Capitolo 8

Il mattino seguente non vado a scuola, anzi dormo parecchio.
Quando mi sveglio, Michele è ancora qui. «Nonna Rosalba è con nonno Ernesto» mi dice in tono pimpante. «Gigi invece sta arrivando. Ti spiace se vado a scuola con Tommaso?»
«E me lo chiedi?» biascico ancora mezza addormentata, seppur sorridendo.
Sto parlando con mio cugino, come ai vecchi tempi! Non si è trattato di un sogno... è tutto reale!

Mi fa una carezza prima di allontanarsi, ed entro poco arriva nonno Gigi, con il quale chiacchiero per qualche minuto.
È bello raccontargli riguardo la scuola, sfogarsi con lui sui troppi compiti e sui compagni particolarmente tediosi.
Lui però non fa in tempo a rispondermi che mio padre torna assieme a Saul. Deve essere uscito quando ancora dormivo, ricordo a malapena il suo saluto.
Babbo se ne va subito a lavoro, mentre mio fratello si getta sul suo letto e si stiracchia come un gatto, con la faccia di uno intenzionato a starsene in panciolle per tutta la giornata.

Siccome però che devo studiare per la verifica di spagnolo di domani, lo caccio in cucina e raccolgo i libri necessari.
«Ne hai veramente bisogno?» mi chiede il nonno.
Lancio uno sguardo alla porta aperta. Saul può sentirmi parlare "da sola", ma non voglio chiudere: se venisse colto da un altro attacco e non lo sentissi?
Così mi accoccolo sul letto e brontolo a bassa voce: «Non mettertici anche tu».
«Perché no? Dico soltanto quello che ho sempre visto. La professoressa ti ha interrogata la scorsa settimana sugli stessi argomenti. Conosci il Don Chisciotte della Mancia a memoria, per oggi puoi anche rilassarti.»
Sospiro. «Nonno, io non mi sentirei sicura per tutto il giorno. Avrei l'ansia addosso fino a domani! E non dirmi di essere meno paranoica.»
Lui ride. «Va bene, va bene. Allora ascolta, perché non mi ripeti tutto quello che sai, senza ripassare? Ti ascolto io» si propone, avvicinandosi per leggere le pagine.
«Saul mi sentirà...»
«Molti studenti ripassano parlando da soli. Su, comincia raccontandomi di Miguel de Cervantes.»

Mi struscio le mani, indecisa... ma quando mio nonno mi fa cenno di parlare, io comincio a snocciolare con sicurezza tutte le nozioni che ho acquisito sul Don Chisciotte.
Parlo a lungo, per almeno mezz'ora, e Saul non mi interrompe mai. Neanche mio nonno, che ogni tanto sorride e annuisce. Io intanto giro pagina ogni volta che ce n'è bisogno, senza che lui mi metta fretta.
È sempre stato bravo ad ascoltare in silenzio, è un interlocutore perfetto se devo ripetere oralmente i compiti.

Mi manca soltanto una pagina, quando sento suonare il campanello.
«SAUL, VAI AD APRIRE!» urlo malamente a mio fratello.
«CI STO ANDANDO! »sbraita lui.
«CHI È?!»
«È LIBERIO!»
«VA BENE! FALLO SALIRE!»
«GRAZIE PER AVERMELO DETTO! STAVO APPUNTO PENSANDO DI LASCIARLO FUORI! »
«STAI ZITTO O TI PRENDERÀ UN ALTRO ATTACCO, DEFICIENTE!» Mi schiarisco la gola per riprendermi dalle urla, e mormoro: «Allora l'ultima pagina la ripeterò a Liberio».
«Molto bene.» Il nonno mi accarezza la testa, un gesto a cui non ero più abituata. Mentre gli sorrido, dice: «Vado di là da Saul. Speriamo si sia messo a guardare un film decente. Se ci sono problemi, ti avviserò».
«Grazie, nonno.»

