(R) Capitolo 7: Quando gli dei ficcano il naso nei tuoi affari

Sparviero

Seguimmo Nonna Nube verso il cuore della foresta, dove le fronde degli alberi erano talmente fitte da impedire alla luce del sole di filtrare.

La vecchietta procedeva davanti a noi con passo sicuro. C'era una forza incredibile nei suoi passi, sebbene fosse tanto anziana. Arty faticava a starle dietro, inciampando continuamente nei propri piedi. Era da tre ore che stavamo camminando, ed era molto stanco. Ciondolava da un albero all'altro, appoggiandosi per qualche secondo a un tronco per un micropisolino, prima di proseguire.

- Manca ancora tanto? - gorgogliò, con voce flebile e assonnata.

Lottava per restare sveglio, e io non ero in condizioni migliori. Quella in genere era l'ora del mio pisolino pomeridiano. Avevo deciso di seguire Nonna Nube perché Arty mi era sembrato un incapace - e a buona ragione -, ma non ero più molto sicuro della mia decisione.

- Tanto? - gli feci eco io, col mio limitato vocabolario.

Nonna Nube ci rivolse un sorriso sdentato e poggiò una delle sue ruvide mani sulla spalla destra di Arty, mentre con l'altra mi elargiva una burbera carezza alla testa. Ci disse che mancava poco e presto avremmo potuto riposare. C'era un morbido giaciglio ad attenderci, dovevamo fare solo un piccolo sforzo.

Lamentandoci e grugnendo come dei troll, ci trascinammo nella sua scia.

Raggiungemmo la sua capanna poco dopo, come promesso, e avemmo a stento la forza di trascinarci al suo interno. L'unica cosa su cui la nostra attenzione si focalizzò fu il tanto agognato giaciglio che ci era stato promesso. Nonna Nube ci aiutò a distenderci, rimboccandoci le coperte, e io mi accoccolai sull'addome morbido e paffuto di Arty, che mi pose una mano sul fianco, tenendomi stretto a sé. Quel gesto, curiosamente, mi piacque e mi aiutò ad addormentarmi. La notte passò tranquilla e, quando mi svegliai, Arty stava ancora dormendo profondamente. I lineamenti del suo viso erano del tutto distesi, come se stesse facendo dei sogni bellissimi, e mi ritrovai a sorridere a quel pensiero.

Mi sfilai con delicatezza dalle sue braccia, scivolando lungo il suo fianco destro. Sgusciai attraverso le coperte e zampettai sul terreno umido ma compatto della capanna. L'abitazione di Nonna Nube era spoglia: c'erano solo un calderone che ribolliva davanti a un focolare di considerevoli dimensioni, una pila di legna secca, un tavolo e delle sedie rozzamente intagliate nel legno, più il letto dove Arty stava ancora ronfando. Era molto buio, le uniche fonti di luce erano una lanterna poggiata sul tavolo e le fiamme che scoppiettavano nel loro loculo.

Fu per quello che ci misi un po' per capire che il cumulo di stoffa nera e polverosa appollaiato su una sedia a dondolo accanto alla porta era Nonna Nube.

- Ti sei svegliato - constatò, mentre si tormentava una ciocca di capelli. - Ho visto che ti stavi agitando nel sonno. Il tuo amico invece dorme ancora alla grande. Mi ero dimenticata di quanto gli Athi amassero schiacciare pisolini, specie da piccoli.

Io mi chiesi come facesse quella vecchia a sapere tutte quelle cose sul conto di Arty. Sembrava ne avesse una conoscenza approfondita quanto Delia.

- Chi sei tu? - le chiesi, acciambellandomi ai piedi del bambino.

- Solo una vecchia eremita - sospirò lei, poggiando la testa sulla mano destra, nodosa come un vecchio ramo, attraversata da un reticolo di vene bluastre. - Un tempo vivevo a Folis, ai piedi delle montagne, ma è da molti anni che mi sono trasferita qui. Talmente tanti che non ricordo nemmeno quando ho compiuto quella decisione... nella mia mente i ricordi cominciano ad amalgamarsi in una palude dove tutto è confuso. Tu conosci Folis, piccolo drago?

Mi sembrava di aver già sentito quel nome, di sfuggita, da qualche parte.

- Non so - mormorai, poggiando la testa sulle zampe.

