...e altre mille ci ricascherò 🚨(PF 2024)

Contesto: Vago, 1930 ca., slegata dalle altre storie.
Genere: erotico.
Avvertimenti/TW: PWP, scene esplicite, choking, dub-con, drunk sex, una punta di fluff finale.
Prompt(s): La Tombola delle Lande, prompt 11: "Metodo Monte Carlo" + P0rn Fest #18 - The Age of Coming: "Qui dentro non si respira" - choking/erotic asphyxiation.
Note: È p0rno, raga, nient'altro da aggiungere ahahah

          Svestirsi a vicenda è ormai un rituale che non ha bisogno di pensieri – soprattutto quando pensare vuol dire perdere tempo che non hanno mai, nel mondo là fuori tempestato da marce e manganelli.

Bruno è sempre molto più rapido nello sfogliar via ogni strato di troppo che avvolge il corpo di Ricciardi; rapido, ma non affrettato. Ha un metodo clinico, si può dire, mirato ed efficiente: prima la cravatta, che impiccia assai, poi tutto il resto, ché lui è sempre troppo vestito e pure per bene – giacca e gilè e bretelle e camicia, sino ai calzoni e all'intimo – senza per questo negarsi lo sfizio di esplorarlo a fior di pelle man mano che la scopre.

Ricciardi non è così metodico: le sue mani viaggiano seguendo l'impulso del momento, tirando e afferrando dove trova, scoprendo ciò che vuol vedere e toccare e baciare di volta in volta. È in quella fregola pulsante, una confusione imprevedibile di gesti alla cieca, che trova, non sa come, sempre la via più breve per farlo uscire pazzo.

Disegna sul suo corpo uno scarabocchio probabilistico che unisce puntini a caso, in grado di suscitare in lui reazioni che mai riuscirebbe nemmeno a immaginarsi – e sono sempre giuste, però, come se fosse un metodo d'azzardo scientifico studiato da qualche capa matta che vuol sempre vincere al gioco.

Capita che gli slacci prima i pantaloni; altre gli sfila prima la giacca, gli sbottona la camicia – e poi si perde sul suo collo, sulle sue labbra, si aggroviglia ai suoi ricci, come dimenticandosi di dovergliela anche togliere, la camicia; altre ancora nemmeno lo spoglia e gli fa perdere ogni senso di sé semplicemente divorandogli la bocca e la lingua, quasi ne andasse di ogni suo prossimo respiro. È disordinato come non appare affatto nella vita – è affamato, gli sembra sempre in tema che quegli attimi insieme fuggano via, sicché gli imprime addosso ogni volta l'urgenza che ha di averlo, di sentirlo.

Stanotte, a quel suo fare irruento, si appaia un tasso alcolico che accopperebbe un bue. Quando varcano la soglia della camera da letto, Ricciardi incespica e Bruno lo riacchiappa per i gomiti non appena lo sente cedere un poco alla gravità, spingendolo invece sul letto di schiena.

Lui rimane semi sdraiato sul materasso, le gambe che sporgono a puntellarsi sui talloni; in mezzo alle gambe, contro la stoffa dei pantaloni eleganti, si erge il gonfiore innascondibile che gli ha premuto addosso sinora.

Bruno lo ammira per un istante, avvolto dal chiarore che filtra dai vetri. La luce calda di un lampione, ammischiata a quella più fredda della notte invernale, mette in risalto il suo incarnato pallido tra il bianco della camicia mezzo aperta, così come l'inchiostro dei suoi capelli sfatti e degli occhi. Appaiono anch'essi neri e profondi sotto le ciglia folte, le pupille dilatate a oscurare l'iride azzurrino.

Non si sofferma mai troppo su quanto gli piaccia, perché teme che, poi, non riuscirebbe a fare a meno di pensarlo ogni volta che lo guarda – ed è pericoloso guardarlo così al di fuori di quella stanza.

Ricciardi solleva nella sua direzione un braccio reso molle dal troppo vino, in un gesto che, più che suadente, appare comico e quasi bambinesco, appaiato a un inclinarsi sornione di labbra dischiuse:

«Vieni?»

Bruno ammicca nella penombra e s'avvicina d'un passo. Preme i palmi sulle sue ginocchia divaricate per chinarsi su di lui.

«Di già?»

Lui lo fissa per un istante, poi scoppia a ridere, un suono basso e intermittente che sembra rimbalzare chiuso nel suo petto senza mai uscirne. Ascoltare Ricciardi che ride è un privilegio che hanno in pochi – e sapere di essere tra quei pochi fa viaggiare Bruno su un binario fatto in pari misura d'orgoglio e contentezza, sebbene adesso sia più merito dell'alcol che suo.

Lui, stavolta, s'è quasi astenuto dal bere se non per un paio di dita di nocino digestivo; Ricciardi, invece, ha scoperto dopo trent'anni suonati da quasi astemio di avere un gran gusto per lo xères*, stomachevolmente dolce, di cui s'è scolato un bicchiere dopo l'altro come fosse gazzosa.

È forse per questo che, stasera, è più caotico che mai, disinibito in un frullio di gesti e tocchi di mani, labbra e corpo che a Bruno sta mandando in poltiglia il cervello; e pensa che dovrebbe lasciarlo bere più spesso solo per vederlo così spensierato, dimentico di tutto ciò che di solito gli incupisce un poco lo sguardo anche quando sono assieme.

Ricciardi lo chiama di nuovo, stavolta solo con gli occhi. E Bruno risponde, incastrandosi tra le sue gambe e sovrastandolo, le mani premute ai lati della sua testa; lui appende le dita ai bottoni chiusi della camicia, e gli pare si sia dimenticato come si slacciano senza incartarsi.

È un attimo che gli mozza il fiato, quello in cui lui si rimette a sedere in uno slancio improvviso, spingendolo di nuovo in piedi. Gli tira giù calzoni e intimo assieme e si ritrova avvolto dalla sua bocca prima ancora di poter sospirare. Bruno incastra le mani tra i suoi capelli, a guidarlo appena – come se ne avesse bisogno e non avesse affinato il ritmo perfetto per farlo uscire pazzo. Getta la testa all'indietro, gli occhi puntati in basso, a seguire ogni suo movimento.