Esce di camera nello stesso momento in cui, tutto contento, entra Liberio.
È così strano che non si sia accorto che mio nonno gli è appena passato accanto sfiorandolo. Benché sia un angelo, sembra così corporeo.
Accolgo il mio amico dicendo: «Cosa ci fai qui? E la scuola?»
«Oggi c'è sciopero, ricordi?» Balza sul mio letto e posa subito lo sguardo sul libro di spagnolo. «Ma che cavolo fai?»
«Studio, domani abbiamo un compito in classe, ricordi?»
Lui sbuffa alzando gli occhi al cielo. «È spagnolo, mica scienze. Sappiamo già tutto.»
«Tu non vuoi ripassare?»
Simula una tossetta e sorride gongolante. «Il cognome Ferrez ti ricorda qualcosa?»
«Il tuo sangue spagnolo...» bubbolo. «Che c'entra? Si parla di una storia, mica della lingua.»
«È da quando sono nato che mio padre mi racconta del Don Quijote» lo pronuncia in spagnolo. «E so che tu sai tutto a memoria.»
«Dai, mi manca solo una pagina. Potresti...»
Neanche il tempo di finire di parlare che afferra il libro e lo getta sulla scrivania dall'altra parte della stanza, stropicciandone le pagine.
Non che io tenga ai libri scolastici come ai romanzi, ma sono pur sempre una mia proprietà!
Guardo Liberio con scontento, ma lui sta sogghignando in una maniera che conosco fin troppo bene.
Infatti si lancia su di me, e io faccio appena in tempo ad afferrargli le mani per tenerlo lontano mentre finisco sdraiata sul letto.
«Oggi ci divertiamo!» ride.
«Non posso uscire! Devo badare a Saul!»
«E infatti ci divertiamo qui. Diamo fastidio a tuo fratello, guardiamo I Griffin, giochiamo alla Playstation...»
«Domani abbiamo un compito!»
Si libera e riesce a schiacciarmi sotto il suo peso. «STAVO DICENDO!» mi urla nelle orecchie. «Guardiamo video scemi su YouTube, giochiamo a Uno con Saul finché non vi straccio...»
«Stracciarci? Tu?» Sogghigno e gli punzecchio i fianchi per farlo alzare.
Appena si tira su mi lancio immediatamente su di lui e rotoliamo giù dal letto. Gli sono finita distesa sopra, ma mi sposto per ricadere sulla schiena al suo fianco, così riprendo fiato ridendo. Anche Liberio ride forte e seguita a tirarmi gomitate, che io puntualmente ricambio.
Si leva a sedere e mi fissa continuando a sorridere monello, come se avesse dieci anni. «Cosa faresti senza di me?»
«Proprio non lo so» ammetto, tra lo scherzo e la sincerità.
Mi alzo per dargli un bacio sulla guancia e, oramai disinteressata riguardo la verifica di domani, lo seguo in salotto, dove cominciamo a dar fastidio a Saul per farlo sloggiare dal divano.

                                    *

«Parliamo un po', dai.»
Mi affretto ad accostare la porta. È l'ora di andare a letto, ma Saul si sta trattenendo in salotto con il babbo.
«Sì, di cosa vuoi parlare?» sussurro, tornando vicina a nonna Rosalba.
Mi siedo accanto a lei e mi lascio stringere dalle sue braccia salde. Appoggio la testa sulla sua spalla, beandomi del calore che emana.
Non mi è mai mancata, semplicemente perché non ho mai avuto l'occasione di conoscerla. Quel che ho provato per lei è stato dispiacere per come sono andate le cose e desiderio di poterla incontrare, ma l'ho sempre e comunque amata.
Tutti mi hanno parlato così bene di lei, mamma non faceva altro che narrare storie buffe su nonna Rosalba, su quanto fosse petulante, ma allo stesso tempo forte e decisa, sempre in grado di farsi rispettare, anche tra gli uomini – quando nonna era ragazza il sessismo era più potente rispetto ai giorni nostri.

Assumo un'aria civettuola. «Allora... Nonno Ernesto non fa altro che raccontare del vostro primo bacio. A Parigi, sul Senna, con un violinista nei paraggi...»
Nonna se la ride di gusto. «Tuo nonno esagera. Non c'era nessun violinista, piuttosto un mimo molto irritante che ha interrotto quello che sarebbe stato il nostro primo bacio.»
«Ma nonno ha detto...»
«Ci siamo baciati al porto, il pomeriggio successivo. Stava per imbarcarsi per tornare qui in Italia, mentre io mi sarei trattenuta in Francia per un'altra settimana. Aveva un panino con la porchetta tra le mani e aveva già bevuto un caffè fortissimo, perciò il suo alito non era dei migliori. Oh, ma sai cosa ti dico? È stato stupendo!»
Sorrido intenerita, e pure divertita. È un po' bizzarro ascoltarla parlare con quel tono così vissuto e da vera anziana, quando in realtà il suo aspetto è appena quello di una trentenne. A volte mi fa un effetto strano chiamarla "nonna", così come per nonno Gigi.
«Tuo nonno Ernesto se lo ricorda bene» seguita a bofonchiare lei. «Solo che adora fare il cantastorie. Se mettesse su penna tutte le frottole che racconta, ne uscirebbe un romanzo davvero interessante. Avrai ereditato da lui la tua fantasia.»

