Capitolo 33

Gli angeli tengono d'occhio la situazione, ma sembra che i malviventi non si accorgano del gioco del telefono-senza-fili.
Alzo la testa verso la piattaforma superiore. Lassù, neanche con un piede nella stanza, sbuca Tommaso, dunque mi sbrigo a fargli un piccolo cenno.
Per fortuna capisce al volo e sparisce, per poi affacciarsi un istante più tardi dalla porta, assieme a Liberio e Alberto. I tre si accucciano tra le bambine che stanno facendo loro da scudo, e cominciano a strisciare verso di noi.
Le piccole vittime sono davvero brave, nonostante tutto. Alcune, ignare di quanto stia accadendo, spalancano la bocca e fanno per dire qualcosa ad alta voce, ma fortunatamente le compagne tappano loro le labbra appena in tempo.

Una volta che i ragazzi ci hanno raggiunte, Samia ci fa cenno di proseguire. «Ci fidiamo di voi...» dice con voce flebile.
Il mio cuore si stringe in una morsa rovente: perché le ho dato così tanta speranza? Cosa posso fare io? Non so neanche se uscirò illesa da questa situazione...

Senza rispondere, avanzo al seguito dei miei amici, ma presto passo alla guida. Devo fare in modo che rimangano fermi nei momenti opportuni, quando gli angeli mi ammiccano che i criminali stanno guardando presso la nostra direzione...
La porta sembra lontana anni luce, ma finalmente riusciamo a raggiungerla.
È semiaperta, una bambina vicina dice: «È molto meglio stare qui che andare là. Alle volte sento delle urla...»
Alberto schiocca la lingua, affrettandosi a uscire.

Una ragazza un po' più grande, invece, si gira e abbassa un poco il capo. I suoi capelli scuri sono unti e arruffati, la pelle pallida presenta alcune sfumature di grigio, facendo intendere quanto sia malata.
Quando le guardo il viso incavato e gli occhi socchiusi, faccio fatica a riconoscerla... «Bianca...»
«I-Irene, m-ma cosa ci...»
Mi porto l'indice alle labbra per farle cenno di far silenzio. «Roberta è di là?»
«S-sì...» Gli occhi acquosi di Bianca sono arrossati, come se avesse già fatto iniezione di qualche sostanza acida. «Irene, è colpa mia, lei...»
«Ora non c'è tempo» la interrompo, senza celare l'odio. «Ci pensiamo noi. Tu sta' buona qui.»
«Se volete fare qualcosa, sbrigatevi. Alcune quaggiù adorano tutto questo, e altre sono già impazzite. Non resteranno in silenzio a lungo...»
Annuisco per farle intendere che ho capito, allora seguo gli altri fuori dall'ampia stanza, in un intermezzo vuoto simile all'ingresso della struttura.

Ci sono due porte, una di fronte a noi e una alla nostra sinistra, da cui provengono strani ansimi...
Tapparmi le orecchie è del tutto inutile, mi sembra quasi di udirli nella mia testa...
So cosa sta succedendo là dentro...
«C-che cosa facciamo?» Liberio cerca di prendere respiri profondi per calmare il fiatone. «Se entriamo là, interverranno anche quelli qua dentro» mormora poi, indicando la porta appena superata.
«Ma che cosa possiamo fare?» Alberto si passa le mani sul viso. «Non possiamo andare lì così, ci a-ammazzeranno... Sarebbe tutto inutile...»
«P-però non possiamo ab-abbandonare quelle ragazze. Lo senti cosa...»
«Lo sento...»

Le unghie di Nadia si ficcano nel dorso della mia mano. Non abbiamo ancora sciolto le dita, siamo sempre strette come gemelle siamesi.
I suoi occhi scuri fissano intensamente la porta oltre cui si trovano le altre ragazze.
Roberta è lì?

Vedo Tommaso avvicinarsi a passo lungo. Faccio per seguirlo, ma Liberio mi tira il braccio per farmi rimanere ferma sul posto.
Seguito da suo fratello, Tommaso raggiunge la porta che si trova al lato opposto al nostro e vi sbircia cautamente, con la pistola tenuta puntata in avanti.
Lo vedo entrare, per uscirne poco dopo con altre armi alla mano: quattro pistole e quattro coltelli.

