Capitolo 1

Accidenti a me...
Accidenti, accidenti, accidenti a me!
Mi mordo la lingua nonostante io stia soltanto pensando, e mi costringo a prendere un respiro profondo per calmarmi. Se continuo a mandarmi altri accidenti, prima o poi l'autobus andrà a schiantarsi contro un muro.
Sarebbe una prospettiva allettante trascorrere il resto della giornata in ospedale per non dover andare a quella scuola infernale...
Ma non c'è da scherzare. Gli incidenti sono una cosa seria, e qualcuno potrebbe rimanerci secco...
Lancio un'occhiata impercettibile verso l'alto. Se soltanto mi facesse il favore di farmi arrivare puntuale... Almeno questo, non mi sembra di chiederGli molto.
Non riesco neanche a concentrarmi sugli Imagine Dragons rimbombanti nelle mie orecchie, la band che di solito mi distrae dal pensiero che tutti mi stiano fissando.

Odio l'autobus, si è costretti a stare così vicini agli altri passeggeri, che per giunta non si fanno mai gli affari propri: fissano le giacche, le scarpe, lo zaino... e soprattutto il posto che si occupa. Se qualcuno è seduto lo guardano male perché vogliono appollaiarsi là dove sta lui; se è in piedi lo guardano male perché prende spazio.
Non è che la sottoscritta ne rubi troppo rispetto agli spilungoni e ai palestrati. Praticamente io sono una briciola di pane! Ma esisto e sono sullo stesso autobus degli altri, e questo li infastidisce. Tutti infastidiscono tutti.
E loro infastidiscono me!
Ma preferisco farmi gli affari miei, ficcarmi le cuffie nelle orecchie e fingere che non esista nessuno. Appunto grazie alla mia taglia minuscola riesco a entrare bene anche negli spazi più angusti, e più sto in disparte, meglio è.
Tanto, mi dico sempre, bastano venti minuti, posso resistere...

Ma non questa mattina! Perché questa mattina l'autobus di fronte a noi si è rotto e, arrestato in mezzo alla strada, ha bloccato la marcia!
Diretto in una zona più periferica di Pisa, il nostro pullman ha impiegato dieci minuti per riuscire ad aggirarlo e superarlo, lottando contro le auto della corsia opposta che insistevano a passare e gli studenti di quell'autobus rotto che sono scesi per salire a forza sul nostro veicolo.
Per essere un sabato, i pullman sono molto affollati... ora persino io rimango schiacciata contro il vetro e, come se non bastasse, siamo in ritardo sulla tabella di marcia!

C'è ancora una possibilità però.
Il bus ferma di fronte al supermercato, di fianco al campetto della scuola di geometra e agraria. Poi c'è l'edificio scolastico e a seguire il mio istituto, scientifico e linguistico.
Entrerò sicuramente dopo le 8:00, ma stamattina ho la professoressa di matematica, la quale ritarda sempre quei famosi quindici minuti.
Con la fortuna che ho, comunque, oggi arriverà in orario...

Finalmente scendiamo di fronte al supermercato.
Sguscio tra i coetanei come un topolino in mezzo a una colonia di pantegane e attraverso a passo lungo il parcheggio per raggiungere il marciapiede opposto.
Potrei correre, ma sembrerei stupida. Già sembro abbastanza tonta mentre cerco di rimettere le cuffie in tasca, con il filo che insiste a balzellare fuori e a incastrarsi nel mio braccialetto di Pandora.
Gli altri studenti se ne fregano di essere in ritardo, chiacchierano amichevolmente, ridono e fumano spensierati.
A loro non importa nulla, ma a me sì!
Ho già fin troppi ritardi segnati sul registro della scuola.
E comunque, se corressi cadrei senz'altro. Che vergogna, il solo pensiero mi fa arrossire!
Passo di fronte al campetto in compagnia degli altri studenti giudiziosi come me e ansiosi di non far tardi... invidio chi entra subito nella prima scuola... arrivo di fronte alla seconda struttura e...

