(R) Capitolo 8: Una nota stonata


Arty si fermò per un istante, aggrottando le sopracciglia cespugliose, e poggiò il liuto sulle ginocchia.

Scoccò un'occhiata ai bambini, che lo guardavano con occhi sgranati, in attesa che proseguisse col suo racconto.

- E poi, cosa accadde? - domandò Jill, stringendo forte sua sorella, anche lei affascinata da quel bizzarro cantastorie.

I lineamenti di Arty ebbero una contrazione impercettibile e, per un istante, il suo sorriso sembrò più una smorfia di sofferenza che un modo per metterli a loro agio.

- Nonna Nube mi insegnò a leggere - sospirò, passandosi una mano negli ispidi capelli sale e pepe rosso. - Il mio problema era che cercavo di leggere le lettere singole, quando noi Athi riusciamo a comprendere solo i simboli, ovvero le parole nel loro insieme. Diciamo che la nostra testa funziona in modo diverso dalla vostra. Nonna riuscì a trasmettermi le conoscenze fondamentali per riuscire a decifrare a grandi linee il manuale di Delia e, la mattina seguente, ci riaccompagnò alla radura.

L'Athi fece una pausa, umettandosi le labbra secche con la lingua. Aveva parlato per ore e aveva molta sete, ma l'acqua era terminata.

Scoccò un'occhiata all'orizzonte e notò che i due soli stavano già scivolando oltre il profilo delle montagne. Con un sospiro, ripose il liuto nella sua custodia e si alzò, aiutandosi col suo bastone. Per un attimo parve che le ginocchia fossero sul punto di cedergli, ma Sparviero lo sostenne col proprio muso.

- Grazie, vecchio mio - mormorò Arty, accarezzandogli il capo. - Bambini, per oggi basta.

- Perché? - chiese Mary, delusa.

- Può non sembrare, ma li sento tutti i miei quattrocento anni, cuccioli - sospirò lui, accarezzandole il capo con una delle sue ruvide mani, che portavano i segni di tutte le vicende che gli erano accadute. - Non preoccupatevi. Sarò qui, domani, alla stessa ora. Non ho intenzione di andarmene senza avervi raccontato tutto.

- Andartene? - ripeterono alcuni bambini, confusi.

- In un altro villaggio - specificò Arty, stiracchiando le braccia contratte. Aveva le dita irrigidite e doloranti per aver suonato tanto a lungo. - Tutti devono sapere la Storia. Poi crederci è un'altra questione, ma intanto mi sarò tolto il peso di averla raccontata. Mi raccomando, non tardate, domani.

I bambini annuirono, delusi che il divertimento fosse finito tanto presto, e lo osservarono allontanarsi attraverso la via principale di Kurna, ormai vuota. Tutti si barricavano in casa, verso le otto di sera: un'abitudine rimastagli da quando i draghi avevano cominciato a non essere più tanto docili. Nonostante tutto ciò fosse accaduto secoli addietro, avevano ancora timore che la vicenda potesse ripetersi. Quando gli abitanti di Kurna avevano visto Sparviero, alcuni si erano andati a riparare, nonostante avessero già incontrato il drago altre volte e sapessero che era mansueto, a meno che non si facesse del male al vecchio che l'accompagnava.

Artigern si allontanò fino a diventare un puntolino scuro, accompagnato da quello più grande, completamente bianco, del suo compagno.

***

Non appena si trovò lontano dalla vista dei bambini, Artigern si concesse un gemito di sofferenza.

Cadde a terra, reggendosi il petto, lasciando che il bastone rotolasse nell'erba.

- Arty! - esclamò Sparviero, dandogli un buffetto sul petto. - Arty, mi senti?

L'Athi emise un rantolo, tossendo, e riuscì faticosamente a issarsi in piedi, le ginocchia che tremavano sotto il suo peso.

- Sto bene - sussurrò, pallido. - Sto benissimo.

Sparviero sapeva fin troppo bene che quella era una bugia, ma non volle infierire, limitandosi a offrirgli un sostegno. Il cuore sinistro di Arty non era più stato lo stesso, dal loro incontro con Polonius. Con gli anni non aveva fatto altro che peggiorare.

- Voglio andare a vedere il posto dove c'è pace - mormorò Artigern, con un filo di voce.

- Ci sei già stato ieri - cercò di dissuaderlo Sparviero, che non amava sentirlo parlare così. In quei momenti aveva la sensazione che Artigern gli stesse sfuggendo fra le dita.

- Ti prego. Ne ho bisogno.

La voce dell'Athi era talmente intrisa di urgenza che Sparviero non ebbe cuore di insistere. Si chinò, in modo da aiutare Artigern a salire sull'incavo del suo collo. Il vecchio ci si issò a fatica, abbandonando il viso contro le squame di Sparviero.

- Non sono più agile come una volta - sospirò, soffocando un colpo di tosse.

- Quando mai lo sei stato? - lo prese in giro il drago, mentre spalancava le ampie ali grigiastre. - Con quelle tue gambette, lunghe due centimetri.

Artigern rise, per poi tossire di nuovo.

Nel frattempo Sparviero prese la rincorsa e, con un poderoso colpo d'ali, si issò in volo. Il vento fischiava nelle loro orecchie, mentre risalivano verso le nuvole ad alta velocità. Piccole goccioline di condensa si depositarono sul muso di Sparviero e i vestiti di Artigern. Il vecchio allungò una mano verso gli agglomerati d'acqua e la ritrasse umida, sorridendo. Lo faceva sempre, da ragazzo, nelle rare occasioni in cui il drago aveva messo da parte il proprio orgoglio per farsi trattare come un destriero e portarlo in giro nel cielo.