Arrossisco quando viene tirata in ballo la mia passione per la scrittura. «Oh, ehm...»
«Che c'è? Prima stavo leggendo quel che scrivevi al computer. Sei brava, nipote, lasciatelo dire.»
Con il cuore che batte forte per la delizia, abbasso lo sguardo nel tentativo di nascondere l'imbarazzo. «Grazie.»
«E sarà il caso che tu non dia retta alle fandonie che si sentono in giro. Scrittori, attori, registi, tutti mestieri senza guadagno a meno che tu non abbia appoggi. Stupidaggini!» sbuffa sventolando le mani. «Tu va' avanti e lotta per i tuoi sogni, Irene Gherardi. Niente scuse! E bada eh, che se ti lasci abbattere per i commenti negativi...»
«Ehm, n-non lo...»
«Io ne ho ricevuti tanti nella mia vita, eppure ero una donna stupenda. Volevo fare la modella, sai.»
«Oh, non lo sapevo.»
Effettivamente nonna ha un fisico molto bello, nel suo aspetto più giovane. È il viso che forse è un po' troppo mascolino e potrebbe averle procurato difficoltà a realizzare il suo sogno.

Certo, non è esattamente identica alle foto che ho visto su di lei. Adesso è meravigliosa.
Ma la bellezza del suo volto, così come per nonno Gigi e Michele, è ultraterrena. Basta guardarli bene per capire che la pelle è troppo liscia e che gli occhi sono troppo splendenti perché possano appartenere alla dimensione mortale...

«E perché non sei diventata una modella?» domando cauta.
Ma mentre parlo entra Saul, così mi azzittisco bruscamente.
Mi fissa a occhi sgranati, guardandosi intorno con inquietudine. «Ire, con chi... stai parlando?»
«Nessuno.»
«Nessuno?»
«Nessuno.»
Si avvicina con il suo sorrisetto da piantagrane. «Aspetta, sbaglio o... Nessuno è il nome che si era dato Ulisse per sfuggire alle sirene?»
«Al ciclope» lo correggo brusca. Come si può commettere un errore simile?
«Beh, vuoi forse dirmi che stai parlando con Ulisse? Il tuo amico immaginario?»
Gli tiro un orecchio. «Lo sai, Saul, che dovresti imparare a fare meno il furbo?»

Lui agita le braccia, rischiando di colpirmi gli occhiali. Quando lo lascio andare, si raddrizza portandosi una mano al lobo arrossato, ma non smette di ridere: «Lo sai, Tata, che amo prenderti in giro. Dovrò pur divertirmi qui a casa. Se tu fossi stata un maschio, avrei potuto accettarti».
«Sei tu a essere arrivato dopo» ribatto, tirandogli un colpetto allo stomaco. «E per la cronaca, io volevo una sorella.»
«Ci è andata male a entrambi.»
Lo spingo via e lui corre fuori di camera, richiudendo la porta.

Accanto a me, nonna se la sta spassando. «Oh, Saul è un tipetto davvero divertente. Peccato che tenda a cacciarsi nei guai.»
«Non me ne parlare...» mi lamento, non riuscendo tuttavia a reprimere il moto di affetto che mi sta avvolgendo il cuore. «Ha l'aspetto da bambino, ma il cervello è molto più maturo di quanto lasci sembrare. È dovuto crescere così tanto in così poco tempo...»
Nonna perde il sorriso e annuisce. «Purtroppo è così...»
«A settembre comincerà le superiori e, in tutta sincerità, credo che riuscirà a cavarsela. Le superiori sono tremende, ma...»
«Perché?»
«È inutile che la gente dica che nei film ci sono solo stereotipi stupidi. Le superiori sono piene di palloni gonfiati, sbruffoni, ricconi snob, intellettuali ficcanaso... Gente vile, invidiosa e vanitosa, arrogante...»
«Quante parole che conosci.»
Mi fermo a borbottare: «Io sono sempre stata introversa. Mi è bastato rispondere a tono a chi mi infastidiva, per farli stare al loro posto, e in seguito non li ho considerati. E non dirmi che dovevo provare a stringere amicizia, perché ci ho provato, solo che sono imbranata, e loro mi prendono per strana, e...»
«Essere strani è bello» mi fa notare nonna Rosalba.
«Sì, lo penso anch'io. Ma loro preferiscono essere... normali.» Simulo una smorfia di disgusto. «Non voglio averci troppo a che fare. Tanto mancano soltanto due anni e mezzo. In ogni caso, Saul se la caverà meglio di me. Ha già tanti amici, è simpatico, divertente, socievole e ribelle.»