Ovviamente ci sono i ragazzi di un'associazione, che non conosco e di cui non mi interessa, a bloccare i passanti.
Perché mi sono tolta le cuffie?!
Guardo da un'altra parte cercando di passare in fretta, ma una ragazza mi blocca. «Salve, siamo...»
«Scusa, sono in ritardo» dico spiccia.
«Vorremmo soltanto parlarti dei malati di cancro» insiste questa, in tono altezzoso. «Ci stai dicendo che non t'interessa?»
Mi volto di scatto a fulminarla con lo sguardo, con tanta furia da farla indietreggiare con aria mortificata e le labbra serrate.
Schiocco la lingua in una smorfia di disprezzo. «A me non interessa, eh? Solo perché fate una cosa così buona, non significa che dovete prendere per il culo chi non partecipa.»
La ragazza arrossisce, ma mai quanto me...
Mi volto, mandandola a quel paese in silenzio, e mi allontano inviperita.
Guardo verso l'alto, accigliata. Proprio a me doveva farla incontrare?

Attraverso il cortile della scuola, entro dalla porta della segreteria, salgo le scale in tutta fretta, e una volta nel corridoio superiore mi ritrovo ad ansimare.
Perché mai non faccio sport?
Ah, già, lo odio.
Col cuore sul punto di esplodere, struscio i piedi verso il corridoio di sinistra. Quando raggiungo la mia classe vedo che la porta è ancora aperta... e che la professoressa non è ancora arrivata!

Sorridendo gioiosa mi affretto a entrare. Una volta barcollata fino al mio posto, mi lascio ricadere sulla sedia. Mi tolgo il giaccone e getto lo zaino sul banco, percependo fastidiosissime goccioline fredde che mi pungono tutto il corpo.
«In ritardo come al solito.»
Sollevo il capo, apro la tasca frontale dello zaino, afferro la bottiglia d'acqua e bevo una lunghissima sorsata, con tanta avidità da aumentare il mal di testa. La richiudo e la sbatto sul capo del ragazzo mio compagno di banco.
«Ohi!» protesta lui, portandosi le mani tra i folti capelli castani. «Ohi ohi! Ehi! Non è mica colpa mia!»

Sapendo di riaverne presto bisogno, lascio la bottiglia sul banco.
Afferro il cellulare e scopro di avere dieci messaggi su WhatsApp.
È Liberio:

Dove sei?

Ire, che è successo?

Irene, dove sei finita?

In ritardo, vero?

Hai dormito troppo?

Ti avevo detto di venire con me e mio padre :,D

Ohi, mi rispondi?

La prof non è ancora arrivata, forse ce la fai!

Chissà che scusa avrai stavolta -_-

Ah, non prendertela con me quando arriverai tutta sudata!

«Avresti dovuto leggere i messaggi» brontola Liberio, ancora dolorante. «Specialmente l'ultimo...»
Riesco a ridacchiare, intanto che pulisco le lenti appannate degli occhiali. «Libe, ti è venuto in mente che fossi schiacciata in pullman in mezzo a due giganti e che non riuscissi ad afferrare il cellulare?»
«Mmm, come no...» bubbola lui imbronciato, sebbene gli occhi color russet siano ridenti. «La prossima volta che dico che può accompagnarci mio padre, ti aspetto. Punto e basta.»
«Non devi arrivare in ritardo per colpa mia...»

Liberio mi sorride e volge il busto in mia direzione, posa le mani sulle mie ginocchia e fa: «OK, adesso, prima di due noiosissime ore di matematica e fisica, prendiamo respiri profondi». Solleva le mani e inspira chiudendo gli occhi. «Inspira...» poi le cala rilasciando il respiro, «ed espira...»
Scoppio a ridere. «Tu adori matematica e fisica.»
«Ma tu no. Sto solo cercando di aiutarti, considerato che sei già... nervosa...»
«Fatti gli affari tuoi» mugugno bonaria.
«Sta' zitta e ascoltami.» Mi afferra le mani, le solleva inspirando, «Inspira... ed espira...» e le riabbassa espirando.
Io mi trattengo dal ridere, imitandolo.

