qualcuno la chiamò.
"Malia, rispondimi" di nuovo.
Malia si voltò cercando di scorgere qualcuno nell'ombra ma non c'era nessuno, eppure avrebbe riconosciuto quella voce in mezzo ad un milione di persone senza volto.
"Galeno, sei tu?" chiese con il cuore in gola.
"Malia, serve un passaggio sicuro, loro hanno la chiave di tutto"
"Loro? Di chi parli?" chiese Malia muovendosi a tentoni nell'oscurità.
"Devi guidarli, fuori da qui, lui mi ha parlato"
"Lui chi? Dove sei Galeno? Sei vivo? Sei ferito?" chiese Malia cercando di localizzare l'origine di quella voce.
"Il passaggio deve essere sicuro!" disse di nuovo Galeno.
Malia sentì all'improvviso il suolo muoversi sotto i suoi piedi come se si trovasse sul dorso di un gigantesco serpente.
"Galeno!" urlò cercando di trovare un appiglio a cui aggrapparsi.
Il suolo si agitava sempre di più e Malia cadde all'indietro, precipitando verso il fondo. Non vedeva nulla intorno a sé ma la sensazione di cadere era fortissima.
Si mise ad urlare temendo di schiantarsi a terra da un momento all'altro.
Nel momento in cui la paura di morire divenne più forte del desiderio di sopravvivere, Malia aprì gli occhi e si ritrovò madida di sudore sdraiata sul giaciglio della capanna di legno.
Il cuore le batteva in gola e la sua fronte era completamente sudata.
Si sollevò a sedere, accanto al letto il pugnale con l'incisione splendeva.
Guardò i piccoli Lumi volteggiare sul soffitto e un sorriso di speranza si disegnò timidamente sul suo viso.
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