34. Corvi, petali e vino cotto
Il profumo di frittelle riempiva le strade e si mescolava a tratti con quello del vino cotto e delle salsicce.
Camarelli in quei giorni cambiava volto, smetteva i panni della tranquilla e timorata ragazza di periferia e indossava quelli più audaci della baccante selvaggia che ballava nuda al chiaro di luna.
Tutto questo paradossalmente avveniva durante le celebrazioni di quella che doveva essere una festività religiosa, pregna di altezze divine, incenso e sacralità, ma che di fatto si traduceva in una sequela di bagordi che durava tre giorni e tre notti. E attirava curiosi e forestieri.
Il parroco del paese, don Candido, si occupava di celebrare la Santa Messa nella Cattedrale, poi dava rigorose raccomandazioni ai parrocchiani, raccomandazioni a cui ovviamente nessuno si sognava di dar retta, dopodiché si ritirava nella sua abitazione si metteva un paio di tappi alle orecchie e faceva finta di nulla per tre giorni.
Ricompariva al terzo giorno stringendo mani e complimentandosi per la buona riuscita della festa.
Il centro storico della città era blindato, le vie principali chiuse al traffico e chi arrivava da fuori doveva lasciare l'auto e raggiungere la festa a piedi.
La piazza del sagrato e le vie del centro erano il fulcro della manifestazione. Le vie erano piene di bancarelle e banchetti nei quali si vendeva di tutto, dolci, frutta secca e candita, zucchero filato, frittelle e altre leccornie ipercaloriche, c'erano poi tutta una serie di banchi che esponevano oggetti di artigianato, quadri e dipinti, legni intagliati che diventavano utensili da cucina, giocattoli, spade e scudi, c'erano i bracciali, le collane, monili di vario genere e fattezza, le calze di lana, i vestiti da hippie, i ricami artistici, i merletti, le bambole di paglia e i fiori di stoffa. Le sculture di bulloni.
Ma l'oggetto che davvero la faceva da padrone su tutta quella mercanzia, il più ricercato, quello che tutti desideravano e si portavano a casa come un piccolo trofeo, era sua maestà il corvo.
Corvi neri di ogni forma e dimensione comparivano per tre giorni su tutti i balconi e le finestre della città. Grandi, piccoli, solitari, in gruppo, fatti di stoffa o fatti di paglia, coperti di piume vere o di piume di carta. Le bancarelle li vendevano in legno, in cartapesta, in terracotta, infilati alle collane, appesi agli orecchini, sottovetro e sottobanco, disegnati o incisi, muti o parlanti quei pennuti neri erano gli indiscussi padroni della festa.
Anche la gente era vestita da corvo, non tutta, ma diverse persone si aggiravano tra la folla con copricapi di piume nere completi di becco lucido e occhi brillanti, incutendo un certo timore tra adulti e bambini, con buona pace di don Candido.
Galeno se ne stava in disparte su un lato della piazza in attesa che Corrado e Beatrice lo raggiungessero.
La folla gremiva il sagrato della Cattedrale, sulla quale era stato montato un piccolo palco di legno che avrebbe ospitato di lì a poco la rappresentazione storica delle vicende mortali di San Quadrone da Meriggi, patrono della città.
"Eccolo!" disse Beatrice indicando un ragazzo vestito di nero appoggiato ad un albero.
Corrado si fece largo tra la folla finché non riuscì a raggiungerlo.
"Ehi, affollato stasera o sbaglio?" disse Galeno quando li vide arrivare.
"Sì, decisamente, è la festa del Patrono, è molto famosa sai... guarda sta per iniziare!" disse Beatrice voltandosi in direzione del sagrato.
In quel momento un gruppo di uomini incappucciati saliva lentamente e prendeva posto ai quattro angoli del palco, poi con forza, uno ad uno cominciavano a battere ritmicamente dei lunghi bastoni di legno a terra.
"Che fanno?" chiese Galeno.
"Annunciano il condannato, San Quadrone" rispose Corrado.
"Il condannato?"
"Sì, la storia narra che San Quadrone fu condannato a morte per essersi rifiutato di consegnare il suo grano alle guardie del Re, perché la sua famiglia sarebbe morta di fame. Le guardie, comprensive, lo condannarono a morte pubblica, eccolo guarda, arriva proprio ora!".
