(R) Capitolo 12: Ruggisci come un drago
Sparviero
Quando tornai dalla mia seduta di caccia, con in bocca un grasso tacchino selvatico, Arty era intento a cucinare una zuppa di verdure con le carote che avevo rifiutato e il mezzo cipollotto rimasto. Spezzettava fra le dita delle erbe aromatiche, per poi annusarle con espressione beata. Nonna gli aveva insegnato a riconoscere le piante e le radici commestibili, e quelle che rendevano il cibo più saporito. A forza di osservarla, era diventato un buon cuoco. Doveva avere una predisposizione naturale per la cucina: abbinava i giusti sapori, ottenendo dei piatti eccezionali da ingredienti poveri. Mentre cucinava, cantava. Aveva una voce dolce e suadente, infantile, e, nell'insieme, sembrava la creatura più innocua del mondo.
La vittima perfetta.
Avrei dovuto rimediare.
Mi avvicinai silenziosamente alla radura in cui ci eravamo accampati. Quando l'Athi mi vide, il suo volto si aprì in un largo sorriso.
- Ciao, Sparviero - disse, felice di poter usare il mio nome. Dovevamo ancora abituarci, ma era come se fossi stato destinato a chiamarmi in quel modo. - Cos'hai trovato?
Non dissi nulla, limitandomi a far cadere il tacchino morto ai suoi piedi. Arty emise un singulto di spavento e per poco non fece cadere con un calcio l'unica pentola donatagli da Nonna.
- Che fai? - gemette, guardando l'animale stecchito come se avesse visto un mostro.
- Cucinalo - sbottai, sedendomi sulle zampe posteriori per fissarlo dall'alto e spingerlo a ubbidire. La mia stazza avrebbe dovuto intimorirlo e farmi considerare il drago alfa, ma non sembrava stesse funzionando.
- Cosa? - farfugliò Arty, certo di aver capito male.
- Cucinalo, ho detto! - ripetei, sbattendo una zampa per terra.
Artigern deglutì e spostò di nuovo lo sguardo sull'animale. Il tacchino aveva il becco spalancato e la lingua che ricadeva su un lato di esso, assieme alla buffa formazione di carne che avevano quei volatili sul muso. I suoi occhi erano strabuzzati e le penne del collo arruffate: glielo avevo spezzato con un colpo secco, in modo da non farlo soffrire troppo, e se n'era andato con un "glugluglu". Arty toccò il suo petto piumoso con la punta di un indice, per poi ritrarsi, il corpo contratto per il disgusto.
- Non capisco - balbettò. - A te piace la carne cruda, no? Mangialo così.
- Lo voglio cotto.
- Ma...
- Cotto.
- Perché?
- Devi imparare a cucinare anche la carne, se vuoi sopravvivere. Credi che sarà bello, quando dovremo attraversare il tunnel sotto la montagna? Che troveremo del cibo ovunque? Non sappiamo nemmeno com'è il mondo aldilà delle montagne, Nonna non ci va da anni e la sua mappa potrebbe essere datata. Potrebbe esserci solo una distesa brulla, senza nessuna pianta che ci cresce. E allora, tu cosa mangeresti? Moriresti di fame? Mangia quel dannato tacchino! Cos'è più importante? Tu o un tacchino? Devi crearti un duraturo strato di grasso e diventare grande come me, se vuoi sopravvivere.
Artigern fu talmente scombussolato dai miei discorsi che si fece pallido e strinse le ginocchia al petto, continuando a scuotere la testa.
- Ma adesso non sto morendo di fame. Non lo voglio mangiare - farfugliò. - Non posso nutrirmi di verdura, per il momento?
Feci per rimbrottarlo, ma non ero il maestro crudele che avevo sperato di essere. Vederlo così avvilito mi strinse il cuore. Allontanai il tacchino stecchito e avvolsi la vita di Arty con la coda per attirarlo a me e dargli un po' di conforto. Per qualche motivo appoggiarsi contro la mia pancia, dove risiedeva la fonte del fuoco, lo rilassava. Agli Athi piaceva il calore.