La sua lingua scivola decisa sulla sua lunghezza, seguita dalla mano che accompagna ogni affondo; sente già la spinta dell'orgasmo montare in flutti tiepidi – Cristo, gli fa sempre fare figure di merda – quando Ricciardi rallenta di colpo, strappandogli un lamento deluso. Avverte la smorfia delle sua labbra stringersi attorno a lui prima che lo liberi di scatto, la fronte poggiata sul basso ventre e il respiro affannoso.

«Ohi, Riccià?»

Gli sfugge un po' frustrato, quel richiamo di solito più dolce; la marea piacevole nei suoi lombi s'inabissa, lasciandolo col membro spiacevolmente umido e sovrastimolato.

Lui bofonchia qualcosa contro la sua pelle – somiglia a un mi gira la testa, però con tutte le lettere al posto sbagliato – col tono distorto di chi sta trattenendo un conato; poi, lo sente scivolare all'indietro, fino a adagiare con lentezza la schiena sul materasso.

Bruno sospira, ma gli viene da ridere: darsi ad attività orali non è forse l'idea migliore, quando quello che dovrebbe elargirle ha più alcol che sangue in corpo.

Lo guarda dall'alto, ancora in mezzo alle sue gambe, mentre si libera dei pantaloni scivolati alle caviglie e scalza via le scarpe. Lui segue con occhi un po' appannati ogni suo gesto, una mano posata sul basso ventre, con un pollice ancorato sotto l'orlo dei calzoni – e, se solo esistessero quelle per loro, non sfigurerebbe sull'illustrazione di una qualche rivista erotica.

E si riempie di quella vista, preso a metà tra l'indolenzimento eccitato che gli stringe l'erezione e i pensieri morbidi che gli si avvitano in testa. Ricciardi lo guarda a sua volta dal basso, il respiro un poco accelerato, mentre lui si libera anche della camicia e scivola nudo su di lui, spingendolo un poco più in su sul letto.

Sparuti raggi di luna si divertono a disegnare ombre e luci sul suo volto pallido, infiammato dal fiorire di un rossore che va da uno zigomo netto all'altro, scavallando il naso un poco lungo. Sono arrossate anche le sue labbra, per il freddo e i troppi baci che gli ha strappato via senza preoccuparsi di screpolarle; e sono schiuse, in cerca d'aria o forse delle sue – e lui gliele offre in un respiro rapido, ormai schiacciato contro il suo corpo.

Libera anche lui dai vestiti, ché i suoi movimenti sono abbastanza scoordinati da esser quasi pericolosi – a lui non sembra dispiacere. È sempre vocale, quando sono a letto, ma adesso ogni sfioramento di pelle e ogni linea che traccia sul suo petto suscita una risposta sonora non trattenuta. Bruno ci si ubriacherebbe a sua volta, di quei suoni rivolti solo a lui, senza alcun bisogno d'aiutini alcolici.

Lo prende in mano in una carezza lenta, decisa, rimanendo puntellato sopra di lui – che geme e s'affanna con uno scatto di lombi – e scivola presto in un ritmo più rapido, ma non frettoloso, interrotto da baci quasi non ricambiati per quanto Ricciardi è perso in quella giostra di piacere ed ebbrezza – gli sembra quasi un po' assente.

Lo sente tendersi e si accosta a lui, guancia a guancia, con un verso contratto contro i denti nello sfregarsi contro la sua coscia. Vorrebbe solo essere toccato, o anche solo toccarsi da solo il più presto possibile per darsi sollievo, dopo quella fellatio mancata che ancora un po' gli brucia.

Solo che Ricciardi, come spesso fa, decide di spiazzarlo – e rovesciare per terra il tavolo con tutte le carte, invece di limitarsi a cambiare solo quelle in tavola.

Esala qualcosa vicino al suo orecchio: un torrentello caldo di parole sospirate tra i gemiti che gli accarezzano il lobo. Bruno si arresta con un singulto al cuore e uno spasmo che gli infiamma l'erezione già fin troppo tesa. Arresta la mano, fa leva sulle braccia e si porta a distanza, così da guardarlo in volto – e da attenuare la frizione troppo spiccata.

Non crede d'aver capito bene, nel vortice inebriato che ha attorcigliato la sua voce.

«Puoi ripetere?»

Gli occhi cerulei, un poco appannati, brillano sotto la cortina di ciglia scure che sfarfallano in battiti asincroni. Tende un sorriso più ampio di quelli che gli regala di solito, estatico, come se l'alcol avesse disinibito anche i gesti più semplici – la fossetta all'angolo delle labbra è più accentuata, più morbida. Con un movimento molle, porta entrambe le braccia sopra la testa, piegate ad angolo retto in una posizione arrendevole che ne mette in risalto i contorni affusolati e gli tende l'addome magro – e non solo quello. Così, gli fa venir voglia di piantargli le mani addosso, ovunque, di strizzarlo e prenderlo e–

«Fammi quello che vuoi.»

A Bruno si asciuga la bocca. Aveva capito bene.

Si accosta a un soffio dal suo volto, la voce vibrante di pensieri accavallati:

«Tutto quello che voglio?»

«Sì.»

Non capisce se quel soffio caldo sia più ubriaco o eccitato – di certo, eccita lui. Non lo sa nemmeno Dio, quello che vuole fargli, perché a saperlo s'imbarazzerebbe.

«Non ti muovere, allora.»

Percorre verso l'alto la curva spigolosa del suo fianco, e lui freme al suo tocco in distese di pelle d'oca – avverte l'impulso trattenuto di inarcare la schiena. Fa scorrere un dito sulla sua gola, sul suo pomo d'Adamo sobbalzante.

«Proprio tutto?»

Sale a disegnare il contorno delle sue labbra calde.

«Sì.»

Scende a tracciare il petto, il contorno delle areole rizzate e sensibili; vi preme appena, strappandogli un singulto.

«Sicuro?»

«Sì.»

Arriva a seguire la linea del plesso solare, aggira l'ombelico e incontra la punta turgida del suo sesso col polpastrello; Ricciardi prende a respirare più forte, con la bocca, le braccia ora tese verso l'alto e le mani avvinghiate al cuscino per tenerle ferme.

«Guarda che puoi cambiare idea, se vuoi.»

