28. Astronavi

Passarono diversi giorni.

Tutto taceva, tutto era immobile, come se il tempo avesse concesso una pausa al mondo.

Beatrice si assentò da scuola e Corrado ne sentì la mancanza.

Si domandava dove fosse, cosa stesse pensando. Non aveva avuto il coraggio di chiamarla dopo quel pomeriggio ai giardini. Era stato stupido da parte sua pensare che l'avrebbe rivista in classe, doveva immaginarselo.

Era certo che si sarebbe sentita tremendamente sola, perché non avrebbe potuto confessare a nessuno il segreto che aveva scoperto sulla morte dei suoi genitori. Come avrebbe potuto farlo? Chi le avrebbe creduto?

Decise che sarebbe andato a trovarla a casa sua dopo la scuola, con la scusa di portarle degli appunti.

Non conosceva il suo indirizzo, solo la zona, ma Beatrice gli aveva descritto la casa della nonna nei dettagli, l'avrebbe trovata.

Prese la bicicletta e pedalò per circa un quarto d'ora prima di raggiungere il quartiere dove viveva Beatrice. Alcuni palazzi di mattoni rossi si susseguivano tutti uguali per poi interrompersi bruscamente lasciando il posto ad alcune case più piccole. Corrado scese dalla bicicletta e la tirò a mano, camminava piano e si fermava ad ogni cancello per leggere i cognomi sui citofoni.

Oltrepassò una decina di case in tutto e stava per raggiungere la fine della strada quando vide sulla sinistra una piccola casetta bianca circondata da un giardino, sugli alberi diversi acchiappasogni dondolavano al vento. L'aveva trovata.

Legò la bicicletta alla ringhiera e si avvicinò al cancello.

Costa A.- Corvini B.

Suonò e attese con lo stomaco che si contorceva. Un grosso gatto lo fissava immobile sdraiato sui gradini dell'ingresso.

Vide una tenda muoversi dalla finestra e poco dopo la porta d'ingresso si aprì.

Una signora minuta con dei lunghi capelli grigi raccolti in una treccia si affacciò.

"Sì? Chi è?" chiese nella sua direzione.

"Ehm, buongiorno! Sono Corrado vado a scuola con Beatrice, le ho portato alcuni appunti".

Adriana aprì il cancello e lo invitò ad entrare.

Corrado oltrepassò il giardino, i rami del melograno ondeggiarono lasciando cadere a terra le ultime foglie gialle. Salì piano gli scalini che portavano alla porta d'ingresso dell'abitazione, dove lo aspettava Adriana.

"Buongiorno", disse.

"Ciao Corrado, ci conosciamo finalmente, Beatrice mi ha parlato di te" disse Adriana con un sorriso.

Era una donna piccola e magra, con la pelle color miele, gli zigomi alti e la fronte luminosa. Non assomigliava per niente a Beatrice. "Non è in casa in questo momento"

"Come? Credevo che stesse male" disse Corrado deluso per non averla trovata.

"Sì, stamattina però mi ha detto di sentirsi meglio, è rimasta chiusa in camera per tutto il weekend, non so, forse solo un po' di stanchezza" disse Adriana con una voce che metteva pace.

"Capisco. Dove posso trovarla?"

"Non saprei, ha preso la bicicletta, mi ha detto che aveva voglia di prendere una boccata d'aria"

"Ok"

"Mi spiace che tu sia venuto apposta"

"Nessun problema, passavo di qui".

Adriana lo osservò bene e capì che mentiva.

Il vento fece ondeggiare gli acchiappasogni nel giardino, qualcuno tintinnò lievemente. Corrado si voltò a guardarli e si rese conto in quel momento che quella donna gentile aveva perso una figlia e non sapeva realmente come fossero andate le cose. Ebbe un brivido.

"Beh, allora io vado, grazie comunque" disse Corrado scendendo i gradini.

Adriana rimase lì ad osservarlo, mentre Cinque le si attorcigliava alle caviglie, poi fece un passo in avanti.

"Corrado, aspetta!"

"Sì?"

