Capitolo 12
Liberio è passato dalla porta che dà in terrazza. Non devo aver chiuso il piccolo cancello della recinzione, perché non l'ho sentito aprirsi.
Tra le mani ha un piccolo sacchetto colorato da regalo, con su riportata la firma Swarovski.
La sua espressione però non è allegra e da festa, bensì confusa, scioccata, e sdegnata...
Si fa avanti guardando mio padre. «Cosa significa?»
Stringo le labbra, con le guance che mi vanno a fuoco per la vergogna. Questa non ci voleva, non ci voleva proprio... Chissà quanto ha sentito...
Mio padre si alza e tenta di spiegarsi: «Troverò il modo di farti assumere, Liberio, te lo assicuro. Farò tutto quello che posso...»
«Non m'importa» dice seccato lui. «Posso mandare il curriculum altrove, anche se avrei preferito saperlo prima.» Incrocia le braccia come a volersi stringere da solo, e mormora afflitto: «Mi hai pagato tu? Pensavo lo facesse il direttore dello zoo!»
«No...» Babbo sospira ancora, passandosi una mano tra i riccioli castani. «No, sono stato io...»
«Perché?» Liberio stringe i pugni, il tono di voce si fa sempre più acuto. «Ti ho detto che non chiedo elemosina! Ti ho detto che volevo guadagnarmi il denaro lavorando, non per pena!»
«E infatti ti pago perché t'impegni molto!»
«Ma dovrebbe essere il direttore a pagarmi! Tu mi hai detto così! Mi hai mentito soltanto per farmi stare tranquillo! Non ho mai voluto togliere soldi alla vostra famiglia!»
«Non ci stai togliendo niente. Ti aiuto volentieri, e...»
Liberio però gli dà le spalle. Si porta le mani sul viso, e quando le riabbassa è più arcigno che mai.
Sono poche le volte in cui l'ho visto arrabbiarsi sul serio, e non mi è mai piaciuto...
Punta un dito contro mio padre. «Pensavo di potermi fidare di te! Mi hai preso in giro! Mi hai trattato come un poveraccio! Lo capisci quanto è umiliante?!»
Adesso anche babbo alza la voce con rabbia: «Non devi vergognarti! Soprattutto non di noi! Ti consideriamo parte della nostra famiglia!»
«Questo non m'interessa al momento! Non è così che volevo aiutare mio padre...»
«Io conosco la vostra situazione, Liberio. So che le cose stanno andando molto male, e ho solo cercato...»
«Non girare il coltello nella piaga!»
Mio padre alza la mano come a volergli tirare uno schiaffo, ma si ferma in tempo. «Dovresti imparare a mettere da parte l'orgoglio! Puoi parlare con noi! Puoi lasciarti aiutare!»
A questo punto Liberio alza lo sguardo su di lui, le sue sopracciglia formano due archi, tanto appare sgomento. Poi la sua sorpresa scema lentamente, per lasciare il posto a un'espressione ancor più arrabbiata... ma allo stesso tempo infelice. «Mettere da parte l'orgoglio?» mormora a fil di voce, quasi non riesca a parlare più forte. «Proprio tu parli di orgoglio? Tu, che se qualcuno osa venire a chiederti come ti senti, ti offendi e fai finta di nulla? Che borbotti contro chi ha pena per te?»
Mio padre arrossisce e comincia a tremare. La sua faccia non promette nulla di buono...
Liberio però lo anticipa gridando: «E poi vieni a fare la morale a me! Tu, che sei il primo a comportarti come uno che non vuole più avere a che fare con nessuno soltanto per paura delle parole degli altri! Tu, che ti tieni tutto dentro! Magari la gente vorrebbe aiutarti, ma tu non glielo permetti! Magari la gente vorrebbe parlare con te, ma si perita a causa del tuo comportamento! Beh, credo che la mamma ti direbbe di lasciarti aiutare, sai!»
Io e Saul lo guardiamo in silenzio, mentre mio padre rilassa i muscoli facciali in uno sguardo più assorto.
Il viso di Liberio si fa ancor più rosso dopo aver guardato tutti noi. «A‐Ava...» borbotta velocemente. «V‐volevo dire Ava. Ava ti direbbe di... Volevo dire Ava!»
No, io lo so che cosa voleva dire.
I suoi occhi si stanno riempiendo di lacrime. Ha la stessa faccia triste e la stessa voce smorzata che ho udito lo scorso ottobre, quando mia madre è morta...
Si struscia gli occhi col braccio, tirando su col naso. «Dopotutto soffrite soltanto voi tre, eh?» sibila, prima di girare i tacchi e andarsene.
«Libe!»
«Dai, Libe, aspetta!»
Io e Saul proviamo a chiamarlo, ma Liberio supera la recinzione e si allontana a passo repentino.
