Capitolo 22
«Così.» Roberta non fa altro che marciare avanti e indietro per il reparto ospedaliero. «Così. Dal nulla... Dal nulla?» chiede per l'ennesima volta.
Annuisco in silenzio, non più intenzionata a raccontare l'accaduto.
Ho semplicemente spiegato come si è svolta la dinamica del salvataggio, ma non ho ancora accennato al modo in cui sono venuta a sapere dell'imminente catastrofe. Ogni volta che qualcuno prova a domandarmelo, io gli scocco un'occhiataccia facendogli intendere che non ho voglia di rispondere ad altre domande.
Soltanto Liberio non mi ha chiesto spiegazioni, perché deve averlo intuito. Neanche Saul pare incuriosito da tale mistero.
La polizia è arrivata pochi minuti dopo il salvataggio, affiancata dall'ambulanza. Guillelmo respirava, ma Liberio gli ha ficcato la dita in bocca e gli ha tenuto fuori la lingua per cercare di farlo inspirare meglio.
Una volta sull'ambulanza, all'uomo è stata fatta indossare una maschera per l'ossigeno.
Ancora non si è svegliato, i medici lo stanno visitando.
Roberta e Tommaso sono accorsi il prima possibile, babbo e Saul sono qui da prima di loro.
Io sono seduta accanto a Liberio, a tenergli saldamente la mano. Non fa altro che tremare violentemente, incontrollato, con gli occhi gonfi di un pianto che però non ha ancora rilasciato... e tace. Non proferisce parola da quando siamo usciti dalla sua casa...
Almeno ricambia la mia stretta, è l'unico segno di coscienza che dà...
La porta oltre cui si trova Guillelmo si apre e ne esce uno dei medici. Ci voltiamo di scatto in sua direzione, tranne Liberio, che rotea la testa molto lentamente, quasi come un automa.
Il medico guarda lui mentre dice: «Tuo padre è fuori pericolo.»
Allora Liberio balza in piedi e gli si avvicina. Non parla, ma gli occhi rilucono di disperata fiducia.
«Sta bene. Gli dobbiamo applicare un collare affinché possa riparare i danni alla gola e al collo, ma si riprenderà senza troppi problemi. Deve solo rimanere a riposo, e anche quando tornerà a muoversi non dovrà compiere sforzi eccessivi per un po'.»
Liberio apre e chiude la bocca per parlare, ma dalla sua gola non sgorga alcun suono...
Mio padre si avvicina a posargli una mano sulla spalla e domanda con fermezza: «Ha detto qualcosa?»
Il medico scuote la testa. «È piuttosto confuso, non vuole parlare con noi. Ha soltanto pronunciato il nome di Liberio. Sei tu, ragazzo?»
Il diretto interessato annuisce piano, ora le labbra sono serrate.
«Bene, ma non puoi ancora incontrarlo. Dobbiamo prima mettergli il collare. Non ci vorrà molto, e ti chiameremo non appena saremo pronti, va bene?»
Lui annuisce ancora, così il medico torna nella stanza, richiudendo la porta con delicatezza.
Mio padre gira attorno a Liberio per posizionarglisi di fronte e gli strizza gentilmente le spalle per cercare una reazione da parte sua. «Liberio, è tutto apposto. Tuo padre sta bene.»
Il mio ragazzo scuote la testa chinata, senza guardarlo.
«Gli staremo tutti vicini per capire cosa possa essere accaduto, OK?»
Liberio fa un breve cenno di assenso.
Poi si gira a guardarmi, e allunga la mano come a chiedermi di afferrarla.
Mi lascio trascinare lungo il reparto fino alle porte, poi giù sulle scale, infine all'aperto, sino a un luogo appartato dietro a un angolo, dove non passa nessuno.
Liberio appoggia la schiena al muro e la struscia fino a ricadere seduto a terra.
Mi accuccio accanto a lui, premendo la mia spalla contro la sua e rinunciando ad abbandonare le sue mani.