Galeno allungò il collo e osservò la scena.
Due uomini con dei copricapi di metallo pieni di bozzi e delle lunghe alabarde spuntate portavano al centro del palco un uomo vestito di bianco con i polsi legati.
Una delle due guardie, piuttosto alticcia a dirla tutta, lesse ad alta voce quella che doveva essere la sentenza che condannava il povero Quadrone alla decapitazione. Non si capì quasi nulla perché il microfono gracchiava. Come un corvo.
L'uomo vestito di bianco venne fatto inginocchiare con la testa china su un ceppo di legno alla cui base era posizionata una cesta. I tamburelli iniziarono a suonare.
"Che fanno adesso?" chiese Galeno tra il curioso e il preoccupato.
"Gli tagliano la testa" rispose placida Beatrice.
Galeno deglutì e tornò a concentrarsi sul sagrato.
A grandi passi si avvicinò il boia, che poi era il fornaio di via dei Bastioni, con la faccia incappucciata e la scure in mano, vestito con una lunga tunica nera.
Si posizionò sulla sinistra del povero Quadrone con i piedi ben piantati a terra, poi sollevò la scure fino al cielo, la gente cominciava ad urlare, la tensione cresceva palpabile. Il suono nervoso dei tamburelli cessò all'improvviso.
Fu un attimo, la scure scese impietosa, il buon Quadrone con abile mossa ritrasse la testa all'interno della tunica immacolata; il fornaio, boia in carica da sette anni, non la sbagliò nemmeno quella volta e fece rotolare fuori dal pastrano una testa di carta pressata, dipinta a mo' di Quadrone. La testa finì dentro al cesto e schizzi di vernice rossa imbrattarono il tutto.
Un bambino scoppiò a piangere.
Gli astanti urlavano in delirio.
"Ma è orribile" disse Galeno.
"Grottesco, direi. L'anno scorso non c'erano gli schizzi di sangue" osservò Corrado.
"Già, si sono superati" commentò Beatrice. "Guardate, adesso arrivano i corvi!".
Dai lati del palco una ventina di persone vestite da corvi raggiunsero quel che restava del santo decapitato. Mettevano paura, con quei lunghi becchi neri, le piume lucide, il loro gracchiare incessante e i sonagli ai piedi. Si muovevano curvi sulle schiene, agitando le ali e battendo i becchi.
Uno di loro afferrò la testa di carta di Quadrone e la sollevò verso il cielo, mentre altri pennuti accendevano delle fiaccole e continuavano a volteggiare.
Poi il corvo con la testa scese dal palco e cominciò a camminare verso le vie del centro seguito da tutti gli altri. Dietro al gruppo di pennuti si accodarono i tamburellisti che ripresero a suonare festosi e diverse donne che portavano delle ceste in mano, dalle quali facevano ricadere piume nere e petali rossi.
"E dove la portano?" chiese di nuovo Galeno sempre più sconcertato.
"In giro per la città, i petali simboleggiano il sangue versato e le piume sono la devozione dei corvi" rispose Corrado che conosceva tutti i dettagli di quella storia.
"Ma perché i corvi?" insistette Galeno.
"Perché la leggenda narra che quando Quadrone venne decapitato uno stormo di corvi si precipitò a rubare la sua testa e poi salì verso il cielo sparendo alla vista, lasciando dietro di sé solo piume nere e sangue. Come se volessero in qualche modo rendergli omaggio" spiegò Beatrice.
"Quelli sono i corvi che per tutta la vita hanno mangiato il grano dei campi che Quadrone coltivava, l'hanno voluto ringraziare in un certo senso" continuò Corrado.
Galeno annuiva con l'espressione meno convinta di sempre, ma sembrava comunque molto interessato alle vicende storiche di Camarelli e del povero Quadrone.
"Da quel giorno San Quadrone e il santo protettore degli uccelli e degli animali volanti" disse Corrado.
"Degli animali volanti...?"
"Sì, l'interpretazione è dubbia, perché questo lo renderebbe a tutti gli effetti protettore di gran parte degli insetti, incluse le zanzare" osservò Corrado.
"E dei pesci volanti"
"Allora anche dei draghi" concluse Galeno.
I tre sorrisero mentre la folla lentamente si diradava verso le vie del centro dove i fuochi d'artificio più tardi avrebbero messo fine alle celebrazioni per quell'anno.