È tutta colpa mia... tutta colpa mia...
Con lui ne ho parlato soltanto una volta, soltanto una, pochi giorni dopo che lei è morta. Mi sono sfogata, ho pianto nel suo abbraccio, ma non ho avuto premura dei sentimenti di Liberio. Non mi sono preoccupata del fatto che la mamma fosse una madre anche per lui, e che quindi il mio amico stia soffrendo nel mio stesso modo...
Mi sono semplicemente detta che quanto successo deve passare. È giusto nominare la mamma, ricordarla, ma non sfogarsi sulla propria tristezza, per non nutrire quella di babbo e di Saul...
Mi giro a guardarli. Mio padre è tornato a sedere, con il viso tra le mani. Mio fratello ha l'aria mortificata, quasi abbia preso parte al litigio e abbia detto qualcosa di assai vergognoso.
Recupera l'inalatore dalla tasca e si spruzza aria in bocca, allora gli afferro la mano nel tentativo di tranquillizzarlo. Saul ricambia la mia stretta, frattanto che lancia occhiate timorose al babbo.
Lui però si alza e se ne va, lo sentiamo risalire le scale.
Non vuole farsi vedere in lacrime di fronte a noi...
Saul sospira. «Mi dispiace...»
Lo guardo in silenzio.
«Credevo...» si porta una mano sugli occhi, «credevo che non parlandone, voi sareste stati meglio...»
«Ehi...» Gli accarezzo la testa e gli do un bacio sulla fronte. «Anch'io. L'ho pensato anch'io. E deve averlo pensato anche babbo.»
Abbassa la mano per guardarmi negli occhi. È difficile rendersi conto che soltanto in un mese mi abbia raggiunta in altezza. Sta crescendo, presto non sarà più un bambino, sta entrando nell'adolescenza...
No, è già adolescente, proprio come me... solo che non riesco ad accettarlo...
Non piange, né ha la voce rotta. Lui è molto forte. Anche quando la mamma è morta ha pianto poco, persino al funerale ha versato poche lacrime. Però era triste, si vedeva benissimo. Ed è impossibile non rendersi conto che sia triste anche adesso, nonostante siano passati cinque mesi...
Tutti noi siamo ancora tristi. Io e Saul che abbiamo perso la madre, babbo che ha perso la moglie, zia Emma che ha perduto sua sorella, Tommaso che ha perso la zia, e nonno Ernesto, che ha dovuto dire addio a sua figlia...
Saul chiude gli occhi alle mie carezze. «Ci penso io al babbo. Tu devi andare da Liberio.»
«Lo so...»
«Sai, tu me la ricordi tanto.»
Che cosa sta dicendo? Parla della mamma? Io gli ricordo la mamma?
Non è possibile. Lei era migliore di me. Lei era sempre allegra, socievole, empatica... e al mio posto non si sarebbe arrabbiata se io avessi scelto di proteggerla...
Saul invece me la ricorda parecchio, col suo carattere simpatico, divertente, spensierato e saputello.
Mi giro a guardare gli angeli. Nonno Gigi non c'è, deve essere accorso da suo figlio.
Nonna Rosalba mi guarda con tristezza e dispiacere mentre ripete le parole di mio fratello: «Va' da Liberio».
«Vengo anch'io» mi rassicura Michele.
Annuisco e rispondo ad alta voce: «Allora andiamo. Saul,» mi affretto a dire, accorgendomi che adesso mi sta guardando dubbioso, «dopo devo raccontarti una cosa. Mi prenderai per pazza, ma te la racconterò lo stesso.»
Mi coglie di sorpresa quando fa un sorriso sornione. «Uh uh, sto per scoprire come mai ultimamente ti comporti come una stramboide?»
«Esatto!»
Gli tiro un pugnetto al petto prima di uscire velocemente, con Michele al seguito, dritti verso casa di Liberio.
*
Ho sperato invano di trovare il mio amico per strada: deve essere venuto e andato via in motorino.
«Sono così stupida...» mormoro in mezzo alla gente. Ho il cellulare all'orecchio, ma non sto chiamando Liberio, so già che non mi risponderebbe. Il cellulare è solo un trucco per poter parlare ad alta voce con Michele senza che la gente mi prenda per suonata.
«È tutto apposto» mi conforta lui. «Liberio ha soltanto avuto un momento di crisi. È normale.»
«Sì, è normale, ma gli sarebbe andata meglio se io mi fossi comportata da brava amica e lo avessi ascoltato» mi rimprovero aspramente. «Ho pensato... non so... Da quando mamma è morta, sono diventata un po' gelosa. Ammetto che quando vedo piangerla dagli altri, una parte di me è felice che lei fosse tanto amata... un'altra parte crede che soltanto noi che siamo la sua famiglia possiamo essere veramente tristi. È stupido, è un'idiozia...»