"Che cosa succede? So che tu e Beatrice passate parecchio tempo insieme ultimamente, era da molto che non la vedevo così. È successo qualcosa?" chiese Adriana preoccupata.

Corrado non avrebbe voluto mentire a quella donna, l'ultima cosa che desiderava era aggiungere menzogna alla menzogna. Si sentì in trappola e i suoi occhi cercarono invano una via di fuga.

"Non saprei, forse una discussione con delle amiche" rispose infine cercando di essere il più credibile possibile.

"Capisco, comunque credo che abbia bisogno di un amico, se la conosco un po' nasconde qualcosa, forse con te potrebbe confidarsi. Di solito noi parliamo molto, ma questa volta per qualche motivo si è chiusa a riccio e la cosa non è normale, mi sta facendo preoccupare"

"Proverò a parlarci" le disse Corrado, provando a non lasciar trapelare nessuna emozione dal suo volto. Sapeva perfettamente cosa nascondesse Beatrice e riuscì a comprendere in quel momento la sua frustrazione per non poter confessare nulla alla nonna.

"Ti ringrazio".

Corrado salutò e raggiunse il cancello mentre Adriana richiudeva la porta, rendendosi conto solo in quel momento che Corrado non aveva lasciato nessun appunto per Beatrice.

Corrado saltò in sella alla sua bicicletta e pedalò a gran velocità lungo la strada che riportava verso il centro. Si concentrò e provò ad immaginare dove si fosse cacciata Beatrice.

Raggiunse la biblioteca ma non vide la sua bicicletta negli stalli, allora setacciò i giardini in lungo e in largo osservando scrupolosamente ogni panchina e ogni muretto, ma niente, di lei non v'era traccia.

"Dove sei? Accidenti!" disse sottovoce mentre pedalava a tutta velocità.

L'aria fredda gli tagliava la pelle del viso ma non gli importava, doveva trovarla. Attraversò Camarelli in lungo e in largo cercando di avere un'illuminazione su dove potesse essersi cacciata Beatrice.

Provò alla Cattedrale ma a quell'ora la trovò chiusa.

Stava ormai per perdere le speranze quando vide un gruppo di ragazzini che camminavano lungo il marciapiede passandosi un pallone da calcio l'uno con l'altro.

"Certo! I campetti che stupido idiota!" esclamò.

Girò la bicicletta e si diresse verso gli impianti sportivi a velocità folle, come se quello fosse l'unico posto sicuro sulla faccia della Terra. Oltrepassò il centro e imboccò la discesa che portava ai campetti.

Quando arrivò si guardò un po' in giro sperando di vederla, girò intorno alle piscine e raggiunse il campo da calcio dove un gruppo di bambini si allenava con i tiri in porta.

Finalmente la vide. Eccola là.

Seduta in cima agli spalti, da sola, lontana dal gruppo di genitori che assisteva all'allenamento.

Lasciò cadere la bicicletta senza legarla e si avviò sugli spalti di corsa, si fece largo tra il gruppo di genitori e poi salì a grandi passi verso l'ultimo gradino.

Lei lo vide solo in quel momento.

Corrado la raggiunse, Beatrice aveva gli occhi gonfi e lo sguardo stanco, come se non dormisse da giorni.

"Ti ho cercata dappertutto" disse Corrado in affanno.

"Ciao", fu l'unica cosa che disse lei.

Corrado le si sedette accanto, non era sicuro di quanto fosse il caso di avvicinarsi; quindi, si tenne ad una discreta distanza.

"Come stai? Sono stato a casa tua"

"Davvero?"

"Sì, pensavo che ti avrei trovata lì. Tua nonna è preoccupata per te"

"Lo so, non so cosa farci, non posso dirle nulla".

Corrado rimase in silenzio per qualche secondo, mentre alcuni genitori esultavano per un gol del loro campione in erba.

Beatrice guardava in direzione del campo da calcio, ma il suo sguardo era chiaramente altrove.

"Come stai?" chiese Corrado.

