36. Fango, rabbia e farfalle
Il vicolo era buio e freddo.
Si sentiva ancora nell'aria l'odore di fritto. In lontananza giungeva una musica allegra e grida di gente ubriaca. Corrado aprì gli occhi e guardò la striscia di cielo stellato delimitata da due file di tetti. Sollevò la testa con fatica e vide Beatrice, stesa a terra poco distante.
La raggiunse trascinandosi ancora intontito.
"Bea! Bea! Stai bene?" chiese scuotendola.
Beatrice aprì lentamente gli occhi e vide lo sguardo preoccupato di Corrado che le stava accanto.
"Siamo vivi?" chiese con un filo di voce.
"Sì, ti senti bene?"
Beatrice si mise seduta. Le girava la testa.
"Credo di sì"
"Sei stata pazzesca! Pazzesca! Ero quasi morto!"
"Abbiamo lasciato Galeno".
Non riuscì a trattenere le lacrime al pensiero di Galeno con il viso affondato in una pozza di sangue, si chiedeva che cosa gli avrebbero fatto, se fosse ancora vivo o se si fossero già liberati di lui.
Si asciugò il viso cercando di rimanere calma anche se la cosa le risultava difficile, sapeva di essere viva per miracolo e sentiva ancora la paura sulla pelle nonostante lo scampato pericolo.
Lentamente, si alzarono in piedi sorreggendosi l'uno con l'altro e si resero conto di quanto fossero deboli sulle loro gambe. Era come se avessero scalato una parete di roccia per una giornata intera. Tremavano e barcollavano ad ogni passo.
"Che ci succede?" chiese Corrado sforzandosi di rimanere in piedi.
"Immagino sia un effetto collaterale del teletrasporto...".
Era circa mezzanotte, dopo aver riacquistato l'equilibrio, si avviarono lungo il vicolo in direzione della strada. Si sentivano stanchi, assetati e spaventati. Erano completamente sporchi di fango e avevano freddo. I vestiti umidi erano come ghiaccio sulla pelle, avrebbero tanto voluto farsi un bagno caldo e dimenticarsi di tutta quella storia. Ma non potevano farlo.
Come sarebbe stato possibile dimenticarsi di tutto? Dimenticare la faccia deforme di Aezio mentre inghiottiva il raggio di luce, dimenticare Galeno che si buttava dritto dal precipizio risucchiato da quel vortice d'acqua, la luce spettrale, il sangue, il terrore.
"Credi che l'abbiano ucciso?" chiese Beatrice.
"Non lo so, potrebbero essere arrivati i rinforzi"
"Già..."
"Comunque Galeno è uno tosto, si difenderà con tutte le forze e poi era svenuto, chi se la prenderebbe con un uomo privo di sensi?" provò a rincuorarla Corrado.
"Aezio, per esempio".
Camminarono ancora per qualche metro, alcune persone li raggiunsero sulla strada principale. Beatrice si nascose il viso sporco di fango nel colletto della giacca e abbassò lo sguardo. Rallentarono e lasciarono che due ragazzi alticci li superassero.
A quel punto Corrado si immobilizzò come colto da una rivelazione.
"Il medium! Che stupido! Abbiamo il medium!" disse trionfale.
"Presto! Prendilo subito, dobbiamo ricontattarlo!" gli fece eco Beatrice.
Corrado frugò nelle tasche vuote dove non c'era più segno del tracciatore che li aveva salvati poco prima. Poi aprì lo zaino, lo rivoltò come un calzino e ne rovesciò il contenuto a terra.
C'era la mappa, le chiavi di casa, fazzoletti usati, un pacchetto di cracker ridotti in polvere ma del medium nemmeno l'ombra.
"Dove diavolo è finito?" chiese sempre più nervoso.
Solo in quel momento di rese conto del grosso strappo sulla tasca esterna dello zaino.
"Non dirmi che l'abbiamo perso!"
"Maledizione! Dev'essere successo quando siamo scivolati"
"E ora? Era la nostra unica speranza!"
"Torniamo lì a cercarlo" disse Corrado sconsolato mentre le sue dita percorrevano il tessuto lacerato della tasca.
"Lì dove esattamente? Ci siamo teletrasportati ricordi? Come cavolo ci torniamo lì?"
"Non lo so, sto pensando...".
In lontananza si sentirono dei botti, i primi fuochi d'artificio cominciavano ad esplodere nel cielo di Camarelli. Si potevano scorgere dei leggeri bagliori sopra i tetti delle case e dietro l'angolo si intravedeva la punta del campanile della Cattedrale che si tingeva di viola e di rosso ad ogni esplosione.
"Elias! Andiamo da Elias! Lui saprà certamente come contattare Galeno!" disse a quel punto Beatrice.
