Capitolo 3
Esco dal supermercato sostenendo la busta della spesa con entrambe le mani, e mi incammino verso casa. La temperatura è bassa, ma almeno c'è il sole a scaldarmi.
Come ogni domenica, le strade di Cascina – un comune di Pisa – sono piene di persone intente a passeggiare, dirette verso la strada principale per poter procrastinare nei negozi.
Passo davanti a casa di Roberta Cavalli, la mia migliore amica, che al momento ha l'influenza. Ecco perché ieri non è venuta a scuola – anche se secondo me è stata solo una scusa per saltare le due ore di matematica e fisica.
Domandandomi cosa stia facendo in questo momento, mi accorgo in ritardo che qualcuno si è fermato accanto a me con la bicicletta.
Sussulto e sollevo lo sguardo: è un uomo anziano ma dall'aspetto forte, magro e con i capelli bianchi vaporosi che calano fino al naso a patata. Come ogni inverno, i suoi sandali sono accompagnati dai calzini.
«Salve, don Teo» saluto, tranquillizzandomi dalla sorpresa.
È il parroco della chiesa che frequento. In realtà si chiama don Timoteo, ma noi ragazzi del catechismo lo chiamiamo confidenzialmente don Teo. Anche se il catechismo è terminato dopo la Cresima, sono troppo affezionata a lui per divenire tutto d'un tratto formale.
Lui mi ha aiutata quando mamma è morta, ha risposto alle domande che gli ponevo. Dopo qualche tempo mi sono un po' distaccata, ma non ho dimenticato il suo sostegno.
«Ciao, Irene, come stai?» mi chiede gentile.
Gli scocco un'occhiata di sbieco mentre poso la busta della spesa a terra. «Bene, grazie. Lei?»
«Bene, grazie. È da molto che non ti vedo a Messa.»
Arrossisco e guardo altrove, mentre il sangue mi ribolle nelle vene. «Ho avuto...» mi azzittisco. Sto per mentire a un prete... non è giusto...
E comunque, perché mentirgli? Ho le mie ragioni per non essermi più presentata in chiesa.
«Prima della Cresima venivi, ma eri comunque diversa» continua a dire lui con calma. «Una volta ti piaceva la Messa. Facevi la chirichetta, e anche da cresciuta adoravi cantare nel coro e leggere i Passi di fronte a tutti.»
«Beh, in questo periodo non ne ho più tanta voglia» confesso asciutta.
Don Teo sospira tristemente. «Non sto dicendo che hai torto a essere arrabbiata. Voglio solo ricordarti che il Signore non ti ha abbandonata, Irene. Né ha fatto alcun dispetto alla tua famiglia.»
«No, stava semplicemente raccogliendo fiori» borbotto rancorosa, fissando il prete dritto negli occhi. «E quando si va in un prato a raccogliere fiori, si portano via i più belli.»
Don Teo scuote piano la testa. «Non dire così, Lui...»
«Mia madre...» mi ritrovo a dire, cominciando a camminare avanti e indietro per il marciapiede, «mia madre era bravissima. Era una persona fantastica. Non ha mai fatto niente di male, si prendeva cura di noi, lavorava sodo, e... E c'è gente che uccide, che tortura, che fa del male...» sibilo inviperita, «e che continua a vivere.»
Don Teo solleva una mano per far cenno di calmarmi.
Io però gli parlo sopra: «La morte è imparziale. Dio è imparziale... Credevo che Lui fosse La Giustizia, ma non mi sembra...»
«Il Signore non può controllare le nostre vite, Irene. O non ci sarebbe libero arbitrio.»
«E che cosa c'entra?» sbraito. «Mia madre non ha mica scelto di avere il cancro! Le è venuto perché da giovane fumava? E sa quanta gente cattiva fuma e non ha il cancro? Cos'è? Il sistema immunitario che varia da persona a persona? Allora, se Lui sa tutto, perché non ha fatto nascere mia madre con un corpo più forte e i cattivi con un corpo più debole, se sapeva già cosa sarebbero diventati?»