«Il dolore provoca pensieri irrazionali, e purtroppo certe volte porta a compiere scelte sbagliate, o addirittura a impazzire. E a proposito di questo, devo dirti una cosa riguardo a Sa...»
«Non ora, Miche, scusa» lo interrompo non appena giungo di fronte casa di Liberio. «Ne possiamo parlare più tardi?»
«Certo.»
L'abitazione del mio migliore amico è molto più piccola della mia, ed è pitturata di grigio, di una tonalità non particolarmente vivace.
Se non rispecchia Liberio, rappresenta molto bene Guillelmo Ferrez, suo padre.
Da quando sono nata, non ricordo di averlo mai visto allegro. Anche quando sorride mantiene un tono triste e amareggiato, quasi abbia il fardello del mondo da dover reggere sulle spalle.
Suono al citofono e mi annuncio alla voce di Guillelmo, il quale viene ad accogliermi.
Come al solito, l'ometto magro e sciupato ha l'aspetto affaticato, il volto olivastro è colmo di rughe come quello di un vecchio, i capelli bianchi sono tutti arruffati.
Salvo per il lavoro, è sempre stato in disordine, ma adesso che sta per perderlo appare ancor più sciattone...
«Hola, Irene, feliz cumpleaño» mi saluta con il suo sorriso tirato.
«Ciao, Guillelmo. Devo parlare con Liberio.»
«Sai dove trovarlo. Non ha voluto parlarmi... Che cosa è successo?»
«Il...» Mi giro per non mostrargli i miei occhi lucidi. «Riguarda mia madre.»
«Oh...» Lui si dirige verso la cucina. «Vi preparo... sì, qualcosa da mangiare, è meglio. Forse vi aiuterà a rallegrarvi...»
Guillelmo Ferrez non è mai stato un tipo adatto dal quale dirigersi per cercare conforto: ogni volta che in una conversazione qualcuno tira in ballo un problema, lui si allontana, oppure tenta di cambiare argomento. È ovvio che neanche lui si sia rivelato una valvola di sfogo adatta per Liberio.
Mi dirigo in corridoio fino alla porta della stanza del mio amico, su cui sono appese le lettere del suo nome, in legno colorato, che possiede da quando era un bambino. Oltre la porta proviene musica rock a tutto volume.
Busso, ma nessuno mi risponde.
«Libe» lo chiamo.
Ancora nessuna risposta.
Pungolo Michele alla spalla. «Affacciati per controllare che non sia nudo.»
Mio cugino alza gli occhi al cielo prima di ficcare la testa a trapassare la porta, poi mi dà il via libera con la mano.
Dunque abbasso la maniglia ed entro. Come al solito la stanza è in disordine: lo zaino di scuola è gettato da una parte e i quaderni e i libri sono fuoriusciti scomposti sulle mattonelle color cachi; i volantini da ricercato dei personaggi di One Piece ricoprono la maggior parte dei muri assieme alle foto ricordo, in cui appaio anch'io; le cassette della PlayStation 4 sono sparpagliate per la scrivania, mentre le action figures dei personaggi degli anime occupano gli scaffali, assieme ai CD degli Imagine Dragons.
Il suo stereo di vecchia data sta suonando Nothing left to say.
Liberio è sul letto, sdraiato di pancia e con la testa affondata nel cuscino. La sciarpa di Grifondoro calante dalla testata è macchiata, forse l'ha usata per asciugarsi le lacrime.
Abbasso un poco la radio dal volume troppo alto. «Libe» lo chiamo ancora, avvicinandomi per sedermi accanto a lui.
Liberio volta appena la testa, rivelando un occhio arrossato e gonfio dal pianto. L'angolo delle labbra tremola.
Mi appoggio contro le sue spalle per abbracciarlo. «Scusa... Sono stata insensibile nei tuoi confronti. Avrei dovuto capire che stai soffrendo quanto me...»
Liberio si gira su un fianco per guardarmi meglio. Tira su col naso e usa ancora la sciarpa di Grifondoro per asciugarsi il viso. «Ire...» la sua voce ricorda il gracidio di una rana. «Non volevo rispondere così a tuo padre... Lo so che voleva aiutarmi, però io...» Si porta le mani sul viso e scoppia in un singhiozzo. «Io non sto bene. Non riesco a stare bene... È una situazione di merda...»
«Lo so.» Gli faccio posare la testa sul mio grembo e lo abbraccio forte, lasciandolo piangere.
Detesto vederlo in questo stato, i suoi singhiozzi sono come pugnalate al cervello. Soltanto saperlo triste mi fa venire i crampi al cuore, provocando anche in me la voglia irrefrenabile di piangere.