Nonna Nube sembrò un po' delusa, ma non disse niente, spostando lo sguardo su Arty. Un sorriso le solcò le labbra, mentre si alzava, avvicinandosi. Poggiò la sua palandrana nera su una sedia, restando con indosso solo una tunica marrone ricoperta di toppe, e mise una mano sul capo del bambino. Cominciò a grattargli la nuca, e lui emise un brontolio, raggomitolandosi in posizione fetale. Nonna Nube gli mormorò qualcosa in un orecchio, e l'Athi aprì gli occhi. Si stropicciò le palpebre e sbadigliò, stiracchiandosi come un gatto. Si grattò la pancia e si guardò attorno con aria assonnata.

- Dove siamo? - gorgogliò, con voce flebile.

Vide Nonna Nube e si rammentò di averla seguita. Cercò di sorridere, nonostante sembrasse un po' intimorito dall'aspetto della donna. Lei avvertì il suo disagio e, per conquistare la sua fiducia, riprese a grattargli la nuca. Arty cercò di resistere, ma alla fine si rilassò, abbandonandosi a quelle attenzioni con un mugolio di apprezzamento.

- Vi avevo promesso un bel pasto, ed eccolo qui - disse Nonna, prendendolo per mano.

Arty la seguì come un sonnambulo, con un sorriso adorante impresso sulle labbra.

Io, che non mi sentivo più tranquillo vicino a quella donna, li seguii col proposito di tenere d'occhio il piccolo Athi.

Uscimmo dalla capanna e trovammo ad attenderci un tavolo rotondo ricoperto da ogni genere di leccornie: frittelle ai lamponi, biscotti di ogni sorta ancora caldi e cosparsi di zucchero a velo, latte, caraffe di legno colme di tisane colorate dal profumo invitante, paste ripiene di marmellata e dolcetti di ogni genere e sorta.

- È tutto per noi? - chiese Arty, incredulo.

- No, questo è per te - lo corresse Nonna, sorridendo della sua espressione. - Il tuo amico drago mangerà qualcosa che sia più affine ai suoi gusti.

Così dicendo, indicò una ciotola di legno contenente pezzi di carne cruda dall'aspetto assai invitante. Arty fece una smorfia di disgusto, mentre il mio stomaco brontolò per il desiderio. Stavo per fiondarmi sulla carne, quando due ampie mani nerborute si strinsero attorno alla mia vita, sollevandomi da terra.

- Ma guarda cos'abbiamo qui! - esclamò una voce tonante, colma di divertimento. - Un drago selvatico. È da anni che non ne vedo uno!

- Giù! - gemetti io, agitando le zampe nel vuoto. - Giù! Arty, aiuto!

- Lascialo stare! - gridò l'Athi, pallido in viso.

Nel tentativo di aiutarmi, sfuggì alla presa di Nonna e cominciò a prendere a pugni l'uomo sulla pancia. Questi lo fissò con aria perplessa, tenendomi al di fuori della sua portata, finché Arty non dovette fermarsi per riprendere fiato. Osservò il mio carceriere, aspettandosi di scorgere un minimo cenno di resa, e si afflosciò per lo scoraggiamento, nel vedere che non gli aveva fatto un graffio.

L'uomo mi posò a terra e io saltai in braccio ad Arty con tanto entusiasmo che per poco non lo feci cadere a terra.

- E tu chi sei, nanerottolo? - chiese, pizzicandogli una guancia.

- È un Athi - disse Nonna, avvicinandosi a noi.

- Un Athi? - esclamò l'uomo, spalancando gli occhi verde foresta per la sorpresa. - Ancora più rari dei draghi. Che io sapessi, Nonna è l'unica rimasta.

Io e Arty ci voltammo verso di lei, sorpresi. In effetti, osservandola meglio, in quanto ad altezza avrebbe potuto essere una di loro, mentre gli occhi offuscati dalla cecità un tempo dovevano essere stati argentei e i capelli bianchi di un bel fulvo.

- Tu sei una Athi? - chiese il bambino, guardandola sotto un altro punto di vista.

Nonna Nube non rispose, eludendo la domanda con un sorriso. Prese Arty per le spalle e lo condusse alla tavola imbandita, facendolo sedere su uno dei ceppi d'albero che la circondavano. Il bambino mi teneva ancora stretto, ma si rilassò non appena il profumo del cibo solleticò le sue narici.

I nostri stomaci brontolarono all'unisono, e Arty allungò una mano verso la tavola, prendendo una pasta ripiena di marmellata ai lamponi. Fece per addentarla, ma io fui più veloce e la ingoiai in un solo boccone, mordicchiandogli le dita. Lui mi guardò contrariato, ma non disse nulla. Prese un biscotto alla marmellata, ma, ancora, io fui più rapido.

- Ehi! - protestò il bambino, cercando di posarmi a terra, ma mi ero aggrappato a lui con la coda, stringendo saldamente la sua vita grassottella. - Questo non è un drago, è un parassita! Nonna Nube, aiutami!