Saul torna, e di nuovo mi chiede con chi io stia parlando. Quando gli urlo che sto ripassando per la verifica, si zittisce ridendo sotto i baffi, poi ci infiliamo sotto le coperte.
Come sempre, lui si addormenta prima di me.
Dato che oggi pomeriggio abbiamo mangiato i biscotti al cioccolato sui nostri letti – la pessima idea è stata ovviamente di Liberio – e abbiamo sporcato le lenzuola, abbiamo dovuto cambiarle. Adesso io ho il mio vecchio piumone di Hello Kitty, mentre Saul ha quello dei Transformers.
Sono certa che nei prossimi giorni troverà la maniera per farmi una foto mentre sono accoccolata sotto la gattina senza bocca, perciò meglio cogliere subito l'occasione.
Afferro il cellulare, tolgo il flash e faccio una foto a mio fratello con i suoi robottoni stampati.

Ogni notte mi ci vuole almeno un paio d'ore prima di addormentarmi, tanto la mia mente esplode di pensieri, idee, preoccupazioni e ricordi. Alle volte mi ritrovo a piangere, altre volte a ridere.
Nonna rimane con me, accarezzandomi la testa e ridacchiando per lo scherzetto. Il suo tocco è così simile a quello di mia madre...
Ma perché lei...

«Nonna.»
«Sì, Irene?»
Prendo un profondo respiro, deglutendo il groppo che ho in gola. Sono ancora indecisa se chiederlo... ma la nonna è così rassicurante, voglio ancora parlare con lei. E voglio rivolgere a lei questa domanda tanto difficile...
Mi faccio coraggio, prima di chiedere: «Perché non posso vedere mamma?»
Nonna si ferma un istante, prima di tornare a coccolarmi con estrema dolcezza. «Tua madre ha chiesto che tu non potessi vederla.»
Conficco le unghie nel lenzuolo rosa, sentendo attanagliarmi lo stomaco da un moto di rabbia misto ad angoscia.
«Lei ti ama con tutto il suo cuore» sussurra nonna. «Pensa però che, se tu cominciassi a vederla, non riusciresti più a lasciarla andare quando poi dovremo salutarti. Perciò, per proteggerti...»
«Per proteggermi...» le faccio eco, con un tono che neanche riconosco...
Forse la nonna mi dice qualcos'altro, ma io mi sono rintanata sotto le coperte, ringhiando tanto forte da otturarmi l'udito.
Stavolta mi ci vuole molto più tempo del solito per addormentarmi...

                                   *

Come la campanella suona, mi decido ad alzarmi e a consegnare il compito. Mentre cammino verso la cattedra, lancio continue occhiate al foglio per essere sicura di aver scritto correttamente il mio nome, la classe e la data. Infine lo consegno all'insegnante e torno al mio posto.
Liberio, che ha già consegnato da venti minuti ed è rimasto a palpebre calate attendendo l'intervallo, mi si avvicina e strizza l'occhio. «Difficile?»
«No» ammetto, seppur non possa non impensierirmi per il quesito numero 5: Fecha de nacimiento y fecha de muerte de Cervantes.
Non sono molto brava a ricordare le date.
Ho chiesto a nonno Gigi un suggerimento, ma lui ha scosso la testa dichiarando che non mi avrebbe aiutata a imbrogliare.
Bella roba! Nella nostra classe imbroglia chiunque! A eccezione di Alberto, che non ne ha bisogno, e Marzia, che, anche se non ricorda qualcosa, pensa che imbrogliare sia da cafoni e quindi si rifiuta di farlo. Anzi, si deve stare attenti non che i professori ci becchino a copiare, bensì che non ci pizzichi lei, altrimenti va a spifferare tutto agli insegnanti!