Dopo pochissimi secondi, lancia il primo sibilo preannunciante il pianto, mugolando con voce strozzata: «È per i soldi. Lo so che è per i soldi...»
Rilascio un singulto di paura, mentre lui comincia a singhiozzare. Dunque lo accolgo nel mio abbraccio per tenerlo stretto contro il mio petto, a cullarlo in leggeri dondolii.
«Ma stava andando tutto bene...» la voce comincia a strozzarsi anche a me. «Avete riguadagnato soldi, dicevate di essere fuori pericolo. Libe...» mormoro affranta, «mi hai detto una bugia?»
Lui però scuote la testa contro il mio torace. «No, non ti ho mentito. Non capisco cosa cazzo avesse in mente... Stava per ammazzarsi... Mi voleva lasciare... Non gliene frega nulla di me!» urla. Batte il pugno a terra, prima di girarsi per nascondersi ancor più nel mio abbraccio.
Ha ragione: suo padre stava per abbandonarlo, dando prova che non gli importi nulla del figlio che sarebbe rimasto o orfano.
Ma cos'è passato per la testa di Guillelmo? Perché si è comportato in questo modo?
Liberio era tornato allegro, avevano assicurato di essersi rimessi in pista, il lavoro stava procedendo bene...
Che Guillelmo detesti il ruolo da netturbino? Ma non c'è di certo bisogno di suicidarsi!
No, c'è qualcos'altro...
Liberio mi stringe a sua volta, aggrappandosi alle mie spalle come se io fossi in grado di sostenere tutto il peso del suo dolore. «Grazie, Ire. Se non fosse stato per te, lui sarebbe...»
«Non è merito mio.»
Gli angeli sono attorno a noi, nonno Gigi è accucciato al mio fianco, la sua mano liscia e calda mi accarezza confortante la testa.
«Ringraziamo Dio.»
*
«Io non posso entrare.»
Le labbra di Liberio si storcono in una smorfia arcigna. «Non m'interessa. Tu entri, che a loro piaccia o no.» Si sta sforzando di apparire minaccioso, lo vedo benissimo, ma tutto quello che riesce a ottenere è un ringhio frustrato...
Quando i medici gli concedono il permesso di entrare, mi guardano di sottecchi nel vedermi al suo seguito, ma fortunatamente decidono di chiudere un occhio e lasciarmi fare.
Guillemo è disteso sul letto, con il collare che gli copre il collo, l'estremità superiore spinge contro le guance, accartocciandole ai lati del naso aquilino sporgente verso l'alto.
Liberio solleva il mento per fissarlo con cautela, e procede lentamente, un passo dopo l'altro, quasi stia camminando sul ghiaccio per avvicinarsi a una creatura sconosciuta e potenzialmente pericolosa.
Il suo sguardo, mi accorgo, riserba ben poca pietà e preoccupazione, anzi rilascia barlumi di risentimento, rabbia, paura e, sì, anche disprezzo...
Guillelmo non può voltare la testa in direzione del figlio, ma gli occhi si agitano in sua ricerca. «Liberio...» ansima, la voce lieve e gracchiante.
Liberio si ferma accanto a lui. Io resto in disparte alle sue spalle, perciò ora non riesco a vedere bene la sua espressione. Tuttavia basta il suo tono inferocito per indurmi ad azzeccarla: «Mi spieghi cosa cazzo ti è saltato in mente? È per i soldi, vero?»
Guillelmo rilascia un rauco mugolio. Sembra molto più vecchio della sua reale età, il suo tipico tono amareggiato ha raggiunto il fondo. Il volto è così pieno di rughe che quasi mi assale la paura di vederlo sgretolarsi e polverizzarsi...
In queste ultime settimane non mi sono accorta che stava peggiorando... A dire il vero, il suo comportamento cupo è sempre stato qualcosa di normale per me da vedergli addosso. Come se Cupo fosse il suo vero nome, il nome della sua essenza, perciò l'ho sempre trovato naturale in quest'uomo.