Beatrice si strofinò il viso con le mani, come se volesse lavare via la stanchezza dalla pelle, poi lo guardò negli occhi per qualche secondo e fece un grande respiro.

"Non lo so come mi sento. Triste, arrabbiata, furiosa. In tutti questi anni ho faticato ad accettarlo, finché ero bambina non me rendevo conto ma poi le cose sono cambiate. Mi chiedevo il perché in continuazione, non mi rassegnavo al fatto che il destino avesse deciso così... Ho sempre saputo che era stato un incidente a portarmeli via. Ci ho messo anni ad accettarlo. Dicevo, ok, è stato il destino. Non ci puoi fare nulla. Non è colpa di nessuno".

Fece una pausa e si tirò le maniche del giubbino fin sopra le mani.

"E ora, dopo tanti anni, quando forse ero riuscita a mettermi il cuore in pace, scopro che non era vero niente, che sono stati uccisi. Non è stato il destino, una tragica fatalità, no. È stato un pazzo, un assassino e io non l'ho mai saputo, se penso che avrebbero potuto essere ancora qui con me. Poteva essere evitato. Se lo sapesse mia nonna, ha perso sua figlia e non sa nulla di nulla, ti rendi conto?".

Due grosse lacrime le rigarono il volto già segnato dal pianto e dalla stanchezza.

"Non sai quanto mi mancano, avrei così tanto bisogno di loro adesso" disse asciugandosi il viso con i polsini della giacca.

Corrado avrebbe voluto abbracciarla, come quel pomeriggio ai giardini ma per qualche motivo non ci riuscì. Qualcosa lo inchiodava a quel maledetto gradino di pietra gelido.

Un ragazzino prese una rincorsa di circa dieci metri e calciò il pallone sotto lo sguardo attento dei compagni, la palla si sollevò da terra e volò verso la porta disegnando un arco. Mancò la rete di pochissimo.

"Mi dispiace tantissimo, tutto questo non doveva succedere, non avrei dovuto parlarti quel giorno dopo la scuola, non avrei dovuto dirti nulla. Ora non saremmo in questa situazione, se avessi saputo che saremmo arrivati a questo punto, non avrei insistito per saperne di più" disse Corrado trovando finalmente il coraggio di avvicinarsi, le loro giacche si sfioravano appena.

"Non è colpa tua, anche io volevo saperne di più, l'avrei fatto anche da sola. Almeno ora so come sono andate le cose" rispose lei tirando su col naso.

Corrado ci pensò su un attimo.

"Non era meglio non sapere nulla?"

Beatrice tolse un fazzoletto appallottolato dalla tasca del giubbino e si asciugò le lacrime.

"Sì, l'ho pensato anche io, ma poi mi sono detta che anche se è orrenda, questa è la verità. E credo di meritarmela"

"E che cosa cambia?"

"Adesso, ho qualcuno a cui dare la colpa. Può sembrarti stupido, ma in questi anni la cosa che più mi faceva arrabbiare era non avere nessuno da incolpare, nessuno da odiare"

"Non mi sembra stupido"

"Mi sembra di essermi svegliata da un brutto sogno e di essermi ritrovata in un altro anche peggiore"

Dopo pochi istanti sorrise.

"Perché ridi?" le chiese Corrado.

"Nulla, mi è tornata in mente una cosa stupida".

Corrado la guardò come per dirle di andare avanti a raccontare.

"A proposito di svegliarsi, mia mamma quando ero piccola aveva questa canzoncina che mi cantava al mattino per farmi aprire gli occhi. Non ricordo che lo facesse ero troppo piccola, ma ricordo la canzoncina perché anche la nonna, dopo che, insomma, dopo che sono morti ha continuato a farlo per anni. È una cosa stupida non so perché mi è venuto in mente ora" si giustificò Beatrice.

"Come fa?"

"Cosa?"

"La canzone"

"Ehm, oddio... non ricordo benissimo le parole, fa tipo così... Nasceva tra le rocce, e goccia dopo goccia, cadendo e tintinnando, un rivolò formò. La pioggia e i temporali ne fecero un ruscello..."