Si misero a correre in direzione della piazza. Non c'era nessuno. Evidentemente erano tutti ammassati in centro del paese ad ammirare i fuochi d'artificio.
Il sagrato era poco distante, percorsero al contrario il tratto di strada che avevano attraversato qualche ora prima in compagnia di Galeno e raggiunsero la Cattedrale che si stagliava imponente proprio di fronte ai loro occhi.
"Andiamo" disse Beatrice mentre una nuvoletta di vapore fuoriusciva dalla sua bocca, svanendo poi nell'aria gelida.
Il piccolo palco di legno dove poco prima il povero Quadrone perse la testa, era ancora lì, vuoto. A terra piume nere e petali di rosa calpestati creavano una specie di poltiglia marrone.
"Sembra chiusa" osservò Corrado avvicinandosi al portone principale.
Provarono a spingerlo ma quello non si mosse, restituendo solo un cigolio sommesso.
"Proviamo di là!" Corrado seguì Beatrice che si incamminava a passo svelto sul lato della Cattedrale, proprio in direzione della piccola porta, da dove tutto era iniziato.
Strattonarono con forza il battente ma non ci fu verso di smuoverlo.
"Bloccata! Come sempre!".
Corrado mise da parte per un momento tutta la sua ragionevolezza sapendo che in quel momento non gli sarebbe servita a nulla. Si avvicinò in silenzio alla porta di legno e con tutta la forza che aveva in corpo cominciò a prenderla a pugni.
"Elias! Elias apri! Siamo noi!" urlava mentre le fibre del legno antico di secoli si spezzavano sotto i colpi dei suoi pugni.
Andò avanti così per diversi secondi poi Beatrice dovette mettersi fra la porta e la sua furia.
"Smettila! Smettila! Così ti farai male! Non c'è nessuno, Elias non c'è!" disse spingendolo via con forza dalla parete.
"Perché non c'è? Deve presidiare il Varco! Dove diavolo è?" urlò in preda alla rabbia.
Beatrice lo guardava attonita senza riconoscere più il ragazzo calmo e timido che l'aveva fermata settimane prima fuori dalla scuola.
Corrado si rese conto di aver perso il controllo.
"Scusa, non so che mi è preso... scusami. Sono quasi morto stasera, io non..." disse guardandosi le nocche lacere delle dita che iniziavano a tingersi lentamente di rosso.
Beatrice cercò di mantenere la lucidità, che era una cosa che di solito avrebbe fatto Corrado, ma in quel momento lui le pareva tutto tranne che lucido.
"Forse dovremmo solo andare a casa e provare a dormire un po'"
"Sì, hai ragione..."
"Ti va di accompagnarmi?"
"Certo" rispose Corrado.
Attraversarono la città deserta e si avviarono verso la biblioteca dove avevano legato le biciclette.
Gli ultimi fuochi erano esplosi nel cielo di Camarelli poco prima, seguiti da tre fragorosi botti che annunciavano la fine dello spettacolo. Anche per quell'anno le celebrazioni erano terminate con buona pace del parroco.
Raggiunsero la biblioteca in silenzio e saltarono in sella alle biciclette.
Percorsero diverse strade e viuzze, si sentiva solo il vociare della folla lontana, alcune automobili e il rumore delle ruote sull'asfalto umido. Nessuno dei due aveva la forza di parlare. Presero un paio di scorciatoie per fare prima e si ritrovarono a passare nel cortile privato di alcuni caseggiati.
Mentre continuavano a pedalare notarono proprio in fondo al cortile dei lampeggianti blu, che silenziosi, coloravano ad intermittenza le pareti dei palazzi affacciati.
Diverse persone in pigiama e cappotto osservavano la scena dai balconi. Qualcuno era persino sceso in cortile.
"Che succede?" chiese Beatrice rallentando.
"É solo un ambulanza, qualcuno avrà esagerato con l'alcol" rispose Corrado senza preoccuparsi troppo.
Beatrice si fermò e appoggiò i piedi a terra.
"Aspetta".
Osservò meglio avvicinandosi con discrezione al mezzo parcheggiato, nel quale alcuni paramedici facevano scivolare in quel momento una barella.
"Non è il padre di Carlo quello?".
Raggiunsero l'ambulanza e riconobbero con certezza Arturo Conforti, in piedi con il volto atterrito.
Beatrice si precipitò lasciando cadere la bicicletta seguita da Corrado.
"Signor Conforti! Che succede?".
"Beatrice, che cosa... che... che ci fate voi qui?" rispose il signor Conforti sorpreso nel trovarsi di fronte i compagni di scuola di suo figlio. Ricoperti di fango per giunta!
"È Carlo? Sta male?" chiese Corrado preoccupato.
