22. Simboli
"Non capisco, che intendeva dire?" chiese Beatrice.
"Che lui non può parlare" rispose Corrado.
"A questo ci ero arrivata, grazie"
"Che lui non può parlare..."
"Ho capito non sono sorda!"
"Ma forse qualcun altro sì"
"Ah".
Corrado aveva una strana luce negli occhi.
"E chi?" chiese Beatrice senza comprendere.
"Qualcuno che conosce i fatti, qualcuno che potrebbe avere delle informazioni..."
"Aspetta... uno dei Fuoriusciti intendi?".
Corrado ci pensò su per qualche secondo e dopo aver scartato tutte le altre opzioni ritenne che quella fosse in effetti l'unica plausibile.
"Certo! Non c'è altro da fare, non possiamo rientrare a Mezzanto; quindi, dobbiamo trovare quello che ci serve qui fuori. E chi può darci le risposte che cerchiamo se non qualcuno che conosce la storia?" disse Corrado con il volto illuminato dal sole.
Beatrice si calcò il berretto sulla testa e indossò un paio di guanti viola.
"Perché Elias ci ha aiutato? Ci ha aiutato vero?"
"Perché è giusto, non capisci? C'è qualcosa di molto più grande in questa storia, qualcosa che ci riguarda e lui lo sa bene"
"E tu pensi che lui volesse aiutarci a capire, senza farlo veramente?"
"Qualcosa del genere, suppongo. Dire senza dire" concluse Corrado.
Beatrice non sembrava del tutto convinta.
"E come lo troviamo un Fuoriuscito qui?"
"Non saprei davvero" rispose Corrado.
"E ammettiamo pure che lo troviamo. Poi? E se avesse dimenticato tutto?"
"Già... in ogni caso stiamo attenti ai déjà-vu. E al freddo".
"Garmigli è novembre".
Si incamminarono in direzione dei giardini percorrendo un tratto del viale alberato sul fianco della chiesa. Beatrice guardava con circospezione qualsiasi persona nei paraggi immaginando che potesse essere un mago, ma tutti gli risultavano alquanto improbabili.
"Potrebbe essere chiunque! Come facciamo a trovarlo!" disse alla fine.
"Che cosa faresti tu se uscissi da Mezzanto e ti ritrovassi qui?" chiese Corrado.
"Rientrerei immediatamente"
"Dai non scherziamo, è un faccenda seria"
"Sì, hai ragione scusa. Non so cosa farei, immagino che dovrei integrarmi in qualche modo... mi cercherei qualcosa da fare? Un modo per sopravvivere? Un lavoro?" azzardò Beatrice.
"Sì, un lavoro... qualcosa che mi permetta di costruirmi una vita qui"
"Ma che lavoro? Tutti lavorano, è come trovare un ago in un pagliaio, senti io non riesco a ragionare, ho fame, mangiamo qualcosa?" chiese Beatrice cambiando argomento.
Corrado strabuzzò gli occhi spiazzato da quella richiesta.
"O-ok, certo".
Era la prima volta che una ragazza lo invitava a mangiare qualcosa insieme, non era mai successo prima in sedici anni, escludendo i pranzi di famiglia dove solitamente veniva piazzato tra le cugine. Quella non era ovviamente la stessa cosa, qui si trattava di roba seria. Una ragazza, una ragazza vera, con gambe braccia e tutto il resto, gli aveva appena chiesto di sedersi allo stesso tavolo, da soli, magari uno di fronte all'altro. E quella ragazza era nella fattispecie Beatrice, che insomma, era parecchio carina.
Corrado sentì le mani sudare nelle tasche.
Le sue interazioni sociali si erano limitate fino a quel momento alla scuola, fuori da quelle quattro mura non conosceva quasi nessuno. Beatrice era la prima persona con cui si era spinto così avanti e questo fatto lo agitava più del dovuto.
"Allora vieni?"
"Certo, dove andiamo?"