"Non siamo qui per festeggiare però..." disse Beatrice incamminandosi verso una zona tranquilla della piazza.
"No, affatto" rispose Galeno.
Camminarono per una ventina d metri, mentre la gente si avviava nella direzione opposta, tutti tranne un paio di figure che li precedevano.
Erano un uomo e un ragazzo, l'uomo lo sorreggeva.
"Avrà bevuto troppo!" scherzò Beatrice.
"Non credo" disse Corrado. "Quello è Carlo".
I tre si avvicinarono in fretta fino a raggiungerli, Carlo Conforti era piuttosto pallido e si reggeva al padre mentre questo armeggiava per trovare le chiavi della macchina.
"Buonasera Signor Conforti, va tutto bene?" chiese Corrado.
"Oh, Corrado, non ti ho visto arrivare. Sì, va tutto bene, credo che Carlo abbia un po' di febbre, ora torniamo a casa" rispose Arturo Conforti facendo accomodare il figlio in auto.
"Mi dispiace molto, cerca di riprenderti, ok?" disse Beatrice abbassandosi a livello del finestrino dove la faccia di Carlo, immobile a fissare il vuoto, era pallida come il latte.
In realtà non era il vuoto che fissava, ma Galeno che se ne stava poco dietro ai ragazzi in silenzio, ad assistere alla scena. Carlo lo fissava molto intensamente, i suoi occhi erano come due calamite e Galeno non ebbe la forza di muoversi. Era come bloccato, impietrito senza possibilità di sfuggire o ribellarsi. Rimase così finché l'auto non si allontanò e Carlo distolse lo sguardo.
"Chi è quello?" chiese a quel punto.
"Carlo, è in classe con noi" disse Beatrice.
Galeno rimase in silenzio cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione di disagio che sentiva.
Ripresero a camminare finché non si infilarono in un vicolo deserto sul retro di una grossa palazzina.
"Allora che si fa?" chiese Corrado impaziente.
"Mi avete detto di aver trovato qualcosa giusto?" chiese Galeno.
"Sì, guarda qui, questo è un uomo che stanno cercando da settimane ormai e forse abbiamo un'idea di dove potrebbe trovarsi, è solo un'ipotesi ma potrebbe essere qui" disse Beatrice mostrando a Galeno l'articolo di giornale in cui si parlava del povero Buzzi più alcune fotografie del borgo di Acquamara.
Galeno lesse con attenzione l'articolo.
"Diciassette giorni, accidenti"
"Che succede?" chiese Corrado.
"Potrebbe essere troppo tardi, ci vogliono due settimane per preparare un corpo alla decimazione" rispose, poi ci pensò su un attimo e continuò. "Anche se qui stiamo parlando di eseguire una decimazione e poi una decimazione inversa in un corpo estraneo e non ho idea né di come si possa fare né di quanto tempo occorra per portare a termine la cosa".
"Quindi forse non l'hanno ancora fatto" osservò Beatrice cercando di tenere alto il morale.
"Forse no, ma dobbiamo scoprirlo e in fretta".
Corrado estrasse la mappa di suo padre Vittorio e la dispiegò a terra davanti a Galeno.
Era molto buio e non si leggeva nulla, Galeno si abbassò e tirò fuori dalla tasca due piccoli Lumi che si misero a volteggiare sopra la carta davanti alle bocche spalancate di Corrado e Beatrice.
"Il posto è qui" disse Corrado indicando il punto individuato sulla mappa segnato con un cerchio rosso.
Galeno prese di nuovo la fotografia del castello diroccato e la osservò con attenzione, poi chiuse gli occhi per alcuni secondi inspirando profondamente con le narici. Sembrava molto concentrato.
"Che fai?" chiese Corrado sottovoce disturbandolo.
"Cerco di visualizzarlo, non ci sono mai stato prima, devo immaginarlo per raggiungerlo" rispose.
"E come lo raggiungiamo? Sono quasi venti chilometri" disse Beatrice.
Galeno si alzò.
"Con il teletrasporto ovviamente"
"Cosa? Non stai dicendo sul serio vero?" chiese Corrado terrorizzato.
"Sono serissimo, in che altro modo potrei raggiungerlo altrimenti?"
"Non lo so, volando magari?" provò a suggerire.