Corrado ascoltava Beatrice che intonava quel motivetto infantile, era triste e malinconico, gli ricordava qualcosa di nordico, di freddo, di antico. Incredibile come la voce di una persona possa sembrare tanto diversa quando la si imbriglia in una melodia, pensò.

Mentre la ascoltava gli sembrò per un istante di vederla bambina, mentre apriva gli occhi piano in un mattino di luce. Accanto a sua madre.

I ragazzini nel campo da calcio si erano disposti in fila e si spintonavano ridendo, mentre l'allenatore, un uomo stempiato sulla quarantina fischiava loro di stare fermi.

Beatrice concluse il motivetto e abbozzò un sorriso imbarazzato.

"Era un bel modo di svegliarsi".

Gli enormi fari che illuminavano a giorno il campetto sembravano astronavi parcheggiate nel cielo, appena rientrate da un lungo viaggio interstellare.

Corrado aprì lo zaino e tirò fuori il medium.

"Galeno mi ha scritto, cioè non so se ha scritto o solo pensato. Ad ogni modo, vuole vederci" disse porgendolo a Beatrice.

"Non pensavo che potesse anche ricevere" disse lei afferrando il piccolo taccuino.

"Già, prodigioso" rispose Corrado.

Beatrice lesse ad alta voce il messaggio di Galeno.

Ho bisogno di vedervi,

forse c'è una possibilità di fermarlo

"Che intenderà dire?" chiese.

Corrado alzò le spalle senza sapere cosa rispondere, non immaginava neanche lontanamente come avrebbero potuto fermare quel pazzo assassino. Dotato di poteri immensi come se non bastasse.

"Non so, forse ha scoperto qualcosa"

"Beh, se c'è anche solo una misera possibilità di fermarlo, dobbiamo provarci. Io devo farlo" disse Beatrice.

"E come farai?"

"Non lo so, ma non me ne starò qui a guardare".

Corrado non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare nulla di simile, si chiedeva come avrebbe potuto fare Beatrice a fermarlo, si chiedeva anche quale fosse il suo ruolo in tutta quella assurda faccenda. In fin dei conti Beatrice aveva un motivo più che valido per volersi imbarcare in un'impresa tanto folle quanto disperata come fermare uno stregone assassino sterminatore. Ma lui? Che motivazione poteva avere che lo portasse a prendersi un rischio tanto grande? Salvare l'umanità, certo. Quello era lodevole, eroico. Ma non avrebbe mai pensato che nella sua vita si sarebbe ritrovato di fronte ad una scelta di quel tipo, quella roba l'aveva vista solo nei film.

Ad ogni modo ormai si sentiva più che coinvolto, anche se non aveva nessuna vendetta personale da portare avanti.

Non avrebbe mai potuto né voluto tirarsi indietro.

Il quel momento capì che sarebbe andato fino in fondo, lo capì guardando gli occhi scuri di Beatrice cerchiati di rosso. Lo capì guardandole le mani pallide strette a pugno.

Non l'avrebbe lasciata sola. Forse era solo quella la sua motivazione. Ce l'aveva seduta accanto.

Rimasero lì ancora per un po' finché il freddo non li costrinse a muoversi. Scesero dagli spalti e raggiunsero le biciclette, abbandonate accanto alla rete del campetto.

"È meglio che rientri adesso, non voglio che la nonna si preoccupi" disse Beatrice montando in sella.

"Mi dispiace che tu non le possa dire nulla"

"Già, mi inventerò qualcosa"

"Domani verrai a scuola?"

"Credo di sì"

"Puntaspilli è assente, dicono che lo sarà per un bel po', manderanno un supplente"

"L'abbiamo fatta esaurire, povera donna" disse Beatrice ritrovando il sorriso.

"Allora, a domani...ehi, non sparire di nuovo ok?" si raccomandò Corrado.

Beatrice gli sorrise allontanandosi in bicicletta. Corrado rimase immobile a guardarla andare via come ormai gli capitava troppo spesso.

Un altro pallone andò in porta.

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