«Sì,» gli sente gettar fuori, un poco acuto e del tutto incoerente, mentre lui delinea su e giù la sua lunghezza, dalla base fino alla testa fremente – e gli sembra che quel tocco impalpabile e trattenuto lo ecciti più di quel che gli stava facendo fino a poco fa.

Bruno sopprime un ghignetto appagato nel vederlo così, in sua totale balia; ma non sembra dispiacergli troppo – e continua a stuzzicarlo a fior di pelle, a premergli in baci tenui le labbra sul collo, sulle areole, sul suo sesso su cui a tratti strofina il proprio. Non gli concede mai in un contatto completo, tenendolo appeso a un filo di brama che gli incendia gli occhi annacquati e gli torce le dita sul lenzuolo, ancora impegnato a mantenersi fermo – e lo aiuterebbe pure in quello, se solo avesse sottomano qualcosa per legarlo, ma è divertente anche così.

È spinto dalla follia, quella che solo Ricciardi riesce a piantargli in testa e che vorrebbe poter attribuire all'alcol, quando la sua mano inizia a vagare e spingersi più in basso, oltre la base della sua erezione, a disegnargli i contorni dei glutei in ghirigori quasi distratti, a ritmo coi sospiri sfiatati e persi che gli sta regalando a ogni tocco.

Bruno ha le labbra premute in un bacio aperto sul suo collo e le dita libere intente a torcergli piano un capezzolo, quando fa scivolare l'indice tra le sue natiche, a sfiorarne l'entrata.

Ricciardi chiude le gambe con un sussulto, scontrando quasi le ginocchia sopra di lui. Bruno si scosta appena, scivola più in basso col mento sul suo petto e lo fissa nella penombra; trova i suoi occhi semi schiusi, che battono rapidi. Sposta la mano e la preme a strizzare una natica, con abbastanza forza da affondare con le dita nel muscolo e lasciarvi cunette visibili.

«Hai detto "tutto quello che voglio".»

Il suo pomo d'Adamo sobbalza nervoso. Schiude di un millimetro le gambe, pur rigide, inarca incerto il bacino – poi si blocca con uno sfiato secco:

«Sì.»

Il vino sfuma dalla sua voce in una patina di lucidità. Non aggiunge altro, ma Bruno gli legge negli occhi il timore per quel suo gesto imprevisto. Ogni muscolo del suo corpo è in tiro, non solo la sua eccitazione pulsante; avverte la tensione anche contro la falange che è tornata a stuzzicarlo appena, trovandolo chiuso e refrattario al tocco.

Respira piano dal naso, ora, in flutti d'aria taglienti, gli occhi mobili intenti a seguire i movimenti che non può vedere del tutto in mezzo alle sue gambe. Bruno continua a sfiorarlo su quella striscia di carne sensibile. Non gli mette fretta, anche se l'urgenza di penetrarlo gli morde la mano e gli tira ancor di più l'erezione – ha immaginato non sa quante volte di prenderlo per i fianchi, spingerlo con la faccia contro il materasso ed entrare in lui – se solo Ricciardi non opponesse una comprensibile resistenza che non si sente abbastanza stronzo per ignorare.

Si afferra il membro premuto tra loro, per domare il fiotto d'eccitazione repressa che gli sta quasi facendo male alle palle e che spilla dalla sua punta in goccioline visibili – di certo, le vede Ricciardi, che si umetta le labbra di riflesso con lo sguardo che scatta lì per un istante.

Bruno continua a toccarsi davanti a lui con misurata lascivia, a cavallo della sua coscia, l'altra mano che si sofferma ancora dove forse non dovrebbe.

Ci sono volte, ancor più folli, in cui l'idea di sentirlo stretto dentro di sé gli fulmina il cervello in scosse assai difficili da sedare – anche adesso, trattiene a stento il moto di libidine che gli provoca il pensiero di mettesi cavalcioni su di lui, col suo vigore che gli preme tra le natiche.

Sono deviati entrambi, di quello è ben conscio ormai da tempo. Ma accettare di farsi svilire e umiliare, gettando al vento anche l'ultimo barlume di virilità rimasto, è un qualcosa che gli causa ancora un brivido di disagio, sotto al formicolio d'eccitazione che permea i lombi e quell'esatto punto che vorrebbe mantenere inviolato. Da altri, almeno, ché da solo ha già sperimentato a sufficienza per capire che è tutt'altro che spiacevole – e il pensiero di fare lo stesso a Ricciardi e farlo impazzire per mano sua, gli fa quasi veder doppio e lo porta a esercitare una tacca di pressione in più tra i glutei.

Lui emette un verso soffocato e ritrae il bacino, anche se la sua erezione sembra farsi ancor più dura e scura di sangue impazzito. Il suo sguardo suggerisce tutt'altro che indignazione – diffidenza, piuttosto, verso un qualcosa di terribilmente ignobile e allettante al contempo. Lo capisce fin troppo bene; ma è uno stallo che, in qualche maniera, va pur interrotto.

«Facciamo così.» Smette di toccarsi e di toccarlo per accostarsi al suo volto. Ricciardi si rilassa impercettibilmente. «Faccio anche una cosa che vuoi tu.»

E la sua mano scivola lenta e morbida a cingergli il collo. Ricciardi trattiene il fiato con la rapidità di un colpo di pistola, un palpito convulso a scuoterlo da capo a piedi. Quando serra di poco la presa, inarca la schiena con un sussulto e il suo fallo eretto sbatte contro il proprio addome; gli si spinge addosso, si puntella sulla nuca in cerca di più pressione. Bruno tira un angolo delle labbra in quieto trionfo: è una risposta sufficiente al sospetto che gli si struscia addosso con libidine da un po', fomentato da ogni volta che gli è capitato di sfiorare, baciare o accarezzare il suo collo e lui sembrava andare in estasi. Così come sa che gli piace quando gli inchioda i polsi sopra la testa o gli stringe da dietro il busto in una morsa di braccia e gambe mentre lo tocca.

Gli offre un sorrisetto a un soffio dal volto affannato; e lo accompagna con uno stringere lieve di dita, a rallentare il flusso di sangue della carotide che gli pulsa sotto i polpastrelli – quelle sue utili conoscenze anatomiche hanno più di un'applicazione pratica, adesso. Al contempo, si torce un poco e fa scivolare il medio oltre i testicoli. Preme di nuovo sulla sua apertura, con una tacca d'urgenza in più: Ricciardi scatta un poco all'indietro, ma, gli pare, con meno convinzione di prima e un mugolio non identificabile come fastidio.