"Ai campetti, ho voglia di patatine fritte" rispose Beatrice.
"Sono le tre del pomeriggio" osservò Corrado pentendosi subito di quelle parole.
"Le tre e dieci per la precisione" rispose lei sorridendo.
Decisero di prendere l'autobus e lasciarono la bicicletta di Beatrice legata fuori dalla biblioteca.
Camminarono per una cinquantina di metri e arrivarono alla fermata dove un paio di persone attendevano il numero nove, che li avrebbe portati nella zona degli impianti sportivi.
"Perché non mi hai chiamato?" chiese Corrado.
Beatrice lo guardò con aria confusa.
"Prima, alla biblioteca, quando hai visto che mi ero messo dietro al muro come un idiota, perché non mi hai chiamato?"
"Oh, volevo vedere che intenzioni avessi" rispose.
"..."
"Non volevo metterti in imbarazzo"
"È che non capisco, sapevi che mi sarei sentito uno schifo, avresti potuto fare finta di nulla..."
Beatrice lo guardò negli occhi.
"Senti, Corrado Garmigli, gli esseri umani si comportano in modo assurdo, chi sono io per giudicarli? Avrai avuto le tue buone ragioni per nasconderti, giusto? Volevi dare una buona impressione, non volevi che fosse evidente che mi stavi aspettando? A me sta bene. Se quello che sei, sei tu" disse Beatrice avvicinandosi al numero nove che nel frattempo aveva raggiunto la fermata sbuffando. Le porte anteriori si aprirono.
"Uno sfigato insomma" disse Corrado.
"Perché non la smetti di dire fesserie e impari e fregartene di quello che pensa la gente? Sai, vivresti molto meglio" rispose Beatrice cercando un sedile vuoto.
"Ma io me ne frego di quello che pensa la gente, solo che..."
"Che?"
L'autobus ripartì, Corrado le si accomodò di fronte, deglutì e si tirò le maniche del giubbotto sulle mani.
"Beh, tu non sei la gente. Insomma, me ne frega di te, di quello che pensi tu..."
Beatrice gli sorrise. Corrado la guardò per un secondo negli occhi e poi abbassò lo sguardo.
Perché gli sorrideva? Lo trovava buffo, ridicolo, un idiota totale? Perché se ne stava lì a fissarlo? Con quel suo viso pallido e quegli occhi che lo scrutavano come fari.
Gli occhi, non c'era nulla di particolare nei suoi occhi erano solo due occhi scuri come altri milioni di occhi; eppure, erano in grado di inchiodarlo al suolo, di farlo sentire nudo, totalmente indifeso e incapace di mentire. Non si era mai sentito così prima di allora. Nessuno gli aveva fatto quell'effetto, Beatrice lo spiazzava.
"Se è questo che ti preoccupa, stai tranquillo perché non penso che tu sia uno sfigato".
L'autobus sobbalzava e sbuffava ad ogni curva percorrendo le strette vie del centro di Camarelli, oltre a loro una decina di persone viaggiava su quel mezzo vecchio e rumoroso.
Scesero poco prima dei campi sportivi e raggiunsero a piedi il chiosco vicino alle piscine, dalle quali uscirono un gruppo di bambini di circa sette anni seguiti poco dopo da un gruppetto di genitori, carichi di borse e zaini.
Beatrice ordinò al ragazzo del chiosco una porzione extralarge di patatine fritte con doppie salse e tè freddo al limone.
"Le dividiamo grazie!" disse pagando.
"Aspetta, come... quanto..." balbettò Corrado cercando il portafoglio in fondo allo zaino.
"Lascia stare! Sei mio ospite, io vengo sempre qui a mangiare schifezze, è come se fosse casa" disse Beatrice posando l'enorme vassoio di patatine fumanti su uno dei tavoli bisunti del chiosco. Il fungo acceso accanto al tavolo riscaldava la zona dei tavolini e illuminava i loro volti di una tenue luce rossastra.