«Non dovresti desiderare i mali per gli altri.»
«Ma se poi colpiscono chi amo...»
«Io non ho le risposte, Irene» mormora don Teo, affranto. «Purtroppo neanche io posso rispondere a tutte le domande. So soltanto che il Signore ama tutti i suoi figli allo stesso modo.»
«Anche chi uccide per piacere» ribatto astiosa. «E lo sa cosa mi fa ancor più rabbia? È che avrebbe potuto strappare il fiore con un colpo secco, e sarebbe finita alla svelta. E invece...» scuoto la testa, il respiro mi trema, «e invece lo ha strappato piano, con calma, in modo tale che il gambo si spezzasse lentamente... lasciando colare via la linfa mentre il fiore era ancora vivo, facendolo avvizzire mentre ancora respirava... Ho visto tutto, sa.»
Don Teo si appoggia ai manubri della bicicletta, a prendere un triste sospiro.
Lo imito. Afferro la busta della spesa e mugugno un: «Arrivederci», prima di andarmene.
Non ce l'ho con lui. È solo un uomo, dopotutto, un discepolo di Dio...
È Lui che non riesco a capire, Lui che ha permesso tutto questo...
E la mia domanda è ancora perché? Perché?
Ma neanche un prete conosce la risposta...
*
«'Wake me up inside! Wake me up inside'!»
«Ehi ehi! Ire, chiudi quella boccaccia!»
«'Call my name and save me from the dark!'»
«Irene!»
«'Bid my blood inside! Before...'»
Saul si alza e mi preme la mano sulla bocca per azzittirmi.
«Togli le tue sudice dita dalla mia bocca!» protesto.
«Togli tu la tua bocca dalle mie sudice dita!» Mi lascia andare e torna seduto al tavolo di cucina. «Devo studiare!»
«Oooh, il mio fratellino deve studiare? Preferisce lo studio agli Evanescence?» lo canzono strizzandogli le spalle.
«Fammi almeno conoscere il minimo indispensabile.»
Gli faccio il verso alla chetichella, poi, continuando a canticchiare ancora Wake me up per dispetto, afferro la confezione di biscotti e saltello fino alla camera da letto di nonna Adele.
È una donnetta tutt'ossa e con le guance afflosciate e dondolanti, i capelli bianchi che le ho pettinato ricadono morbidi sulle spalle. È costretta a letto per malattia, può alzarsi soltanto per andare in bagno.
Con lei vive mia zia Carla, la sorella signorina di mio padre. Tutte le domeniche andiamo a passare i pomeriggi da loro, così zia ne approfitta per uscire a fare la spesa mentre io bado alla nonna.
Alla fin fine viviamo soltanto a pochissimi metri di distanza, sulla stessa via, ma usiamo il resto dei giorni per lo studio più concentrato, assieme a Liberio. Perciò è solo di domenica che possiamo passare la maggior parte della giornata dalla nonna.
Mi siedo accanto a lei, sopra le lenzuola, apro i biscotti e sgranocchio il primo.
Nonna mi sorride strizzandomi debolmente la coscia e ripetendomi quanto io sia bella.
La mia coniglietta albina, Kiara, punta gli occhi rossi su di me, scuotendo il nasino mentre si avvicina e si accoccolla contro la mia gamba.
È la vecchia coniglia nana di mia madre. Ne era tanto affezionata, da quando è morta me ne prendo cura io. Alle volte mi piace pensare che mamma viva dentro Kiara. La porto sempre con me dalla nonna, a lei piacciono i conigli, e magari tra anziane si tengono piacevolmente compagnia.
Da quando nonno Luigi è morto, sette anni fa, nonna Adele soffre molto la sua mancanza, ma Kiara sembra tirarla su di morale.
Le ho dato io il nome: Kiara, come la protagonista di Il re leone 2, la figlia di Simba, uno dei miei film Disney preferiti.