Ecco perché non mi sono accorta che la sua mente stava pian piano decadendo nell'irrazionalità, né, come me, altri lo hanno notato, neanche suo figlio...
Non ottenendo risposta, Liberio ghermisce malamente il lenzuolo che ricopre suo padre e gorgheggia con la voce carica di minaccia: «Rispondi! Si tratta dei soldi?»
Spaventato e con gli occhi gonfi e lucidi, Guillelmo sussurra: «Non esattamente... È il senso di colpa, Liberio... Il senso di colpa per averti procurato una vita tanto triste, dolorosa, e che adesso ti sta facendo rinunciare a tante cose bella durante i tuoi ultimi anni dell'età più spenzierata...»
«Pochi giri poetici, viejo» lo rimbrotta Liberio. Non sembra neanche più lui, la dolcezza è evaporata dal suo corpo, lasciando spazio alla furia e all'amarezza. «Ti rendi conto che adesso dovrai rimanere a riposo e non potrai lavorare? Ti sembra di aver migliorato la situazione?»
Suo padre lancia un lungo sospiro fiacco. «Il mio nuovo lavoro è umiliante, e svolgerlo di fronte a mio figlio, procurando così poco per lui... Yo te quiero, Liberio. Ti ho mentito. Ti ho mentito affinché tu potessi passare le tue giornate libere a divertirti.»
«Se c'era da farne a meno, lo avrei fatto» ringhia Liberio, tremulo nel trattenere lo sfogo.
«Lo so. Ecco perché non ti ho raccontato la verdad. La nostra situazione non è più grave come prima, ma non è normale. E se tua madre ci fosse stata, avremmo risolto tutto in un batter d'occhio...»
Liberio sussulta a sentir nominare sua madre, e stavolta rimane cheto...
L'uomo non distoglie lo sguardo da lui mentre rivela: «È colpa mia se è fuggita, Liberio. È colpa mia. Mi vergogno anche ad aver lasciato che tu la odiassi per tutto questo tempo, perché lei non merita il tuo odio. Io invece sì...»
«Ma di cosa cazzo parli?»
Guillelmo si porta la mano sugli occhi, prima di abbassarla lentamente. «Se n'è andata perché non avrebbe avuto la forza di vivere al mio fianco. En realidad, è che non avrebbe neanche avuto la forza di crescerti, ma per colpa mia. Io non la biasimo se ti ha lasciato a me, anzi, aveva del tutto ragione. Promisi di proteggerti, di prendermi cura di te come non ho fatto con lei, di non torcerti neanche un capello, di renderti felice e farti star bene. E adesso la mia promessa sta venendo meno...»
Liberio si ritrae come se si fosse scottato, le sue parole sgorgano in un sussurro di sconcerto: «Tu la picchiavi...»
Sento i brividi risalire lungo tutto il corpo, tanto potenti da scatenarmi un nuovo dolore al naso indolenzito.
Mi allungo per toccare Liberio, ma prima di riuscirci, Guillelmo dice: «Io l'ho molestata...»
Il figlio si fa ancora più indietro, fino a superarmi senza rendersene conto, andando a sbattere la schiena contro al muro.
Io invece rimango immobile, orripilata. Guillelmo, l'uomo che conosco da tutta la vita, il padre del mio migliore amico... il padre del mio ragazzo...
La coda dell'occhio non si distacca dal figlio, mentre le prime lacrime cominciano a imperlargli le rughe della guancia.
Sento trascinarmi all'indietro e in un battito di ciglia sono fuori dalla stanza.
Liberio ha chiuso forte la porta, tanto da attirare l'attenzione degli infermieri che si affrettano a sgridarci.
«Cos'è successo?» Mio padre si fa avanti. «Ire, che succede? Oh, Ire?» Mi tira un leggero schiaffetto alla guancia.
