Capitolo 11
Il giorno del mio sedicesimo compleanno, il 28 febbraio, cade di martedì.
Ovviamente per questo stesso giorno è stata programmata una verifica di scienze. La mia solita fortuna...
Poco male. Sempre meglio che dover studiare il giorno del proprio compleanno per una verifica del mattino successivo.
Poiché il compito si svolge alla prima ora, convinco il babbo a venirmi a prendere una volta terminato, così posso andare allo zoo con lui.
Verrà anche Liberio, che si è già fatto scrivere da suo padre l'autorizzazione di uscita anticipata.
Sapendo della nostra scappatella, Roo non è venuta a scuola, considerando anche che non aveva studiato, ed è riuscita a far credere ai genitori che oggi ci sia sciopero.
Allo zoo passo meno tempo del solito con Lattuga, per poter stare con Liberio. Oggi non è venuto per lavorare, soltanto per poter festeggiare con me.
C'è anche Saul, che ha fatto le bizze in stile "Non è giusto che lei sì e io no", e quindi è riuscito a far impietosire nostro padre. Tuttavia non visita lo zoo con noi, anzi se ne scappa da solo a salutare gli elefanti – cosa che non mi dispiace affatto.
Data l'occasione speciale, i miei tre angeli hanno deciso di venire tutti insieme, e a me fa più che piacere.
A metà pomeriggio torniamo a casa. Liberio dice di dover rientrare per prendermi "una cosina", dunque ci diamo appuntamento a stasera, quando festeggeremo con i miei parenti.
Mentre pulisco il salotto del piano terra, dove ceneremo, canticchio qualche motivetto allegro... ma finisco per degradare in nenie tristi.
La mattinata è stata molto bella, e compiere sedici anni è una sensazione piacevole, mi fa sentire più grande e più matura.
Però...
«Tutto bene?» mi chiama nonno Gigi.
Faccio spallucce, passando la scopa sul pavimento. «Ehm, non lo so... è strano...»
«Strano...»
Nonna Rosalba e Michele mi guardano allo stesso modo: come se capissero meglio di me ciò che sto provando...
Lancio loro occhiate indagatrici. Perché fanno tanto i saputelli? Non possono parlare chiaro?
Sarà soltanto la mia solita ansia che mi ghermisce proprio quando mi dimentico della sua esistenza. Alle volte il fatto di non avere preoccupazioni mi fa venire preoccupare... è buffo, o inquietante, o deprimente...
Mi riscuoto dai pensieri quando Kiara, lasciata in libertà, posa le zampine anteriori sulla mia caviglia.
Allora mi accuccio a grattarle le orecchie. «Vedi di stare da una parte e non perdere pelo, spelacchiata.»
Sospiro tra me e me mentre esco sotto il portico per sistemare i bidoni della spazzatura, allora sento una voce familiare provenire dalla strada.
Affacciata dalla recinsione, vedo due persone, di fronte al cancello dei miei zii, che discutono animatamente ma a bassa voce.
Uno è Tommaso, l'altra è... «Roo?» chiamo.
Roberta si gira a guardarmi, con l'espressione di chi l'ha combinata davvero grossa.
Beh, fa bene a sentirsi in colpa! È da mio cugino e non mi ha detto niente? È il mio compleanno!
A meno che non mi stiano preparando una qualche sorpresa...
«E‐Effy!» balbetta, rossa in volto e con un sorrisino stupido.
Alle sue spalle, Tommaso sembra un po' giù di morale.
Roo mi si avvicina e mi stringe le mani. «Scusa, ho avuto... un problema. Ehm, tanti auguri di nuovo, comunque! Ora devo andare. Ci si vede stasera, OK?»
Annuisco in silenzio, senza sorridere, facendole ben intendere che sono arrabbiata e delusa dal suo pessimo comportamento.
Si allontana più veloce che mai con aria mortificata, lanciando un'ultima occhiata nervosa a Tommaso, che invece la ignora bellamente.
Mi giro verso Michele e nonna Rosalba. Sono stati tutto il tempo con me, non possono sapere cosa sia accaduto. E Walter sarà ormai troppo lontano perché Michele possa andargli a parlare. Però stasera Roberta verrà alla festa, quindi potrà chiedergli.
Tommaso mi guarda e mi fa cenno di raggiungerlo in casa sua. Così, dopo aver rimesso Kiara dentro la gabbietta, esco per seguirlo.
La sua abitazione è a un piano e presenta un soffitto più basso rispetto alla mia.
Entriamo nella sua stanza, addobbata di poster di rock band e cantanti heavy-metal. Il faccione di Ozzy Osborn spicca dietro alla testata del suo letto, con tanto di un peluche di pipistrello senza testa poggiato accanto...
Tommaso fa tanto l'ombroso e il cattivo ragazzo, ma so benissimo che nasconde una foto di Harry Styles sotto il cuscino.
«Che cos'è successo con Roberta?»
Lui si mangiucchia una lunga unghia tinta di nero e fa spallucce, come se bastasse questo a placare la mia curiosità. Ma poiché il mio sguardo inquisitore non cede, Tommaso canticchia: «Stavamo organizzando una sorpresa per te! Uno striscione da pitturare con le bombolette spray! Ma non ci siamo organizzati bene, e... nulla. Un po' colpa sua, un po' colpa mia, non siamo riusciti a metterci d'accordo. Scusa».
Tiro un sospiro di sollievo. Per fortuna non si tratta di qualcosa di grave. «Non ha importanza, davvero. Non dovete litigare per questo.»
«Sì, hai ragione.» Tommaso sospira ancora mentre posa le mani sul materasso.