«Hai bisogno di andare in bagno, nonna?» chiedo.
Lei mi fa cenno di no, bubbolando fiocamente.
«Sei sicura? Devi cambiarti?»
«No no» mugola ancora.
Annuisco e afferro il libro che ho lasciato posato qui accanto, Eragon. Sarà la settima volta che lo leggo, è uno dei miei preferiti. I fantasy mi piacciono un sacco, amo rifugiarmi in questi mondi, immaginabili soltanto da una mente folle e allo stesso tempo geniale – appunto come quella del maestro Christopher Paolini.
Da un paio di anni mi sono creata anche il mio regno personale e ho cominciato a scrivere la mia storia di fantasia. È un ottimo metodo di sfogo, anche per cercare di mantenermi sana facendo l'insana.
«Irene» mi chiama la nonna.
Abbasso lo sguardo su di lei e mi accorgo che l'indice le trema rivolto verso la finestra alla sua sinistra.
Dà sulla strada opposta rispetto alla viuzza principale delle nostre case. Da quella parte non passa mai nessuno... solitamente.
Oggi invece qualcuno c'è: un ragazzo dai capelli rossi, coi pantaloni di jeans neri, le scarpe arancioni fluorescenti e la giacca in pelle corta.
Sta bisbigliando assieme a un uomo molto alto e dalle spalle larghe, del quale però non riesco a riconoscere il viso.
Ma il ragazzo l'ho identificato eccome.
Mi alzo di scatto e corro in cucina. «Saul, bada un attimo alla nonna, devo fare una cosa.»
Lo sento lamentarsi mentre afferro le chiavi ed esco sbattendo la porta alle spalle. Cammino svelta verso l'angolo che porta a quella stradina ombreggiata, ma vado a sbattere contro un corpo tonico apparso all'improvviso.
È il ragazzo dai capelli rossi. I suoi occhi bruni si poggiano confusi su di me, le labbra carnose sono storte in una smorfia.
Accompagnate dal blush, le guance gli diventano più scarlatte nel riconoscermi. «Irene?»
«Tommaso» ringhio. Afferro mio cugino per il polso e lo trascino di fronte casa di mia nonna, a parlargli a voce bassa ma risentita: «Chi era quello? Cosa voleva da te?»
«N‐niente» balbetta senza guardarmi.
«Tommy, non mentirmi» lo incalzo bruscamente. «Non sarà di nuovo...»
«No no.»
«Tommaso, guardami negli occhi e dimmi che non era il tizio che ti vendeva la roba!»
Tommaso esita, scoccandomi occhiate oblique... ma alla fine confessa: «Sì, riguardava lui...»
«Tommy!»
«Ma non ho comprato nulla!» assicura, allargando braccia e gambe. «Controllami pure tutte le tasche, palpami quanto vuoi. Non ho niente.»
«Allora cosa voleva?»
«Ero indietro in alcuni pagamenti...» ammette, ricomponendosi. «Gli ho dato i soldi mancanti, per non avere grane. Fine.»
Schiocco la lingua e scuoto la testa con indignazione. Possibile che sia così stupido e irresponsabile? Ha due anni più di me, eppure ho sempre dovuto indicargli io come sia meglio agire...
Le cose sono peggiorate da quando suo fratello, Michele, è morto quattro anni fa, a soli vent'anni. Stava guidando di notte, quando un ubriaco gli è finito contro... Michele e il suo migliore amico Walter sono morti sul colpo... almeno gli altri due loro amici si sono salvati.
Era molto protettivo con Tommaso, gli insegnava cosa fosse giusto da fare e cosa no.
Lui aveva quattordici anni quando il fratello è morto, e da quel momento è caduto in crisi. Gli ho beccato la cocaina nella giacca circa un anno dopo gli accaduti, e sono riuscita, con tante suppliche e lacrime, a convincerlo a lasciarsi aiutare.
