Capitolo 7
Alla sera Saul fa un po' di bizze quando il babbo viene a prendermi. Un ultimo saluto e poi torniamo a casa, così accompagniamo anche Liberio e Roberta, che sono stati tanto cari da rimanere tutto il giorno con me alla misericordia. Tommaso ci ha poi raggiunti con gli zii, mentre nonno Ernesto se n'è andato dopo pranzo.
Quando torno a casa, gli angeli sono presenti. Non sono entrati in macchina, probabilmente perché non c'era posto, ma adesso sono qui.
Nonno Gigi passa al fianco di suo figlio, ogni tanto guardandolo.
Dopo una rapida cena, mi rifugio subito in camera con la scusa di essere stanca. Fortuna che mio padre è provato e si addormenta sul divano, così posso parlare liberamente.
«Non sei contento di rivedere tuo figlio?» domando a nonno Gigi.
Lui risponde tranquillamente: «Lo vedo sempre. Sono sempre qui. O qui, o con Adele e Carla».
«Oh, giusto.» Poi guardo nonna Rosalba. «Ehm, quando hai toccato Saul...»
«I vivi non possono percepirci del tutto» spiega. «Siamo incorporei, ci passate attraverso.»
«Ma tu forse...» Nonno Gigi mi si avvicina, si inginocchia dinnanzi a me e mi tende le mani.
Lo guardo negli occhi. È il nonno... È nonno Gigi. Senza le rughe e con una camminata più attiva, ma è lui...
Titubante, sollevo le mani e, tremando, le poso sulle sue...
Lo sento. Posso toccarlo! Le sue dita mi provocano come un leggero solletico ai polpastrelli, molto piacevole. I suoi palmi sono più lisci di quanto ricordassi, ma riconosco il tocco che ho amato: così tenero, caldo, confortante come la sua voce...
Torno a guardarlo negli occhi mentre stringe sempre più le mie mani e mi sorride.
Mi sporgo in avanti per mettergli le braccia attorno al collo. E anche lui abbraccia me.
Le lacrime mi colano sul viso mentre stringo ancor piu forte. La sensazione di gioia che sto provando è... indescrivibile...
Lo avevo perso, avevo creduto di non poterlo più riabbracciare... invece eccoci di nuovo stretti l'una all'altro!
Non posso sporgermi oltre, se lo faccio percepisco come un leggero vuoto. Se esagerassi, gli passerei attraverso.
Ma va bene così. È perfetto così.
«Ti voglio bene...» sussurro tra i singhiozzi.
«Anche io, Irene» mormora, strusciandomi i capelli. «Anch'io.»
Lo lascio andare con sconforto, temendo quasi che possa scomparire da un momento all'altro...
Mi giro verso nonna Rosalba, e ricambio il sorriso. «Piacere di conoscerti.»
«Oh, amore...» Mi stringe anche lei. Il suo è un abbraccio caldo, saldo, più forte di quello del nonno. Se le sue braccia non mi attraversassero parte del corpo – provocandomi pizzicorini – mi soffocherebbe di sicuro.
Non appena mi lascia colgo l'occasione per strusciarmi gli occhi, prima che torni ad avvolgermi con impeto.
«Ho sempre voluto conoscerti» confesso, la mia voce strozzata.
«E io ho sempre desiderato che tu mi sentissi.»
Ci stringiamo a lungo, in silenzio. Ho così tante cose da domandarle, finalmente ho l'opportunità di parlare con la nonna che non ho mai conosciuto. Non avrei mai immaginato che potesse presentarsi un evento simile!
Ma adesso non è il momento adatto.
È tardi, i nonni devono tornare dai rispettivi coniugi.
Li lascio andare con profonda paura: domani torneranno? Sarò ancora capace di parlare con loro?
Adesso però voglio discutere con qualcun altro. Il desiderio di parlare almeno un'ultima volta con lui è sempre stato il più doloroso...
Non appena i nonni abbandonano la stanza, io mi giro verso Michele, seduto a gambe incrociate sul mio letto.
Prima che lui possa dire qualcosa, mi getto in avanti per stringerlo forte.
Lo sento mugugnare dolcemente, mentre io piango piu violentemente.
Allora si tira su facendomi cenno di rialzarmi, ma io singhiozzo: «Mi dispiace! Mi dispiace, io non volevo perderti...»
«Ehi, dai, mica è colpa tua...»
«Lo so, ma... c-credo di non a-averti mai detto tante cose...»
«E che mi volevi dire? Dai, Ire, è tutto OK. Senti, io sono qui, sono sempre stato qui.» Mi strizza il naso. «Riprenditi, su.»
Mi struscio il viso, mi soffio il naso e tento di calmarmi. Ma non perdo mai il sorriso.
Solo una volta le mie labbra si storcono, quando mi sovviene un dubbio. Il dubbio che, per questi quattro anni dalla sua scomparsa, mi ha attanagliato le viscere, facendomi imbestialire ancor più per l'accaduto... e so che tutti in famiglia si sono posti la mia stessa domanda, seppur non ad alta voce.
Adesso arrabbiata, quasi inferocita, sibilo: «Eri ubriaco?»