Che abbia ereditato l'abitudine da nonna Rosalba?
Si mordicchia il labbro e borbotta: «Com'è andata allo zoo?»
«Ci siamo divertiti» rispondo, osservando con la coda dell'occhio Michele che si siede accanto a suo fratello.
Lo fissa con lo sguardo premuroso a cui eravamo tanto abituati. È sempre stato protettivo nei nostri confronti, un fratello maggiore perfetto.
«A scuola?» mi domanda poi Tommaso. «Com'è la situazione con i compagni?»
Tiro indietro la testa per l'esasperazione. «Non è cambiata granché, alcuni di loro sono dei veri idioti. Però, sai quel mio compagno cinese e il suo amico del cuore? Quest'anno sono più simpatici. E Nadia Bensi... è strana. È antipatica come sempre, ma molto meno di Marzia Udini. Però c'è quel Claudio Righini... Oggi il professore ha consegnato il compito, e Claudio l'ha accartocciato e gettato via. Così, senza neanche provare a leggere le domande! Il prof lo ha trascinato dalla preside, e noi abbiamo fatto la verifica sotto gli occhi di una supplente. Alla fine sono riusciti a fargli scrivere qualcosa, ma solo dopo tantissimi battibecchi. Ha praticamente completato il compito in venti minuti. Che gran macello...»
Tommaso però sta digitando freneticamente al cellulare, simulando continue smorfie di disappunto.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì sì. È che sto cercando 'sto Claudio Righini. L'ho già sentito, l'hanno nominato i miei compagni. Ma non ha Instagram, né Facebook...»
«Sì, so di suo padre e della rapina.»
«Sai anche di cosa è successo prima?»
«Eh?»
Tommaso abbassa la voce, assumendo un tono assai serio e tetro: «A quanto pare, da piccolo è entrato in una cricca... boh, un circolo di droga. Avrà avuto undici o dodici anni».
«C-cosa? No...»
Mio cugino annuisce. «Era un gruppo comandato da donne che vendevano roba ai ragazzini e li portavano a loro volta a vendere. Facevano il lavaggio del cervello, li portavano a sballare, e poi... È-è terrificante, lo so...»
Michele è lo specchio del mio shock e del mio disgusto.
«È osceno...» biascico, la fiele in corpo. «Disgustoso... Quei bambini...»
«Molti ragazzini non ne sono usciti vivi» continua a raccontare Tommaso. «Alcuni a loro volta si sono messi a spacciare dopo pochi anni. La maggior parte sono impazziti... E Claudio non ha avuto figure genitoriali di buon esempio. Suo padre lo ha spinto a rubare. Quanto a sua madre, da ragazza faceva la squillo, e non mi risulta che sia cambiata troppo. Probabilmente è stata colpa loro se ha subito così tanto...»
Schiocco la lingua con amarezza. Claudio sarà scontroso e farà paura, ma non è del tutto colpa sua...
Per quale motivo non ha un professore di sostegno che lo tenga d'occhio? Forse perché è maggiorenne?
Tutto ciò a cui riesco a pensare al momento, è a quanto mi faccia pena...
Bambini costretti ad assumere droghe... forzati a spacciare...
Bambini, creature indifese e innocenti, pure, costretti a sporcare in questo modo la loro anima...
Perché devono accadere cose del genere?
Alzo lo sguardo su Michele. «Perché succedono queste cose?»
Tommaso crede che io stia parlando con lui, infatti scuote la testa con dispiacere, proprio come sta facendo suo fratello.
Poi dice: «Scusa, non volevo deprimerti proprio oggi. Però... il Righini è un tuo compagno di classe, eh? Non dargli confidenza, OK?»
«Non considera nessuno di noi, finge che non esistiamo.»
«Meglio così.»
Ancora scossa da questa notizia, lo saluto per tornare a casa, già pronta a confidarmi e a porre domande agli angeli.
Quando rientro al piano terra, però, ci sono mio padre e mio fratello, scesi ad aiutarmi per sistemare le ultime cose.
Il babbo si gira a guardarmi con faccia seria. «Liberio sta diventando molto bravo col lavoro. Presto potremmo prenderlo con noi, ma Umberto non è ancora sicuro.»
«Il direttore?» chiedo, sugli attenti. «Perché no?»
«Perché Liberio è studente. Verrebbe a lavorare soltanto di pomeriggio, e non ha la moto per far prima. Se non lo vado a prendere io, deve confidare nell'autobus, che impiegherebbe però più di un'ora, per non parlare dei possibili ritardi e scioperi...»
«Ma lo sapevate!» esclamo rabbuiata. «Scusa, lo sapevate, eppure gli avete dato speranza durante queste settimane!»
Il babbo annuisce, con la faccia di chi ha la coda di paglia. «Perché Umberto mi ha detto che andava bene lo stesso. Ma...»
«Umberto deve andarsene a fare in culo!»
«Beh, in questo caso sì...» Mio padre si siede e sospira. «E io non so se posso continuare a pagare Liberio di mia tasca. Visto che...» si zittisce di colpo, triste.
Saul mi lancia un'occhiata tesa, perché come me ha capito di cosa sta parlando il babbo: ormai lui è l'unico a lavorare e a mantenere la nostra famiglia.
Gli poso una mano sul braccio. «Lo so. Hai già fatto tanto per lui. Ma Liberio ha bisogno di un lavoro. Voleva chiedere di diventare cameriere in un ristorante, ma quando ha saputo di avere una possibilità di assunzione allo zoo, dove ci sei anche tu, ha preferito seguirti e...»
Sento Saul sussultare e ci voltiamo di scatto.
In salotto è appena entrato Liberio.
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