Bruno soffia via una risatina.

«O tutto o niente, Alfredo.»

Fa per ritrarre la mano dal collo e lui lo blocca subito, serrando la propria sul polso, quasi con foga. Lui allenta la presa e la riassesta, indice e pollice incastrati sotto la mandibola, il palmo a racchiudergli del tutto la gola.

Un barlume di lucidità medica gli sussurra che tutto ciò è potenzialmente pericoloso, soprattutto con lui ubriaco. Ricciardi, però, ansima più forte, strizza gli occhi in una giravolta d'eccitazione che si estingue nel momento in cui Bruno lo sfiora di nuovo tra le gambe, contro la sua intimità ancora serrata.

Riapre a mezzo gli occhi, senza una parola che riesca a farsi strada tra il suo respiro scomposto, spedito in impennata dalle sue dita che applicano lieve pressione sulla sua gola, e poi in picchiata da quelle che vorrebbero violarlo. Non oppone troppa resistenza, però, una mano artigliata al lenzuolo accanto ai suoi fianchi frementi, l'altra che, dal suo polso, è scivolata a massaggiarsi quasi distratto l'erezione per attenuare gli spasmi umidi che la attraversano. Oscilla tra quei due poli, in sua completa balia; e già il suo sguardo infuocato e liquido basterebbe per farlo venire con un tocco. Bruno si abbassa, facendo aderire i loro corpi e sfregandosi contro di lui con un colpo di bacino, in cerca di un sollievo che, con le mani incatenate a lui, non può darsi, né lui sembra intenzionato a offrirgli prima di prendere una decisione.

Infine, Ricciardi parla, la voce che gli rimbalza direttamente contro il palmo e resa impastata dall'ebbrezza:

«Solo... solo così, chiaro?»

Sfiora la mano adagiata sulle sue natiche, intenta a massaggiarle appena intanto che lo titilla. Bruno emette un versetto saputo.

«Così come, scusa?»

«Hai capito,» bofonchia lui, il volto paonazzo.

«No, oggi non è che ti esprimi molto bene.»

Stuzzica di nuovo la sua apertura con la punta dell'indice, in una pressione circolare più decisa e, stavolta, il lamento gutturale che gli estorce è ben più decifrabile delle sue parole; e strizza gli occhi quando gli accarezza il collo, dalla base della trachea fino sotto al mento, e poi di nuovo, impalpabile, mimando il movimento che sta compiendo lui sul suo fallo.

«Solo con le dita,» sillaba infine, con un filo di voce; e Bruno adora quelle poche volte in cui gliela dà vinta e ancor di più quando lo induce a dire qualcosa d'indecente. «Non fare altro.»

«D'accordo.»

Fa una lieve pausa e riassesta la mano sul suo collo, con la netta percezione della gabbia cartilaginea, dei vasi sanguigni e del pomo d'Adamo racchiusi dal suo palmo – è pericoloso, su quello non c'è dubbio, e trova a tentoni una presa più ampia e rilassata che eviti qualsivoglia danno alle vie aeree.

«Sei sicuro?»

Non sa a cosa si stia riferendo, di preciso, ma Ricciardi non sembra nemmeno dover riflettere prima di rispondere:

«Di te mi fido.»

Non è l'alcol a parlare, di quello Bruno è sicuro – gli si arrampica il cuore sulle costole, per poi ripiombare a capofitto al suo posto; e gli capitano sempre cose strambe a livello anatomico, quando è con Ricciardi.

«Ti ho mai dato motivo di dubitare?»

Sorride, premendosi contro di lui; gli strizza un gluteo e allarga la fessura, spingendo le dita a un soffio dal suo punto più sensibile.

«No.»

«E fai bene, infatti, perché ti piacerà da matti.»

Ricciardi sospira sulle sue labbra, lo sguardo che si fa vacuo e poi guizzante, ritroso. «Voglio... voglio bere un altro po', però.»

«Non se ne parla. Sei già troppo brillo così come sei.» Gli strizza un gluteo con muto rimprovero. «Non farmi pentire troppo delle mie idee di merda, per piacere.»

Ricciardi annuisce svelto, fili di tensione che si annodano tra le sopracciglia contratte e a un mezzo sorriso subito estinto.

«Volevo solo rilassarmi un poco.»

Bruno lo bacia, con meno foga di prima, la lingua che s'impegna a sciogliere la sua.

«Ci penso io a farti rilassare.»

Bruno libera entrambe le mani, dandogli tregua, per portarne una dietro la sua nuca e l'altra a stringere il suo sesso in carezze tranquille, familiari. Lui sospira, allenta qualche muscolo sulla schiena. Fa poi scivolare anche lui una mano tra loro per trovare il suo membro e pomparlo in un ritmo costante, leggero, come se dargli piacere anch'essa una maniera per svuotarsi la testa.

«Bravo, rilassati.»

Bruno sospira nella nicchia del suo collo, marchiandola di baci e godendosi quelle carezze un poco inibite e disordinate dall'ebbrezza. Preme infine la fronte contro la sua, cerca i suoi occhi e vi trova, oltre il velo dell'alcol, solo desiderio ribollente – è lui a essere in totale controllo, stasera, e ciò, al contempo, lo elettrizza e lo fa sentire in dovere di rimanere ben piantato al proprio posto.

Gli scosta la ciocca di capelli che gli ricade sempre sulla fronte.

«Alfredo, se diventa troppo... se qualunque cosa io faccia diventa troppo; se non respiri o ti faccio male, alza due dita, così,» solleva per un istante indice e medio, cosicché lui registri a dovere il gesto, «e io mi fermo. Subito.»

Lui annuisce rapido, una saetta di preoccupazione a storcergli per un istante le labbra; Bruno inclina le proprie in un sorrisetto sghembo.

«Oppure, mollami un calcio; ti autorizzo a farlo, finché è sopra la cintura.»

Ricciardi rilascia uno sfiato divertito, gli occhi un poco assottigliati che, poi, si fanno più intensi.

«Puoi farmi quello che vuoi,» mormora di nuovo, portando entrambe le mani a cingerlo dalla base alla punta; e Bruno affoga un gemito roco nella sua bocca schiusa, rubandogli il secondo mi fido che stava per gettar fuori.