- Non volevo sgridarti - mormorai, mordicchiandogli il collo e il fianco. - E' solo che mi preoccupo. Vorrei che fossi un cacciatore, come me. Avresti più cibo! Non ti nutri abbastanza.
Arty mi fissò in silenzio, poi si ammorbidì e cominciò a grattarmi sotto la mandibola.
- Vorresti che diventassi una palla di lardo, Sparviero? - disse, ridacchiando debolmente. - Le tue truculente manifestazioni d'affetto sono sempre apprezzate, ma prima o poi mi farai venire un colpo. Non riuscivo a capire cosa ti fosse preso.
Trasse un profondo sospiro.
- Però è vero - ammise. - Non ci sarà tanto cibo, là sotto. Forse dovrei mettere della carne sotto sale, come faceva Nonna. Mi ha lasciato qualche barattolino. Ma sarebbe solo in caso di emergenza...
Il fatto che avesse ragionato in quel modo mi fece sentire più tranquillo e gli rivolsi un sorriso per elogiarlo, dandogli delle pacchette sulla testa. Così si comportava un bravo drago: pensava alle scorte di cibo, non ai sentimenti di un tacchino.
Arty ricambiò, incerto.
Un odore sgradevole si fece strada fino alle nostre narici e l'Athi sussultò, liberandosi dalle mie spire con un balzo.
- La zuppa sta bruciando! - gridò, saltellando sulle gambette corte, tutto trafelato.
***
Quel pomeriggio, mentre Arty era intento a leggermi passi dal libro di Delia e ci eravamo rimessi in viaggio, facemmo una pausa per permettergli di sgranchirsi.
Decisi di approfittarne per insegnargli qualcos'altro di utile. Mi accucciai di fronte a lui, intento a sgranocchiare dei lamponi selvatici trovati lungo la strada - dannatissimo cibo da conigli! - e lo fissai finché non poté più ignorarmi.
- Perché sei così strano, oggi? - si lamentò l'Athi, succhiandosi le dita sporche di succo. - Non fai altro che guardarmi... guardarmi così.
- E come?
- Come se fossi il più rachitico e debole di una cucciolata - mormorò Arty, a disagio.
Provai un certo imbarazzo. Era andato più vicino di quanto credesse ai miei reali pensieri.
- Ma no, Arty - mentii spudoratamente, leccando dalle sue mani quel che restava dei lamponi. Avevano un sapore delizioso, fra il dolce e l'amaro, ma preferivo di gran lunga il gusto sanguinoso e ricco della carne cruda. - Certo che no. Tu sei un drago fortissimo.
Arty mi guardò in un modo che mi fece comprendere che nemmeno lui, nella sua ingenuità, ci era cascato.
- Ehm - ridacchiai nervosamente, sorridendogli. - Beh, forse non sei proprio un drago alfa, aa se non possiamo migliorare la tua forza fisica, potremo farti sembrare più forte.
- E come? - sospirò Arty, ormai rassegnato a sottoporsi ai miei trattamenti. In ogni caso non avrebbe avuto scampo, finché fosse stato con me.
- Innanzitutto, alzati in piedi - gli ordinai, rifilandogli un colpetto alla schiena per spingerlo a ubbidire. - Poi gonfia il petto, contrai i muscoli delle braccia e tira in dentro la pancia... in dentro, ho detto, non in fuori!
Arty espirò l'aria che aveva trattenuto, massaggiandosi l'addome paffuto con le mani. Quella pancia a forma di palloncino strabordava dalla sua casacca, facendolo sembrare un sacco di patate. Manco fosse stata solida, come quella di certi umani fissati col fare i pesi. Nossignore, quel ventre era come l'impasto di una pagnotta, morbido e tondeggiante, e non aveva nulla di minaccioso. Non poteva nemmeno essere usato per colpire i nemici a suon di panzane... anzi, panciate.