«Ma che state facendo?»
Alziamo gli occhi su Giulia Cei, seduta al banco di fronte a me.
«Aiuto Irene» risponde Liberio. «Sai che ha dei problemi... ma proprio tanti» bisbiglia, pur facendosi ben sentire da me.
Gli tiro un colpetto alla caviglia mentre Enrico Fallaci, altro nostro amico, si volta chiedendo: «Qualcuno di voi ha fatto gli esercizi di francese per dopo?»
«C'erano degli esercizi di francese?» esclamano Liberio e Giulia all'unisono.
Alzo gli occhi al cielo. «Sì, io li ho fatti.» Tiro fuori il quaderno ancor prima che comincino a implorarmi. «Ecco, prendete. Magari copiateli all'intervallo e non rischiate che la Mazzini vi sgami. Giuro che se prende il mio quaderno, ve la faccio passare brutta.»
«Grazie! Grazie! Grazie!» Enrico mi fa inchini rispettosi, neanche fossi una principessa, il suo ciuffo ramato si muove in maniera buffa sulla sua fronte. «Staremo attentissimi. Ehi!»
Liberio gli ha appena rubato il mio quaderno. «Prima io, sono il migliore amico, sapete com'è.»
«Liceo linguistico.» Gli pungolo il fianco per fargli il solletico. «Liceo linguistico, eppure preferisci matematica e fisica.»
«A inglese e spagnolo sono bravissimo!» replica, allontanandomi la mano.
«A spagnolo sei bravo perché tuo padre è spagnolo, Libe.»

Mi tira una spintarella, allora lo lascio copiare i compiti mentre controllo le notifiche su Instagram, poi nascondo il cellulare nello zaino non appena la professoressa Mazzini entra in aula.
«Buongiorno!» saluta, senza neanche degnarci di uno sguardo.
Dopotutto ormai nessuno di noi alunni si alza più all'entrata di un insegnante... o forse è così solo nella nostra classe...

La Mazzini completa l'appello, prima di annunciare che interrogherà.
Io mi accuccio a nascondermi dietro allo zaino, ma Liberio si dimentica improvvisamente di dover copiare i compiti di francese – e dimentica anche che il quaderno da cui sta copiando è il mio – e comincia a spintonarmi per mettermi in bella vista.

Per fortuna però la Mazzini chiama Bianca Neri. Insomma, una fortuna per me, ma una sfortuna per lei, che non solo non è brava a matematica, ma l'insegnante urla a squarciagola il suo nome per intero, provocando, come al solito, un'ondata di risatine attraverso la nostra stupida classe. Certo che anche i suoi genitori a chiamarla Bianca col cognome Neri...
Va alla lavagna, tutta rossa e accigliata.

La metà degli alunni se ne sta al cellulare, mentre l'altra metà, come me e Liberio, sta copiando l'esercizio di Bianca per completarlo assieme a lei.
Dopo due esercizi, però, Liberio comincia a punzecchiarmi con la penna per infastidirmi, annoiato, allora io lo guardo male e gli strizzo il naso.

«Gherardi? Ferrez?» ci richiama scontrosa la Mazzini, facendoci subito rimettere in riga e in silenzio.
Quando lei torna a concentrarsi sull'interrogazione, io sibilo a Liberio: «Se dopo m'interroga, dovrai vedertela con me».
«Non t'interrogherà» mi rassicura. «Chiama soltanto chi ha l'insufficienza da prima delle vacanze.»
«Sssh!» Marzia Udini, la ragazza più studiosa della classe, sempre rigorosamente al primo banco, si volta verso di noi e sibila un po' troppo ad alta voce: «Irene, Liberio, state disturbando!»
La professoressa Mazzini si volta a guardarci male, ma Liberio si affretta a girare il quaderno per mostrarle le pagine con su riportati gli esercizi. L'insegnante ci lancia un'ultima occhiata di avvertimento, prima di tornare a torturare Bianca.

«Brutta vacca...» ringhio tra me e me, con lo sguardo fisso su Marzia, tornata a copiare l'esercizio.
La sua migliore amica, Binah Asante, mi guarda coi suoi occhi scuri da gufo impiccione. Non appena pronunciata la mia offesa, quella si affretta a bisbigliare nell'orecchio della compagna di banco.
«Sì, dille che la guardiamo male» mormoro inferocita. «Siete così cretine da non capire che due più due fa quattro?»
Liberio mi tira una leggera gomitata. «Lasciale perdere.»
Oh, Signore, ma perché dovevi farci capitare in classe proprio con queste persone? Capisco che abbiamo iniziato la scuola un anno prima del necessario, ma... è proprio questo il prezzo?