Lo bacia forse troppo a lungo, perdendosi nei meandri della sua bocca fino a morderlo con delicatezza, prima di scostarsi da lui e darsi da fare.

Inizia dalla parte più semplice: porta indice e medio a premere contro le sue labbra ancora umide, invitandolo a schiuderle con una pressione su quello inferiore. Ricciardi esegue, avvolgendolo in quella nicchia scivolosa. Farsi inumidire le dita è una mera necessità, ma lui la rende uno spettacolo da cui fa fatica a distogliere gli occhi. Le ingloba fino alle nocche e poi le succhia con l'intento di far rumore. Bruno esplora l'alcova umida e setosa della sua bocca, della sua lingua che pigia e scorre tra le sue dita; avverte il morso lieve dei denti quando fa per ritrarsi. Gli scappa un sogghigno.

«Cerchi di dissuadermi?»

«Forse,» esala lui attorno alle sue dita.

Sfugge comunque alla sua presa, infine, lasciandogli le labbra e il mento lucido, un filo semi trasparente teso tra lui e le sue falangi. Non trattiene il bacio scomposto ed eccitato con cui lo spinge di nuovo disteso, sotto di sé; gli strappa un sussulto bramoso dal petto.

Gli allarga le gambe, poi, le solleva portando in alto le ginocchia e preme contro la sua apertura con le dita bagnate. Lui sussulta, distoglie lo sguardo dal suo con una smorfia di fastidio e forse pudore, i pugni agganciati sulle lenzuola. Bruno si risistema sopra di lui, un poco lateralmente, una delle sue gambe adagiata sopra la spalla. Si china, ripiegandola contro il suo petto, così da poter raggiungere il collo con più facilità; non è affatto una posizione comoda, ma lo ripaga del tutto l'espressione estatica di Ricciardi non appena gli cinge la gola con la mano sinistra, quella più ferma. Non preme, né stringe: è un semplice contatto con la cute, eppure, coglie il sobbalzo della sua erezione grondante e arrossata tra loro.

Il suo respiro accelera non appena fa pressione, in contemporanea, attorno al collo e contro l'anello di muscoli contratto che prende a massaggiare con più intensità. Una mano di Ricciardi gli circonda il polso, l'altra artiglia il cuscino; e il trucco pare funzionare, dato che sembra molto più eccitato per il lieve soffocamento in atto che per l'intrusione nelle sue parti sensibili – ma per quel piacere è solo questione di tempo.

È stretto, al punto che non può fare a meno di pensarsi dentro di lui, a quanto lo farebbe godere sostituire la propria virilità alle dita e penetrarlo – e a quanto godrebbe anche lui nel sentirlo affondare – ma si obbliga a trattenersi, a indurire fino allo spasmo l'addome in fiamme e a concentrarsi su quanto sta facendo, ché ci manca solo di fargli male per sbaglio.

Quando riesce a insinuare la prima estremità della falange, Ricciardi sussulta e sotto la sua mano viaggia quello che assomiglia più a un uggiolio che a un gemito; comprime di più la sua gola e, in risposta, riceve invece un lento ansimare. Sfugge un verso animale anche a lui, nel vederlo impazzire sotto le sue mani.

Si spinge con più decisione dentro di lui, ammorbidendo e allargando i muscoli che iniziano a cedere, sempre più rilassati, sempre più reattivi al suo tocco – e ogni smorfia di fastidio che corre sul volto di Ricciardi muta in fuoco liquido che gli dipinge il volto con ogni centimetro guadagnato.

Nell'insinuarsi del tutto in lui, Ricciardi si lascia scappare un lamento acuto che risuona sfilacciato dalla poca aria che ha nei polmoni. È seguito da un altro, più intenso, più soffiato e protratto – e da un altro, stavolta strozzato dalla sua mano che stringe di più attorno alla sua gola.

Finché non lo sente cedere del tutto al suo tocco: si lascia andare, accompagna ogni suo più piccolo movimento dentro di lui con un apprezzamento vocale e liberatorio che gli fa rimpiangere di non potersi chinare a rubargli ogni sospiro dalla bocca – si avvicina per quanto può, imprimendogli parole mozzate e baci bagnati sul petto:

«Te l'ho detto, che ti sarebbe piaciuto.»

Ricciardi geme in risposta, invogliandolo a premere il dito verso l'alto, a strappargli scatti scomposti del bacino. Titilla, insistente, attorno al punto che gli farà perdere ogni senso di sé – ma non lo incontra, ancora: prima vuole disfarlo con le sue mani, sentirlo implorare in silenzio, senza voce, per quel piacere intenso ma non del tutto realizzato che gli sta riempiendo le ossa tremanti e gli occhi ormai lucidi, con le palpebre deboli che faticano a restare aperte. È bellissimo – lo è sempre, uccide ogni giorno quel pensiero sul nascere – ma lo è ancor di più adesso che si è abbandonato del tutto; lo è soprattutto perché Bruno può liberarlo dalla sua gabbia, quel pensiero, e può lasciare che lo avvolga nella sua nebbia senza timore di perdersi – e non respira nemmeno lui, là dentro.

È a quel punto che, come in sogno, Ricciardi solleva a stento indice e medio – Bruno arresta all'istante il movimento del dito e rilascia la pressione sulla gola, con lo stesso picco d'allarme che lo scuote in sala operatoria quando scorge un'emorragia imprevista con la coda dell'occhio.

«Alfredo?» Non gli esce bene, quel richiamo; sembra pronunciato nel mezzo di un orgasmo – e, in effetti, è quasi così. «Ti ho fatto male?»

Ricciardi non risponde subito, gli occhi incatenati ai suoi, il respiro un poco affannato che non suggerisce però alcuna crisi o urgenza. Muove appena le labbra, in un sibilo appena articolato:

«Ti voglio.»

E, di nuovo, Bruno si sente gettato in corsia quando viene tempestato d'emergenze e gli tocca scegliere in poche frazioni di secondo; non la sensazione che vorrebbe provare a letto, col cazzo che smania, le palle quasi dolenti e le dita affondate nel suo uomo.