- Quanto avrei voluto essere anche io un drago - sospirò Artigern, poggiando la guancia destra contro il collo dell'amico. - Volare libero, nel cielo...

Non completò la frase, perché era già scivolato nel sonno.

Non sentendolo più parlare, Sparviero si preoccupò e decise di planare. Aveva il terrore che Arty potesse addormentarsi e non svegliarsi più. Atterrò vicino al limitare del luogo del silenzio, e afferrò l'Athi con la coda, depositandolo dolcemente a terra. Gli annusò il petto e i vestiti, leccandogli la faccia. Artigern emise un mugolio di disgusto, aprendo gli occhi argentati.

- Che fai? - sbottò, cercando di pulirsi la barba impiastricciata di bava e i capelli sul suo mantello. - Il tuo alito puzza come il didietro di mille cavalli. Dovrò fare il bagno nel pomodoro per togliere la puzza!

- Sai com'è, avevo paura che fossi schiattato - sogghignò Sparviero, sollevato suo malgrado.

- Non così facilmente - ribatté Artigern, menando il bastone a destra e a manca. - Ho i miei acciacchi, ma non sono ancora da buttare! Non ti disferai di me, drago iettatore.

Sparviero sbuffò, emettendo fumo dalle narici con fare minaccioso, e diede un'altra leccata in faccia ad Artigern, che si rassegnò ad accettare quell'odorosa manifestazione d'affetto.

- Su, andiamo. Voglio vedere la foresta silenziosa - sospirò l'Athi, asciugandosi il viso una seconda volta.

Si frugò in tasca, estraendo la ghianda datagli tanti anni addietro da Oberon, e la osservò. Era da molto che aspettava di piantarla, ma credeva che fosse giunto il momento.

Quel furbetto del dio della foresta ne sapeva una più del demonio. Chissà se aveva programmato tutto fin dall'inizio, dandogli quella ghianda. Sapeva già che Arty l'avrebbe scelta come propria tomba?

Quella era solo una delle tante domande di cui non avrebbe mai avuto la risposta.

Artigern superò la prima schiera di abeti e latifoglie, zoppicando, con Sparviero che lo seguiva. Dopo circa dieci minuti di camminata, raggiunsero una vasta distesa di alberelli dalle foglie ramate, con dei piccoli frutti color argento e rubino. Quelle erano le tombe degli Athi. Ad Arty veniva sempre un groppo in gola, nel vedere ciò che restava della sua gente. E quelli erano solo i fortunati ad aver ricevuto degna sepoltura, secondo la loro tradizione: quando un Athi moriva, infatti, si piantava uno di quei particolari alberi, che ricordavano il rosso dei loro capelli e l'argento dei loro occhi. Era come se una parte di loro continuasse a vivere.

Purtroppo la conoscenza necessaria a ottenere i semi di quegli alberi senza distruggerli era andata perduta, come molte altre cose di quella civiltà, e Arty aveva dovuto arrangiarsi. Tuttavia l'Athi credeva che la ghianda donatagli da Oberon fosse un seme più che dignitoso da piantare, in modo che anche Arty entrasse a far parte di quella grande, quieta famiglia.

Artigern si inginocchiò a terra e cominciò a scavare con la punta del bastone, creando una buca abbastanza profonda da farci ricadere la ghianda.

Era sul punto di lasciarla, quando esitò.

Sebbene Sparviero fosse silenzioso, avvertiva quanto stesse soffrendo in quel momento. Si sentiva responsabile per tutte le cose che erano accadute ad Artigern, per il modo in cui ora era costretto ad andare avanti, in cui ogni giorno era una fatica, come nutrirsi di un frutto ricoperto di schegge di vetro.

Arty immaginò cos'avrebbe fatto il suo amico una volta solo, e vederlo intento a disperarsi di fronte alla quercia che sarebbe cresciuta in quel cimitero vivente  lo spinse a compiere una decisione differente.

- Non oggi - sospirò, alzandosi in piedi. - Non oggi.

Sparviero tirò un sospiro di sollievo e non riuscì a contenere la gioia, ficcando il muso nel mantello di Artigern, mentre gli mordicchiava affettuosamente un fianco.

- Però io non vivrò per sempre, lo sai questo, vero? - mormorò, rivolto al drago. - Prima o poi dovrò piantare la mia ghianda o non avrò un posto fra i miei antenati. Non sono stato con la mia gente in vita, ma ho intenzione di farlo da morto.

Sparviero non rispose, incupendosi.

- Guarda che, solo perché metto questo semino nel terreno, non significa che morirò domani, sciocco - lo prese in giro Artigern, strizzandogli il bordo del naso. - Ho ancora molti anni davanti. Piantare un seme è un po' come quando gli uomini fanno testamento. Non è una cosa piacevole, ma va fatta. Tutto qui.

- Non mi piace pensare che tu te ne vada - mormorò il drago, evitando il suo sguardo. Ecco, si era offeso. Succedeva sempre.

- Non ci posso fare niente, Sparviero. Non sono del tutto un Athi, ricordatelo. Non potrò mai vivere quanto ha vissuto Nonna Nube. E poi direi che quattrocentotrent'anni sono comunque tanto tempo. Non credi?

Sparviero emise un grugnito basso e sordo, frustando l'aria con la coda.

- Che brontolone sei - mormorò Artigern, con un sorrisetto.

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