Ma io non riesco a muovere gli occhi, fissi su qualcosa che in realtà non posso vedere se non con l'immaginazione. Guillelmo e la sua compagna...
Mi ritraggo da mio padre e mi giro a cercare Liberio, il quale si sta allontanando a passo veloce lungo il corridoio.
«Libe...» Lo raggiungo e gli afferro la mano.
Lui però si gira e mi allontana con delicatezza. Il suo sguardo è indecifrabile, ma proprio da questo capisco quanto stia soffrendo, quanto sia confuso, spaesato...
Non vuole offendermi, mi sta solo chiedendo un attimo di tempo per lasciarlo riflettere.
L'idea di stargli lontana in un momento del genere mi fa venire i crampi al cuore, ma comprendo che forse adesso è la cosa migliore. Presto tornerà a cercarmi, e io ci sarò.
«Ci vediamo a casa...»
Gli faccio un cenno di assenso, poi lo guardo andarsene, fin che non esce dal reparto.
«Irene.» Nonostante il sussurro, il tono del babbo è grosso, segno che pretende spiegazioni. Anche il suo cipiglio fa intendere che non accetta evasioni.
Alle sue spalle, Saul mi guarda impensierito. Sta tremando...
Lancio un lungo sospiro mentre dico: «Guillelmo ha detto di aver stuprato la sua compagna.»
Entrambi sussultano, mio padre ha gli occhi spalancati colmi di apprensione.
«Guillelmo? Guillelmo? M‐ma che dici? Sei sicura?»
«Babbo, ero lì, l'ho sentito con le mie orecchie.»
«Oh, Gesù...» Mio padre si porta una mano alla fronte, gli occhi saettano da me alla porta da cui è uscito Liberio.
«Lasciamolo solo per un po'»gli dico. «Possiamo tornare a casa? Ho bisogno di fare una cosa.»
«Che cosa?»
Faccio per non rispondergli, ma poi dico: «Devo andare in chiesa».
Il babbo mi guarda dubbioso, come se non riuscisse a comprendere il nesso tra la mia decisione e quanto stia accadendo. Alla fine però annuisce. «Va bene, andiamo.»
*
Mio padre mi fa scendere di fronte alla chiesa, e mi dice che tornerà a Pisa per poter recuperare Liberio: non se la sente a lasciarlo tornare da solo in autobus.
Alle volte credo proprio che mio padre sia un santo.
È troppo presto per la Messa, perciò non entro in chiesa, ma mi dirigo verso casa del parroco.
«Voi lo sapevate?» chiedo agli angeli.
Sono rimasta silenziosa per tutto il tragitto, ma fra poco dovrò parlare, perciò è bene che mi scrolli dall'intorpidimento dello shock.
Michele annuisce. «Ce ne ha parlato uno dei nonni materni di Liberio.»
«Vedi, Irene,» sussurra nonna Rosalba, «Guillelmo è pentito.»
Rispondo con un secco grugnito: «Che ne pensa mia madre?»
«Accetta di perdonarlo.»
«Non vuoi discuterne soltanto con noi?» domanda Michele, lanciando occhiate titubanti verso la casetta. «Insomma, hai tre angeli a tua disposizione. Chi può risponderti meglio di...»
«Senza offesa,» lo interrompo, cercando davvero di non urtare la sua sensibilità, «ma voi lo perdonate, no? Io adesso non riesco a perdonare Guillelmo, nonostante il suo pentimento. Ho bisogno di parlare con qualcuno che sia molto legato al Signore, ma che sia ancora mortale e peccatore.»
Nonno Gigi fa cenno a Michele di non preoccuparsi. «Irene ha le sue ragioni. Sa come la pensiamo, perciò vuole conferire con qualcun altro.»
«Ma ho sempre bisogno di voi» mi affretto a dire in un mugolio.
Non volevo lasciar intendere che non ho più bisogno della loro compagnia. Perché ne ho bisogno eccome, non voglio che se ne vadano...