Michele mi guarda perplesso. «Eh?»
«La notte in cui...» esito.
Agli angeli farà male ricordare la propria morte?
«La notte in cui sei morto» soffio. «Tu eri alla guida. Eri ubriaco?»
Michele si gira del tutto verso di me, incrociando di nuovo le gambe sul letto. Mi fissa con tanta pena che le lacrime mi scendono più copiose e il cuore sembra stringersi in una morsa d'acciaio. «No, Irene» risponde piano. «Non nego di aver bevuto durante la festa, ma mi sono dato un contegno, perché sapevo che avrei guidato io. Gli altri erano ubriachi, sì, chi più degli altri. Ma io ero lucido, come sempre quando tornavo a casa e sapevo di dover guidare. Ricordo tutto quanto l'accaduto. Io avevo la precedenza all'incrocio, ma quella macchina aveva i fari spenti, e non ho fatto in tempo a...»
«Va bene!» lo interrompo brusca, cercando inutilmente di asciugarmi il viso. Mi sono appena resa conto che sentirlo parlare della sua stessa morte è terribile...
Lui mi sorride teneramente. «Non mi infastidisce ricordare. So anche che non ho da attribuirmi colpe per la morte di Walter: è inutile incolparsi per ciò di cui non si è responsabili. Non avrei potuto schivare quell'automobile, e Walter...» Si accorge che sto tremando incontrollata, perciò s'interrompe.
Prendo respiri profondi per ricompormi, e, con la voce ancora rotta dal pianto, mugolo: «Allora... ehm... com'è il Paradiso?»
«Uoah uoah uoah!» urla agitando le braccia. «Niente domande simili! Non mi è concesso rispondere!»
«Mmm, neanche un indizio?» tento, cominciando ad attenuare il pianto.
Lui scuote la testa con aria da saputello, allora gli tiro un pugnetto alla spalla.
«Ehm... tu sai di... di Tommaso?»
Michele sospira cupo. «Sì...»
«Anche dell'altro giorno?»
«Sì, ma...» sospira passandosi le mani sugli occhi. «Noi angeli di vite trapassate non siamo onnipresenti, siamo vicini a chi ci ha amati, andiamo da chi ne ha più bisogno sul momento e da chi ci chiama. Siamo in tanti, ci sono anche i bisnonni. Invece gli Angeli Custodi non ci rivelano i segreti dei loro protetti. Però... senti, l'incontro di ieri con quel tipo non ci è sembrato nulla di male... Tommaso ha ripagato un vecchio debito, fine... Certo, ammetto di essere preoccupato... ma prima di ieri non aveva più avuto incontri del genere.»
Il cuore comincia a battermi forte per la paura. «Va bene, gli starò più vicina anch'io...» Gli sfioro la mano, oramai priva dei calli da chitarrista. «Miche... hai mai visto Dio?»
«Sì, ma non posso darti risposte.»
«E Gesù?»
«Ho parlato anche con lui.»
«E gli Angeli Custodi?»
« Sempre presenti.»
«Dov'è il mio? P-posso provare a parlargli?» domando emozionata, guardandomi intorno come a cercare un nuovo angelo nella stanza.
Michele invece sogghigna. «Lui si trova dentro di te. Credici o no, ma è così. Proprio come Gesù, e il Signore.»
Dunque Loro ci sono. Lui me lo sta confermando.
«Voi riuscite ad ascoltare i miei pensieri?»
«Noi no. Il Padre sì. Però noi angeli siamo capaci di percepire i sentimenti che state provando.»
«E... con chi parlavi all'ospedale?»
Michele fa spallucce. «Walter.»
Strabuzzo gli occhi. «Walter era lì?!»
«Certo, con Roberta. È sempre con lei. Ci incontriamo spesso, soprattutto quando voi due siete insieme.»
«Oh, Walter...» Sorrido al ricordo di quel ragazzo smilzo con i capelli scuri, lunghi quanto quelli del suo migliore amico.
Avevano una band, avrebbero voluto sfondare. Michele era il capo, il chitarrista; Walter invece era il bassista. Avevano altri due amici, uno cantante e uno batterista. Si chiamavano I Rapaci della Notte. Michele aveva sempre creduto nel suo sogno... che gli era stato strappato via, assieme alla vita, da un ubriacone al volante...
«Perché non vai a dormire?» mi propone mio cugino. «Sei a pezzi. Io resto un po' qui, OK?»
Annuisco.
Mi spoglio – non c'è bisogno di chiedergli di voltarsi – indosso il pigiama e mi infilo sotto le coperte.
Lui mi resta seduto vicino, ad accarezzarmi la testa.
Vorrei chiedergli un'altra cosa in particolare: è un pensiero che mi punge il cuore, ma... ho paura che la risposta mi ucciderà. Perciò mi trattengo...
«Mi sei mancato, Miche.»
«Sì, lo so. Ma non me ne sono mai andato.»
Chiedo perdono al Signore per come mi sono comportata. E Lo ringrazio.
In poco tempo, grazie alla vicinanza di mio cugino e al suo calore, riesco ad addormentarmi, beata.
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