- Ma noi Athi abbiamo la pancia così - sospirò. - Non posso tirarla in dentro, come dici tu. Mi fa male.
Gli annusai un fianco per accertarmi che fosse la verità, infilando il naso sotto la maglia grezza che indossava, e Arty scoppiò a ridere, cercando di allontanarmi, mentre si dibatteva come un pesce.
- Smettila! Mi fai il solletico! - gemette, rotolandosi a terra.
Lo osservai sconsolato, scuotendo la testa. Persino così, sporco di terriccio ed erba, non faceva paura. Se possibile, sembrava meno minaccioso di prima. Perché non riuscivo a togliergli quell'aspetto da cucciolo che aveva? I draghi erano immuni alla tenerezza. Io quell'aria infantile l'avevo già persa, il mio corpo si era snellito e avevo già l'aspetto di un adulto, mentre Arty era un palloncino con gli occhi da cerbiatto.
- Almeno impara a ruggire come si deve - brontolai. Ormai avevo esaurito gli argomenti.
Arty inclinò la testa su un lato, come un cane che non capisce bene o ha sentito un rumore interessante.
- Ruggire? - ripeté, perplesso.
- Ruggire! - gridai a pieni polmoni, per poi lasciare che un ringhio potente e sonoro mi risalisse la gola. La folata d'aria fu tale da pettinare all'indietro i capelli di Arty.
L'Athi gridò spaventato e si tuffò dietro a un cespuglio per sfuggire al pericolo.
- Arty? - lo chiamai, leccandomi le labbra. Avevo sbavato in modo poco edificante, durante quel ruggito, ma almeno ero sembrato minaccioso. - Arty, perché ti nascondi?
Andai a recuperarlo. Tutto tremante, l'Athi era rannicchiato nell'erba, le braccia sulla testa a mo' di protezione.
- Artigern - ripetei, col tono più dolce in mio possesso. - Artigern, calmati. E' tutto apposto.
Ci vollero un po' di moine per convincerlo a uscire dal suo nascondiglio. Una volta fuori, mi abbracciò una zampa, restandovi aggrappato come se ne andasse della sua vita.
- Non farmi più paura in quel modo - esalò. - Ti prego. Prometti?
Esitai, indeciso, poi mi resi conto che non sarebbe servito a niente rifiutarsi, se non a terrorizzarlo ancor di più.
- Prometto - sospirai, leccandogli la testa.
Lui sembrò più tranquillo e mi lasciò, barcollando verso il proprio zaino. Mentre seguivo con lo sguardo la sua andatura incerta, da ubriaco, pensai che era proprio vero ciò Delia e Nonna avevano detto: gli Athi non erano guerrieri, nel modo più categorico. Erano le creature più pacifiche e terrorizzate dell'intero cosmo. Non sarebbero stati capaci di fare del male a chicchessia, nemmeno se ne fosse andato della loro vita.
Ma allora come avevano fatto Polonius ed Elwyn a spingerli in una guerra che li aveva portati all'estinzione?
***
La sera, quando ci accampammo per la notte, Arty si rannicchiò nella coperta datagli da Nonna, usando lo zaino come cuscino. Appoggiò il capo sulla mia zampa destra, guardandomi in silenzio.
- Che ti prende? - mormorai, seccato dalla sua insistenza. Ero ancora arrabbiato per la sua incapacità di assimilare i miei importantissimi insegnamenti da drago alfa.
- Niente - sospirò lui, incrociando le dita sullo stomaco, con un sorriso placido. - E' solo che pensavo a quanto sei cresciuto. Solo due mesi fa ti tenevo in braccio io, e ora guardati. Sei tu a portare me. Secondo il libro, a giudicare dalle tacche sui tuoi artigli, crescerai almeno altri due o tre metri.
- Allora sarai davvero una formichina, in confronto - lo presi in giro.
Arty rise piano, soffocando uno sbadiglio.
- Eh, già. Una formichina - ripeté.