"Volando? Qui fuori? No, sarebbe troppo rischioso. E comunque non vi ho detto che vi porterò con me".
Corrado per un attimo si sentì meglio. Ma la cosa non durò a lungo.
"Neanche per sogno, io vengo con te, non esiste che mi lasci qui" disse Beatrice.
Corrado deglutì nervosamente.
"Ma non hai detto che è pericoloso per voi usare il teletrasporto qui fuori?" chiese poi cercando di trovare una via di fuga plausibile.
"Non sarà una sola volta ad uccidermi, non preoccuparti" lo rassicurò Galeno, vanificando i suoi sforzi di dissuasione.
Beatrice guardava Corrado con un'espressione che diceva di piantarla di fare tutte quelle storie.
Galeno sapeva che Beatrice l'avrebbe convinto e sarebbero stati due contro uno.
Corrado fece un disastro cercando di ripiegare la mappa e poi si rese conto che non aveva scampo.
"Dai su, non puoi andarci da solo! E se fossero davvero lì?"
"È proprio per questo motivo che dovreste rimanere qui e lasciarmi fare da solo!"
"Non ha tutti i torti Bea..."
"No! Vengo con te è deciso. Non accetto risposte negative".
Galeno capì che non l'avrebbe spuntata. Guardò Corrado con fare interrogativo.
"Ok, va bene... ma giuratemi che arriveremo interi per favore, non voglio diventare una poltiglia" disse questi alla fine.
"E voi giuratemi che farete quello che vi dico, rimarrete immobili come statue se ve lo ordino e scapperete lasciandomi lì se vi chiederò di farlo, è tutto chiaro?" chiese Galeno più serio che mai.
"Ma tu non lo farai... vero?" chiese Beatrice cercando una rassicurazione che non arrivò.
Galeno fece qualche passò nell'ombra del vicolo.
"Prima di andare devo spiegarvi una cosa molto importante".
Diceva questo mentre con la mano destra frugava nella tasca della giacca. Ne estrasse alla fine un piccolo oggetto appuntito che mostrò ai ragazzi sul palmo della mano. Era una pietra rossa molto lucente, formata da due piramidi unite alla base.
"Questo è un tracciatore" disse separando le due piramidi come se fossero calamitate l'una con l'altra. "Lo usiamo durante l'addestramento".
"Che addestramento?" chiese Beatrice curiosa, osservando quell'insolito oggetto.
"Per apprendere il teletrasporto. Vedete gli allievi alle prime armi, ma non solo, spesso durante le prove di teletrasporto finiscono in posti che nemmeno loro sanno riconoscere, spesso dall'altro capo del mondo, quindi poi trovarli e riportarli indietro è piuttosto complicato. Servono squadre di ricerca in ogni angolo dei Sette Distretti, vi lasciò immaginare il caos. Quindi abbiamo inventato questi oggetti, una metà si lascia al punto di partenza e la seconda metà si porta con sé, così tornare indietro è semplice, ovunque ci si trovi" spiegò.
"Una specie di navigatore quantico" osservò Corrado.
"Sì... immagino di sì" annuì Galeno. "Voglio che teniate stretta la seconda metà ok? Non perdetela per nessun motivo, vi permetterà di tornare qui in sicurezza".
"Ma come facciamo esattamente? Non siamo... come te" disse Corrado dubbioso.
"È proprio per questo che li abbiamo inventati. Le due metà tendono naturalmente a riunirsi, vi basterà collocarne una in un punto fisso, tipo questo" così dicendo incastrò con cura una metà della pietra in una piccola fessura nel muro. "La metà che resta in movimento con voi, tornerà qui, vi basterà toccarla e dire 'Ritorno' ad alta voce".
"Ritorno. È facile, funzionerà?" chiese Beatrice.
"Certo. Forse non ne avrete bisogno, ma voglio che sappiate come usarlo" rispose Galeno.
Poi consegnò la metà della pietra a Corrado che la guardò luccicare per un secondo tra le dita prima di riporla nella tasca del giubbino.
"Allora siete pronti?"
"Sì!"
"No...".
"Dovete solo darmi la mano, chiudete gli occhi...tre, due, uno.".
I piccoli Lumi volteggiarono ancora qualche secondo poi si spensero come scintille di brace nell'aria.
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