«Ilene, Libelio, state distulbando!» Guo Zhu, al banco dietro di noi, simula una vocetta scema facendo il verso a Marzia, che è ancor più esilarante dato l'accento cinese. Sì, perché a quanto pare i cinesi mettono davvero la "l" al posto della "r", non è soltanto uno stereotipo comico.
Accanto a lui il suo migliore amico, Luca Cipolli, ride a crepapelle, e anche io e Liberio gli scocchiamo un sorrisetto veloce.
Se non fosse che quei due prendono costantemente in giro l'intera classe, ivi compresi noi, li troverei sopportabili.

Avvisata da Binah, Marzia si volta per riprenderci nuovamente, ma Alberto Rovai le sibila severo: «Fate gli esercizi!»
Allora le due ficcanaso si voltano, più offese che mai.
Ecco, Alberto è uno dei pochi che riesco a tollerare qui dentro. È lo studente modello tra i ragazzi, ma a differenza di Marzia, non ha bisogno di passare l'intero pomeriggio e tutta la notte con il naso tra i libri: ha una capacità innata nel memorizzare le nozioni più importanti, e trova un enorme interesse ad approfondirle. È anche il più responsabile, il rappresentante di classe per il terzo anno consecutivo, ed è un po' il paladino tra gli alunni della 3^A‐Linguistico, colui che riesce sempre a placare i battibecchi.

Mentre la professoressa detta l'ennesimo esercizio, Liberio mi pispiglia: «Tutto bene?»
«Sì. Perché?»
Lui si fa un po' serio. «Lo vedo che è successo qualcosa, che credi?»
Scuoto la testa per fargli intendere che va tutto bene.
Sto mentendo: in realtà sto ancora rimuginando sull'incontro con quella ragazza fuori dal cancello.
Una piccola parte di me si sente in colpa per averla mortificata...
D'altronde mi ha punta sul vivo, ha toccato un tasto dolente... che le serva da lezione.

Finalmente Bianca viene rispedita al posto, con un 6 soddisfacente, e a seguire viene chiamato Claudio Righini.
È un ragazzo di freschi diciotto anni, bocciato in terza superiore. Lo abbiamo conosciuto lo scorso settembre, all'inizio di questo anno scolastico. Nell'appello c'erano altri due ragazzi bocciati, ma uno di loro è passato alla scuola serale; l'altro invece, benché abbia ancora il nome segnato sul registro, non si presenta mai a lezione.
Claudio ci guarda sempre dall'alto in basso e ci scansa come se fossimo spazzatura. Per me non è un problema, dato che lui non mi piace affatto: è enorme, con la faccia da mastino... e tutti conosciamo il suo passato oscuro...
Struscia i piedi fino alla lavagna, solo per ammettere di non sapere nulla – con termini più coloriti. Così la Mazzini lo scaccia con un secco 2.

Al suo posto viene chiamato Luca, che perde la risatina e ciondola verso la professoressa.
Capendo che passeremo il resto dell'ora soltanto a svolgere esercizi, lascio andare la penna, mi nascondo dietro allo zaino e comincio a srotolare le cuffie.

Proprio adesso però bussano alla porta ed entra... quella ragazza! Proprio lei!
«Merda...» scivolo giù dalla sedia per nascondermi dietro a Liberio.
Lui mi guarda sorpreso, ma non fa domande, come non ne fanno neanche i compagni dietro di noi. Sono abituati: io sono quella strana, quella che non parla mai in classe ma che fa cose bizzarre e dice cose bizzarre, che si isola da tutti perché è asociale e snob.
Beh, non sono snob, sono semplicemente asociale, e preferisco la compagnia di pochi amici fidati.

Quando la ragazza appena entrata raggiunge la cattedra, riesco a strisciare fino alle spalle dei compagni in fondo all'aula, e qui rimango accucciata, al sicuro.
«Sei davvero un caso perso, Gherardi» mi sfotte Nadia Bensi, la tipa più smorfiosa che io conosca. Mi fissa con quel suo sorrisetto irritante dalle labbra violacee di rossetto. «Le persone non mordono, non ti farà mica male.»