Eppure, opera il triage mentale nell'arco di pochi millisecondi: Ricciardi è del tutto ubriaco, in lieve ipossia, stordito dal piacere orgasmico e, nella chiazza di vaga lucidità di poco fa, non era assolutamente incline ad andare fino in fondo – senza contare che lo sputo è un pessimo lubrificante e rischia davvero di ferirlo.

Serra i denti, una bestemmia mentale che quasi gli sfugge.

«Anch'io,» sfiata, in un ringhio di brama repressa, «ma non oggi.»

Una tinta di delusione si allarga nelle iridi di Ricciardi e Bruno si affretta ad aggiungere, in frammenti scomposti, resi incandescenti dal desiderio che gli preme nei lombi:

«Voglio che tu mi voglia davvero, non mentre non sai nemmeno che succede.»

Ricciardi, quasi a conferma delle sue parole, serra gli occhi, forse sull'onda di un capogiro; non articola una risposta sensata.

Bruno ondeggia le anche in un moto frustrato: sfrega la sua erezione tra la riga delle sue natiche e il materasso, più volte, reattivo anche a quella simulazione a vuoto di amplesso negato – e non può, però, non con Ricciardi che a malapena è conscio di quanto sta chiedendo – non può e basta: sarà pure un invertito, ma non è ancora una bestia.

Con un ringhio masticato tra i denti, Bruno sfila per un istante il dito dalla sua entrata – e Ricciardi protesta a mezza bocca, vibra d'indignazione – per poi farne scivolare dentro due e mettere a tacere qualsiasi sua protesta in un gorgogliare sfatto di piacere che s'impenna appieno verso l'alto, non più soffocato dalla sua mano.

Affonda fino alle nocche senza esitare, stavolta, e serra di nuovo la morsa attorno al suo collo, tagliandogli in parte l'aria – sente il battito tamburellare sotto il suo palmo, in accelerazione. Riceve in risposta un mugolio concorde che sfuma in ansiti scomposti quando esce e rientra in lui senza difficoltà, liberando suoni osceni e umidi che gli fanno solo rimpiangere di avere una coscienza – lo sta portando al limite, lo sente da quanto è diventato malleabile all'interno e lo vede nella chiazza lucida che gli si è formata sull'addome squassato dagli spasmi.

Lo tiene in sospeso ancora un istante, sprofondato in lui e negli occhi ora annegati dall'estasi che tremolano e chiedono di più – di più, a lui e solo a lui, lui di cui si fida al punto da mettersi più a nudo di quanto qualunque uomo sano di mente, come loro non sono, oserebbe mai fare.

Gli offre tutto, infine, tutto quello che voleva fargli raccolto sulla punta delle dita: le curva di scatto verso l'alto ed è abbastanza per fargli inarcare la schiena, nel tentativo di spingersi di più contro di lui, di fargli trovare l'angolazione giusta per liberarlo. Sente il suo sangue martellare sotto il palmo, un fiume in piena che cerca di abbattere gli argini.

Bruno serra un poco la stretta dell'altra mano, solo il tanto che basta per ridurre il flusso d'aria a un filo appena percettibile che gli scorre contro la pelle assieme ai gemiti sbarrati dietro le corde vocali; e piega di nuovo il dito, con più intento e precisione, nell'esatto punto attorno a cui ha continuato a indugiare sinora.

Ricciardi si tende, squassato da uno spasmo di piacere che gli arcua il bacino lo lascia a boccheggiare a vuoto. Vederlo così perso gli scaglia scariche dolorose lungo i lombi, strangolando l'erezione ormai supplicante – ma Bruno non gli dà tregua, lo fissa negli occhi colpendo di nuovo la prostata con più forza, più volte, in gesti mirati e decisi.

Un singolo verso strangolato viaggia sotto la sua presa: Ricciardi serra gli occhi, la bocca spalancata, e riversa fiotti densi sul proprio addome, accompagnati dai sussulti frenetici che lo scuotono. Bruno rilascia appena la presa attorno alla gola e la serra invece ai lati della mandibola, concedendogli più aria ma arrestando il flusso di sangue che gli pompa violento al cervello. Ricciardi si blocca, gli occhi serrati e poi schiusi, le labbra spalancate in un grido muto privo d'aria. Scivolano in uno stallo quasi onirico, fatto solo di respiri affannosi o asfittici e dei suoni umidi che continua a estorcere al suo corpo ormai cedevole.

L'alone paonazzo sul volto di Ricciardi si intensifica e il suo sguardo si fa distante, come perso in qualcosa di etereo, in visioni oniriche che gli danzano davanti. Mantiene gli occhi piantati nei suoi, forse senza vederlo, con la mano serrata attorno al suo polso e il petto che si alza e si abbassa in ondate spasmodiche, a vuoto, l'erezione ancora turgida e grondante seme che sobbalza trema sotto la spinta dell'orgasmo prolungato, amplificato a dismisura. Bruno lo stimola ancora per un istante all'interno, suscitando un ultimo suo singulto sordo, prima di liberare le dita e darsi infine sollievo; gli basta sfiorarsi un paio di volte per venire in un getto copioso, spillando sul suo seme e sul suo sesso.

Continua a pomparsi, il piacere del coito decuplicato dalla visione di completo abbandono davanti a sé da cui non riesce a staccare le pupille; mantiene salda la presa sul suo collo, attento a ogni suo micromovimento, puntellato sulle ginocchia per non gravare troppo sulla trachea.

Ricciardi ha un fremito delle ciglia e le palpebre sfarfallano, si fanno pesanti per un singolo istante; Bruno avverte la presa sul polso afflosciarsi. Svelto, rilascia la pressione sulla sua gola, permettendo all'aria e al sangue di fluire di nuovo.

Ricciardi ingolla la prima boccata in un risucchio violento, la testa gettata all'indietro sul cuscino. Annaspa, si porta una mano al collo appena liberato, spingendo fuori respiri convulsi; e il suo corpo, però, è del tutto flaccido, perso in una giostra che continua a ruotare attorno all'orgasmo non ancora scemato.

«Ohi, Riccià.»

Non reagisce.

Cristo. Lo gira rapido su un fianco, per agevolare i polmoni. Gli dà un paio di colpetti sulla guancia, a farlo rinvenire.

«Riccià, ci sei?»