Ci si avvicina e ci guarda spaventato intanto che ce le porge. «C-c'è un vero e proprio armamento lì, oltre alle siringhe e a tutta la roba... I-io credo che... che a loro piaccia torturare e far del male... F-forse subivano le stesse cose... Tenete, e togliete la sicura.»
Liberio e Alberto ci aiutano a controllare che le pistole siano cariche, e io tengo stretta la mia, fredda come il Cerchio dei Traditori dell'Inferno dantesco... Sto tenendo tra le mani un'arma da fuoco, un oggetto tanto letale...

«Però è vero, se ci lanciamo all'attacco così, moriamo senza ombra di dubbio» sento borbottare Tommaso. «Interverrebbero tutti, e... Serve un diversivo.»
«Hai qualche idea?» chiedo.
«Sì.» Tommaso indica la porta oltre cui si trovano armi e droga. «La stanza prosegue fino a un'altra. Non so dove arriverò, ma... se comincio a sparare, verranno a controllare, così voi avrete più via libera. Approfittatene per...»
«Sei impazzito? Tommy, è troppo pericoloso!»

Lui nega con la testa, prima di baciarmi alla fronte. «È l'ora che anch'io mi occupi delle mie responsabilità. Ti sei presa cura di me per tanto tempo, ora tocca a me supportarti.»
«Tommy, per favore...»
Non riesco a finire la preghiera che lui si lancia a corsa verso la porta interessata, seguito da Michele e da nonna Rosalba.

Liberio e Alberto strattonano me e Nadia affinché filiamo a nasconderci in un angolo avvolto nell'ombra.
Rimaniamo accucciati, stretti l'uno all'altro... e sussultiamo forte non appena sentiamo cominciare a sparare a ruota.
A brevissimo distacco, come previsto, dalle altre due porte spuntano alcuni ragazzi, tra loro riconosco persino quel Loris Massai.
Non badano a noi, non riescono a vederci: tutta la loro attenzione è rivolta agli spari che si fanno pian piano più lontani.
Si lanciano tutti all'inseguimento, ma noi aspettiamo qualche istante prima di guadagnare il coraggio per rialzarci...

Alberto si gira verso la porta da cui siamo passati, e si sporge un poco per spiare. «Ne è rimasto uno solo... Ha una pistola, ma... ce l'ho anch'io... Voi andate avanti.»
«Non puoi rimanere solo» lo chiama Nadia, per la prima volta separandosi da me. «Ti sto dietro, così lo minaccio.»
«Non è necessario.»
«Sta' zitto, va'. Non darti tante arie e lasciati aiutare, capoclasse. Sono una spalla migliore di Marzia.»
«Scema, questo lo so bene.» Alberto lancia un'occhiata prima alla sua e poi alla propria pistola, infine annuisce.
«Siete sicuri?» mormora Liberio.
L'altro allunga la mano verso di lui e se la stringono, come se stessero accordando un patto. «Fate attenzione.»
Liberio sospira. «Sì, ciccio... Anche voi, eh.»
Detto questo, Alberto e Nadia si allontanano nell'altra stanza.

Io e Liberio invece ci scambiamo uno sguardo d'intesa, e insieme ci avviamo verso la porta oltre cui si trova Roberta.
Lui sbircia per primo, ma io mi chino per poter guardare da sotto il suo braccio: la stanza è molto più piccola dell'altra, e ci sono meno ragazze, più grandi rispetto alle altre. Hanno la nostra età e poco più, e appunto sono tutte molto formose, oltre che, in particolar modo, belle.

Le mie dita si stringono attorno alla pistola...
Nonno Gigi si accuccia vicino a me e mi stringe la spalla. «Mantieni la calma...»
Non posso... Non ci riesco...
Liberio china il capo per parlarmi: «Non c'è nessuno di loro».
Ha ragione, qui dentro ci sono soltanto ragazze.

Entriamo lentamente, facendole sussultare senza che neanche ci riconoscano.
Le poverette sono disposte in due gruppi: da un lato coloro ancora vestite, da un altro quelle denudate e ricoperte di lividi e graffi...

Una figura si alza, con mio sollievo dal gruppo di ragazze ancora vestite, e barcolla verso di noi a braccia tese. «Ire... Libe...»
Le corriamo incontro per abbracciarla. «Roo, va tutto bene...»
«Adesso ce ne andiamo.»
Le afferro il viso e le accarezzo i capelli, osservando la sua profonda smorfia di pianto che le solca il bel viso.
«Ire, è orribile... Hanno... hanno v-v-violentato... di fronte a noi, e... vogliono anche Grazia, e-e me...»
Ha un labbro spaccato e un occhio nero. Probabilmente ha tentato di scappare ed è stata punita... ma per il resto, sta bene. È soltanto molto scioccata, così come tutte queste altre ragazze.
Alle sue spalle, Grazia ci fissa con le lacrime agli occhi, adombrata nel senso di colpa.