«Tutto bene?» ci domanda Paolo, nervoso come sempre. «Avete visto Alberto?»
«È uscito con Nadia appena è suonata la campanella» risponde Liberio, indicando la soglia dell'aula col pollice.
Paolo aggrotta la fronte. Diciamo che ha una piccola ossessione per Alberto: di solito non lo abbandona un istante, sembra la sua piccola ombra.
«Oooh credo di aver scritto male una frase alla domanda 3!» confessa impacciato.
«Accidentaccio» sbuffa Liberio, in tono canzonatore. «Ti beccherai di sicuro un'insufficienza.»
Paolo la prende come una profezia e diviene paonazzo dalla paura.

«Ti prende in giro, Paolo» interviene Marzia, con la sua vocetta stridula. «È invidioso perché tu prenderai 9 e lui un misero 7.»
«7 è un bel voto» difendo il mio amico, scrollando platealmente le spalle. «Non capisco perché tu pensi il contrario.»
Di solito ai compiti in classe prendo 8 o 9, ma se ottengo un 7 non mi lamento assolutamente; un 6 mi darebbe più dispiacere, ma è sempre meglio di un'insufficienza.
Per Marzia invece è l'8 a essere insufficiente!
«Io con un 7 vivo bene» dice Enrico, dondolando rilassato sulla sedia, le mani dietro alla testa.
«Chiunque vive bene con un 7,» lo appoggia Giulia, «a parte i secchioni come Marzia e Paolo.»
Marzia tira forte su col naso. «Invidia! Tutta invidia!»
«Per favore!» ride Luca. «Io l'invidia ce l'ho già per Roberta con i suoi 6!»
«Pelò ce la siamo cavata con un bel 6- a scienze, eh?» gli ricorda Guo, tutto fiero.

«Non capisco cosa abbiate da ridere» li frena Binah, che sta scuotendo i capelli intrecciati dai rasta come se desiderasse attirare l'attenzione. Si avvicina strusciando sul pavimento sporco l'orlo dei pantaloni floreali a zampa di elefante, e canticchia fastidiosamente: «I professori sarebbero più gentili con la nostra classe, se anche voi foste bravi».
«Quanto ti ha dato la Delfi a francese? 6+?» le accenna Liberio.
Azzittita, Binah lo guarda indignata, per poi andarsene in tutta fretta con Marzia.

Lancio un'occhiata a mio nonno, appoggiato in disparte al muro ad ascoltare i battibecchi tra compagni. Ha un'espressione indecifrabile...
Forse è deluso da come ci siamo comportati verso Marzia e Binah, ma io sono convinta che ogni tanto a quelle due faccia bene venire zittite.
Una è brava a scuola, ma ficca sempre il naso negli affari degli altri e, alle restituzioni dei compiti, non manca mai di allungare il collo per indagare assiduamente sui voti altrui; Binah è la sua amichetta del cuore, sempre pronta ad appoggiarla e a parlare come una paladina della giustizia, quando farebbe di certo meglio a tenere la bocca chiusa e a guardare per sé, tante sono le cavolate che spara.

Guo, intanto, sembra essersela presa: «6- è sufficiente, no?»
«Non starle a sentire» lo chiama Giulia. «Sai come sono fatte.»
«E poi, stavo prendendo in giro Paolo solo per scherzo» borbotta Liberio. «Va a finire che quelle ci fanno litigare per niente.»
Paolo sta però scuotendo la testa, cupo. «Lo so che scherzavi. E-e comunque, io non penso che voi roviniate la classe» aggiunge, rivolto a Luca e Guo.

Quest'ultimo sembra molto più fosco dell'amico, e non posso biasimarlo. Si è trasferito qui in Italia dalla Cina da soli tre anni, ha ancora un po' di problemi con la nostra lingua, e ho sentito dire che i suoi genitori sono piuttosto severi riguardo ai voti scolastici. Lui però è un po' scansafatiche, ma solo in ambito accademico: ha infatti raccontato che durante la sera lavora sodo a un bar in piazza Santa Caterina, assieme allo zio di un amico.
E quelle cretine di Marzia e Binah, nonostante sappiano dei suoi genitori e dei suoi problemi di idioma, hanno voluto comunque punzecchiarlo...

Vedo Nadia e Alberto rientrare in classe, lei tiene tra le mani un panino incartato emanante un profumino delizioso.
Quando ci vede tutti accigliati, dice pimpante: «Mi sono persa un litigio? Vi va di fare il bis? C'entri tu, Gherardi?»
La guardo male, ma Bianca si affretta a dire, con il suo solito tono diplomatico e cauto: «Marzia e Binah se la sono presa per...»
«Marzia e Binah?» la interrompe Alberto, già sugli attenti a guardarci tutti con la sua famosa occhiata inquisitrice. Sembra sempre un fratello maggiore pronto a rimproverare i fratellini litigiosi e combinaguai.
«Hanno cominciato loro!» esclama Luca, quasi intimorito da quello sguardo.
«Che cos'è successo? Con chi se la sono presa stavolta?»
«Un po' con tutti» racconta spiccio Liberio. «Ma in particolare con Luca e Guo.»