Forse l'ha privato d'ossigeno troppo a lungo; ma è stato attento, ha tenuto sotto controllo tutto, ogni capillare nelle sclere, ogni battito di cuore, ogni spasmo muscolare, ogni segnale anche solo vagamente allarmante – che sfaccimma di medico sarebbe, sennò? Anche se dubita che i medici perbene strozzino i propri pazienti.

«Alfredo. Alfredo, mi senti? Mi...»

Ricciardi annuisce infine contro il cuscino, l'aria che esce e entra violenta dalla bocca; preme una mano molle sulla sua, artigliata alla spalla. Tossisce convulso e inghiotte un'altra raffica di respiri, man mano più quieti, prima di girarsi sulla schiena, ancora rosso sul volto sudato e coi capelli madidi incollati alla fronte.

E sorride, il fetente.

Bruno getta fuori uno sbuffo e crolla il capo in avanti, piantando i pugni contro il materasso.

«Mannaggia a te, Riccià. M'hai fatto pigliare paura.»

Lui non risponde, ma si ricompone un poco, anche se l'estasi ebbra nei suoi occhi è ancora visibile. Li chiude e Bruno, constatato che non stia per avere un infarto né una sincope, ne approfitta per alzarsi e recuperare un asciugamano. Si dà una ripulita nel bacile d'acqua accanto al letto, poi porge il panno a Ricciardi; lui si sfiora l'addome e appare confuso nel ritrovarlo imbrattato di seme – sfrega le dita sporche sul tessuto spugnoso con vago schifo e si addossa al cuscino contro la testiera, pulendosi coi movimenti rallentati di chi non sa bene dove si trovi o come ci si muove.

Terminata l'operazione, molto approssimativa, getta via l'asciugamano. Si tasta piano la gola, premendo appena nei punti esatti in cui ha affondato le dita lui. Chiude gli occhi, tremando attraverso un sospiro.

«Dio,» esala in un sussurro svociato – e avrà un po' di raucedine l'indomani.

Bruno si corica accanto a lui, prono, in modo da guardarlo in volto dabbasso. Preme un sorriso scaltro sul suo petto.

«Non credo che Dio approverebbe nulla di tutto ciò.»

Ricciardi annuisce assente e poi stira le labbra in ritardo alla battuta. Gli occhi ancora chiusi, la mano adagiata sul collo, non sa se a proteggerlo o a rievocare quanto appena provato. Si schiarisce la gola più volte. Sotto le dita, Bruno scorge una lieve chiazza rossastra sulla cute, già in riassorbimento. Non rimarrà livido né segno scabroso; l'unico è un alone porpora annidato nel triangolo di pelle tenera sopra la clavicola – e, per fortuna Ricciardi, al di fuori delle lenzuola, è pudico quanto una monaca e non darò occasione di mostrarlo.

Gli sfiora una guancia, avvertendo contro le nocche i puntini di barba sottopelle.

«Stai bene?»

Un lungo silenzio, inframezzato dal suo respiro ancora più profondo del normale.

«Muoio di sonno.»

«Beh, i francesi la chiamano "piccola morte" per un motivo.»

«E mi gira la testa.»

«Sei ubriaco, ovvio che ti giri la testa.»

«Sì. Sono molto ubriaco. Ma sto bene. Sto bene.» Deglutisce e le sue sopracciglia si increspano, come se provasse fastidio nel farlo. «Sto una favola.»

Non ha dubbi sul fatto che sia molto ubriaco. Curva un sorriso: gli fa quasi tenerezza vederlo in quello stato, ma non ha risposto alla sua domanda.

«Ti fa male qualcosa? Parlami da paziente, ora; niente imbarazzi. T'assicuro che ho trattato di peggio e non vuoi sapere cosa mi arriva a volte in pronto soccorso.»

Lui scuote la testa, ma riassesta il sedere sul materasso con una piccola smorfia. Bruno va a cingergli i glutei in una presa morbida, una carezza speculare che poi gli risale i fianchi e infine ridiscende verso il basso – esercita una pressione calibrata sull'ultimo tratto di lombi e spina dorsale, sul basso addome. Lui non dà cenno di provare dolore, e non ha intenzione di verificare più a fondo, o rischia di vederselo squagliare lì sul letto per la vergogna. Conclude l'esame con una lieve pacca sulla chiappa che gli strappa un sussulto.

«Eri più preoccupato del tuo virile orgoglio che del fatto che ti stessi strozzando. Da non credere.»

Lui bofonchia qualcosa di non definibile come linguaggio umano. L'euforia dell'orgasmo sembra evaporata e sostituita da una marea di languida mestizia. Quando fa per muoversi, con un gesto poco coordinato, Bruno lo aiuta a coricarsi su un fianco, di fronte a lui, come si ritrovano a dormire quelle poche volte che è loro concesso.

Tiene gli occhi chiusi, il respiro tranquillo, ma non si accosta al suo petto come fa di solito. Rimane lì, con le mani intersecate alle sue. Visti dall'alto, apparirebbero speculari, entrambi con le ginocchia un poco flesse e la curva della schiena che tende verso l'altro.

«Bruno.»

La sua voce è ancora leggermente rauca, ma non nasconde la vibrazione grave di fondo. Lui sospira sottovoce, dal naso. Ci sono tre motivi per cui Ricciardi lo chiama così: perché deve dirgli qualcosa di scomodo, di importante, o di cui si vergogna. Non è preparato alla commistione delle tre cose, esalata in un sussurro a malapena udibile:

«Io ti volevo sul serio, prima.»

Bruno scaccia via quell'assurdità con un colpo di falangi tra i suoi capelli spettinati.

«Come no. Ne riparliamo quando sarai sobrio, mh?»

«Ti volevo. Ti voglio anche adesso.»

Bruno trattiene l'impulso di dirgli che nemmeno adesso è sobrio – e trattiene anche il fiacco spasmo che gli attraversa la virilità al pensiero. Gli posa un palmo sulla guancia e si sforza di suonare ironico:

«Mi stai rinfacciando qualcosa?»

Lui sfrega il capo contro il cuscino, in un cenno di diniego. Ciocche corvine vanno a posarsi sulle sue ciglia, schermando le iridi cerulee, ora grigie nella luce stentata.

«No. Per questo mi sono fidato di te,» mormora soltanto, e quella semplice constatazione gli fa sbocciare qualcosa di tiepido dietro lo sterno.