«Siamo qui, Irene» mi rassicura nonna Rosalba. «Saremo sempre con te. Adesso non smetterai di vederci.»
Tiro un sospiro di sollievo, col cuore un po' più sereno.
Raggiungo la porta di don Teo, spalancata a coloro che desiderino visitarlo per parlargli. Comunque busso per annunciarmi, e faccio qualche timido passo all'interno. «Don Teo?»
Una porta si spalanca alla mia destra, da cui esce una signora. Alle sue spalle, don Teo è seduto nel suo ufficio stracolmo di libri sacri, dietro alla sua squisita scrivania.
«Io e don Teo stiamo parlando» mi riferisce gentilmente la donna. «Ci metterò solo un attimo.»
«Va bene.»
Mi appoggio all'altro lato del corridoio, attendendo che il colloquio termini.
Quando la donna esce, ci facciamo un educato cenno di saluto, allora entro nell'ufficio chiudendo la porta alle spalle.
«Irene,» mi saluta il parroco, «sai, avevo intenzione di venire in ospedale prima della Messa. Come sta Guillelmo?»
«Bene» biascico sbrigativa. «È vivo.»
Lui si accascia sulla sedia, rincuorato. «Mi hai spaventato, sei entrata con una faccia pallidissima. A dire il vero, sembri stare ancora molto male. Oh, il tuo naso...» indica il cerotto sul mio setto nasale. «Che succede?»
Non riesco a parlare, la voce mi si è improvvisamente strozzata, bloccata dal nodo che mi preme la gola, facendomi diventare tutta rossa... Le lacrime lottano per sgusciare alla libertà, ricacciarle è doloroso quanto lo è stata la corsa di poche ore fa...
«Irene» mi chiama di nuovo don Teo, tornato impensierito di fronte ai miei occhi lucidi.
«Oh, don Teo...» Le mascelle mi si contraggono dolorosamente. «Don Teo, devo parlarle, ma in una Confessione, la prego...»
Lui annuisce e ci facciamo il Segno della Croce per dar via alla Confessione.
Così comincio a raccontargli quanto sono venuta a sapere.
Gli occhi del parroco si fanno velati... tuttavia non appare sorpreso.
Quando lo guardo indagatrice, lui rivela: «Lo sapevo, Irene. Valeria, la madre di Liberio, mi raccontò tutto sedici anni fa, in questo periodo, per giunta. Poco tempo dopo aver dato alla luce suo figlio.»
«Ma... perché non ha denunciato Guillelmo?»
«Perché, come te adesso, Valeria mi raccontò tutto in una Confessione, dunque non ho potuto tradire quanto mi ha confidato. Né posso comunque raccontarti tutti i dettagli.»
«Perché è venuta da lei? C'è qualcosa che mi può dire? Io ho bisogno di capire, don Teo, per favore...»
Il prete sospira lievemente. «No, Irene...»
«Guillelmo ci ha detto che Valeria non avrebbe sopportato di rimanergli accanto. E disse anche che non sarebbe riuscita a occuparsi di Liberio... Immagino che sia venuta a chiedere perdono per l'abbandono del figlio...»
Lui non fa alcun cenno di assenso, ma dice: «Liberio è stato concepito da un atto violento».
«Ma lei era sua madre!» sbotto, adesso il groppo alla gola si intensifica, ma per la rabbia. «Liberio non ha colpa di niente! E comunque, proprio perché è stato concepito in quella maniera... proprio perché Guillelmo era... quello... Valeria non avrebbe mai dovuto affidare suo figlio a lui! Ha lasciato suo figlio all'uomo che l'ha stuprata! Che c'è? Lui le aveva già chiesto scusa? Ha voluto portare avanti la gravidanza semplicemente per lasciare il figlio a colui che l'ha violentata?!»
Don Teo china il capo. «Saprai bene che io non accetto l'aborto.»