Però è giusto che si sfoghi, non posso fermarlo ancora...
«Ho paura...» singhiozza, tremando come se avesse un freddo cane. «Ho p-paura di cosa potrebbe succedere... Devo lasciare la scuola?»
Gli accarezzo la testa, in silenzio. Affrontare le superiori senza Liberio mi appare come un incubo... ma allo stesso tempo capisco che se vuole trovarsi un lavoro, la scuola può rivelarsi un peso. Il diploma è importante, ma lui e suo padre rischiano seriamente di non uscire indenni dalla loro crisi...
«Potresti partecipare alle lezioni serali» gli propongo.
«Non cambierebbe, non avrei il tempo per studiare. E non voglio essere una zavorra per la tua famiglia... Ho s-sentito tuo padre quando ha detto di non poter più...»
«Libe, un modo per aiutarvi lo troviamo» gli prometto, guardando Michele e sperando di poter mantenere questa promessa.
Liberio continua a singhiozzare, così io lascio andare le lacrime assieme a lui, però in silenzio.
Mio cugino mi posa una mano sulla spalla. «Io vado da Tommaso, sento che ha bisogno di me.»
Scuoto la testa come a dirgli di no, che io adesso ho bisogno di lui, che non so come fare a tirare su di morale Liberio...
Michele però mi sorride, strusciandomi la guancia. «Ce la fai, lo so. Sei sempre riuscita a farlo sentire meglio. Lo conosci come nessun altro.»
Ma non abbiamo mai affrontato problemi simili! O sì? Io non ne sono sicura...
Tuttavia, Michele se n'è già andato.
Per un attimo mi sento abbandonata... però poi mi ricordo che lui non mi abbandonerebbe mai. Ha ragione, io so come riuscire a far stare meglio Liberio. Inoltre, sono certa che qualcuno con noi ci sia, perché in questo momento entrambi abbiamo bisogno di lei.
«Scusa, Ire...» mormora Liberio, accoccolandosi ancor più contro di me. «Ho rovinato tutto. Ho rovinato il tuo compleanno...»
«No.» Mi asciugo il viso e gli faccio posare la testa sul cuscino, per potermi sdraiare accanto a lui. «È tutto il giorno che sto male. Persino allo zoo c'era qualcosa che mi disturbava. È la mancanza di mamma. È il mio primo compleanno senza di lei...»
Liberio mi stringe la mano. «Lo so... e io sto peggiorando le cose...»
«No. Non capisci? Mi fa bene parlarne. E fa bene anche a te, solo che non l'ho mai capito...»
Quando si fa più vicino, le mie ginocchia premono contro le sue.
«Se mia madre fosse qui, sarebbe diverso» il suo tono diventa improvvisamente acido. «Se portasse soldi anche lei, non ci ritroveremmo in questo stato. Invece se n'è andata perché non aveva intenzione di badare a me... e ora siamo nella merda. Non posso fare a meno che incolparla.»
«Sì, hai ragione.»
Da piccolo Liberio non faceva altro che ripetere di voler partire, quando sarebbe stato più grande, per cercare sua madre. Crescendo, però, ha cominciato a considerarla per quello che è davvero: una vagabonda irresponsabile e senza cuore che ha abbandonato marito e figlio perché non era felice e voleva vivere la sua vita altrove. Da allora le foto della donna sono sparite dalla casa.
Liberio si asciuga ancora gli occhi, e stavolta fa un sorriso affettuoso. «Invece Ava c'è sempre stata per me. Quando chiesi a papà di mia madre, lui mi spiegò il tutto molto velocemente, perché non vuole mai parlarne. Ava invece fu molto più tenera, mi abbracciava.»
Annuisco, a mia volta sorridendo tristemente. «Me lo ricordo.»
Alla fine fu mia madre a raccontare la verità a Liberio, non Guillelmo.
Il mio amico mi posa una mano sulla testa per accarezzarmi i capelli. «Non so proprio cosa farei senza di te. Sei l'unica al mondo che riesce a mantenermi sano di mente. Non immagini quanto io ti voglia bene.»
Mi stringo contro di lui. «Anch'io ti voglio bene, Libe.»
Il mio cuore batte tanto forte da potergli far tremare il petto. Anch'io sarei persa senza di lui. Sono felicissima anche quando piangiamo insieme. Sapere i nostri cuori tanto uniti mi commuove e mi fa sprizzare gioia da tutti i pori.
Forse è per questo che Michele ha sentito di potersene andare. Ogni volta che sono con Liberio, il masso che mi preme il petto riesce finalmente a smuoversi e a sgusciare via, provocando nel mio spirito un meraviglioso senso di libertà e leggerezza del tutto indescrivibile.
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