Gli spari riecheggiano attraverso l'edificio, e sentiamo urlare nella stanza delle ragazze più giovani.
«Alzatevi!» incita Liberio, ammiccando a tutte le presenti. «Ce ne andiamo da qui! Veloci!»
Non so se crede davvero che riusciremo a fuggire, ma non siamo venuti per esitare. Siamo venuti per trovare Roberta e così è stato, e adesso non possiamo abbandonare queste altre vittime.
Poi udiamo nuovi spari, ma molto più vicini rispetto ai precedenti.

Ci lanciamo a corsa fuori dalla stanza e ci affacciamo in quella delle bambine.
Ne vediamo alcune intente a muoversi in direzione del loro rapitore, il quale non fa in tempo a sollevare la pistola che quelle gli sono addosso e lo atterrano, dopo avergliela tolta di mano.
Altre ragazzine litigano invece tra loro, si tirano i capelli e si prendono a pugni. Bianca sta mordendo la mano di una poco più piccola, mentre Samia si è lanciata ad afferrare la pistola prima che un'altra ragazza potesse appropriarsene, e adesso le due si squadrano in cagnesco.
Tutte le altre bambine, le più impaurite per provare a reagire, tengono la testa abbassata, piangono a orecchie tappate e dondolano sul posto.

Invece Alberto è chino su Nadia, supina a terra e scossa da tremiti irregolari.
Il mio cuore accelera violentemente quando mi accorgo che le sue gambe sono ricoperte di sangue...
Mi giro verso il ragazzo che è stato sopraffatto dalle bambine e istintivamente sollevo la pistola. «BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!»

«NON UN ALTRO PASSO, STRONZO! UN ALTRO E GIURO CHE LE TAGLIO LA GOLA!»
Mi giro di scatto verso queste nuove grida.
Tornata indietro, vedo che Liberio sta tenendo la pistola tremante puntata su un ragazzo gigantesco, il quale sta stritolando tra le sue braccia Roberta, puntandole un coltello al collo.
Quello è Claudio...
Colui che una volta è stato solo un nostro compagno di classe sinistro, ora sta minacciando apertamente la mia migliore amica, pronto ad ammazzarla.
Liberio lo fissa con veleno, ma non osa sparare. Non sa certo usare una pistola, e potrebbe colpire la nostra amica...

E potrei farlo anch'io...
Mi trovo alla sinistra di Claudio, nonostante lui non si sia accorto della mia presenza. Potrei provare a sparare, ma rischio di colpire Roo...

Claudio tiene gli occhi da mastino puntati su Liberio mentre sogghigna. «Non sai usarla. Mettila giù, stronzetto, e dimmi dov'è la tua ragazza.»
«Lasciala in pace!» risponde Liberio. «Credi davvero che avrei permesso alla mia ragazza di scendere in questo inferno?»
«Dunque lei non c'è?»
«No. Ora lascia andare la mia amica.»
«E credi che lo farò semplicemente perché me lo chiedi, Ferrez?» lo deride Claudio.
A Liberio trema la voce mentre dice: «Puoi fare di me tutto quello che vuoi...»
«No, Libe, a-aiuto...» mugola Roberta.

Claudio scoppia invece in una risata trista. «No, grazie! Tutto quello che voglio, è far pagare a queste donne il prezzo per quanto mi hanno fatto.»
«Roberta non ti ha fatto niente.»
«Chi, questa lesbica del cazzo? È una donna, e le donne sono traditrici, che siano madri, fidanzate, amanti o amiche. Fidati di chi ha esperienza. Tu cosa ne puoi sapere, con la vita perfetta che hai?»
«Gli uomini possono rivelarsi altrettanto traditori, e io lo so. Inoltre, tu ne sei la prova vivente.»
«Io? Io non ho mai tradito nessuno! Quelle puttanelle mi seguono per piacere, mica sono loro amico!»
Roberta continua a singhiozzare durante tutto il dialogo: «Ti prego... Ti prego, lasciami... Ti prego... Per...»
«ZITTA! PUTTANA!»

Intanto che Claudio le urla contro, Liberio incrocia il mio sguardo, così io gli faccio cenno di continuare a parlare, per distrarlo e prendere tempo.
Mentre loro due si confrontano, io sguscio molto lentamente alle spalle di Claudio, cosicché non possa vedermi.
Ora posso colpirlo, ma potrei comunque sbagliare mira, lui sentirebbe il rumore, e per paura taglierebbe la gola a Roberta...