«Oddio, cioè, ho capito!» Nadia si avvicina ad abbracciare i due ragazzi, i suoi tirapiedi che però ama con tutto il cuore. «Non avrete ascoltato quella malata di studio e la sua amica cioccolatina, vero?»
«Nadia!»sbotta Bianca, scandalizzata.
«Niente battute razziste!» soffia acido Enrico, come sempre infervorato di fronte all'intolleranza.
«Che c'è?» ribatte Nadia. «Non è razzismo. Chiamo sempre Guo "il mio cinesino giallino".»
Il diretto interessato scoppia a ridere, allora Alberto ne approfitta per dire: «Proverò a parlare con loro... di nuovo... Perché voi non le ignorate e basta? Nessuna risposta, come se non esistessero. Vedrete che si placheranno».
«Sarà difficile...» obbietta Liberio. «Ma è anche vero che l'arma migliore contro i piantagrane è ignorarli del tutto, quindi va bene.»

«OK.» Alberto prende un respiro profondo, prima di dire in tono pratico: «Vado a cercarle...»
«Vengo anch'io!» trilla Paolo, afferrandogli un braccio.
Mi accorgo che Alberto sta chiudendo gli occhi come a cercare di calmarsi, ma alla fine gli fa un cenno ed escono insieme.

«Andiamo al bar?» propongo poi a Liberio, che subito si alza per seguirmi fuori dall'aula.
Nonno Gigi ci rimane appresso. Silenzioso, passa attraverso i corpi degli studenti ignari della sua presenza. Non rabbrividiscono al contatto con l'angelo, forse perché il pizzicore viene provocato volutamente, come mi ha spiegato nonna Rosalba.
E devono esserci un sacco di angeli in mezzo alla folla di studenti, poiché ogni tanto nonno Gigi fa un cenno di saluto verso qualcuno che non posso vedere.
«Che cosa guardi?» Liberio ha seguito il mio sguardo, cercando quel che cerco anch'io, pur non sappia di cosa si tratti.

«Niente» mi affretto a rispondere, tornando a camminare e facendomi largo tra gli studenti. Prima che lui possa fare domande, mi sbrigo a commentare: «Certo che Nadia, per tutto quello che può essere, è leale ai suoi amici».
«Forse siete uguali in fatto di umorismo razzista.»
«Perché?»
«Mi chiami sempre "faccia d'ambra", "sangue latino", o...»
«E tu mi chiami "viso pallido" e "bimba bianca"» replico ridendo. «E comunque, lo faccio solo per gioco!»
Liberio ride sotto i baffi. «Anche io.»
«In ogni caso,» gli lancio un pizzicotto alla spalla, «non azzardarti mai più a dire che io e Nadia Bensi siamo uguali!»
Lui si ritrae bloccandomi le mani e, dopo avermi fatto l'occhiolino, scappa verso il bar, nascondendosi in mezzo alla folla di ragazzi che sgomitano come cagnetti per raggiungere il banco e ordinare.
Liberio è alto, ma snello, e nel bar ci sono molti studenti spilungoni o dalle spalle larghissime, perciò lo perdo di vista.

Avvicinatami all'entrata, mi dirigo invece sotto il portico inferiore della scuola per sedermi su uno dei piedistalli di marmo. Ci sono altri ragazzi a mangiare qui, o a fumare, o semplicemente a riunirsi per chiacchierare allegramente.
Nonno Gigi mi siede accanto, e io mi gratto il naso per nascondere le labbra in movimento: «Mi auguro che Liberio abbia l'accortezza di portarmi da mangiare».
«Sembra piacergli molto stuzzicarti.»
Afferro il cellulare e lo accendo per aprire Instagram, così da avere una scusa per mantenere il capo chino e parlare pianissimo: «Hai presente il film Inside Out della Pixar?»
«Il cartone animato? Certo. Sei andata a vederlo con tutta la famiglia, anche con i tuoi zii e tuo cugino. Ma ci sono stato soltanto per l'inizio, dato che poi sono dovuto tornare da Carla, che era rimasta sola con Adele.»
«Beh, l'inizio lo hai visto, no? Hai presente Rabbia? Ecco, Liberio smuove la mia Rabbia, facendole premere tutti i pulsanti del pannello di controllo del mio cervello...»
Nonno sorride. «Soltanto Rabbia?»
«No. Anche Gioia. Anzi, soprattutto Gioia.»
«Mi fa piacere che ogni tanto anche quell'emozione si attivi in te.»