"Non so, era molto stanco, scottava... poi è diventato pallido come un lenzuolo, è caduto all'improvviso... io non so" rispose Arturo mentre i paramedici gli facevano segno di salire sull'ambulanza.
"Devo andare scusate...".
Il portellone si richiuse nascondendo alla vista Arturo e il figlio. Il rumore delle sirene risuonò potente nel cortile e nelle tempie.
"Speriamo che non sia nulla di grave" disse Beatrice mentre l'ambulanza si allontanava veloce.
"Suo padre mi fa una pena" disse Corrado cercando di pesare le parole.
"Già, non deve essere facile... avere a che fare con Carlo intendo"
"No"
"Ricordo che eravate amici, al primo anno giusto?"
"Amici, non lo definirei un amico. Ci ho provato, ho cercato di stargli vicino perché la Ossolini insisteva e per un certo periodo devo ammettere che ci ero quasi riuscito".
Avevano ripreso a pedalare e Corrado si teneva alla sinistra di Beatrice, percorsero quasi a passo d'uomo il viale che li avrebbe portati all'inizio di via del Crocicchio.
"Non è neanche male, a volte è persino simpatico", continuò. "E dovresti sentirlo suonare! Suona il pianoforte da Dio!"
"Veramente? Nemmeno sapevo che suonasse..."
"Non lo sa nessuno, nessuno sa nulla di lui. Un attimo ti guarda, tu credi che abbia afferrato e un attimo dopo, puff... si perde, vaga con lo sguardo ed è impossibile sostenere qualsiasi discorso con lui" spiegò Corrado.
Raggiunsero il cancello d'ingresso che dava sul giardino di Adriana.
"Eccoci qui" disse Beatrice scendendo dalla bicicletta.
"Già..."
"Credo che mi farò una doccia bollente e proverò a dormire"
"Sì, anche io, anche se non credo che ci riuscirò" rispose Corrado calcandosi il berretto sulle orecchie.
Beatrice trovò le chiavi di casa e aprì il cancello, portò dentro la bicicletta e poi ricomparì sull'uscio.
Corrado si sentì all'improvviso molto nervoso.
La guardava. Sembrava avesse combattuto una guerra, pallida com'era e sporca di fango persino nei capelli. Le luci della notte le illuminavano il viso stanco.
E Corrado sentì le farfalle.
Le maledette farfalle nello stomaco.
In quella situazione assurda con il freddo, il fango, la paura di morire e il sangue!
Lui sentiva le farfalle!
"Allora ci vediamo domani a scuola, ok?"
"Certo, domani, sì... a scuola" balbettò Corrado.
Fatti venire in mente qualcosa, dì qualcosa, accidenti!
Beatrice gli sorrise e abbassò lo sguardo.
Corrado avrebbe voluto prendersi a pugni, avrebbe voluto fermarla in qualche modo ma era totalmente pietrificato, qualcosa lo bloccava, qualcosa impediva alla sua voce di uscire dalla gola. Eppure, lo sentiva benissimo quel grumo denso di parole che premeva per uscire.
"Non andare via, resta qui ti prego, voglio che resti qui ancora. È l'unica cosa che voglio ora" pensava mentre la sua testa faceva a botte con la sua pancia.
Avrebbe solo voluto restare con lei dopo quello che era successo, dopo la paura che aveva provato. Dopo aver rischiato di morire. Avrebbe solo voluto starle vicino. Fisicamente vicino. Molto vicino.
Beatrice gettò un ultimo sguardo incerto verso di lui, poi richiuse silenziosamente il cancello di ferro dietro di sé mettendoci tutto il tempo del mondo, poi scomparì. Corrado la vide raggiungere il patio ed entrare in casa.
Rimase lì odiandosi profondamente senza capirne il vero motivo.
Maledisse sua madre, suo padre, la sua casa, la sua vita, Evelina, Aezio, il mondo intero e pure l'altro.
Quanto si sentiva stupido!
Prese la sua bicicletta e la rigirò sbattendola violentemente a terra, quasi la volesse frantumare.
In quel momento non gli riusciva di controllarsi, avrebbe solo voluto far saltare tutto per aria.
Perché doveva essere tutto così difficile? Perché la sua testa non smetteva di tormentarlo?
Quello era il terreno inesplorato dei sentimenti, delle emozioni, del cuore e la testa non avrebbe dovuto metterci il becco! Serviva coraggio, incoscienza persino!
Ecco, un altro ragionamento! Un pensiero per cercare di mettere ordine, di comprendere. Da dove gli veniva poi tutto questo bisogno di comprendere, sondare, ragionare, ponderare?
Non poteva semplicemente spegnere il cervello e buttarsi come facevano tutti gli altri?
No, non lui.
Non ne sarebbe mai stato capace.
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