Sia lei che l'uomo misterioso sembravano troppo impegnati a sghignazzare per ascoltarlo. Alla fine la vecchia mi convinse ad abbandonare il mio angolino sicuro facendomi sfilare sotto il naso la ciotola con la carne. Ci fiondai il muso e mangiai fino ad avere la pelle della pancia tesa come quella di un pallone di cuoio. Sazio e sonnolento, mi distesi sui piedi di Arty, che era intento a ingozzarsi di dolci, il viso sporco di marmellata e cioccolata.

Mentre dormivo con un occhio chiuso e uno aperto, ebbi modo di osservare meglio l'uomo del mistero.

Aveva un aspetto piuttosto bizzarro. A una prima occhiata si sarebbe potuto scambiare per un umano, ma c'era qualcosa di innaturale nei suoi lineamenti, troppo armoniosi. Aveva dei grandi occhi di un verde vivido, barba e capelli color muschio, intrecciati con lacci colorati, perline di diversi materiali, foglie e ghiande di quercia. Sembrava vecchio, ma il suo volto era senza età, come quello di una creatura fatata: a giudicare dal suo odore indefinito, avrebbe potuto esserlo.

Indossava una corta veste verde e marrone, ricca di frange, e un lungo mantello di erbe intrecciate gli ricadeva sulle spalle possenti, fino a strisciare sul terreno. Portava un arco attorno al petto, accompagnato da una faretra, le cui frecce erano adornate con delle piume blu. Sembrava essere parte della natura, come una ninfa, e persino la sua pelle ricordava la consistenza di una corteccia.

Si sedette davanti ad Arty senza fare un rumore, e notai che aveva i piedi scalzi.

- Chi sei tu? - gli chiese il bambino, fra un boccone e l'altro, diffidente e, allo stesso tempo, incuriosito dal suo aspetto.

L'uomo gli rivolse un sorriso, rivelando una chiostra di denti bianchissimi, leggermente aguzzi.

- Nonna Nube mi ha soprannominato il Re delle Querce, dato che sono i miei alberi preferiti. Mi conoscono anche come Mastro Orso, specie nei periodi in cui me ne vado in giro nelle vesti di quell'animale... ma di solito mi chiamano Oberon.

- Oberon - ripeté Arty, come se si stesse gustando quel nome, cercando di capirne l'origine. Era insolito. - Sei una specie di elfo?

L'uomo scoppiò a ridere e gli accarezzò la testa con fare bonario.

- Elfo? No. Si sono estinti da secoli e, se non sbaglio, io sono ancora vivo e vegeto.

- Ma hai le orecchie a punta come gli elfi - gli fece notare Arty, indicandole.

- Beh, sì, è vero - ammise Oberon, passandosi le lunghe dita sulla punta delle orecchie, adornate da degli orecchini in legno chiaro. - Tuttavia ti assicuro che non sono un elfo. Mi hanno definito in molti modi... alcuni credono io sia un dio, altri lo spirito protettore della foresta, ma nemmeno io riesco a comprendere del tutto la mia natura, sebbene abbia avuto un sacco di tempo per conoscermi. Sono nato quando i primi alberi sono venuti alla luce e un sottile strato di erba ha ricoperto la superficie di queste terre. Ho osservato intere civiltà crescere e rovinare nella polvere, rimanendo sempre uguale a me stesso, senza invecchiare di un giorno. Un tempo ce n'erano altri come me, ma più gli uomini tagliavano gli alberi per creare nuove città e alimentare le loro fucine, più i miei amici si erano indeboliti, finché non sono rimasto solo. Sono legato a tutte le creature della foresta, e loro sono legate a me. Sono un'emanazione della loro energia comune. Un pensiero, manifestatosi in forma fisica, con una coscienza indipendente. Ecco cosa sono io.

Arty lo guardò in silenzio, le sopracciglia aggrottate, mentre si puliva il viso dalla marmellata su un tovagliolo.

- Credo di non aver capito molto bene - ammise, inclinando il capo.

- Non ha importanza - sospirò Oberon, con un sorriso. - Nemmeno io mi capisco a volte. Comunque, di tutte le razze che ho conosciuto nella mia lunga vita, voi Athi siete stati particolarmente piacevoli. È un peccato che vi siate quasi estinti, e i pochi rimasti non contribuiscono di certo a crearvi una buona nomea.

- Oberon! - sibilò Nonna Nube, fulminandolo con lo sguardo.

- Dovrebbe sapere - mormorò lui, senza fare una piega. - Dopotutto è colpa di Polonius se vi state estinguendo.