Arrossisco, guardandolo in tralice. È così che appaio? Mai felice? Beh... Io alle volte sono felice? Con Liberio, con Roberta e la mia famiglia... Certo è impossibile ignorare l'assenza della mamma...
«Anche se la mia "emozione guida" è Disgusto, Gioia non si è spenta» borbotto brusca.
Nonno Gigi non mi risponde, e temendo che se ne sia andato, mi volto a cercarlo. Invece è ancora accanto a me.
Tiro un sospiro impensierito. Devo spiegarmi meglio. Come ha detto Michele, gli angeli sono capaci di percepire i sentimenti dei propri protetti. Perciò loro sanno benissimo che cosa provo, ecco il motivo della loro preoccupazione...

Ma prima che possa parlargli ancora, qualcosa alle sue spalle attira la mia attenzione. A una ventina di metri di distanza da dove mi trovo io, un ragazzo alto e in sovrappeso sta appoggiato a una colonna, a guardarsi intorno... con fare sospetto...
Mi sistemo gli occhiali e strizzo gli occhi per mettere meglio a fuoco: quello è... Claudio Righini?
Nonno si volta per seguire il mio sguardo, e un secondo dopo Claudio sparisce dietro alla colonna.
Allora mi alzo per dirigermi cautamente da quella parte, di pochi passi, nascondendomi poi dietro a un'altra colonna a sbirciare.
«Cosa stai facendo?» mi rimbrotta il nonno.
Gli ammicco di far silenzio e allungo cautamente il collo. Claudio sta conversando con qualcuno, là dove non sono raggruppati gli studenti. Purtroppo non riesco a vedere il suo interlocutore, né a sentire cosa si dicono, parlano troppo a bassa voce.

«Qual è il problema?» insiste il nonno.
«Nessuno studente si spinge mai da quelle parti» bisbiglio. «E Claudio ha un fare sospetto. È un ragazzaccio. Suo padre è in prigione, sai: è finito al fresco in seguito a una rapina, a cui ha partecipato pure Claudio! Soltanto che lo hanno considerato una vittima forzata dopo che suo padre ha confessato di averlo costretto, ma forse solo per proteggerlo.»
«Quindi?»
«Quindi... ho paura di lui...»
«Hai paura di lui e lo spii?»
«Beh, se stesse organizzando qualcosa di losco?»
«Hai un po' di pregiudizi verso gli altri, non trovi?» Quando lo guardo male, lui dice svelto: «Magari è cambiato».
«Non ne sono certa...»
Mi viene da pensare a Tommaso, che nonostante tutte le sedute in terapia, forse non si è ancora allontanato dalla droga...
Quindi, può darsi che neanche Claudio si sia distaccato molto dal crimine...
Sì, forse ho pregiudizi verso gli altri...

«Senti,» ringhio, «è vero, tutti meritano una seconda chance. Ma sempre meglio non dimenticare ed essere prudenti, no? Ora, va' in avanscoperta» ordino.
Lui mi guarda inebetito. «Cosa devo fare?»
Lo fisso esasperata. Cosa c'è di così difficile da capire? «Va' laggiù e scopri con chi sta parlando Claudio e cosa dicono!»
Nonno Gigi mi fissa come se avessi le coccinelle al posto del cervello. «Non posso farlo.»
La bocca mi si spalanca tanto che il mento quasi tocca terra. «Perché no? Sei un angelo, nessuno ti vede tranne me!»
«Non posso andare dove voglio. Gli angeli sono legati ai propri protetti. Non possono muoversi troppo lontano da loro.»
Mi accascio contro la colonna segnata dai graffiti. «Ma dai... Uff... Allora non mi sei utile.»
«Stamattina hai lasciato l'educazione a casa, Irene?»