Si incupì all'improvviso, come se avesse avuto dei brutti pensieri.
- Cos'hai? - gli chiesi.
- Sono solo stanco - rispose, dandomi un buffetto sulla spalla. - Su, dormiamo. Sarà una giornata lunga, domani.
- Arty, stavo scherzando - dissi, alzando gli occhi al cielo. - Non sei una formichina.
Ci fu un lungo istante di silenzio. Pensai si fosse addormentato e feci per sdraiare il collo a terra, quando sentii un singhiozzo provenire da lui.
Cosa gli prendeva, adesso?
- Sì, invece - farfugliò. - Nonna ha ragione. Voi draghi non capite. Io ti voglio bene, Sparviero, ma tu non ne vorrai mai altrettanto a me. Tu mi trovi irritante, perché non sono feroce o... o non riesco a uccidere per mangiare e fare un sacco di altre cose in cui tu sei bravo. E' vero: per te non sarò mai nient'altro che una formichina, ma non significa che tu debba guardarmi sempre in quel modo. Almeno cerca di contenere la tua delusione.
- Artigern... - farfugliai, mortificato. Mi sembrava di aver appena rotto un oggetto molto fragile e prezioso. - Non lo penso davvero. Quelle parole mi sono sfuggite per sbaglio.
- Certo. Per sbaglio. Sai, mi piacerebbe che mi accettassi come sono, senza cercare di spingermi a fare cose che non sono nella mia natura. Come io non ti costringo a cibarti di verdura. Non sono un drago, Sparviero.
- Beh, una volta ci hai provato...
- Ma era solo un gioco, e non ho insistito - sospirò Arty, tirandosi la coperta sopra la testa. - Adesso basta parlare. Buonanotte.
Non aggiunse altro.
***
Non so perché mi svegliai.
Forse per via di un leggerissimo rumore, o a causa della sensazione di vuoto alla zampa destra.
Aprii prima un occhio, poi l'altro, e scoprii che Arty era sparito. Era notte fonda, la luna violacea risplendeva nel cielo, dipingendo ogni cosa di una luce spettrale, e non si muoveva una foglia. In lontananza, avvertivo il verso di una civetta.
- Arty? - chiamai, allarmato. Non si sarebbe allontanato senza un valido motivo, per di più nel cuore della notte, quando tante bestie feroci che avrebbero potuto farlo a pezzi con una sola zampata uscivano dalle loro tane. - Artigern!
Col naso incollato a terra, seguii la sua scia odorosa attraverso gli alberi. A un certo punto, riuscii ad udire un vago canticchiare, e riconobbi la voce di Arty. Urlai il suo nome e lui gridò a sua volta, lasciando cadere i pantaloni.
- Per tutti i draghi! - gemette, affrettandosi a tirarli su e agganciare i bottoni. - Non posso nemmeno fare la pipì in santa pace, adesso?
- Non ti vedevo più - cercai di spiegare, per nulla imbarazzato. Avrebbe dovuto avvertire, prima di andarsene. - Per quello che ne sapevo, avresti potuto essere stato mangiato da un mostro.
Artigern sospirò, stringendosi nelle spalle.
- Non sarebbe una grave perdita - disse, pulendosi le mani nel torrente lì vicino. Si lavò il viso più volte. - Almeno non ti rallenterei più, con la mia incapacità di essere un drago.
- Artigern, adesso basta - sbottai, stufo della sua autocommiserazione. - Non ho mai detto che non gradisco la tua compagnia. Sei il mio migliore amico. E' solo che...
Mi interruppi, osservando una superficie scura e lucida emersa dal flusso piatto del torrente.
- Solo che? - mi incitò Arty, alzandosi in piedi, mentre si batteva i pantaloni per pulirli dall'erba.
Feci appena in tempo a strapparlo dalla riva, raccogliendo la sua maglia fra i denti, che delle fauci aguzze come sciabole si richiusero nel punto in cui fino ad un istante addietro c'era stato l'Athi.
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