Mi ha implorata di non spifferare niente ai suoi genitori. Mi sono presa io cura di lui per le prime settimane, ma poi i miei zii lo hanno scoperto, e dopo denunce, aiuti da parte di specialisti e cure fisiche, lo hanno spedito dallo psicologo. C'è voluto più di un anno per riuscire a farlo smettere.
Credevo fosse guarito...
Lo guardo dritta negli occhi e dico severa: «È la verità?»
«La verità. Non era neanche il solito tizio, ma un suo scagnozzo, quindi niente di grave.»
«Scagnozzo...» ripeto, con un brivido di spavento.
Lui mi batte le mani sulle spalle e sorride per tranquillizzarmi, ma nonostante tutto io non sono quieta... Fra cinque mesi compirà diciotto anni, diventerà maggiorenne, allora avrà più libertà...
Spero che gli zii lo tengano sotto controllo.
«Sei stato stupido a incontrarlo qui, dove tutta la famiglia può vederti.» Dopotutto, anche i parenti di mia madre vivono in questa stessa via, esattamente di fronte alla mia casa.
«È vero, qui non c'è privacy...» borbotta lui. «Non parlo di te, ma se mi avessero visto i miei...»
«Irene! IRENE!»
Conficco la chiave nella toppa e mi precipito in casa di nonna per accorrere da mio fratello.
La nonna si sta alzando ed è sul punto di cadere, con Saul che a stento riesce a sostenerla.
Scatto in loro soccorso e mi sforzo per tirarla su. È magrissima, ma è comunque alta e pesa non poco...
Con l'aiuto di Tommaso, comunque, riusciamo a rimetterla a letto.
Saul si allontana spaventato, seguito da nostro cugino, allora io guardo nonna ansimando. «Che stavi facendo?»
«Mi devo cambiare...» sussurra lei, tremante dalla paura.
Posandole una mano sulla fronte, sussurro per calmarla: «Nonna, ti ho chiesto un attimo fa se ne avevi bisogno. Potevi aspettarmi? Sai che Saul da solo non riesce a tenerti. Non è ancora un ometto robusto». Sorrido, così lei mi sorride di rimando.
«Irene!»
Corro in cucina, dove trovo Saul in mezzo alla stanza ad ansimare con le mani alla gola, Tommaso che si guarda attorno terrorizzato.
«Ha un attacco d'asma!»
«L'inalatore!» Afferro mio fratello e lo faccio sedere tenendogli il busto appena inclinato in avanti. «Dov'è l'inalatore?»
Mi indica lo zaino, così Tommaso si accuccia a cercare nelle tasche.
«Hai avuto paura per nonna?» mormoro, sperando di tranquillizzare Saul. «Sta bene, non è successo niente di male. Tommy, l'inalatore!»
«N‐non c'è!» sbotta lui.
Il cuore mi finisce nello stomaco. «Cosa?! Saul dov'è l'inalatore?! Te lo sei dimenticato?!»
Non appena annuisce, afferro le chiavi e mi precipito per strada correndo veloce verso casa mia. Entro, salgo le scale e sfreccio in camera ad aprire il cassetto del suo comodino. Ma l'inalatore non è qui...
«Cazzo!» urlo guardandomi intorno per la stanza. «Dov'è?! DOV'È?! DIO AIUTAMI!» strillo battendo il piede.
Corro in cucina e faccio per andare in salotto, ma torno indietro e sbatto la mano sulla cassettiera vicino alla libreria. L'inalatore!
Scendo le scale ed esco sfrecciando fino a casa di nonna, entro, infilo l'inalatore in bocca a Saul e premo per donargli aria.
È svenuto...
«Saul! SAUL! SAUL!» piango, cercando di sostenerlo.
«Ho c‐chiamato l'ambulanza» sussurra Tommaso, con voce flebile. «È‐è svenuto...»
Saul apre gli occhi e mi accuccio per guardarlo, ma li richiude all'istante. La testa cade ciondoloni, contro di me...
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