A Corrado non sembrò vero di mangiare fritto, alle tre del pomeriggio, con Beatrice seduta di fronte.
"L'ultima volta che le ho mangiate avevo tredici anni, se non ricordo male, una festa di compleanno..." disse assaporando il gusto dimenticato di una patatina inzuppata nella maionese.
"Giura"
"Davvero, mia madre è una specie di salutista estrema; quindi, in casa mia certe cose sono bandite e io, insomma, non esco un granché" disse Corrado abbassando lo sguardo sul vassoio di patatine.
"Che fa tua madre?"
"Nulla, perlopiù si veste bene. Sarebbe architetto, cioè ha solo studiato architettura in effetti, si limita a collezionare volumi di design e cambiare le tende del salotto"
"Wow, fico".
Corrado la osservava mangiare, era la cosa più disastrosa che avesse mai visto. Le salse erano sparse ovunque sul vassoio, Beatrice mangiava come se fosse a digiuno da mesi e ad ogni boccone si ripuliva le mani sui jeans.
"Che c'è?" chiese lei con la bocca piena.
"Nulla, è che sembri... affamata" disse lui ridendo.
"Sembro un brontosauro, dillo pure, mia nonna me lo ripete ogni volta che mi siedo a tavola".
Corrado rideva alle battute di Beatrice e, cosa che lo sorprese, lei rideva divertita alle sue. Si piegò letteralmente in due quando lui le raccontò del ritratto del Vascellino in salotto, quando descrisse nei dettagli una serata con i Vandapersi, quando gli parlò di sua zia Loretta e delle sue altezzose cugine. Beatrice gli raccontò della nonna, del dirimpettaio innamorato di lei da una vita intera, dei suoi genitori o di quello che ne ricordava.
Erano così presi dai loro discorsi che non notarono poco distanti Anna e Margherita che si avvicinavano al loro tavolo, con due grossi punti di domanda stampati sulla faccia.
"Guarda un po' chi c'è, Bea che fai qui?" li interruppe Anna.
Corrado si risvegliò improvvisamente, tornò nel mondo reale e la sua espressione rilassata mutò e divenne seria, quasi impaurita.
"Ciao, ragazze, anche voi qui" salutò Beatrice.
"Garmigli, che strano vederti fuori da scuola" disse Anna con il suo solito tatto.
"Ciao", fu l'unica cosa che riuscì a rispondere lui.
"Ma guarda quanto siete carini insieme, allora cosa combinate?"
"Nulla, stiamo solo mangiando qualcosa e-"
"Dai, cosa nascondete?" chiese sfacciata Margherita, rubando una patatina.
Corrado arrossì desiderando di scomparire.
"Nulla, stavamo solo parlando" rispose Beatrice senza essere convincente.
"Parlando, ma che bravi" continuò Margherita.
"Sì, ero qui al campetto ad iscrivere mio fratello e ci siamo incontrati" rispose finalmente Corrado trovando quella che gli sembrò una scusa decente da rifilare a quelle due.
Anna e Margherita li osservavano come se fossero due animali esotici in esposizione, senza capire cosa stessero nascondendo quei due, perché era chiaro che tramassero qualcosa.
"E cosa stavate raccontando di così divertente?" chiese Margherita continuando ad afferrare le ultime patatine ormai fredde dal vassoio.
"Cose che non si possono ripetere, comunque stavamo andando via" disse Beatrice ammucchiando tovaglioli sul tavolo.
"Addirittura! E ora dove scappate?"
"A prendere l'autobus".
Corrado e Beatrice si alzarono dal tavolo in fretta e salutarono, allontanandosi a grandi passi.
"Portaci Garmigli alla festa, così ci divertiamo!" urlò Margherita nella loro direzione.
Camminarono per un po' oltre i campi di calcio, poi si voltarono e videro Margherita e Anna sedersi ad un tavolo ridacchiando.
"Quelle due ci metteranno nei guai" disse Beatrice.
