2.

Quando avevo otto anni mio padre mi regalò una farfalla. Una di quelle sigillate dalla resina, con le ali traslucide e ricoperta di colori sgargianti. Mi disse che era un dono speciale. Mi disse che sarebbe stata mia amica e che lei, a differenza degli altri bambini, non mi avrebbe emarginato, non mi avrebbe abbandonato. Gli altri bambini erano cattivi, diceva, lei no. Lei mi sarebbe rimasta accanto e avrebbe giocato con me. Io ci credetti. Le avevo fatto posto sul comodino accanto al mio letto, e di notte la guardavo finché il sonno non arrivava e l'oscurità inghiottiva anche la vivacità dell'argento e dell'oro delle sue ali. Mamma non aveva mai visto di buon occhio quella farfalla. A suo parere era solo una perdita di tempo, peggio degli amici immaginari che credevo di avere. Ma mamma non ha mai saputo quanto io tenessi a quel piccolo essere. Lei non mi aveva mai capito, non ci aveva mai nemmeno provato, a differenza di papà. 

Tre anni dopo, mio padre è morto e con lui, anche la mia farfalla. Non ricordo come né perché, ma il giorno del suo funerale tornai a casa, piantai la testa nel cuscino e lo riempii di lacrime. Quando ebbi finito, la farfalla non c'era più. Ho sempre sospettato che sia stata mia madre a portarla via. Ma, in realtà, non ho mai capito come siano andate le cose.

In qualche modo ho riaperto gli occhi. Sento le palpebre fredde, immobili. La sto guardando. Quella farfalla che ho perso cinque anni fa in questo momento è laggiù, a una decina di metri da me. Svolazza nella foschia in lontananza, sopra la sagoma dell'uomo che accarezza la guancia del corpo steso sull'asfalto. Non riesco a distinguere i contorni precisi delle sue ali, né quelli dell'uomo inginocchiato. E' come se qualcosa mi disturbasse la vista, come se riuscissi a vedere solo per metà. Batto le palpebre, cercando in tutti i modi di mettere a fuoco.

-Signore...-

Più tento di chiamarlo, meno lui sembra sentirmi. Non riesco più a muovermi. Perfino girare la testa, all'improvviso, sembra impossibile. 

-Signore, la supplico... mi aiuti... devo trovare mia madre...-

Poi, d'improvviso, decine di persone in divisa. Mi si accalcano tutte intorno, agitando le braccia, gridando parole sorde a qualcuno dietro di loro. Non sento niente. Né le loro voci, né il rumore delle loro scarpe sull'asfalto, non sento le urla. So solo che stanno ostruendo la mia visuale sull'uomo accovacciato a terra, in lontananza. D'impulso gli grido di spostarsi, di lasciarmi vedere, ma nessuno mi sente, e ancora non capisco il motivo. 

Vi prego, li imploro, toglietevi di mezzo.

Loro continuano a gridare qualcosa, mentre un tipo sulla trentina allunga il braccio e mi tasta la faccia. Non percepisco nemmeno il suo tocco. Ma, cercando di carpire il suo labiale, capisco che dice qualcosa come "è fredda" o all'incirca. E' fredda. Che cosa significa? In realtà, lentamente, mi rendo conto di che cosa vogliano dire quelle due semplici parole. I cadaveri sono freddi. O comunque i corpi che stanno per diventarlo. Sono un cadavere? Sono...

Il tizio davanti a me chiude gli occhi e abbassa la testa, affranto. Una donna gli appoggia la mano sulla spalla, facendolo spostare, e fa un cenno ad un collega alla sua sinistra.

Che cosa state facendo? Che cosa sta succedendo?

Sono davvero io, è il mio corpo quello incastrato in questa maledetta auto. E poi lo vedo, non appena la donna si alza, allontanandosi. L'uomo non è più inginocchiato accanto al corpo steso sulla strada. Ora si avvicina, avanza fino al punto in cui mi trovo io. Con la mia farfalla che gli svolazza sopra la spalla. Mi guarda, sorridendo, impotente. Rivedo i suoi occhi azzurri, così profondi e limpidi, così simili ai miei. Li rivedo dopo cinque anni, cinque anni nei quali mi è mancato così tanto vederli. Cinque anni lunghissimi, durante i quali ho sentito la sua mancanza come se mi avessero tolto qualcosa di insostituibile, come se mi avessero sottratto una parte di me.

Papà.

Vorrei poter piangere, ma non ci riesco. Non percepisco nemmeno la pressione delle lacrime dietro agli occhi. Perché non riesco a piangere?

Lui continua a camminare e mi raggiunge, mentre tutto intorno la gente si sposta freneticamente verso il corpo steso sull'asfalto, dall'altra parte della strada. E allora capisco. Ecco dov'è. Eccola, mia madre.

Salvatela. E' l'unica cosa che riesco a pensare. Salvatela, vi supplico.

Papà si inginocchia accanto a me. Mi sorride. E' il suo tipico sorriso dolce, rassicurante. Quel sorriso che mi è mancato per troppo tempo.
-Andiamo a casa- sussurra dolcemente.
-Andiamo a casa, Miranda.

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