Segue il profilo del suo zigomo marcato con la punta del pollice.

«Quindi, che vuoi dire? Ricominciamo da capo?»

Lui tace, le palpebre socchiuse e la faccia mezzo sprofondata nel cuscino. Quando parla, è con parole un poco trascinate e traballanti:

«Io non dovrei volerti così.»

Bruno chiude per un secondo gli occhi e pensa solo che ha fatto bene, prima, a frenarsi. Ricciardi non ha mai espresso questo tipo di remore – è lui, semmai, ad averci messo una vita e mezza per accettare che anche gli uomini facessero parte della propria sfera d'interesse – o meglio, Ricciardi, ché al di fuori di lui preferisce comunque le donne. Lui gli è sempre sembrato il più sereno dei due, in quel senso; come se, nel grande e caotico schema del mondo, vi fossero fatti ben più gravi che andare a letto con un uomo.

Adesso è certo che sia l'alcol a parlare; quello che annebbia il cervello e al contempo vi risveglia trilli molesti impossibili da ignorare, in un frinire incessante che si spegne, forse, solo all'alba.

«Non dovremmo volerci in nessun modo, se è per questo.» Lo bacia, senza però indugiare a lungo. «Riccià, dai. Stai stanco, ne parliamo domattina.»

Una breve pausa lo illude che abbia infine ceduto al sonno. Poi, un nuovo sospiro tremante:

«Mi è piaciuto.»

«Da un punto di vista puramente anatomico, era impossibile che non ti piacesse.»

Ricciardi non sembra ascoltarlo o sentirlo.

«E lo rifarei. Anche più di questo.»

«Buono a sapersi, perché anch'io lo rifarei.»

«Anche se fossi io a volerti così?»

Ah. Ecco, forse, il vero motivo di tutto quel delirare. Getta fuori uno sbuffo a metà tra il sollievo e la tensione.

«Perché, vorresti?»

Lui riapre gli occhi nei suoi. Sono più lucidi, adesso.

«Tu no?»

Bruno sospira, a quella naturalezza spiazzante – e rimane ancor vero che è lui, quello che si fa meno problemi. Una lingua guizzante di fiamme risvegliate gli avviluppa l'inguine al pensiero di averlo dentro di sé, pulsante, di stringerlo fino a farlo venire. Non dovrebbe nemmeno considerare l'idea – si sente ipocrita e lurido a volerlo così. Si sente vivo, anche, e più ebbro di Ricciardi al pensiero di godere in maniera così sconveniente – ma sarebbe con lui e solo con lui, dopotutto, mica con uno qualunque.

Si rifugia, allora, dietro le sue solite parole allegre e noncuranti, senza fornire risposta alcuna:

«Devo prima illustrarti le basi, o finisce che non cammino dritto il giorno appresso. È un complimento.»

Scorge il suo sorriso da folletto dispettoso premuto contro la federa, il rosso sui suoi zigomi ad accentuarlo. Non dice altro: forse è l'alcol che gli ha fatto scordare il discorso, o forse ha avuto la non-risposta o quasi-risposta che voleva. Forse l'ha già scordata.

Alla prossima notte insieme, e a ciò che offrirà loro, ci penseranno domattina.

Socchiude gli occhi con un sospiro quando Bruno gli passa una mano gentile tra i capelli disfatti.

«Stai più tranquillo?»

«Sì.»

«E sobrio?»

«Un po'.»

«Pensi di riuscire a reggerti in piedi?»

«Credo di sì.»

«Bene. Perché io, adesso, vado a darmi una rinfrescata come si deve; e gradirei lo facessi anche tu, visto che devi dormire nel mio letto.»

«Con te?»

«No, col vecchio del piano di sopra a cui turbiamo il sonno chiavando.»

«Chi?»

Bruno, a quello sfoggio di totale smarrimento, si china su di lui e gli preme un bacio ridente sulla tempia – e rinuncia a qualsiasi proposito igienico, ché tanto dovrebbero disfare il letto per intero e c'è pure da temere che Ricciardi s'addormenti nella vasca da bagno. Lo spinge prono, invece, si corica al suo fianco e preme la fronte contro la sua, abbracciandolo da sopra.

«Tu non berrai mai più così tanto con me finché campo.»

Di tutta risposta, lui si allunga in un bacio poco coordinato – e morbido, e lento, come il gesto con cui gli cinge il fianco per tirarlo più vicino a sé – parla, poi, sull'onda dei loro respiri mescolati:

«E con chi altri dovrei farlo?»

Bruno è già pronto a rimangiarsi il buon proposito appena proferito, se la conseguenza d'un poco d'alcol in più è avere tra le braccia un Luigi Alfredo Ricciardi troppo sincero, con gli occhi limpidi, il corpo vibrante e il cuore schiuso.

«Con nessuno, Riccià.» Se lo preme contro il petto che è già mezzo addormentato, una mano a cingergli la nuca, inebriandosi di quella scheggia di nuda quiete incastonata nel buio. «Con nessuno.»

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
questo sarà l'ultimo exploit in campo erotico per un po' di tempo, forse con vostro sollievo xD
Il P0rn Fest continuerà fino al 14 febbraio circa, quindi qualcos'altro potrebbe scapparci, ma sicuramente più breve e meno articolato, ma adesso devo mettere il turbo.

Teatro d'Ombre non si scriverà da sola e io sono in alto mare :D
La shot sui fratelli Modo è in stallo momentaneo, nel senso che ce l'ho TUTTA in testa, ma deve arrivare il mood giusto per buttarla su carta.
Nel frattempo, non mi azzardo a promettere date precise per nulla; nel frattempo, in questa raccolta appariranno in modo randomico altre shot o flash varie ♥

Posso solo dirvi che spero (ripeto: spero), di poter iniziare a pubblicare qui TdO verso fine febbraio/inizio marzo, considerando che la S3 di Ricciardi sembra debba uscire proprio a fine febbraio. Inutile dire che sarà totalmente slegata da essa e dalle precedenti stagioni, se non per alcuni dettagli che ho però rimaneggiato completamente; quindi, come La Ruota degli Angeli, sarà al 100% fruibile come originale ♥

Grazie per aver letto e ci vediamo prestissimo su questi schermi.
Magari, nel frattempo, 'sti ragazzacci si danno una calmata...

-Light-

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