"Credevo foste amiche"
"Sono divertenti, ma a volte mi danno ai nervi".
Corrado pensò che lo stesse dicendo solo per non farlo sentire a disagio, in realtà sapeva quanto fosse legata a quelle due, lo si vedeva da come ridacchiavano in corridoio durante l'intervallo, dagli sguardi di intesa, dalla sfacciataggine con cui si parlavano. Ma poteva sbagliarsi e Beatrice in realtà le considerava solo due compagne di classe, come tante altre.
"Andiamo di qua, facciamo un pezzo a piedi" suggerì.
Si incamminarono lungo la via che tornava verso il centro, l'aria si stava facendo più pungente e il sole cominciava lentamente ad impallidire.
"Perché non diciamo le cose come stanno?" chiese ad un certo punto Beatrice fermandosi in mezzo al marciapiede.
"Cioè?"
"Sarà sempre più complicato gestire questa bugia, ora che lo sanno anche quelle due" rispose indicando un punto imprecisato dietro di loro.
"A me sta bene"
"Allora è deciso, niente più bugie o storielle o scuse. Siamo amici e basta".
Beatrice sembrava sollevata. Corrado invece no, si chiedeva che cosa sarebbe successo, lui che non aveva nulla a che fare con il mondo di lei, come lo avrebbe affrontato? Insomma, questa non era un'interrogazione, non potevi solo studiare e prepararti a dovere. Si impose di rimanere tranquillo e cercò di non pensarci troppo.
Ritornò con la mente a quello che era il vero obiettivo del pomeriggio: capire qualcosa di tutta quella faccenda di varchi, Passanti e fuggiaschi pericolosi.
Corrado, mani in tasca, si arrovellava cercando in tutti i modi di farsi venire un'illuminazione, un lampo di genio che li avrebbe condotti sulla strada giusta. Pensava a tutti quelli che conosceva cercando di immaginare chi di loro potesse assomigliare di più ad un mago, ma erano tutte persone tremendamente ordinarie, nessuna assomigliava nemmeno lontanamente a qualcuno degli estrosi abitanti di Mezzanto. Rimuginava su tutto ciò quando improvvisamente si fermò nel bel mezzo del marciapiede guardando verso l'alto, proprio sopra la sua testa.
Rimase immobile.
Pietrificato.
Beatrice proseguì chiacchierando ancora di qualche metro prima di rendersi conto che Corrado non era più al suo fianco.
"Ehi, che fai?" gli chiese guardandolo lì impalato come un lampione.
Corrado non rispose, si tolse in fretta e furia lo zaino e cominciò a rovistare all'interno come un forsennato.
"Che c'è?"
"Un attimo, tieni questo" le disse porgendole il libro di algebra.
Poi le passò quello di storia dell'arte, l'astuccio, il diario, il portafoglio e una bottiglietta d'acqua mezza vuota.
"Perché ti porti in giro i libri?"
"Perché non ho svuotato lo zaino, per fortuna" disse Corrado con la faccia china.
Dopo pochi secondi, tirò fuori un foglietto bianco accartocciato.
"Eccolo!" esclamò vittorioso.
Beatrice vide tra le mani di Corrado il dépliant che pubblicizzava la mostra di piante a Mezzanto, quello che gli aveva consegnato quel ragazzino gentile con i capelli rosso fuoco prima che salutassero la città.
"Beh, mi spieghi che succede?"
"Guarda qui" disse Corrado indicando proprio in cima al volantino il simbolo della città di Mezzanto, un fiume con numerose anse incorniciato da un cerchio.
"E quindi?"
"Quindi credo che l'abbiamo trovato" disse guardando di nuovo verso l'alto.
Beatrice continuava a non capire ma guardò esattamente dove stava guardando lui.
Davanti ai loro occhi, impresso sull'insegna scura di un negozio, se ne stava immobile come un gatto al sole, un fiume dorato con numerose anse incorniciato da un cerchio.
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