- Sei stato tu a consentirgli di compiere quella scelleratezza, Oberon, non te lo dimenticare. È anche colpa tua.

- Io posso essere invocato e, di fronte a un dovuto pagamento, devo agire. Non sono io a essere malvagio, Nube, ma chi imbriglia il mio potere. Per quanto mi riguarda, sono imparziale. Non posso intervenire in alcun modo per modificare il corso degli eventi, se non mi viene richiesto.

- Di chi sta parlando? - domandò Arty, confuso.

- Di nessuno - mormorò Nonna Nube, rivolgendogli un sorriso rassicurante. - Non sono cose adatte all'orecchio di un bambino.

Oberon sospirò, ma non aggiunse altro. Raccolse una ghianda dal cespuglio intricato dei suoi capelli e la usò per creare un piccolo ciondolo. Pose la collana attorno al collo di Arty, quindi ne fabbricò un'altra e la annodò attorno agli abbozzi di corna che sporgevano dalla mia fronte.

Mi sentii in soggezione, come se ci stesse facendo un grande dono di cui ancora non riuscivo a comprendere la portata.

- Grazie - farfugliò Arty, osservando la ghianda con un sorriso.

Io mi dissi d'accordo, emettendo un grugnito.

- Non posso aiutarvi, ma spero che questa ghianda potrà tornarvi utile, un giorno - mormorò Oberon, con una strana espressione, come se stesse ammiccando. - Sono informazioni del tutto referenziali, ma, segretamente, diciamo che, solo per ipotesi, se teneste queste ghiande con voi, potrebbero salvarvi dal quel simpatico Athi di cui vi ho parlato prima, facendovi da lasciapassare.

- Da Polonius? - chiese Arty, aggrottando la fronte.

Oberon scattò in piedi con una velocità innaturale e posò una delle sue braccia muscolose sulle spalle del bambino.

- Già. Purtroppo non tutte le ciambelle vengono col buco, cucciolotto - disse, con fare teatrale.

- Oberon - sibilò Nonna Nube, ormai livida.

- Va bene, va bene, me ne vado! - sogghignò lui, alzando le mani in segno di resa.

Puntò entrambi gli indici verso me e Arty, mentre indietreggiava, diretto verso una quercia.

- Mi raccomando, tenete quella ghianda con voi - mormorò, prima di scivolare dietro il tronco dell'albero.

- Oberon, aspetta! - lo chiamò Arty, abbandonando le pastine di cui si stava ingozzando per corrergli dietro.

Fece il giro della quercia un paio di volte, per poi guardarci con aria sconsolata.

- E' sparito - balbettò. - Come ha fatto?

- A Oberon piace mettersi in mostra - sospirò Nonna Nube, facendogli cenno di tornarsi a sedere.

Arty esitò un istante, poi ubbidì, strascicando i piedi. Io gli saltai in grembo, e lui cominciò a grattarmi il collo in un modo che mi fece venire voglia di socchiudere gli occhi ed emettere un basso rumore di gola.

- Ho trovato questo libro nel tuo zainetto, mentre ci stavo mettendo alcune provviste - mormorò Nonna Nube, mostrandoci il manuale di Delia.

Arty arrossì come la prima volta in cui l'avevo posto di fronte all'ostacolo della lettura.

- Ecco... ecco, io non... come dire... - farfugliò, imbarazzato.

- Non sai leggere? - chiese l'anziana signora, con un certo dispiacere. - Che peccato. Un tempo, a Folis, insegnavamo a tutti i cuccioli i fondamenti. Dovevano conoscerli ancor prima di andare a scuola, verso i quindici anni. Sai, noi maturiamo più lentamente degli umani, ma dieci anni sono più che sufficienti per imparare a leggere.

- Bonnie ha cercato di insegnarmi - balbettò Arty. - Ma diceva che sono un po' tonto. Gli altri bambini imparavano, mentre io facevo più fatica di loro. Alla fine ha lasciato perdere.

- E' solo perché noi Athi impariamo più lentamente e in modo diverso - lo consolò Nonna Nube, elargendogli un sorriso consolatore. - Però, quando impariamo, tutto resta impresso nella nostra memoria, fino alla fine della nostra lunga vita. Ti insegnerò io, Arty.

***

Ringrazio molto @LittleLovelyKiller per questo disegno di Oberon! Mi piace davvero, sembra uno gnomo della foresta, per quanto in realtà sia un pochino più alto *-*

(non riuscivo a scaricare la foto, Sigh... Non so come mai, a volte Facebook fa come vuole -_-)

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