Abbasso la pistola e chino il capo, in guerra con me stessa...
Gli occhi mi ricadono sul coltello.
Il coltello...
Sollevo gli occhi sulla schiena di Claudio, li punto sui suoi fianchi...
«Irene, a cosa stai pensando?» mormora nonno Gigi, spaventato.
Uccidere è sbagliato...
Le mie mani si puliranno dal sangue, ma la mia anima rimarrà macchiata per sempre...

«ABBASSA LA PISTOLA! ADESSO L'AMMAZZO, TE LO GIURO!»
Scorgo Liberio chinarsi per mettere la pistola a terra, tenendo un braccio sollevato in segno di resa.
Probabilmente adesso non riesce a vedere cosa io stia facendo, il corpo massiccio di Claudio mi copre troppo bene.
La mia migliore amica rischia la vita, non posso abbandonarla...
Adesso non posso pensare a me stessa.

«Irene...»
Non posso darti ascolto, nonno. Ho preso la mia decisione, ormai sto camminando per raggiungere la schiena di Claudio, non tornerò indietro.

Sono sempre più vicina.
Devo soltanto ficcargli la lama nella schiena...
Io non sono forte, trapasserà bene la carne?
E se tentassi la mossa alle parti basse? No, troppo pericolosa, potrebbe comunque riuscire a muoversi per pugnalare Roberta.
Devo colpirlo bene, affinché non ferisca lei.
Gli giro attorno...

«Le donne sono tutte puttane bastarde, bello» insiste Claudio, senza distogliere gli occhi da Liberio. «Prima o poi te ne accorgerai anche tu.»
«Quelle che ti hanno fatto del male erano puttane bastarde, ma quelle che hai rapito non sono così: sono innocenti. Vi state sfogando su di loro per vendicarvi di un crimine che non hanno commesso.»
«Chiudi il becco...»
«Alla fine sei diventato proprio come i tuoi incubi.»

Avvicino la lama al torace di Claudio, prendendo bene la mira, cercando di vincere i tremiti del mio polso...
Non posso colpire la schiena di Roberta...
«Ora guarda mentre l'ammazzo.»
Scatto in avanti e gli ficco il coltello nella pancia. Claudio ulula, piegandosi e lasciando così andare Roberta, che cade in avanti senza riuscire a tenersi sulle gambe.

Mi giro per aiutarla a rialzarsi, ma allora sento un dolore lancinante penetrarmi nel fianco e attraversarmi ogni singolo nervo, dalla testa ai piedi, e gelarli come gelida è la lama che mi ha appena trafitta...
Non sento più niente, soltanto il battito del mio cuore e il respiro accelerato, pesante...
La lama è per metà conficcata nel mio corpo, il mio sangue comincia a sgorgare dalla ferita...
Mi lascio cadere a terra, la guancia tocca il pavimento sporco...

Non voglio morire...
Non voglio morire...
Non voglio morire...
Sto morendo...
Morirò...
Nonno, sto morendo...
Sollevo lo sguardo su di lui: i suoi occhi mi fissano calmi. Non si agita, non trema, non ansima, non chiama aiuto. Non come me...
Io sto morendo, e lui è pacato.
Mi posa la mano sulla testa, e in qualche modo il suo tocco caldo e rassicurante mi tranquillizza. Il respiro si fa meno intenso, sempre più fioco, come la mia vista...

Qualcuno mi muove affinché possa vedere il soffitto. L'addome mi fa male, mi fa scoppiare in lacrime...
«Ire!» Roberta mi prende il viso e mi tira qualche schiaffetto. «Resta con me! Non morire... ti prego... ti... Oh, Dio, per favore! IRENE! LIBE! SERVE AIUTO! AIUTO!»

Dov'è Liberio? Voglio vederlo...
Non posso resistere a lungo...
Roberta è sana e salva, questo... questo mi rende felice...
Ma adesso deve scappare...
«Corri...» sussurro, tentando deboli gesti con la mano.
Lei me l'afferra scuotendo la testa, ma io non riesco più a vederla bene. Forse mi sono caduti gli occhiali...

Però vedo un viso nuovo, e comunque familiare. I suoi capelli biondi sono uguali ai miei, così come il viso di nuovo giovane...
Tendo le dita in sua direzione e le stringo la mano.
Quando chiudo gli occhi, riesco ancora a vedere mia madre, che mi attira a sé per abbracciarmi.

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