«Ma neanch'io sono tanto favorevole. Forse...» Cerco di riflettere, poiché so che lui non può spiegarmi, vincolato dal Sacro Segreto. «Forse Valeria non voleva abortire. Forse pensava di poter crescere Liberio. Ma quando lo ha visto nascere...» strizzo gli occhi e le lacrime hanno la meglio.
Mi sorprendo a sentirmi empatica nei confronti di Valeria. La biasimo, ma allo stesso tempo credo che non sia mio diritto giudicarla crudelmente...
Quando chiudo gli occhi, mi appare il volto di Hira Bath...
Mi riscuoto, sentendo un freddo glaciale. Valeria è stata stuprata, ha subito ciò che io stessa stavo per subire... e anche se si fosse allontanata dal marito portando con sé il figlio, Liberio sarebbe per sempre stato il ricordo di quanto di orribile le era accaduto. Suo figlio sarebbe stato la prova concreta del dolore che l'avrebbe perseguitata per il resto della vita...
La biasimo, ma non la odio. Non riesco a odiarla per aver abbandonato Liberio, perché il mio lato empatico sta cercando di immedesimarsi in lei.
Non si può giudicare troppo la sua scelta...
Tuttavia, rimane il fatto che abbia lasciato il figlio alle cure dell'uomo che l'ha molestata...
Forse Guillelmo, mesi più tardi, si è pentito e lei lo ha riaccettato. Allora, quando Valeria ha cambiato idea, poteva rassicurarsi del fatto che il compagno sarebbe stato un bravo padre... o forse cercava solo una scusa per scappare da sola. Ha atteso tutto quel tempo solo per lasciargli il figlio, così da non doverlo portare con sé, o abbandonare in seguito in un orfanotrofio... o peggio...
«Non posso giudicarla...» mormoro, accasciandomi a piangere sulla scrivania. «Ma Liberio non ha colpa di niente. Lei non lo crede impuro, vero?»
Don Teo scuote la testa. Allunga la mano verso di me e mi sfiora la fronte con la punta delle dita. «Dio giudica gli uomini in base alle loro azioni, non in base alla loro nascita. Liberio è un bravissimo ragazzo.»
«Guillelmo venne qui a Confessarsi?»
«Sì, poco dopo l'abbandono dell'amata.»
Allora Dio lo ha Perdonato... ma io non posso farlo...
È vero, Guillelmo si è preso cura di Liberio, ma adesso che ha rivelato la verità non so come andranno le cose.
Da una parte vorrei che padre e figlio facciano pace, perché altrimenti Liberio rimarrebbe senza genitori... Dall'altro, mi sale la rabbia soltanto all'idea che Liberio abiti sotto lo stesso tetto di quell'uomo... quell'uomo che stava per abbandonare il figlio...
Dopo tutto il male causato, lo stava addirittura per abbandonare, anziché portare fino alla fine il suo percorso di redenzione...
Signore, ti prego, fa' che si risolva tutto...
«Irene» mi chiama don Teo, con il suo tono rassicurante. «Perdonami, ma riesci ancora a comunicare con i tuoi angeli?»
«Sì.» Mi struscio l'occhio. «Ma ho preferito venire da lei, che è adulto e spirituale, ma allo stesso tempo terreno...»
Don Teo si lascia andare a un sorriso tra il divertito e il commosso. «Puoi venire da me per qualsiasi cosa.»
«Grazie per tutto quanto. Ma adesso è meglio che torni dal mio raga... amico» mi affretto a correggermi.
Lui si alza insieme a me, dandomi un leggero colpetto alla spalla.
Mentre mi giro per uscire, colgo il guizzo divertito che gli fa brillare gli occhi, e riesco a sorridergli con affetto.
Una volta fuori dalla casetta, mi rivolgo ai miei angeli. «Andiamo a casa.»
Nonna Rosalba fa un sorrisino. «Sai bene che Liberio si farà portare lì, eh?»
«Certo che si farà portare lì. Non ha intenzione di tornare a casa sua, dove suo padre stava per ammazzarsi...»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top