La ignoro bellamente e ascolto la ragazza sconosciuta che parla alla mia classe: «Salve a tutti, siamo un gruppo di ragazzi intenti a raccogliere offerte per un'associazione che si occupa dei malati di cancro. Chiediamo un euro, a chi vuole, e noi consegneremo un numero per l'estrazione di una lotteria. Se ci lasciate anche i numeri di telefono, vi faremo sapere se avrete vinto».
Sono pochi quelli che si accucciano sugli zaini per prendere i portafogli.
Nadia sbuffa e borbotta qualcosa riguardo alle stupidaggini e alle truffe, e io cerco ancora d'ignorarla.

Prendo un respiro profondo e mi sporgo verso Paolo Zelo, un ragazzino basso e magrolino dai riccioli biondi, intento a cercare il proprio portafoglio.
«Paolo...» sussurro.
Lui sussulta nel momento in cui mi vede in ginocchio per terra dietro a Nadia.
«Hai dieci euro?» gli chiedo.
«Eh? S-sì...»
«Dalli alla ragazza, te li rendo subito.»
«Uhm, ehm, O-OK...» balbetta lui, estraendo una banconota da dieci in aggiunta all'euro che ha già tra le dita.
Va alla cattedra per consegnare i soldi alla ragazza, la quale sento esclamare: «Accidenti! Ehm, grazie! Allora meriti undici numeri per la lotteria!»
«Uh, ehm, g-grazie...»

Prendo un respiro profondo, accorgendomi poi che Nadia mi sta fissando in maniera strana, come se fossi una giocatrice d'azzardo.
Sì, Nadia, è proprio per questo che ho donato dieci euro...
Quando finalmente la ragazza se ne va e io posso strisciare di nuovo al mio posto, mi affretto a raccogliere il portafoglio e a restituire i soldi a Paolo, il quale a sua volta mi passa i biglietti della lotteria.
«Tienili tu» rifiuto con un sorriso.
«Eh? M-ma sono t-t-tuoi...»
«Non m'interessa» insisto gentilmente. «Prendili tu. Meriterai qualsiasi premio.»
«Dai, I-I-Irene...»
«Zelo, vuoi tornare al tuo posto, per cortesia?» lo sgrida l'insegnante.
Paolo arrossisce profondamente e si affretta a tornare seduto, toccandosi i biglietti in tasca.
Liberio mi guarda con un sorriso dolce. «Che ne dici se stasera ti offro una cenetta al McDonald's
«Non voglio ricompense per...»
«Beh, secondo me la meriti» mi interrompe lui, facendomi l'occhiolino con quel suo sorriso che m'intenerisce sempre.

Dopo aver ascoltato Binah, Marzia si gira a guardarmi e dice, arricciando le labbra: «Irene, guarda che non devi nascondere le tue donazioni. È una cosa altruista, non è che noi le abbiamo fatte in bella vista perché vogliamo metterci in mostra».
Non faccio in tempo a urlarle addosso, che Liberio le dice acido: «Ma chiudi quella bocca, imbecille!»
«Silenzio!» La professoressa batte le mani sulla cattedra, e tutti ci azzittiamo.

Io cerco di trattenere i tremiti e di non alzarmi per andarmene.
Quando Liberio mi stringe la mano, prendo un altro lungo sospiro, tirando la testa all'indietro.
Gli occhi dei miei compagni sono puntati su di me, e Nadia pare odiosamente sorpresa.
Ecco, ora ho ricordato a tutti quanto io sia pietosa, e sono pure passata per caritatevole, e allo stesso tempo presuntuosa verso gli altri che hanno fatto la donazione apertamente.
Se voglio fare della carità a chi ne ha bisogno, sono affari miei, ma non penso male di chi si fa vedere a donare.
Il motivo per cui mi sono nascosta, era per non affrontare quella ragazza... oltre al fatto che odio ricordare che il cancro ha modificato la mia vita... la vita della mia famiglia...
Appoggio il mento sul banco, infilando le cuffie nelle orecchie, e scocco un'occhiata di biasimo verso l'alto...

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