«E se mi avvicinassi un poco?» propongo.
Lui però scuote freneticamente la testa. «No. Non voglio che ti avvicini. Saresti sola, e io non potrei intervenire...»
«Uuh!» lo prendo in giro. «Quindi non ti fidi di Claudio? Hai pregiudizi?»
«Mi preoccupo per te, e smetti di prendermi in giro. Claudio potrebbe arrabbiarsi semplicemente perché stai spiando, cosa che non biasimerei. Magari è con la sua dolce metà.» Nonno Gigi si sta arrabbiando, cosa non da lui, considerato che possiede una calma quasi disumana.
Meglio darsi una raddrizzata. «Una volta in classe», dico con più gentilezza, «puoi parlare con gli angeli al seguito di Claudio? Avrà qualche parente deceduto che lo protegge.»

«No, non ha nessuno» mormora il nonno. «Presumo...» ora esita, con aria cupa.
«Cosa?» lo incalzo piano.
Prende un sospiro triste, dicendo: «Anche se non gli è ancora morto qualcuno di caro, i bisnonni e i prozii rimangono vicini ai loro discendenti. Però, presumo Claudio non senta il bisogno di avere qualcuno accanto. Ma sarebbe molto triste, perché qualsiasi essere umano intelligente e sensibile sente la mancanza di qualcuno che se n'è andato, e ne richiede la vicinanza.»
«Bestemmia a più non posso, perciò è ateo.»
«Non è questo il punto. A noi angeli non interessa se i nostri cari sono Credenti o atei, rimaniamo loro vicini finché sentono bisogno di noi. Nonostante gli atei non credano che vi sia una vita dopo la morte, desiderano comunque la presenza di chi è andato perduto.»
Queste informazioni stanno accendendo così tante domande dentro di me, ma in questo momento non posso porgerle...
Torno a voltarmi verso Claudio, che però è sparito. «Diamine...»

«Effy?»
Sobbalzo lanciando uno squittio.
Alle mie spalle c'è Roberta, con tre panini incartati tra le mani. Mi sta scrutando, stranita, lanciando diverse occhiate alle mie spalle. «Ehm... Stai bene? Che cavolo stai facendo?»
«Nulla» rispondo, la voce acuta dalla sorpresa e dall'imbarazzo. «Ehm, e tu?»
«Sono andata a prendere i panini per te e Liberio.» Mi passa uno dei fagotti. «Lui dov'è?»
«Oh, è al bar. N-non sapevamo che ci avresti preso tu la colazione. Lo stai facendo sgobbare per niente, Roo.»
«Ma senti tu! Che ingrata che sei! Volevo fare una cosa carina! Mai più, Effy!»
Scoppio a ridere.
Siccome il diminutivo che le ho dato alle elementari era Ro, allora lei ha cominciato a chiamarmi Effy. Come Effy e Roo, personaggi di Winnie the Pooh: il piccolo efelante si chiama Effy, il cangurino Roo, dunque io la chiamo Roo, con due "o".
È una cosa da bambine, ma quando siamo insieme, io e lei torniamo sempre piccole, e non ce ne vergogniamo.

«Allora, che stavi combinando?» insiste, seguitando a scoccare occhiate curiose alle mie spalle.
Nonno mi fa un cenno come a consigliarmi di dirglielo, ma io scuoto impercettibilmente la testa. Non ho prove di nulla, e Claudio è conosciuto in classe per essere atipico... Roberta risponderebbe sicuramente così...
«Niente, è che...» batto le mani sulle cosce.
Che disagio...
Non ho idea di cosa inventarle...
Scarto il panino: cotto e fontina, come piace a me. Ma devo sviare la domanda, quindi... «Stamattina mi andava la cotoletta.»
Roberta strabuzza gli occhi. «La cotoletta?! Ehi ehi, sono io la mangiona tra le due! E poi senti quanto sei ingrata! Non è...»
Sentiamo uno schiarirsi di gola, dunque ci voltiamo verso Liberio. Il poveretto tiene tre panini tra le mani e ha i capelli più arruffati del solito. Gli occhi sono sconvolti e stanchi, ma lasciano presagire una leggera rabbia...
«Cosa sono quelli?» squittisce in una nota buffa, accennando ai panini che teniamo noi.
Roberta batte un piede a terra e urla: «Ingrato anche tu! Io ci rinuncio!»
«Ci rinunci?! Ma lo sai cos'ho appena passato io?!»

Tiro un sospiro di sollievo e li seguo, senza mancare di lanciarmi un'ultima occhiata alle spalle. Claudio non si vede...
«Hai intenzione di parlarne con qualcuno?» chiede il nonno.
«A Liberio, più tardi» mormoro, mordendo il panino. «Ma servono prove concrete per poter incastrare Claudio.»
«Sempre che stia facendo qualcosa di sbagliato» mi ricorda, scettico.

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